UN INTERMEZZO INDIAVOLATO
di F. De Simone Brouwer
Nel gennaio 1770 il sacerdote Antonio Jerocades, professore di filosofia e belle lettere nel Real Collegio Tuziano di Sora, compose un dramma: Il ritorno di Ulisse, perchè fosse recitato dai convittori nel prossimo carnevale, come si usa ancor oggi in vari istituti. Il manoscritto andò in giro per la città: alcuni lo lodavano come utile ed onesto, altri lo trovavano invece troppo serio. Allora l'autore, che non voleva privare i suoi scolari del divertimento, pel quale aveva già chiesto ed ottenuto dall'autorità locale il permesso necessario, scrisse due intermezzi comici; di questi, uno fu causa troppo meschina d'un incredibile diavoletto. S'intitolava esso Pulcinella da Quacquero. In una miscellanea manoscritta della Biblioteca Nazionale di Napoli, segnata XIV B. 5, sono raccolte alcune scritture che vi si riferiscono. Dall'indice, che prevede, risulta che a carte 320-331 era trascritto l'intero componimento; però quelle pagine ora non vi son più. Da chi e quando furono strappate, non si sa; nè se prima o dopo che fu acquistato dalla biblioteca il volume, sulla cui provenienza neppure si può riferir nulla di positivo. Gli altri documenti che vi si conservano, in copie s'intende, sono la Relazione a S. Maestà di F. Vargas Macciucca e suo parere sopra il suddetto Intermezzo, una insignificante Lettera del Signor Marchese Tanucci a Monsignor Sisto vescovo di Sora inviata da Caserta il 20 marzo 1770, l'Articolo del Mercurio d'Olanda del mese di Giugno 1770 sul detto Intermezzo, la Risposta di un Amico dimorante in Napoli al suo corrispondente in Sora sull'intermezzo intitolato Pulcinella da Quacquero che si dà qui annesso, e una Lettera del Vescovo di Tropea in cui dà notizia al Vescovo di Sora del Costume del Sacerdote già suo diocesano. Quest'ultima lettera non interessa direttamente l'intermezzo, ma è solo un'informazione, richiesta e data, sull'Jerocades; informazione affatto sfavorevole. Dopo la prova generale si sparse la voce in Sora sul contenuto dell'intermezzo, e vi fu chi arrivò a carpire l'originale e a consegnarlo nelle mani del vescovo. Il quale, visto che in esso si contenevano <<sentimenti che dalle fondamenta distruggono le più sacrosante massime della Religione>> e <<proposizioni erronee, ereticali ed offensive delle pie orecchie dei fedeli>>, ne proibì la recita, sotto pena di incorrere ipso facto nella sospensione a divinis l'autore del Seminario D. Gennaro Partitario; e avanzò reclamo, in data 18 febbraio, al regio governo. Alle ingiunzioni del prelato, pare che il rettore rispondesse ch'egli <<non aveva che fare col vescovo>>, e l'Jerocades <<che non conosceva Vescovo, ma soltanto il Re, e il Commissario di Campagna sopraintendente>>. Monsignor Sisto allora si appellò ad una disposizione reale del 29 aprile 1769, e d'altra parte il rapporto del Governatore del luogo in data 24 marzo 1770, a cui era acclusa una copia legale dello scritto incriminato, era uniforme nella sostanza a quello del vescovo. Il 31 marzo questi con altro reclamo si lagnava delle continue insolenze che riceveva dai due preti Partitario e Jerocades e forse da altri, che, come vedremo, furono implicati nell'affare. Tutto ciò si rileva dalla relazione, estesa in Napoli il 10 aprile 1770, dal Cavalier D. Francesco Vargas Macciucca, incaricato dal Re di esaminare la cosa e dire la sua opinione in proposito. Egli, dopo aver letto l'intermezzo, riconobbe che le parole ingiuriose per la religione cattolica vi son dette in modo che <<tutta vi si vede snervata la verità Cattolica a fronte delle assertive, e derisioni del Quakero>>. Mentre il protagonista della farsa avrebbe dovuto essere Pulcinella, <<questi vi fa una ben fredda, e magra figura>> e non serve all'ultimo che a mettere in ridicolo <<il sesto precetto del decalogo, che vieta la Venere vaga, e la forma dalla Chiesa prescitta per lo Sacramento del matrimonio>>1. Che se in Inghilterra furon messi in burla sul teatro i Quacqueri, non poteva certo esser questa, secondo volevano far credere per propria difesa, l'intenzione degli incolpati e dell'autore, giacchè la tela di questo <<mostruoso componimento è tessuta in modo che bisogna essere affatto stupido per non accorgersi, come il Quakerismo vi si fa trionfare della Cattolica Religione>>. Vi si offendono inoltre <<con ingiuriose espressioni intere colte Nazioni, e tra l'Italiane specialmente la Napoletana>>. Concludeva infine, esponendo il suo parere e decisione: <<Stimo poter la Maestà Vostra degnarsi di rescrivere a quel Prelato [Monsignor Sisto], che la sua Curia colla sua ordinaria facoltà a nome degli Ordini Regali del 1746 proceda in tale occorrenza, ma non venga nè a citazione, nè a carcerazione di coloro, che ne risulteranno inquisiti, se non esibisca prima a V. M. il Processo informativo, e non ottenga quindi il Regal Permesso di poter eseguire la citazione, o la carcerazione, e di poter procedere avanti nella causa>>. Consigliava poi per prudenza di allontanare dall'insegnamento e dal posto e due preti, <<ben sapendosi per esperienza, quanto sia più facile il pervertire con una Comedia un giovane costumato, che convertire con tutto un Quaresimale un giovane scostumato>>. Così termina la relazione. L'articolo del Mercurio d'Olanda annunzia infatti che i due preti furono espulsi e condotti in Napoli, e riporta il dispaccio del Vargas Macciucca al vescovo di Sora in uniformità delle precedenti conclusioni. La Risposta di un Amico è un opuscolo stampato in Napoli con la data 17 marzo 1770: anche qui, in fine, son tolte le pagine che comprendevano il famoso intermezzo. L'autore, che si firma: Il noto Amico, e doveva essere un avvocato, giacchè a p. 4 accenna alle <<continue sue occupazioni del Foro>>, si prende la briga di confutare, uno per uno, con soverchia prolissità, i brani che riguardano la religione cattolica o lo stato, per arrivare ad una conclusione non differente da quella del Vergas Macciucca, che si tratti cioè d'un <<libello empio e sedizioso>>. Di questo codice XIV. B. 5 diede comunicazione il De Blasiis a G. Capasso, ma questi non se ne giovò e in un suo breve scritto sull'Jerocades appena lo ricordò con poche parole2. Non fece motto nè dei documenti, di cui si è parlato, nè dell'intermezzo mancante: e sarebbe strano che la sottrazione avvenisse dopo il 1887, quando il De Blasiis esaminò la raccolta. A ogni modo, è certo che, prima o dopo, l'intermezzo fu tolto; e se non è concesso arguire da chi e per qual motivo, è naturale la curiosità di ripescare e leggere questa commediola che destò, giustificato oppur no, tanto spreco di carta e tanto pandemonio. E poichè si dice che chi cerca, trova, ho voluto cercare e l'ho trovato. Si è visto innanzi che, oltre al Partitario e all'Jerocades, il vescovo di Sora si lagnava di altri. E' probabile che si trattasse del <<chierico beneficiato>> D. Francesco Maria Carrara e del sacerdote D. Domenico Marzani, canonico della collegiale chiesa di S. Restituta, secondo è lecito desumere da un altro manoscritto della Nazionale di Napoli, segnato XV. C. 42, che non è ricordato da nessuno. E' l'abbozzo d'una anonima memoria defensionale assai scorretta: Per D. Francesco Maria Carrara ed il sacerdote Canonico D. Domenico Marzani ingiustamenti rubricati nella causa del Pulcinella da Quacquero presso la Rev.da Vescovil Curia di Sora. Valevole raggionamento concernente la loro difesa. Molte notizie, più o meno esatte, se ne ricavano, quantunque si tratti d'uno scritto avvocatesco parziale negli aprrezzamenti; e a carte 17-23 è riportato l'intermezzo. A sentire quel che dice il patrocinatore del Carrara e del Marzani, l'Jerocades, che avea scelto per difensore l'avvocato D. Ludovico Tuzii, non avea voluto che <<mettere in mostra tre delle principali nazioni d'Europa: Italiana, Francese ed Inglese>> e a ciò era stato spinto, perchè <<in quel tempo appunto ai suoi scolari spiegava quella porzione d'Europa, che sta sotto il dominio Inglese>>. Come s'intravvede pure dalla relazione del Macciucca, i difensori insistevano sulla dichiarazione, che l'autore, con l'aver posto sulla scena il fondatore Giorgio Fox, avea appunto inteso di porre in derisione <<tutta la setta>> dei Quacqueri; e ricordavano che così s'era già praticato nella stessa Inghilterra. Gli avea poi dato quel titolo, perchè Pulcinella <<con suo ridicolo affettava il costume Quacquero>>, indottovi anche <<da una consimile commedia, che non ha guari fu fatta in Roma, denominata Pulcinella fatto Ebreo>>3. La prova generale dello spettacolo fu eseguita il 14 febbraio; il Partitario fece molte modificazioni al dialogo, mentre l'Jerocades teneva ferme alle sue espressioni. Il Rettore, che aveva patito anni prima non poche noie per un certo D. Giovanni Grugar, un tristo soggetto già licenziato dall'istituto, maestro ancor lui e compagno dell'Jerocades, finì col cedere in parte. Da ciò apparirebbe ch'egli non intendesse veramente di condividere il pensare del suo dipendente. Sennonchè, quando il vescovo fece affiggere alla porta del Collegio l'atto proibitivo, il Partitario, ritenendo questo passo lesivo al Collegio ch'era esente dalla giurisdizione ecclesiastica e dipendeva esclusivamente dall'autorità civile, con atto pubblico per mezzo di pubblico notaio procedette alla rimozione dell'editto vescovile, pronto ad accettare le disposizioni che avrebbe dato il Commissario di Campagna D. Biagio Sanseverino4. Voleva tuttavia, per non mostrarsi troppo irriverente e ribelle, rimandare la recita o almeno sopprimere quell'intermezzo. L'Jerocades invece si ostinava, dicendo che bisognava rappresentarli o tutti e due o nessuno; e allora il Rettore acconsentì, a patto che il testo fosse mitigato e il titolo cambiato in Il servo napolitano. Fu quindi dato insieme col dramma Il ritorno di Ulisse e l'altra farsa D. Inquintilla5; e ne assunse la parte del quacquero Giorgio Fox il giovane D. Ernesto Ponari, il quale, secondo l'anonimo, non profferì sulla scena niuna delle frasi peccaminose inserite nell'originale. Irritato per la trasgressione del divieto, il vescovo, che avea potuto impadronirsi del copione sottratto dallo scrittoio dell'autore da un tal Nicola Lisi, mandò il primo reclamo, contemporaneamente alla relazione del governatore D. Felice Orlando, in cui fra l'altro pare si riferisse che in quella commedia <<si insultava tutto il pubblico di Sora>>. Dal complesso di quanto è detto nella memoria, sembrerebbe che questa bufera, scatenatasi contro l'Jerocades e gli altri coimputati, fosse l'effetto delle mene del partito dei Gesuiti. Questi, cacciati dal regno e quindi anche dal Collegio Tuziano che era già stato nelle loro mani, avrebbero avuto interesse a mostrare che, dopo la loro dipartita, vi si era introdotta l'eresia e lo scandalo. Pare altresì che il vescovo iniziasse addirittura tutto un processo, nonostante mancasse il consenso del governo. Dietro ordine intanto della segreteria della real casa, era stato invitato il Sanseverino a recarsi in Sora e fare un'inchiesta. Egli vi andò, interrogò il Partitario e l'Jerocades e li reputò innocenti. Ma, poichè per ragioni di ufficio fu costretto a recarsi in Sessa per un certo tempo, non potè inviare subito il suo rapporto; il quale fu poi allegato al processo, ripreso di nuovo dal vescovo dopo l'autorizzazione reale. Il nostro avvocato anzi opina che, se il Macciucca dispone che il processo fosse fatto dal vescovo, e da costui ne fossero a lui rimessi gli atti, fu perchè egli nulla sapeva della missione affidata al Senseverino, nulla del furto dell'originale, nè delle correzioni fatte nelle prove. Comunque, è certo che del primo processo non si parlò più, e nel maggio fu, dietro l'autorizzazione, ricominciato da capo. Fu allora che il Rev.do Promotor Fiscale Canonico D. Gerardo Branca, che per precedenti rancori avea della ruggine col Carrara e col Marzani, li comprese nell'accusa nella qualità di amici del Partitario e dell'Jerocades, di <<rei di illecite conventicule in pregiudizio della pubblica e privata tranquillità>> e di <<approvatori dell'intermezzo>>. Lo stesso Branca, in data 21 maggio 1770, scriveva nell'istanza che l'Jerocades <<nei suoi discorsi e nelle sue proposizioni, in tempo che faceva permanenza in Sora, aveva fatto conoscere che fusse pervaso ed erudito in ogni sorta de' libri, inteso delle dottrine delle diverse sette degli Eretici e capace di qualsivoglia composizione sì in materia d'Istoria e di Erudizioni, sì in materie Teologiche, Dogmatiche e Morali, sopra delle quali era solito raggionare con essersi alle volte avanzato a sostener proposizioni dannate ed ereticali, non già per difetto d'ignoranza ma per errore d'intelletto e perninacia di volontà rea>>. A giudicar l'intermezzo furon chiamati i due frati P. Mastro Gioacchino Tuzii, Guardiano dei minori conventuali, e il Rev.do Diego da Napoli, Guardiano e Lettore cappuccino; e il giudizio fu, com'era da aspettarsi, contrario. Seguì poi la sfilata dei testimoni, i quali, suppergiù, salvo lievi differenze, fecero, sia ingenuamente, sia perchè indettati, la medesima deposizione, contraria in massima agli accusati. Il 22 maggio furono uditi il sacerdote D. Domenico Abbate Sangermano e il diacono D. Ermenelgildo Belmonte. Il giorno seguente furono ascoltati altri nove testi: i signori Matteo Marra e Angelo Perigli, il sacerdote Ferdinando Jasipaoli, il già nominato Nicola Lisi che negò il furto e accusò il Partitario e l'Jerocades d'aver seguitato a celebrar messa dopo la sospensione, i sacerdoti Amedeo e Saverio Carnevale che furon presenti alla prova e ricordavano esser stato corretto l'intermezzo e aver fatto da suggeritore con loro grande sorpresa il canonico Marzani, Pasquale Pisani che assistette dalla platea e il prete D. Gennaro Saccone. Uno dei Carnevale affermò d'altra parte esser stato impedito l'Jerocades di recarsi dal vescovo proprio dal Partitario e dal Carrara. Il 25 maggio si passò all'audizione di Carlo Genovese, Nicola Marra, Teodosio Fantauzzi, Basilio De Casperis (sic), e per la seconda volta il Belmonte, i quali quasi tutti si restrinsero a ripetere quel che avean saputo dalla pubblica voce. Il 26 si proseguì con un barbiere, col notar Pasquale Tucci che, nella sua qualità di suonator di violino a tempo perso, avea fatto parte dell'orchestra, il calzolaio Giuseppe Gigli, il chierico Ambrogio Cremona, il diacono Saverio Sangermano e i preti D. Benedetto Isola e D. Paolo Carnevale. Il 27 maggio vennero a deporre D. Bernardo Pietra, due eremiti di nome Filiberto Cavalier e Giacomo d'Ernei, i sacerdoti Stanislao Ciolfi, Saverio Lopez e Giacinto Galami, e il canonico D. Girolamo Visi; il 28 D. Nicola Colena, il seminarista Tommaso Lorino e i preti Domenico Sangermano, Nicola Zorelli, Giuseppe Gulia e Giovan Michele Cocchi. Finalmente il 29 furono interrogati il collegiale Luigi Macciocchi, l'istitutore Fedinando Praia e il diacono Paolo Capuano. Durante il processo furono esibite alcune dichiarazioni di confessori, in cui si diceva che l'Jerocades non praticava il sacramento della penitenza; un attestato, a carico, di Carlo Lauri e Emidio Peruzza; un altro del notar Ludovico Lucarelli; e la relazione già mentovata del vescovo di Tropea. La conclusione di tutto il gran lavorio non fu molto diversa dal consiglio che il Vargas Macciucca avea dato. Questi avea proposto che il Partitario e l'Jerocades venissero allontanati dal loro ufficio: fosse quest'ultimo, conscio della sorte che gli sarebbe toccata, spontaneamente si allontanò, recandosi a Napoli, senza attendere l'esito della causa. Con un reale dispaccio, stampato, come si è detto, nell'articolo del Mercurio d'Olanda, dopo circa quattro mesi dalla recita, egli e il rettore vennero ufficialmente e per sempre destituiti. Chi conosce le abitudini dei piccoli centri, i pettegolezzi che per delle inezie nascono e diventan talora una vera guerra, specialmente quando vi si mescola il sentimento religioso, si spiegherà presto tutto il fracasso, tutto questo strepito cagionato da una cosa indubbiamente di esiguo e ristretto interesse, che non potea produrre gravi conseguenze. Forse non mancò chi soffiasse nel fuoco per vendetta e antipatie personali o per altra men lecita mira; ma le autorità, quasi senza accorgersene, in luogo di spegner la favilla, contribuirono a sviluppare l'incendio; e s'ebbero un mondo di fastidi parecchi bravi galantuomini. L'intermezzo, letterariamente, non val proprio nulla: appena si legge, si vede che abbonda di spropositi di lingua e di stile, di dialettismi calabresi (l'Jerocades era di Parghelia in quel di Cosenza), e manca d'ogni più elementare logica ed arte drammatica, sconclusionato nell'insieme e nei particolari, che sono qualche volta delle insulse stupidaggini. Il nostro anonimo paglietta, che non appare una cima d'uomo, lo chiama anche lui <<quanto scorrettissima, altrettanto manchevole bozza>>. E' chiaro che scopo dell'autore è di far sapere per sommi capi in che consiste la credenza dei Quaccheri; ora, se pure non si ammette che lo facesse con intendimento di scherno, in realtà le parole, così come son messe in bocca a Giorgio Fox, se non destano il riso, ripugnano però talmente che i fedeli non potean temere un serio pericolo. Che il vescovo non avesse torto nell'osteggiare l'Jerocades, può ben essere; ma egli non capì che, col perseguitarlo in quella congiuntura, gli avrebbe fatto assumere la comoda apparenza di vittima. Avrebbe fatto assai meglio, se con provvedimenti assennati, senza rumore, si fosse limitato a condannar l'intermezzo e ad ammonire l'autore. Una repressione violenta ed inopportuna fa spesso più male che bene: allora, come forse anche in altri casi, quel pastore di anime non fu nè sereno nè accorto. Ma da questo al ritenere, con i partigiani del campo opposto, che l'Jerocades fosse un'anima candida e che si professasse <<vero e perfetto cattolico>>, ci corre. Un <<vero e perfetto cattolico>> neppure per celia, avrebbe fatto parlare i personaggi, come fece lui. Insultare impunemente, benchè sotto la veste dello scherzo, le istituzioni ecclesiastiche e civili non era tollerabile, e non lo sarebbe nemmeno ai nostri giorni; e non era bello. Dare ai monaci il complimento di <<robusti poltroni>>, se è in ogni circostanza una volgarità, allora significava esporsi a un pericolo inevitabile e non leggiero. Nella generale ignoranza del clero di Sora, e non di Sora soltanto, l'Jerocades, che non era sprovvisto d'ingegno e di coltura, sebbene questa fosse confusa e superficiale e quello strano abbastanza, che s'era acquistata la nomea di buon poeta estemporaneo, dovea naturalmente riuscir seccante agl'invidiosi di quella cotale sua dottrina; e ad alienargli gli animi si aggiungeva in lui una dose di presunzione ed un fare non accostevole. Intollerante d'ogni freno, capriccioso, amante di una libertà eccessiva, di costumi non molto severi, si capisce che con la scusa della farsa tentasse di far della satira politica; ma in tutto, anche delle cose buone, non conviene mai sorpassar certe dighe. A questo egli non pose mente: volle osar troppo, e si sa che la fortuna gli audaci aiuta, ma non i temerari. Valeva dunque la pena di pubblicar questo parto drammatico, che non è che un aborto? domanderà il lettore, e in cuor suo forse dirà di no. Quando si pensa invece, che esso serve a lumeggiare la figura di uno scrittore poco noto, il quale non fu bensì un martire della rivoluzione napolitana del 1799 e tanto meno un eroe, come da taluni si volle sostenere, ma ebbe tuttavia una parte in quelle vicende e godè come che sia della amicizia di uomini illustri; quando si osserva che questa davvero stravagante e bizzarra commediola, nell'intenzion dell'autore, dovea essere una terribile sferzata contro alcune miserie dell'epoca, innegabilmente troppo infelice nella esecuzione, sì da far sovvenire dell'oraziano Amphora coepit institui, currente rota cur urceus exit?; e si considera che non è perciò priva d'una qualche importanza storica; si converrà che non è stata poi fatica inutile e vana l'averla risuscitata.
Personaggi: Mylord Thul Inglese, Monsieur PIERRE Francese, GEORGIO Quacquero, ANNA e GIOACCHINO Figli del Quacquero, GIACOMO Cameriere di Thul, PULCINELLA Servo del Francese. La Scena è in Londra in casa di Mylord. Dum nihil habemus majus, calamo ludimus - PHAEDRUS. ............................................
NOTE 1 Il V. M. rammenta il Ciarlone (Cerlone) e la commedia Il Cavalier napolitano in Costantinopoli, per dedurne che questi fece sempre nelle sue opere trionfare la fede cattolica, <<perchè dal fondo di un buon cuore esalano sempre aliti, che non putiscono, e non offendono>>. Soggiunge poi, non senza verità, che il Cerlone introdusse nel teatro <<un D. Fastidio, che val bene un Pulcinella>>. Su D. Fastidio, caricatura dei legulei da strapazzo, vedi infatti l'interessante profilo dello Sherillo nel notissimo volume La commedia dell'arte in Italia, Torino, 1884, pp. 85-94; e un articolo di F. Brandileone, Sul tipo di D. Fastidio de Fastidiis, in Preludio, 1884, n.19. 2 G. Capasso, Un abate massone del secolo XVIII (Antonio Jerocades), Un ministro della repubblica partenopea (Vincenzo de Filippis), Un canonico letterato e patriota (Gregorio Aracri); ricerche bibliografiche, Parma, 1887. 3 Non sono al caso ora di confermare o dubitare della esistenza di cotesta commedia; nè so quanto vi sia di vero in quel che asserisce Domenico Martuscelli nella vita dell'Jerocades inclusa fra le Biografie degli uomini illustri del regno di Napoli ornate dei loro rispettivi ritratti, compilate da diversi letterati nazionali, voll. 6, Napoli, 1817, vol. IV. Secondo costui, l'autore scrisse prima un Pulcinella fatto principe, che poi trasformò in Pulcinella fatto Quacchero. E' noto che di questa raccolta biografica il meglio sono le incisioni di G. Morghen; giacchè nelle vite, scritte per lo più da illustri ignoti e con uno scopo prettamente elogiativo, le lodi son così esagerate e le notizie così monche e mal sicure da non meritar troppa fede. Quella dell'Jerocades fu riprodotta dall'Accattatis nelle Biografie degli uomini illustri delle Calabrie, voll. 4, Cosenza, 1877, vol. III, pp. 191-7 - Un Pulcinella finto Prencipe è il sedicesimo dei ventidue <<soggetti>> del P. D. Placido Adriani, in un ms della Biblioteca Comunale di Perugia rinvenuto da Benedetto Croce. Cfr. Giorn. storico della letter. ital., XXXI, 458. 4 Il Collegio Tuziano era stato fondato con un antico lascito di D. Fabio Tuzii; dopo, in seguito a varie vicende, per opera di D. Pietro Maria Ranzi si ottenne che venisse messo sotto la protezione sovrana, facendo così parte del regal patronato. 5 Del Ritorno di Ulisse sappiamo dal nostro ms., che in questo <<Poema drammatico veniva brevemente ristretto tutto quello, che il grand'Omero ci lasciò scritto d'Ulisse>>, e che fu stampato <<in Napoli da Simoni>>: a noi però non è capitato finora di trovarlo. Dell'intermezzo D. Inquintilla il ms. dice che esprimeva <<i caratteri di picciolo Paese>>.