di Domenico Rotundo
Come una figura autenticamente rinascimentale, un genio profondo tendente a sintetizzare ogni umana esperienza e conoscenza in un classico, mediterraneo clima di rasserenata pace dopo la tempesta delle passioni e dei desideri, ci appare Goethe. E in effetti il massimo poeta tedesco, come pochi attratto dall'occulto e dal mistero, accoglie il senso magico della Natura che caratterizzò i primi romantici tedeschi, ma la Natura, simbolo luminoso dell'Essere Supremo, <<vuole conoscere per quanto è possibile all'umana ragione prima di proiettarla nell'infinito, giungendo ad un naturalismo per cui il mondo, nell'infinito suo trasformarsi, si adegua all'infinito divino, così che, non già distaccandosi dal mondo e trasfigurandolo in forme fiabesche, ma avvicinandolo nelle sue infinite forme reali e quelle raccogliendo in sintesi reale si perviene alla conoscenza della Natura>> (U. Dèttore). L'immortale autore del <<Faust>>, iniziato all'alchimia e alla scienza ermetica della von Klettemberg e dal medico di questa, era sicuro che la sua vita fosse guidata da forze ed entità misteriose ed egli stesso, come emerge dalle sue opere e dalle testimonianze dei suoi amici più cari, fu protagonista di numerosi episodi <<paranormali>>. Uno di questi episodi, a nostro avviso particolarmente significativo, ci è stato tramandato dal fedele amico J.P. Eckermann nei suoi <<Colloqui con Goethe>>. Ecco il fatto, narrato dall'affezionatissimo cameriere del poeta: <<Lo studio della natura era già allora il suo campo preferito. Una volta suonò nel cuore della notte; e quando io entrai nella sua camera vidi che egli aveva spinto il suo letto fin sotto la finestra e giaceva osservando il cielo. "Non hai tu visto niente in cielo?" mi chiese; e quando io dissi di no: "Corri al campo di guardia e chiedi alla guardia se non ha veduto nulla". Io corsi, ma la sentinella non aveva veduto nulla. Tornai a riferirlo al mio padrone, il quale giaceva sempre guardando solenne; e "in questo istante c'è stato o sta per esserci un terremoto", E volle che mi sedessi sul letto vicino a lui e mi dimostrò per quali segni avesse intuito ciò>>. Il cameriere credette ciecamente alle parole di Goethe perchè sapeva per esperienza che <<tutto quello che prediceva avveniva sempre>>. E infatti, dopo qualche settimana, giunse la notizia che in quella stessa giornata (6 febbraio 1783) un terremoto catastrofico si era abbattuto sulla Calabria meridionale. Molto probabilmente la <<visione>> in cielo del terremoto di Calabria del 1783 (preannunciante ben altro terremoto, la Rivoluzione Francese) fu determinante nello spingere Goethe ad effettuare il suo famoso viaggio in Italia e particolarmente nella misteriosa e incantevole (allora) Italia del Sud, dove ebbe modo di scoprire, lui dotato di un'eccezionale percezione occulta, un nesso profondo, misterioso e segreto, fra il paesaggio, la vegetazione, la storia, l'arte, il mito e le invisibili Entità e forze della Natura che a quell'arcana terra presiedono.
Goethe. Disegno su carta a matita, penna in tinta seppia, eseguito dal vivo il 13 maggio 1787.
Possediamo circa 1500 raffigurazioni di Goethe risalenti al suo saggiorno italiano. Alcune di queste sono state disegnate certamente in Calabria (ma nessuno, stranamente, lo ha notato). Così lo Stromboli fumante disegnato da Goethe durante il suo viaggio (1787) di ritorno dalla Sicilia (da Messina a Napoli). Finora si è ritenuto che Goethe non avesse mai messo piede in Calabria. Il citato disegno, mostrandoci lo Stromboli come lo si può vedere solo dalla costa calabra di Tropea, costituisce invece la prova che Goethe sbarcò anche in Calabria (lo Stromboli, legato a tante suggestive e significative leggende, secondo il mito fu una delle dimore di Eolo). Tropea, infatti, era quel tempo scalo marittimo nella rotta fra Napoli e Messina (nel 1783, dalla nave diretta in Sicilia che vi fece scalo, il cardinale spagnolo Antonio Despuig ebbe modo di registrare i fenomeni concomitanti al terribile evento sismico che in quell'anno devastò l'estrema punta dello Stivale).
Goethe. Disegno su carta a matita, pennello a inchiostro di china, eseguito a Roma a giugno 1787.
Un altro disegno di Goethe conferma che lo Stromboli disegnato dal sommo poeta tedesco è stato ripreso dalla costa calabra. Vi è infatti riconoscibile l'imbocco dello Stretto di Messina (costa settentrionale della Sicilia) con l'Etna, dai contorni appena delineati, visto da Tropea al chiaro della luna piena (nelle giornate limpide è possibile vedere dalle colline di Tropea l'imbocco dello Stretto e l'Etna); degno di nota è poi il caratteristico profilo della rupe di Tropea collegata con lo scoglio dell'Isola da una serie di archi tuttora in parte esistenti. In questa raffigurazione della costa calabra e dello Stretto, Goethe ha colto in pieno la magia e il mistero promananti dalla natura meridionale. Non per nulla egli riteneva che solo in Italia gli sarebbe stato possibile svelare il segreto che avvolge la Natura, chiarirselo e divenirne padrone. Per questo definì l'Italia <<la chiave di tutto>>, la terra pulsante sotto l'azione di <<energie misteriose>> nella quale, chiamato da una <<forza irresistibile>>, andava alla <<ricerca del centro>>, in particolare in Sicilia (e in Calabria, oltre che in Campania) dove credette di aver trovato la <<Urpflanze>>, la <<Pianta originaria della Terra>> e il luogo dove il Bene e il Male sono indissolubilmente, esotericamente uniti1. Non per nulla Goethe venne nel Mezzogiorno d'Italia anche per abbeverarsi alla fonte dei poemi omerici e per capire il mistero che si cela sotto la figura di Elena di Troia. <<Sta scitto nel Destino che io venissi in Italia a sciogliere un mistero profondo>>, confessò. In effetti per Goethe il viaggio in Italia segnò iniziaticamente - sono sue parole - <<il principio della nuova Vita>> (dantescamente, <<incipit Vita Nuova>>) e l'approfondimento del senso della futura tragedia, il <<Faust>>2. Quel <<Faust>> in cui l'alchemico Homunculus spiega al protagonista che la Bellezza non sta nel mondo nordico delle nebbie e delle magie, ma nel Meridione, frutto della fantasia ellenico-romana, dove il paessaggio è tutto chiarezza e serenità lunare (v. la citata raffigurazione di Tropea). Non a caso Elena (che sarà evocata da Faust) rappresenta per Goethe l'idea di pura bellezza, il femminino puro (l'Elena celeste; si consideri che la stanza della sua casa dove il poeta riceveva le visite era dedicata a Demetra la cui sede per eccellenza, come è noto, era nell'area calabro-sicula). Non a caso egli riprese fedelmente, dal libro di Giobbe, il <<Prologo in Cielo>> (dove si apprende dell'intesa segreta del gioco fra Dio e Lucifero) per il <<Faust>>. Goethe rimase affascinato specialmente dall'Etna in eruzione che raffigurò in numerosi disegni, come in quello dove compaiono enigmaticamente un tritone e una fanciulla, allusione evidente al ratto di Persefone ad opera del siculo Plutone3. Significativo è inoltre un bozzetto di Goethe realizzato per il <<Faust>>: pure in questo disegno, chiaramente ispirato al precedente, si vede l'Etna in eruzione, molto probabilmente ripreso dalla sponda calabra dello Stretto. Anche l'iniziato Goethe, dunque, <<sapeva>> (e lo sperimentò personalmente) che nell'area calabro-sicula si cela effettivamente il mistero delle origini postdiluviane ed indoeuropee, il <<luogo dei luoghi>> dove <<il bene e il Male sono indissolubilmente uniti>>. E lo doveva sapere bene pure il suo grande amico Schiller (iniziato alla Massoneria) il quale individuò il famoso <<Maelstrom>> (il mirabile gorgo legato alla leggenda scandinava del <<Signore della prima Età del mondo>>, corrispondente alla favolosa <<via dei cigni>> che conduce alla Terra dei Morti) nello Stretto di Messina, ambientandovi l'immortale ballata <<Der Taucher>>, rievocante la popolare storia di Colapesce, il misterioso e sovrumano personaggio vivente fra i tesori dell'orribile vortice di Cariddi, il quale avrebbe esplorato gli abissi del mare alla ricerca della fanciulla amata, inghiottita dalle onde, e avrebbe offerto a Federico II l'aurea Coppa del Graal4.
Il viaggio "ufficiale" in Italia di Goethe dal 1786 al 1788. Goethe parte da Napoli alla volta di Palermo il 22 marzo 1788. Dopo un soggiorno a Palermo di due settimane, Goethe effettua, dal 18 aprile all'11 maggio, un giro della Sicilia a cavallo. L'11 maggio riparte da Messina per Napoli, dove giunge dopo una traversata di 4 giorni.
E' possibile che Goethe a Tropea, la <<città a forma di granchio>> avvistata da Ulisse (ciò trova conferma nelle foto aeree che propongono l'incantevole cittadina tirrenica come un granchio con il corpo corrispondente al centro storico e le due chele che combaciano con i due scogli di San Leonardo e dell'Isola)5, avesse un appuntamento importante, visto che era un iniziato alla Massoneria e visto che uno degli scopi principali del suo viaggio in Sicilia era stato quello di attingere notizie su Cagliostro (a Palermo incontrò la figlia del celebre alchimista siciliano). A Tropea, infatti, esattamente a Parghelia, viveva a quel tempo l'abate Jerocades, autore nel 1783 della <<Lira Focense>>, <<uno dei testi fondamentali della letteratura massonica mondiale>> (A. Piromalli), che ebbe larga diffusione negli ambienti massonici tedeschi, prima ancora che venisse alla ribalta Schiller. Scrive a questo proposito il Calabritti, curatore nel 1809 dell'edizione milanese della <<Lira Focense>>: <<La "Lira Focense" è stata generalmente accolta; specialmente da coloro, che ne intendono la dottrina senza abusarne: La Germania ha il suo Schiller in questo genere, ma prima di Schiller i ceri illuminati dell'uno, e dell'altro Emisfero celebravano la "Lira" dell'italico Orfeo Antonio Jerocades, che fa tanto onore a quel Paese, che mi vide nascere. Se non è più sublime di Schiller, egli ha certamente maggior unzione di lui. E perciò piacque soprammodo a' Saggi di Francia, d'Inghilterra, e di Filadelfia. Mi risparmio di dar citazioni a coloro che già le conoscono. Basti dire che queste Canzonette eran cantate per tutto ove si raccoglievano Saggi, ed Amici prudenti coltivatori della Verità, e della Ragione>>6. Come Goethe e Schiller, l'abate Jerocades, certamente affiliato alla Massoneria neotemplare del celebre alchimista Raimondo di Sangro, Principe di San Severo (significativo è il fatto che San Severo, in provincia di Foggia, nel 1230 fu donata ai Templari da Federico II), <<sapeva>> che l'Italia (e particolarmente la Calabria e la Sicilia) era <<la chiave di tutto>>7; <<sapeva>> che la prima terra a ricevere la vita di Noè (Italo-Osiride) dopo il Diluvio fu la Calabria o Vitalia8; <<sapeva>> che Noè, come Cristo, si era dovuto sacrificare per poter iniziare gli uomini degni ad una novella vita9. Non senza ragione con Osiride (del quale è stata ritrovata a Selinunte una statuetta egizia risalente al XIII sec. a. C.) con Attis e con Dumziabtzu (altro nome del Noè assiro-babilonese) fu identificato l'esoterico <<Cristo Velato>> (scultura unica al mondo) della napoletana Cappella Sansevero dal Principe Raimondo di Sangro, il quale proprio nella straordinaria Cappella Sansevero lascò prove tangibili della sua iniziazione: si consideri ad esempio che la marmorea, trasparente Sindone del <<Cristo Velato>> è stata ottenuta, come è stato di recente appurato, con un processo alchemico escogitato dal Principe medesimo; non per nulla il simbolismo della Sindone è stato inteso dagli alchimisti come annunciante una nuova veste di gloria che avvolgerà il corpo risorto, a sua volta allusivo della perfezione della <<pietra filosofale>>: nel <<Rosarium Philosophorum>> è proprio l'immagine di Cristo che risorge avvolto nel glorioso manto sindonico a concludere la Grande Opera. Il che, oltre a confermare quanto evidenziato nel nostro studio sulla Sindone e sul ruolo da questa avuto nell'iniziazione templare10, significa che Raimondo di Sangro conosceva perfettamente, come i Templari dei quali era un legittimo continuatore, il mistero della Sindone di Torino, nella quale l'impronta del corpo che ha trapassato il sacro Lenzuolo costituisce la mirabile prova dell'avvenuta resurrezione del Cristo; non a caso, nella definizione che il Principe dà del <<Cristo Velato>>, si legge: <<Non piangete, sono Unico della stessa Natura di mio Padre e torno a mia Madre. Or son degno di Iram, Osiride, Attis, Dumziabtzu. Il mio Linguaggio Universale si perpetua nel Sangue della mia Stirpe>> (anche i Di Sangro o Di Sanguine si consideravano di stirpe graalica, dal Saint Graal o Sang Rèal). Rivelatori, circa l'origine italica della Tradizione esoterica post-diluviana e circa l'effettiva iniziazione del Principe di Sansevero, sono poi questi versi tratti da una canzone recitata a Napoli il 21 gennaio del 1750 nella sede della loggia massonica <<Della Concordia>>, una delle logge di Raimondo di Sangro: <<Il Britanno il sommo impero / Vanta a torto, e vanta invan. / Da noi seppe il gran mistero, / Che rischiara il germe uman. / Fu l'Italia prima il regno della salva umanità; / Qui si espose il gran disegno / Dell'Arcana libertà. / Qui si sparse il primo foco / Dell'eterna verità: / Si raccolse in questo loco / La dispersa umanità>>11. Sicuramente affiliata a quella fondata a Napoli dal Di Sangro fu, si è detto, la Massoneria calabrese dell'abate Jerocades, di carattere aristocratico-templare e mistico-cristiano, anch'essa ispirata allo <<scozzesismo>> introdotto in Francia dal Ramsay, il quale rifiutava il mito razionalista, egualitario e corporativo tipico della degenerata Massoneria anglicana. Comprova dell'affiliazione dell'abate Jerocades alla Massoneria del Di Sangro (della quale era protettrice Maria Carolina d'Austria) sono questi suoi versi, anch'essi denotanti la piena consapevolezza delle origini italiche della Tradizione esoterica postdiluviana: <<Reggio, sede regal di Re vetusti / Che vanti omai? L'origin tua famosa / Sanno i Traci gelati e i Mori adulti, / Nè del tuo nome a noi la fama è ascosa...>>12. Un'altra statua significativa della Cappella Sansavero è quella del <<Disinganno>>, alludente alla liberazione, in virtù della scienza ermetica, da tutti i pregiudizi, da tutte le superstizioni e da tutte le catene che vincolano gli uomini al mondo materiale: un uomo, dibattendosi, si libera, con l'aiuto di una fanciulla coronata (la Verità), da una rete di finissima, straordinaria fattura, anch'essa ottenuta (come il velo dell'altra eccezionale statua, la <<Pudicizia>>) con lo stesso misterioso processo alchemico. A questa scultura si è certamente ispirato l'abate Jerocades allorchè, nella <<Lira Focense>>, esalta l'opera della regina di Napoli Maria Carolina che libera i fratelli massoni dalle calunnie e dall'oppressione: << Venne al Tempio l'augusta Regina / E ci disse: Miei figli, cantate... / Io vi salvo dall'alta ruina, / Io distruggo la frode, l'inganno: / Io vi tolgo dal petto l'affanno, / Io vi rendo la pace del cor>>. Se Raimondo di Sangro ha lasciato nella Cappella Sansevero la prova tangibile di essere pervenuto ad un altissimo grado di iniziazione massonica (v. anche i celeberrimi corpi unami <<metallizzati>> alchemicamente), perfettamente in linea con la Tradizione autentica, Goethe non è stato da meno. E lo ha dimostrato non solo con la sua vita e con le sue opere ma soprattutto con la sua morte. La morte del poeta è infatti legata ad un evento straordinario, lo stesso che ebbe per protagonista il grande mistico Jakob Bohme. Scrive Paola Giovetti (<<Goethe esoterico>>, in <<Abstracta>>, maggio 1990): <<Durante tutta la mattinata (Goethe spirò a mezzogiorno) fu udita nella sua casa una musica misteriosa che stupì tutti quelli che vi si trovavano. Da principio la nuora aveva addirittura inviato il cameriere dai vicini per pregarli di non disturbare le ultime ore del poeta, al che i vicini avevano risposto che conoscendo in quali condizioni egli si trovasse, si erano ben guardati dal farlo. La musica continuò a farsi sentire quasi ininterrottamente: ora sembrava musica d'organo, ora di pianoforte, ora addirittura quella di un quartetto. E a tratti sembrava provenire dal giardino, mentre in altri momenti si aveva l'impressione che scaturisse da una o dall'altra stanza della casa: essa fu udita, oltre che dalla nuora e dal cameriere, anche dai due medici curanti di Goethe e da alcuni parenti e amici che assistevano il morente. La musica, soavissima e dolce, si fece sentire fino al momento in cui Goethe spirò, e ogni tentativo di risolvere il mistero rimase infruttuoso>>. Ma poco prima di spirare Goethe aveva esclamato nell'estasi: <<La Luce! più Luce!>>. Erano gli angeli del signore venuti ad accogliere, come per Faust nel quale il poeta si era identificato, il suo spirito assetato, per condurlo, attraverso l'iniziatica <<via dei cigni>> e i prati fioriti di Persefone, alla fresca Acqua scorrente dal lago di Mnemosine.
NOTE
1Su questa <<credenza>>, che non fu solo di Goethe, ma anche di Steiner (fondatore del Goetheanum di Dornach, in Svizzera), di Wagner, di Bruegel il Vecchio, della tradizione classica (v. anche la credenza che voleva rifugiati nel sottosuolo della Calabria, della Sicilia e della Campania i tifonici Titani sconfitti da Ercole), della tradizione celtica, della tradizione nordica e della tradizione persiana, cfr. i nostri saggi <<L'incantato Castello sconosciuto>> (<<Calabria Sconosciuta>> n. 42, 1988), <<I Cappuccini di Calabria ed il mistero della mummificazione>> (<<Calabria Sconosciuta>>, n. 43, 1989), <<Erano bruzi di Reggio i soldati romani che crocifissero Gesù?>> (<<Calabria Sconosciuta>>, n. 46, 1990), <<Carneade: chi era costui?>> (<<Calabria Letteraria>>, luglio 1989), <<Leone il Grammatico, diffusore in Occidente della vita di Buddha>> (<<Calabria Letteraria>>, gennaio 1990), dove abbiamo inconfutabilmente dimostrato, ci sembra, che l'area calabro-sicula fu la sede per eccellenza di Italo-Osiride (Noè) e di Tifone-Lucifero, suo uccisore (= Klingsor, il Nemico del Graal). 2Faust rappresenta l'uomo universale consapevole della sua origine divina, messo alla prova da Mefistotele (Lucifero), sul quale alla fine trionferà. Nella realtà Faust frequentò gli ambienti ermetici italiani del Rinascimento i quali svolsero un ruolo fondamentale nella fondazione della Rosa-Croce, eredi come erano nella tradizione pitagorica della Magna Grecia. 3Goethe dipinse anche un allucinante acquerello raffigurante in primo piano un enorme cancro e sullo sfondo il Vesuvio in eruzione: Sul cancro o scorpione come simbolo del Nettuno infero (Tifone-Lucifero) suscitatore di terremoti della Sinagoga e dei soldati bruzi crocefissori di Gesù, v. il citato nostro studio <<Erano bruzi di Reggio i soldati romani che crocifissero Gesù?>>. 4Anche la Fata Morgana (Venere-Persefone, sposa di Morgante o Morgete figlio di Italo), come Colapesce, vivrebbe negli abissi dello Stretto di Messina. E giacchè fu dall'ambiente culturale della Calabria bizantina e normanna che l'Occidente apprese - o riapprese - tante leggende e miti rimandanti anche alle origini italiche, abbiamo fondati motivi per ritenere che pure la leggenda de Graal, della Fata Morgana, di Parsifal e del primordiale Re Artù, sia stata rielaborata in Calabria, da diversi autori greci e latini chiamata Britannia, da Bretto (ovvero da Italo junior) figlio di Ercole capostipite dei popoli. Il che confermerebbe la nostra tesi secondo la quale la Britannia primordiale era la Calabria o Brettia, essendo fra l'altro lo stesso Bretto - da cui discenderà il Re Artù storico - il capostipite anche dei Britanni della Gran Bretagna, ed essendo stato assimilato Lug, l'Ercole o Noè celtico, al primordiale Re del Mondo, custode del Graal nell'<<avventura>> irlandese <<L'estasi profetica del cavaliere fantasma>>. Pertanto, quando nella leggenda è detto che Giuseppe d'Arimatea portò il Graal in Bretagna, per <<Bretagna>> si dovrebbe intendere principalmente la Calabria, ove si consideri pure che l'Ordine dei Templari, come altrove abbiamo documentato, si originò in Calabria. Colapesce (cfr. con il mito celtico della Fata Melusina, equivalente alla Fata Morgana, e con quello di Scilla e Glauco, il figlio poi risorto di Minosse, il Legislatore primordiale equivalente a Zaleuco-Italo, la cui figlia Italia era sposa di Dioniso) rimanda a Noè (Nicola, <<il Vittorioso>> sulle forze del Male, era un nome bizantino per Noè, a Babbo Natale (il San Nicola o Santa Klaus dei popoli nordici; San Nicola è non a caso, il santo più venerato in Calabria dove, come ha evidenziato il Cavalcanti, fu assimilato a Pan-Dioniso), e al Noè assiro-babilonese Oànnes (cfr. con Giano-Italo o <<Prete Gianni>>, il Re del Mondo), <<sorgente del mare Eritreo>> per portare agli uomini le lettere, le arti e la civiltà, raffigurato con due code di pesce, esattamente come Colapesce e Scilla (si consideri che Eritrea fu chiamata l'antichissima Italia; Erytra è il nome che Giocasto figlio di Eolo-Italo diede a Reggio; Erytra era la paradisiaca isola atlantica dalla quale Ercole portò il Vitello che diede il nome all'Italia; Eritrea si chiamava la Sibilla che rimise a Tarquinio il Superbo i <<Libri sibillini>>). Ora non è un caso che i componenti la coppia regale primordiale cinese incarnante l'Età dell'Oro in cui fu fondata la civiltà (cioè il Noè cinese e la sua sposa; in altra occasione abbiamo rilevato che dai Cinesi l'Italia fu chiamata <<Grande Cina>>, dal Gran Cane - Cane in lingua turca è Re - primordiale), Niu-Kowa e Fom-Hi, siano raffigurati per metà come pesci e per metà come esseri semidivini (impressionante è la corrispondenza, anche nel nome, del Sovrano cinese dell'Età dell'Oro con il Nicola Pesce dello Stretto di Messina), con la corona e con in mano i due strumenti dai quali tutto ha inizio, la squadra e il compasso, simboli della Massoneria, che faceva risalire la sua fondazione a Noè o a Giano e poi a Pitagora. Il simbolo del pesce (Pesce - non a caso il pesce fu un simbolo e un nome di Cristo - è un altro nome del Noè indiano Manu, dal quale discende direttamente il Buddha), poi, oltre alla vittoria sulle acque del Diluvio (e quindi sull'impermanenza del mondo condizionato), allude alla remotissima epoca in cui l'uomo apparve per la prima volta sulla Terra assumendo in parte la forma del pesce. 5Secondo la tradizione Tropea fu fondata da Ercole (=Giove Triopas, Zaleuco-Italo-Giove - da cui il primitivo nome dell'Italia, Ovitalia, Terra di Giove o della Luce, come si ricava anche da Zaleuco, Zeus solare -, il quale fu immaginato con un <<terzo Occhio>>, l'Occhio cioè della Conoscenza; un terzo occhio sulla fronte fu dato, come a Giove Triopas e a Zaleuco, anche a Osiride-Horo, a Odino-Thor e all'indiano Siva, Architetti e Legislatori del mondo). Maschere apotropaiche con un terzo occhio sulla fronte - evidentemente di antichissima origine arcaico-italica - sono tuttora prodotte a Badia di Nicotera, presso Tropea, ed è significativa, sulla chiave di volta del Palazzo Mottola-Casaburi di Tropea, la strana maschera (simbolo della cittadina tirrenica) a doppia faccia (Giano) avente un terzo occhio al posto dell'orecchio, un secondo naso e una seconda bocca; notevole è inoltre, sulla fronte della suddetta maschera, una mano (cfr. la relazione esistente fra la mano e Noè-Manu e fra la parola men, uomo - Men, cioè Uomo per eccellenza, fu anche chiamato Noè dai popoli nordici, e Manitù dagli Indiani d'America - e il termine sanscrito manas che vuol dire mente). Quanto alla pianta di Tropea, a forma di cancro, c'è da dire che Tropea, secondo alcuni storici, sarebbe stata rifondata da Pompeo Magno il quale vi portò il trionfo dopo aver sbaragliato l'esercito di Cesare (evidentemente per celebrare il trionfo a Tropea, Pompeo aveva qualche motivo particolare). Ma figlio di Pompeo Magno era Sesto Pompeo, devotissimo al Nettuno infero, sotto il cui comando operò quella <<legio X Fretensis>> che molto verosimilmente in Palestina prese parte alla crocifissione di Gesù (simbolo del Nettuno infero come pure della <<legio X Fretensis>> e della Sinagoga era appunto il cancro o scorpione). Ebbene, Sesto Pompeo, dopo la sconfitta in Sicilia ad opera di Ottaviano, fuggì in Palestina e in Siria, che cercò di sollevare contro Roma, memore certamente dei buoni rapporti avuti da suo padre con gli Ebrei. Pompeo Magno andò infatti in Palestina animato anche dal pungente desiderio di vedere il <<Sancta Sanctorum>> del Tempio di Salomone, e vi fu accolto (e benedetto in nome del Dio ebraico) dai capi religiosi ebrei e dal popolo (ai quali concesse ampie libertà) come un liberatore, come si evince pure dai cosiddetti <<Salmi di Salomone>> (gli Ebrei parteggiarono poi per Pompeo contro Cesare e ne piansero la morte). C'è dunque un occulto collegamento fra i due Pompeo, i crocifissori di Gesù e la Sinagoga? 6In <<La Lira Focense>>, ed. Bastogi, Foggia, 1986, p. 70. 7Come fondatamente tramandarono molti antichi cristiani, il nome Italia è un nome derivato e imposto alla nostra Penisola da Noè, che ci regnò. Non per nulla, come scrive M. Adriani (<<Idea d'Italia>>, in <<Cultura e Scuola>>, Roma, 1967, n. 24), nel corso dei secoli <<all'Italia si fa riferimento come alla terra "primaria" in assoluto, e perciò la leggenda non è tanto quella dell'Italia primitiva, quanto dell'Italia terra delle origini, il cui popolo era detentore di una "sapientia antiquissima">>. Non per nulla il mistico nome <<Italia>> campeggia nel cielo di un dipinto di Cimabue nella chiesa superiore di Assisi. 8Nell'agro reggino furono fra l'altro localizzati in antico il mito di Orione-Osiride (v. anche C. Turano, <<Calabria antica>>, Reggio Calabria, 1977, p. 20), l'<<origine degli Dei>> (evidentemente i primi uomini post-diluviani divinizzati, come sosteneva Evemero di Messina) e l'origine dei popoli europei (da Ascanio o As-chenez - Cane solare - pronipote di Noè, il cui nome, secondo San Girolamo, equivale a quello della regale città di Reggio, capostipite dei popoli germanici anche secondo la tradizione tedesca, per cui i Tedeschi furono chiamati Tuiscones - cfr. con Toscana - e la Scandinavia Scania). Ora, nel XV secolo, il domenicano Nanni da Viterbo raccolse vari frammenti antichi in cui si <<favoleggiava>> (è questo il termine usato dagli scettici storici odierni), di Iside (Demetra, sposa calabra-sicula di Osiride, la cui origine gli Egizi localizzarono in Occidente) dispensatrice di civiltà al mondo intero, e di Osiride sovrano dell'arcaica Italia e civilizzatore della Germania. Dal canto suo, A. Pernety, nel <<Dizionario mito-ermetico>>, alla voce <<gatto>> scriveva: <<Questo animale era un simbolo geroglifico presso gli Egizi che lo adoravano sotto il nome di Eluro. Esso rappresentava la Luna o Mercurio filosofico perchè il gatto sembra risentire degli effetti delle influenze lunari>>; e nelle <<Favole egizie e greche svelate e riportate a un unico fondamento>> spiegava: <<Poichè Iside è il simbolo della Luna, per rapportarsi a questo astro non si poteva scegliere che un animale la cui pupilla, come è volgarmente noto, segue le differenti fasi della Luna tanto crescente che calante. Gli occhi di questo animale brillano al buio come nella notte brillano le stelle del firmamento. Questi tratti di rassomiglianza diedero l'occasione di credere che la Luna o Diana (la sede per eccellenza di Diana o Jana, sposa o sorella di Apollo-Osiride ovvero di Italo-Giano, era Reggio; N.d.A.) aveva assunto le sembianze di una gatta quando riparò in Egitto assieme agli Dei per sfuggire alle persecuzioni di Tifone. "Fele soror Phoebi", come dice Ovidio nelle "Metamorfosi">> (si ricordi che Reggio, dove erano i <<buoi>> sacri ad Apollo-Febo, fu chiamata pure Febea; quanto al siculo Tifone-Cocalo-Set, più volte abbiamo evidenziato che la tradizione egizia e classica localizzò la guerra fra Dei e Titani e l'uccisione di Osiride ad opera di Tifone nell'Italia Meridionale; non per nulla su una moneta magnogreca di Taranto è raffigurato un Re sul trono che gioca con una gatta, ed è significativo che per la fondazione della città di Alessandria d'Egitto sia stato chiamato l'architetto reggino Diocle). 9Oltre alla crocifissione di Osiride-Dioniso e alla sua resurrezione, ricordiamo la crocifissione (ad opera del <<Vampiro>> o <<Drago delle Tenebre e dell'Inferno>>) e la resurrezione di Hunach-Pu (cfr. con Enotrio e con Henoch-Noè), l'uomo-dio o Noè centroamericano di cui ci parla lungamente, con brani e disegni rivelatori, il <<Popol Vuh>>, la famosa <<Bibbia>> dei Maya (secondo gli studiosi il <<Popol Vuh>> fu scritto verso il 3000 a. C., ma l'originale, redatto in caratteri geroglifici su pietra, potrebbe risalire addirittura all'8000 a. C.: v. M. Homet, <<Chan-Chan la misteriosa>>, ed. Sugar, Milano, 1974). Sia nel testo che nei disegni il <<Popol Vuh>> mostra Hunach-Pu che va alla morte, portando sulla spalla la <<croce verde della resurrezione>> (Hunach-Pu è l'equivalente del biondo e barbuto Wotan-Odon guatemalteco, a sua volta equivalente al nordico Wotan-Odino, anch'egli portatore della <<croce verde>> sacra e sacrificatosi sull'<<asse del Mondo>>, come si apprende pure dalla svedese <<Saga di Sigur>>). Tre giorni dopo la morte, la sorella gemella e sposa di Humach-Pu chiede al Dio creatore di farlo risuscitare (così come aveva fatto Iside per Osiride!). Si legge ancora nel <<Popol Vuh>> (trad. di Raphael Girard): <<Il nuovo dio-vivente, figlio del dio solare di cui possiede la stessa essenza, dona se stesso come alimento ai suoi adoratori>>. Hunach-Pu, promulgatore di comandamenti divini, base della nuova religione imperniata sull'amore, viene inoltre chiamato <<redentore>>, <<sole invitto>> e <<nuovo sole>>. Non per nulla il Cristo dai suoi primi seguaci fu assimilato ad Apollo, a Dioniso, ad Attis. Non solo. Nel <<Libro di Henoch>> si parla del viaggio compiuto da Henoch nel mondo dei Morti (nella Sceol, il sotterraneo della Terra o Leviathan, dalla Bibbia posto al centro del mediterraneo: cfr. con Scilla, ingresso al mondo dei Morti sia per i popoli mediterranei che per i popoli nordici), sito <<nell'estremo Ovest>>, ai <<limiti della Terra>> (così era anche chiamata l'Italia dai Palestinesi, come si evince pure dai <<Salmi di Salomone>>, dove a proposito di Pompeo Magno si dice che era giunto <<dai limiti della Terra>>), dove nei sotterranei di una <<torre di granito>> (Aspromonte?) sono accolte tutte le anime dei figli dell'uomo, fino al giorno del Giudizio, nonchè della nascita straordinaria di Noè, l'Eletto, il Giusto, il Bambino Santo, il Figlio dell'Uomo (in M. Pincherle, <<Ararat chiama>>, ed. Filelfo, Ancona, 1978, pp. 67-76): <<Appena nato il suo corpo era bianco come la neve e rosso come un bocciolo di rosa. I suoi capelli e i grandi riccioli erano bianchi come la lana, e i suoi occhi erano stupendi. Quando li aprì raggiava tanta luce che la casa fu inondata di sole. Dalle braccia della levatrice, alzando le manine, aprì la bocca e si mise a conversare col Dio invisibile. Lamech ne fu atterrito e fuggì. Si recò subito da suo padre Matusalemme e disse: ""Che terribile figlio ho messo al mondo! Luminoso come il sole, glorioso come Dio. Non sembra scaturito da me, ma dall'alto dei Cieli. Sono terrorizzato dal miracolo. Padre mio, ti imploro: va da mio nonno Henoch per sapere da lui la verità: è un angelo o un bimbo vero?". Quando Matusalemme udì le parole del figlio, fece un viaggio fino all'estremo Occidente per parlare con me (Henoch), perchè sapeva che io ero là. Appena giunto sul posto si mise a gridare a voce altissima. Io lo udii e uscii fuori. "Eccomi, figlio mio, sono qui, sono proprio io. Perchè sei venuto a cercarmi?". "Ascoltami, padre mio: mio figlio Lamech, tuo nipote, ha messo al mondo un bambino incredibilmente diverso da tutti. I suoi capelli sono bianchi come la neve e i suoi occhi sono raggi di sole: Inondano tutta la casa. Tra le mani della levatrice, ha aperto bocca per benedire il Dio dei Cieli. Lamech si è spaventato a tal punto che mi ha spinto a venir da te per sapere la verità". "Ed io, Henoch, così gli risposi: il Signore sta preparando qualcosa di nuovissimo per il mondo, un terribile diluvio, e tutto questo io già lo sapevo">>. E ancora (è sempre Henoch che parla): <<Vedo l'Antico dei Giorni. I suoi capelli sono bianchi come la lana. Accanto a lui vi è un'altra persona, dall'umana apparenza, dal viso pieno di grazia e angelico. Chiedo subito chi è questo Figlio d'uomo e di dove viene. Perchè sta accanto dei Giorni, al Dio Creatore? Mi si risponde: "Questo è il Figlio dell'Uomo, il Giusto, Colui che rivela tutti i tesori nascosti della Saggezza. Lo Spirito Santo lo ha scelto. Sorgerà, giudicherà e verrà sulla Terra. Vi avrà dimora! Il Figlio dell'Uomo: così è chiamato e sta accanto allo Spirito Santo e all'Antico dei Giorni">>. Non vi è dubbio, ci sembra, che la straordinaria nascita di Noè rimandi alla straordinaria nascita dell'ausone Eole, Re di Reggio e dei <<venti>> (il vento allude allo Spirito, al soffio vitale; presso tutti i popoli il vento fu appunto considerato apportatore di vita), secondo alcuni autori classici e specialmente secondo Strabone, che porta a testimonianza la tradizione antica,in realtà nato - citiamo testualmente - <<presso la casa di Dio>> (una tradizione voleva Eolo figlio di Atlante ed è significativo che Italo, con il quale Eolo si identifica, fu chiamato anche Saturno-Atlante; si tratta dunque di Saturno-Crono, il primo Re d'Italia che restaurò nell'agro reggino l'Età dell'Oro; dall'agro reggino e da Eolo, infatti - come si evince anche dal significato della <<fontana di Eolo>> nel parco della Reggia di Caserta, concepita nell'ambiente massonico del Principe Raimondo di Sangro -, derivò la Regalità iniziativa, ed è significativo che ciò viene riconosciuto pure da Omero, nell'Iliade: <<Chè un bene non è, no, quando molti comandano: uno solo il signore, uno il re sia, quei ch'ebbe dal figlio di Saturno lo scettro>>). Ma Noè si identifica pure con Melchisedec (in ebraico, Re Giove o Re Vero; Sedec in Medio Oriente fu un altro nome di Noè), il Re-Sacerdote primordiale il cui sacrificio prefigura quello del Cristo, da San Paolo definito <<senza padre, senza madre, senza antenati, e di lui si ignorano il principio e la fine>> (per l'identificazione di Melchisedec con Giove-Italo - da cui Ovitalia - e con il Re del Mondo o Prete Gianni o Gran Cane vivente al centro della Terra, v. i nostri saggi citati <<Carneade: chi era costui?>> e <<Leone il Grammatico, diffusore in Occidente della vita di Buddha>>). Un secolo fa il Prof. Socholov scoprì un manoscritto mutilo e in molti punti corrotto (IV sec. a.C.). Lo stile era henochiano, tanto che il Sokolov lo incluse nei libri di Henoch, intitolandolo <<Apocalisse di Noè e nascita di Melchisedec>>. Ebbene, da questo testo Melchisedec, pur non venendo identificato direttamente con Noè (sebbene presenti le stesse eccezionali caratteristiche - anche fisiche - del Noè bambino dai capelli bianchi), viene chiamato <<Verbo incarnato>>, <<Figlio di dio>>, e viene fatto nascere da una vergine, nella famiglia di Henoch-Noè, in coincidenza con il Diluvio (<<all'epoca del Diluvio la Sovranità Celeste scese sulla Terra>>, si legge in antiche iscrizioni accadiche e sumere, mentre è noto che nella tradizione dei primi padri della Chiesa Melchisedec fu identificato come l'apparizione in forma umana dello Spirito Santo; ed è illuminante, a questo proposito, la profezia dell'iniziato Virgilio circa il ritorno di Borea o <<Vento del Nord>>-Eolo, non a caso tenuto in sommo conto dai Pitagorici -, del Fanciullo divino - anch'egli con i capelli bianchi -, ai tempi di Augusto, profezia giustamente interpretata dai Cristiani come un'allusione alla venuta di Cristo). Si legge fra l'altro nel manoscritto della divina nascita di Melchisedec (in <<Ararat chiama>>, op. cit., pp. 256-257): <<Egli, Melchisedec, sarà sacerdote e regnerà sul luogo chiamato Akuzan, al centro della Terra, dove Adamo è stato creato: qui alla fine sarà posta la sua tomba>>; <<Anche quel gran sacerdote, sta scritto, verrà sepolto qui, dove è posto il centro della Terra, dove Adamo seppellì suo figlio Abele, ucciso da Caino>> (non a caso, nell'iconografia cristiana, Gesù appare crocifisso sul teschio di Abramo o sull'Albero della Vita alla base del quale il Prete Gianni, vivente al Centro della Terra, da dove alla fine dei tempi, secondo la tradizione estremo-orientale, verrà il Signore Universale a giudicare gli uomini; la credenza di un'origine sotterranea, nel paradisiaco Centro della Terra, e poi polare o in particolari località dette <<ombelico del Mondo>>, dell'uomo, fu vivissima presso quasi tutti i popoli antichi, compresi i popoli dell'America precolombiana; non per nulla la donna partorisce l'uomo dal suo grembo, così come aveva fatto la Terra Madre; N.d.A.); <<Questo bambino non morirà insieme a quelli di questa generazione che saranno distrutti nel modo che ti ho fatto sapere, ma diverrà il Grande Sacerdote Santo. Farò di lui, Melchisedec, il "Re Giusto", il più grande di tutti>>; <<Il Bambino ha compiuto quaranta giorni nella casa di Nir, fratello di Noè. Il Signore dice a Michele: "Scendi sulla Terra, va da Nir, il sacerdote e prendi mio figlio Melchisedec e portalo nel Paradiso dell'Eden per preservarlo, poichè il tempo si avvicina in cui scaricherò tutta l'acqua sulla Terra e tutto ciò che vive sulla Terra perirà>>; <<Quando giungerà la dodicesima generazione, e saranno trascorsi 1700 anni dal Diluvio, in quella generazione nascerà un uomo giusto e il Signore gli dirà di andare su quella montagna dove si fermerà l'arca di tuo fratello Noè. Egli vi troverà allora un altro Melchisedec che vi era vissuto per sette anni, nascondendosi dal popolo che adorava gli idoli perchè essi non lo uccidessero. Lo prenderà con sè ed egli diventerà sacerdote e il primo re della città di Salem (Gerusalemme), secondo il costume di questo Melchisedec, il primo grande sacerdote>>. Melchisede, si è visto, significa Re (Melch) Vero (Sedec). Questo nome, in antica lingua accadica, è scritto Sarru-Kin e significa pure Re Vero. Il che conferma non solo la tradizione antica che voleva il primo Re coronato al mondo a Reggio, ma anche l'equivalenza, come ha tramandato San Gerolamo, di <<As-chenez>> (As-canio, cane solare, cioè Re divino, Khan o Cane in lingua turca significando Re; anche per gli Egizi Osiride-Orione era il Gran Cane per eccellenza) con <<Reggio>>, e dunque la derivazione dell'altro Melchisedec divenuto poi anche Re di Gerusalemme (David) dal reggino pronipote di Noè (dalla <<Geografia Orientale>> di Temistocle si evince infatti che il dio Marte trovò già a Reggio Antistene, il primo Re che legittimò la Regalità in Egitto e sulla Terra). Ma Aschenez (da cui derivò il primo Impero del Mondo) e Sarron, il capostipite, come vuole il ciclo di Map, pure dei Saraceni, nella città del quale (Reggio-Sarraz) è custodito il Graal, mentre l'equivalente mesopotanico di Aschenez (e dell'indiano Raghu, pronipote di Manu) è Sargon il Grande, da cui anche derivò <<il primo Impero del Mondo>> e la cui storia ha una straordinaria analogia con quella di Romolo e Remo (v. <<L'incantato Castello sconosciuto>>) e con quella di Melchisedec, anch'egli trovato <<sulla riva del grande fiume sacro>>, dentro a una mangiatoia di pietra rosa. Ora Sargon, in lingua sumera, era chiamato Sarru-Kenu che significa Re solare, Re per volontà divina: non a caso successore di Sargon in Mesopotamia - detta la <<Fertile Mezzaluna>> - fu il figlio Rimus, e non a caso nel cosiddetto <<dittico di Rambona>> ai Musei Vativani, il Crocefisso è sostenuto dalla Lupa che allatta Romolo e Remo (si ricordi che l'Urbe fu fondata da Roma figlia di Italo, cioè dalla dea Vitalia la cui sede, dai Sumeri, era posta in Occidente). Ancora una conferma che la Regalità di origine divina si originò a Reggio. Secondo il saggio fenicio Sanchuniathon (riassunto da Filone), durante il regno di Saturno scoppiò un grande flagello: il Diluvio, la <<Peste>> (empietà dei Titani) invase il mondo causando la morte di moltissimi uomini; allora Saturno, regnando in quel paese <<che più tardi dopo la sua sparizione fu consacrato all'astro che porta il suo nome>> (è chiaro che Sanchuniathon allude all'Italia, chiamata Saturnia), permise il sacrificio, per la salvezza degli uomini, del suo figliolo primogenito, Plutone (è il Plutone solare, Mithra figlio di Saturno e quindi Italo junior), dopo averlo ornato degli attributi della Regalità (cfr. con il sacrificio di Hunach-Py, permesso da suo padre, il Dio creatore); quando la <<Pestilenza>> cessò, si provvide alla divinazione degli esseri che salvaroro il mondo del disastro e si attribuì a Saturno l'emblema della Regalità: quattro occhi di cui due si chiudono mollemente e quattro ali di cui due spiegate e due ripiegate, per cui Saturno <<vede dormendo e dorme da sveglio>> e <<vola riposando e si riposa volando>>. 10Cfr. D. ROTUNDO, <<Templari, Misteri e Cattedrali>>, ed. Templari, Roma, 1983. 11Probabilmente anche il primo viaggio che fece Goering a Reggio aveva uno scopo esoterico. Il potente uomo di Hitler sbarcò a Reggio prima dello scoppio della guerra. Era arrivato, ha scritto Franco Cipriani, <<come turista, ma nessuno aveva voluto crederci; visitò la Stazione sperimentale delle essenze; si trattò di un avvenimento alquanto misterioso>>. A questo proposito, considerato anche l'interesse di certa classe dirigente nazionalsocialista per il Graal e per il <<Re del Mondo>>, segnaliamo l'incredibile vicenda dell'Ufficiale delle SS Otto Rahn (stranamente, ebreo quasi al cento per cento), uomo di notevole valore culturale e spirituale, scomparso misteriosamente poco prima dello scoppio della guerra. Otto Rahn, infatti, fu incaricato da Himmler in persona di effettuare serie ricerche sul Graal e a questo scopo egli si recò per prima cosa in provenza, scrivendo poi le celebri opere <<Crociata contro il Graal>> e <<La Corte di Lucifero>>. E' lecito domandarsi: a quali conclusioni era pervenuto Rahn? 12Nella nostra ricerca sui crocefissori bruzi di Gesù abbiamo rilevato che a Reggio, il <<luogo dei luoghi>> sia del Bene che del Male fin dall'epoca postdiluviana, non è casuale l'identificazione postdiluviana postuma (e inconsapevole a livello popolare) di Osiride-Apollo (e di Pitagora) con il Cristo, nonchè la <<confusione>> fra fatti e personaggi evangelici e fatti e personaggi rimandanti alle origini italiche. E poichè il mito del Graal allude alla restaurazione in Italia dell'Età dell'Oro e alla sua fine, ed essendoci un unico filo conduttore che lega Osiride-Apollo al Cristo e Tifone-Lucifero alla crocefissione sia di Osiride-Apollo che del Cristo, non c'è da stupirsi se nel mito precristiano del Graal e nella leggenda non arbitrariamente cristianizzata del Graal la Calabria occupi un posto di primo piano. Non per nulla la leggenda cistercense del Graal, come è stato autorevolmente rilevato, è ispirata al pensiero di Gioacchino da Fiore (peraltro, alla base della letteratura cortese e cavalleresca europea c'è la cultura bizantina e normanna dell'Italia Meridionale), e non per nulla il primo romanzo del Graal apparve nel 1180 - vivente ancora l'Abate Gioacchino -, alla corte di Filippo di Alsazia, conte di Fiandra e cavaliere crociato di vantata origine graalica. Infatti, il filotemplare Gioachino da Fiore, come abbiamo potuto appurare, apparteneva all'Ordine di Sion, cioè a quell'Ordine costituito a Orval, nelle Fiandre, da un gruppo di eremiti calabresi di Val di Crati, dal quale a Gerusalemme si originò l'Ordine dei Templari, <<custodi del Graal>> (la nostra isolata tesi sull'origine calabro-normanna dei Cavalieri Templari, poi approfondita in uno studio inedito, ha trovato conferma nelle ricerche di M. Baigent, R. Leigh e H. Lincoln, <<Il Santo Graal>>, ed. Mondadori, 1989, pp.109-116). Si consideri, inotre, che la <<lancia>> sanguinante è strettamente associata al Graal e può essere sia la causa della ferita del Re del Graal (e di Cristo) sia lo strumento della sua guarigione (v. pure A. Solimena, <<Il Graal>>, in <<Abstacta>>, maggio 1990): non a caso, ci sembra, il legionario romano che trafisse con la lancia il costato di Gesù, San Longino, era di origine bruzia. Vi sono poi fondati motivi per ritenere che Giuseppe d'Arimatea avesse occultato il Graal cristico non in Gran Bretagna ma nella Britannia (o Gallia) primordiale, cioè in Calabria (non senza ragione Gothe riteneva che l'Italia <<è la chiave di tutto>>). Sempre a proposito dello studio sui bruzi reggini crocefissori di Gesù, riteniamo opportuno aggiungere quanto segue: 1) Recenti studi hanno evidenziato che il nome di Marco - Malco direbbero le popolazioni di origine bruzia della pre-Sila catanzarse -, in epoca bizantina, era a Reggio il più diffuso nome italico-latino. 2) Una moneta bruzia di Cosenza del Museo di Catanzaro reca l'ideogramma del <<pilum>> (la freccia, da cui l'osco <<Pilato>>). 3) Nel santuario romanico di San Romedio in Val di Non (Trentino) esiste una singolare Via Crucis in cui Gesù viene crocifisso da soldati romani scuri e baffuti come nordafricani. 4) Sempre nel Trentino, nel vicino Cadore e nel Trevigiano, vi sono ben 12 chiese (v. ad esempio la chiesa di San Bartolomeo a Villapiana presso Belluno) in cui esistono antichi affreschi dell'<<Ultima Cena>> dove compaiono dei granchi o scorpioni (simbolo delle forze infere, della Sinagoga e dei soldati romani crocefissori di Gesù) che si lanciano all'assalto del cibo che si trova sulla tavola (il simbolo del cancro e dello scorpione, associati ai soldati romani crocefissori di Gesù, compare peraltro in numerose opere dell'arte cristiana). 5) Per quanto riguarda i rapporti, in epoca classica, della <<Mafia>> calabra (da cui provenivano, verosimilmente, i crocefissori di Gesù) con forze o entità infere (baccanali dei pastori bruzi, legami con la Sibilla infera, come si evince anche dalle leggende umbre e marchigiane riguardanti Pilato e la Sibilla infera), significative, a conferma pure di un'effettiva continuità storica, ci sembrano la cosiddetta <<farchinoria>> (baccanali) dei pastori calabresi osservata dal De Giacomo (di nascosto) alcuni decenni fa (è tuttora praticata?), e le recenti inaudite intimidazioni mafiose nei confronti della Chiesa. Alla luce di tuutto ciò si spiegano gli stretti legami fra Mafia (detta anche Mammasantissima), Sibilla infera e Massoneria degenerata. Tali legami verosimilmente si rafforzarono alla fine del XIII secolo, allorchè templari degeneri presero ad adorare la dea Maufe <<Iblis, figlia o sposa di Lucifero, la Magna Mater infera). Significative, a questo proposito, sono le caratteristiche indubbiamente massoniche e maleficamente universali dell'<<Onorata Società>>, simboleggiata pure dall'<<Albero della Scienza>> (le cui radici evidentemente affondano in un occulto mondo sotterraneo) e da <<una palla che gira per tutto il mondo e per ogni ventiquattr'ore compie il suo giro>>. Non per nulla l'aspromontana Pietra Cappa o Pietra Cava o Pietra Core (allusione sia al Graal che a Kore-Persefone), conformata a testa di Sfinge egizia e ritenuta sede della Sibilla, del Prete Gianni e di Pitagora, si ramificherebbe <<all'interno e per tutta la Terra>>, ed è significativo il fatto che solo i capi-mafia conoscerebbero tutte le misteriose comunicazioni sotterranee dell'Aspromonte. A Pietra Cappa si trovano i resti del bizantino-normanno monastero di San Giorgio (santo protettore dei Templari e della Cavalleria) che nel XIII secolo risulta dipendente dall'abazia cistercense di Serra San Bruno (sono noti gli stretti legami fra Templari e Cistercensi). Ora, dopo la soppressione dell'Ordine dei Templari, sia Samo di Calabria che Pietra Cappa passarono alle dirette dipendenze dei Cavalieri di Malta. E' pertanto molto probabile che i Templari si fossero stabiliti a Pietra Cappa, anche perchè i beni templari passarono in gran parte ai Cavalieri di Malta e anche perchè i Templari erano presenti nelle vicine Gerace e Monasterace (da quest'ultima località furono cacciati perchè ritenuti eretici o idolatri). 6) Circa gli intensi rapporti fra Ebrei e Italici del Bruzio e fra Esseni o Asseni (affini agli Ausoni e professanti la stessa dottrina, anticipatrice del Cristianesimo, dell'ausone Pitagora) e Pitagorici, ci sarebbe molto da dire. Ci limitiamo a segnalare soltanto che nella Bibbia si parla di Kittim (Itali) di Palestina, che gli Esseni erano anche detti Terapeuti Pitagorici, che l'iniziato neopitagorico Enea Lanari, nella sua opera <<Gli insegnamenti pitagorici>> (Tip. Bella Stampa, Roma, s.d.), chiama inesplicabilmente Giuseppe d'Arimatea <<Giuseppe d'Amantea>> (Giuseppe, custode del Graal e già membro del Sindrio, donò la Sindone, cosparsa di unguenti medicamentosi; unguenti portati anche dalla Maddalena e da Santa Salome, protettrice di Veroli, dove morì), e che probabilmente di antichissima origine italica erano i Galilei (anche la Calabria fu chiamata Gallia e <<gallese>> era Parsifal). Ora (e ciò si inquadra nelle <<leggende>> che vogliono il Cristo in Calabria) era tradizione di Guardia Piemontese, presso Amantea, che con le acque termali di Guardia (che San Francesco di Paola proclamò <<sacre>> e nelle quali si vuole si sia bagnato anche Enea) Gesù Risorto avesse mendicato le piaghe del Calvario, per cui il popolo vi si immergeva nel giorno dell'Ascensione. Non a caso, ci sembra, i Valdesi (che insieme ai Catari di Provenza e ai Templari erano ritenuti custodi del Santo Graal, secondo la tradizione portato in <<Britannia>> da Giuseppe d'Arimatea e in Provenza dalla Maddalena, da Santa Salome a da San Dionigi l'Aeropagita, primo vescovo di Crotone) nel Medioevo si stabilirono proprio a Guardia. Secondo il romanzo del ciclo graalico <<Perselvaus>> (scritto da un templare), inoltre, Giuseppe d'Arimatea, che era dello stesso lignaggio graalico del Cristo e di Parsifal, era stato per sette anni soldato di Pilato, al quale poi chiese il corpo di Gesù. Dunque, era forse un italico e quasi certamente esseno, come Gesù; dunque, per <<Galilea dei Gentili>> gli Ebrei intendevano verosimilmente la Calabria, il cui primo Re, Italo, regnò anche sui Galli: infatti, è sicuramente Morgante o Italo junior (Parsifal) quel Gallo (non si dimentichi cheil gallo fu il simbolo di Cristo) che libererà dal Dragone infero Persefone (Morgana), cui alludeva, secondo quanto tramanda Proclo, la scritta <<Gallus veniet quidem>> sulla porta che immetteva nel recesso più segreto del tempio di Persefone a Locri, e la tradizione persiana di Parsifal figlio di Noè, liberatore dalle fauci del Drago della principessa Peri Mergiana. Ed è significativa la tradizione antica secondo la quale Pitagora, incarnazione come Cristo dell'Apollo Iperboreo, <<era somigliante in ogni sua parte al Cristo medesimo>> (cfr. N. Leoni, <<Della Magna Grecia e delle tre Calabrie, ed. Forni, Bologna, 1976, vol. I, p. 118). Non per nulla gli Ausoni primordiali erano monoteisti (adoravano solo il Giove celeste, equivalente al Geova ebraico), come Pitagora e gli iniziali di Israele, e conoscevano al pari di Pitagora e dei cabbalisti ebrei, le quattro lettere di Dio o Tetragrammaton, JEVE (per questo Pitagora era ritenuto di origine ebraica da Sant'Ambrogio). 7) Circa la tradizione dei popoli antichi secondo i quali gli Ebrei (è verosimilmente i Punici e i Bruzi) avrebbero avuto il siculo Tifone-Set per padre, c'è da dire che secondo la dottrina talmudica Noè (dal quale discenderebbe direttamente Gesù anche secondo la tradizione islamica) fu legislatore e profeta solo dei Gentili. Gli Ebrei hanno infatti cura di distinguere i figli di Noè, o <<ben Noah>>, cioè il resto dell'umanità esistente, dai <<ben Israele>>, sebbene, una parte di essi discenda da Abramo (e da Japhet). Il che è confermato dallo stesso Cristo, che li chiamò <<razza di vipere>>, ripetendo, agli ebrei che volevano ucciderlo e che si vantavano di essere <<figli di Abramo>>: <<Voi avete Lucifero per padre..>> (Giovanni,8,44). Inoltre, sempre secondo la tradizione dei popoli antichi, Tifone-Set non fu ucciso, ma solo reso inoffensivo per un certo tempo, sopravvivendo al diluvio (v. ad esempio la tradizione classica che voleva relegati sotto le viscere di Campania, Calabria e Sicilia i Titani ribelli alla volontà divina). Anche per la tradizione ebraica la discendenza di Caino (diversa da quella di Noè), destinata ad essere raminga e fuggiasca per il mondo, sopravvisse al Diluvio (cfr. A. Mordini, <<Il mistero dello yeti>>, ed. Il Falco, Milano, 1977). La stessa credenza popolare calabrese voleva che Noè avesse negato alla coppia di Calabresi - poi comunque sopravvissuti - che lo chiedeva il rifugio nell'Arca, ed era pure convincimento popolare - non <<leggenda>> -, tramandato da generazione in generazione dai <<cafoni>> calabresi, quello secondo il quale furono calabresi i fustigatori e i crocefissori di nostro Signore (v. S. Di Bella, <<Il Calabrese>>, in <<Gazzetta del Sud>>, 17-5-1990). Altrettanto significativo è il fatto che in passato i <<cafoni>> calabresi dalle altre categorie sociali erano chiamati <<caini>>, cioè discendenti di Caino. Queste non sono nostre invenzioni. Con ciò, naturalmente, non intendiamo generalizzare nè discriminare alcuno, anzi dobbiamo sempre ricordare le parole che il Signore rivolse a Caino, disperato per l'uccisione del fratello: <<Chiunque ucciderà Caino sarà punito sette volte di più>>, ed operare instancabilmente per l'elevazione spirituale dei nostri fratelli, in tutto il mondo. In epoca classica alcuni autori facevano terminare la via Popolia <<ad Fretum, ad Statuam>>. Il che significa che Catona si chiamava pure <<Fretum>> (Frattura, Stretto). Non per nulla, secondo recenti studi, proprio a Catona (dove recentemente si è verificato un misterioso sprofondamento del lido) doveva avere inizio l'istmo che congiungeva la Calabria alla Sicilia, e non per nulla gli Antichi eressero una statua a Nettuno, creatore dello stretto, proprio in quel punto, fra l'altro testimone del miracoloso attraversamento del canale ad opera di San Francesco di Paola e di frà Gesualdo Melacrino. Dunque, la <<legio X Fretensis>>, responsabile della crocefissione di Gesù, doveva avere la sua base principale nel porto di Catona (al largo del quale si verificò la battaglia navale fra Salvidieno Rufo e Sesto Pompeo), anche a cagione delle più celeri comunicazioni con la Sicilia. Non a caso il sommo Bruegel il Vecchio (che era effettivamente un iniziato) ambientò il suo <<Trionfo della Morte>> nel porto di Catona (non abbiamo avuto occasione di verificare, ma ci sembra che sulla nera bandiera tenuta da alcuni scheletri alla sommità della <<Columella Rhegina>> risalti il simbolo dello scorpione) Per quanto, infine, l'identificazione di Reggio (B-rection, Rection) con la tirennica Brection o Bretia (fondata da Bretto figlio di Ercole, equivalente all'eroe eponimo Reggio e dunque a Italo junior), e le affinità etniche e culturali degli Osci-Bruzi (che tentarono di nobilitarsi appropiandosi dei miti e delle tradizioni dei primordiali Breti o Reti o Itali-Ausoni) con i Sanniti plebei (e con i Punici plebei), è significativo che i Sanniti (v. Strabone) ritenevano che reggio fosse stata abitata dai loro antenati col nome di Regia. Non per nulla Stefano di Bisanzio considerava il Sannio <<regione della Brezia>>, della quale sarebbero stati originari quasi tutti i popoli italici: Umbri, Campani, Irpini, Piceni, Sabini, Equi, Ernici, Lucani, ecc. (essendo i Bruzi la componente ignobile dei Lucani, derivati dai primordiali Bretti, è evidente che poche affinità dovevano avere i Bruzi con i solari Lucani e con i Bretti, cosa che si può constatare anche oggi). Ma i Bretti fiorirono anche altrove, come si evince dallo stesso Stefano, dal fatto che Bretto (o Brento o Baleto ovvero il Baal solare, Apollo-Italo) fu il capostipite pure dei Britanni-Bretoni (Britannia - e dunque la primordiale Britannia di Persifal e di Klingsor - fu anche chiamata, si è detto, la Calabria da diversi autori greci e latini), e da molte tredizioni, toponimi e nomi d'Italia e d'Europa e non solo d'Europa (Brindisi, Brennero,Brenta,Brentano, Balaton, ecc..). E poichè molte monete bruzie esemplate su quelle reggine recano la scritta <<Bretion>> e <<Bretia>>, ci sembra indubbio che la <<nuova città>> di nome Bretia di cui parla Pompeo Trogo (compendiato da Giustino), rifondata da bruzi e da mercenari punici al soldo di Dionisio di Siracusa, fosse Reggio (distrutta Da Dionisio senior), anche perchè, a parte le iscrizioni bruzie delle mura reggine ricostruite da Dionisio e altre testimonianze storiche, a Reggio (chiamata <<Poseidonia Bretia>>; Erodoto insegna che è punica l'origine del nome Poseidon) furono rinvenuti vari reperti archeologici della civiltà osco-bruzia contemporanei alla sua rifondazione, ad opera di Dionisio il Giovane, col nome di Febea, da Febo-Apollo o Italo junior e dunque da Bretto, il Nettuno equivalente a Japhet figlio di Noè, diverso dal Persitan punico. E non vi è dubbio che il Nettuno infero, adorato dai popoli pelasgici degeneri, si identifica con Tifone-Set (il Pitone vinto da Apollo), padre della Sfinge infera, ove si consideri ad esempio che gli Egizi identificavano il Mare, principio di corruzione, con lo stesso Tifone, tanto è vero che lo chiamavano <<saliva di Tifone>> (anche per Pitagora il Mare era <<una lagrima di Saturno) ovvero del Saturno infero, dagli Egizi chiamato Set).