di Francesco Mazzitelli (Insegnante Elementare Superiore)
Quest'Abbate che aveva dentro di sè qualcosa dell'ingegno e dell'animo di Pietro Metastasio, ebbe i natali in Parghelia, paesello presso Tropea, il dì 1° settembre dell'anno 1738, da Andrea Ierocades e da Antonia Pietropaolo. Fanciullo fu studiosissimo ed ebbe a maestro Francesco Ungaro, col quale fece non pochi progressi nei primi passi del sapere. Appena varcati i tre lustri, fu destinato al sacerdozio ed entrò nel Seminario di Tropea, ove occupò posti distinti, segnalandosi negli studi di eloquenza e filosofia e scrivendo vari componimenti in verso italiano e latino. Il suo ingegno era tanto originale da improvvisare spesso degli acrostici. A 21 anno (1759), per condiscendere alle brame di molti amici, aprì scuola nel proprio luogo, insegnando italiano, latino, greco, francese, matematica e filosofia. Fu in quel tempo che dettò ai suoi numerosi discepoli il Saggio Dell'Umano Sapere, nel quale con spirito ed entusiasmo flagellò l'ignoranza, la superstizione e l'abbrutimento dei suoi concittadini. Questo primo lavoro diè poi in luce in Napoli nel 1765, quando aveva già pubblicato in Messina un componimento drammatico, intitolato: La partenza delle Muse. Sacro al sacerdozio primo suo pensiero fu quello di abbandonare la patria e recarsi in Napoli per viemaggiormente perfezionarsi nelle lettere. Quivi per parecchi anni studiò indefessamente l'ebraico, l'archeologia, l'economia, il commercio e ne divenne valente maestro. Eran questi davvero i tempi, nei quali si studiava sul serio. L'empirismo e la furia d'imbottir le teste non avevano ancora reso gli studi vuoti e superficiali con le famose preparazioni a macchina. Mentre nelle scuole si formavano la mente, il sentimento e il gusto, si educavano altresì le anime e si riscaldavano le aspirazioni della patria una e libera. Allora si voleva che i pensieri ed i sentimenti de' classici diventassero pensieri e sentimenti dello studioso; non affastellamento di regole come oggi si fa in gran parte nelle nostre scuole! L'ambiente in cui visse il Ierocades, la natura del suo carattere, atto al lavoro paziente di ricerca erudita, la bellezza e spesso l'estemporaneità dei suoi versi, furono tali da farlo convenientemente apprezzare e ammirare da tutti gli illustri letterati di quei tempi ed amato qual fratello da Longano, Cavallaro, Malarbi, Pagano, Conforti, Cirillo e Genovesi. Quest'ultimo, che più intimamente lo conosceva, lo propose, per le sue svariatissime erudizioni, a dettare lezioni d'ideologia nel Collegio Tuziano di Sora, dove, nell'occasione del Carnevale, scrisse il dramma Sofronio ed Olindo, e, poco dopo, il Pulcinella fatto Principe, lavoro quest'ultimo allusivo al borbonico tiranno e pel quale, perseguitato, dovette fuggire ritornando a Napoli, donde recossi immantinente a Marsiglia. Colà menò vita commossa ed agitata, e si rese popolare, perchè ricco d'intelligenza e fremente d'italianità. Un giorno ch'egli con veste dimessa, entrava in una pubblica scuola, mentre quel precettore spiegava il Tasso, veniva scherzosamante salutato così:
Canto l'armi pietose, ed il Capitano Mira quel prete con la canna in mano
(rivolgendosi quel Precettore ad un discepolo che gli stava vicino). E il Ierocades con sorriso di scherno e in risposta, rivolgendosi al Precettore:
Bestia come te mai non ho visto, Che il Gran Sepolcro libero di Cristo
Fautore, il Ierocades, delle idee nuove, scrisse e pubblicò il Quakero rapito, lavoro davvero stupendo, specialmente per naturalezza e facilità di stile ed in cui punse chi, per amor di bottega, cerca di conservare in fiore i pregiudizi. Ma il sentimento patrio tutto lo vince, si annoia di tutto e distolto dall'andare in Roma, per le vive preghiere degli amici, ritorna in Sora. Qui incominciano le sue sofferenze maggiori, chè appena giuntovi Mons. Giuseppe Sisto y Britto lo ritenne presso di sè in correzione, quasi in carcere, per ben due anni, costringendolo a scrivere lavori sacri e il poemetto col titolo: Tempio delle Virtù. Abbattuto da la sorveglianza, ottenne, dopo tante preghiere, di ritornare in patria nel 1775, epoca in cui scrisse il Quaresimale poetico, Le Dieci Giornate, molte canzoni e poesie di sensi massonici, le quali intitolò: La Lira Focense e Gli Amori di Fileno e Nice, raccolta di canzonette varie. In questi lavori la lingua non è sempre pura, nè la forma corretta. Travolto dalla politica ed aungustiato dalle sue non floride finanze, ritorna in Napoli, s'intende sempre sorvegliato, e colà dopo un anno d'improbo lavoro pubblica molte traduzioni su Fedro, Orfeo nel 1785, le Odi d'Orazio nel 1787 e quelle di Pindaro nel 1790; quasi contemporaneamente agli Inni della Chiesa. Nel 1782 scrisse le Parabole del Vangelo ed il Paolo, il suo prediletto poema, edito nel 1783 la prima volta, e dopo ripetutamente ristampato. In questo lavoro egli raffigura la Umanità liberata, non il Paolo l'apostolo convertito di Damasco: è il poeta stesso, foriero della luce massonica, che sola per lui può liberare l'umanità asservita al dispotismo. In quest'anno medesimo scrive la Gigantomachia, che poi pubblica in Napoli nel 1791 e che dedica al Mattei. In questa bizzarra creazione, ci rappresenta Giove, che stermina i giganti Spadea e compagni, che vogliono novellamente accatastar le montagne di calunniose bestemmie, cacciando dal mondo il gran Giove, in cui son simbolizzati la ragione e la fede. Scrisse pure varie cantate, orazioni funebri, epigrafi, un discorso sulla Scienza Nuova del Vico e molti drammi, fra i quali la Gelosia Vendicata, La Semiramide, Il Figliuol Prodigo, Saffo ed Alceo, Il Caino e L'Abele. Nel 1783 pubblicò in Marsiglia il Codice delle Leggi Focensi e dopo pochi mesi a Napoli L'età dell'oro e il poemetto bernesco col titolo: Il Terremoto del Capo. Questo fecondo ingegno ritornò dalla Francia (esilio volontario!) non solo con la fama di profugo, che soffrì per la sua terra, ma con la gloria di scrittore e poeta insigne. Il famoso Esopo alla Moda, il poema Guai d'Orfeo e la tragedia Aristoclea son quasi gli ultimi suoi lavori. Nell'Aristoclea si rinvengono stile robusto, belle immagini, unità singolare (pregio questo che manca negli altri suoi drammi) e immenso movimento. Nel 1791, dopo tanti ostacoli frapposti da maligni nemici e invidiosi del verace e merito di lui, occupò la cattedra di filosofia nell'Università di Napoli e due anni dopo, nel 1793, si sostituì nella cattedra di economia e commercio il Troiani Odazi. Fu nell'istess'anno che per l'arrivo della flotta francese scrisse alcuni versi, pieni e tinti di amor patrio e di libertà, i quali gli fruttarono d'essere mandato in correzione nella Casa dei PP, di San Pietro a Cesano. In quel ritiro, a conforto delle ore solitarie, scrisse varie opere ascetiche (perchè altro non poteva scrivere!?); tradusse i Cantici della Chiesa e i Salmi di Davide in versi liberi. Ritornato a Napoli nel 1795, per ragioni politiche, cioè per un sonetto improvvisato a Corte e qui riportato, fu rinchiuso nel Castel dell'Uovo, e nel 1799, epoca tanto memoranda, dovette rifuggiarsi novellamente in Marsiglia per non ricadere fra gli artigli del tiranno Borbone, che avea paura de' suoi lampi di ribellione e della luce che emanava dalle sue idee di invincibile fede politica! Lasciata quella città nel 1801, e passando per Roma e Napoli, fè ritorno in patria, aspettato ansiosamente dai suoi che temevano sempre di perderlo a cagione dell'ira politica che lo perseguitava ovunque. La sua dimora fra i parenti fu breve, molto breve! Alcuni pensieri politici e di giustizia sociale pronunziati nell'elogio funebre alla memoria del fratel suo Vincenzo1, ufficiale di marina, gli procurarono l'ultima correzione nella Casa dei Padri Liguorini di Tropea, ove mancò di vita il 18 novembre del 1805, compianto da tanti dotti scrittori. Tutta la sua vita si può riassumere in poche parole: amore per le lettere, per la patria e per l'indipendenza; odio anzi disprezzo per le dominazioni straniere e pel dispotismo; orrore per la tirannide Borbonica. Il suo cadavere per cura della famiglia fu trasportato in patria e seppellito nella Chiesa di S. Andrea, nella tomba de' sacerdoti. A dì 4 agosto 1881 il Municipio innalzava nella casa, dova nacque il Ierocades la seguente lapide commemorativa:
AD ANTONIO IEROCADES SACERDOTE INGEGNO FERVIDO ANIMA ELETTA CHE SULLO SCORCIO DEL SECOLO XVIII DI LINGUE LETTERE E SCIENZE INSIGNE MAESTRO DA MOLTEPLICI OPERE DI VERSO E DI PROSA IN ITALIA E IN FRANCIA DETTATE EBBE MERITATA FAMA CHE AMICO AI PIù ILLUSTRI DAL PATIBOLO NEL NEFASTO 1799 ALLA PATRIA TOLTI PER AMORE DI LIBERTA' RIPETUTAMENTE CARCERE ED ESILIO CON FORTISSIMO ANIMO SOSTENNE IL PATRIO MUNICIPIO PERPETUO RICORDO A' DI' 18 APRILE DELL'ANNO 1881 QUESTO MARMO DELIBERAVA
NOTE 1 Domenico, altro suo fratello, morì in America, ove esercitava la mercatura.