Tropea - Lungomare Antonio Sorrentino
Ricordo dell'Avv.
ANTONIO SORRENTINO
di Gabriele Pescatore
(Estratto da Rivista Amministrativa della Repubblica Italiana, 1984 e
inserito in In ricordo di Antonio Sorrentino nel centenario della nascita, 2008, a cura dei figli Franca, Federico e Roberto)
Il ricordo di Antonio Sorrentino, che oggi ci riunisce nell’aula dell’Adunanza generale, accentua un moto nello spirito comune a noi tutti, magistrati e avvocati amministrativisti, che ci fa sentire l’amico e il collega ancora costantemente vicino, al di là di qualunque celebrazione ufficiale.
Eppure ci ha spinto il bisogno, spontaneo e unanime anch’esso, di conversare, per dirci non soltanto della irreparabile perdita ma, soprattutto, di quello che resta, e perché resta, di lui.
Era un elemento essenziale della sua dimensione spirituale la memoria della terra natìa, della sua Tropea (dove nacque il 12 giugno 1908), della quale vibrerà costante l’impronta, con la nostalgia di un mondo che giorno dopo giorno veniva rotto dal corso non domabile del progresso.
Lo Studio universitario romano lo vide nella pattuglia degli eletti, che avrebbe illustrato magistratura, foro e università, e lo ovviò verso i memorabili ingressi nell’Avvocatura (agosto 1930: aggiunto di procura; ottobre 1934: sostituto avvocato dello Stato) e nel Consiglio di Stato (luglio 1936: referendario; settembre 1940 consigliere), dove apportò, con l’impeto della matura giovinezza, il gusto della dialettica e del rinnovamento.
Su tale attività istituzionale si inserì la designazione ad alti incarichi amministrativi (capo dell’ufficio legislativo del Ministero per gli scambi e le valute, vice presidente e poi presidente della commissione consultiva per le infrazioni valutarie; capo di gabinetto del ministro delle corporazioni Piccardi dal luglio al settembre 1943, e, dopo una dura pausa, rappresentante del Governo italiano nella Commissione di conciliazione prevista dall’art. 83 del Trattato di pace; capo di gabinetto del presidente del Consiglio dei ministri Bonomi; subito dopo la liberazione di Roma dal novembre 1944 al luglio 1948 capo dell’ufficio studi e legislazione della Presidenza del Consiglio) in un variare e in un sovrapporsi di compiti affrontati con la sicurezza che gli derivava dall’ingegno, dalla cultura e dalla sua innata capacità semplificatrice.
Nell’ultimo dei ricordati incarichi fu protagonista della legislazione affidata al Consiglio dei ministri e al Capo provvisorio dello Stato, che segnò ampiamente l’apertura alla legislazione democratica.
Contribuì poi a realizzare, con la esperta presenza tecnica, il raccordo tra le spinte contradditorie dei diversi sistemi convigenti sul territorio italiano: la rinata e fragile democrazia, compressa all’inizio dalle forze di occupazione, ma con vigorosa tendenza espansiva al di là della sua sfera di effettività; la instaurazione di fatto della Repubblica sociale fascista che, oltre ai tentativi di legittimazione del suo ordinamento, incideva anche con atti normativi su istituti fondamentali, pubblici e privati.
La presenza di Sorrentino come capo dell’ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio costituì uno dei punti fermi della reductio ad unitatem del sistema e sorresse lo sforzo ricostruttivo nella concorde attività politica di rifondazione dello Stato e del suo ordinamento.
Congiuntamente in questa attività (che sarebbe interessante ricostruire, anche per documentare uno dei momenti più vivi di una vicenda che ormai si allontana), Sorrentino partecipò con fervido impegno ai diversi organi di studio e di elaborazione che precedettero e accompagnarono la Costituente, quando tutti, sorretti da appassionate speranze (mentre Massimo Giannini era l’instancabile centro propulsore come capo di gabinetto al Ministero per la Costituente), cercammo di dare il nostro contributo per ripensare lo Stato in una nuova società.
Nel luglio del 1948 avvenne il distacco di Sorrentino dal Consiglio di Stato: distacco, carico più di quanto si immagini di sofferenza, che lo proiettò verso la professione forense, altra sponda dell’attività giurisdizionale. Distacco, dicevo, sofferto anche dall’Istituto, come si rileva dalla lettera del 25 giugno 1948 del presidente del Consiglio di Stato Ferdinando Rocco al presidente del Consiglio dei ministri De Gasperi.
Scriveva Rocco: «Non occorre davvero che io dimostri a lei, Signor Presidente, che così largamente ha potuto apprezzare le eccezionali virtù di ingegno, di dottrina, di laboriosità, di carattere del giovane magistrato, quale grave perdita per l’Istituto rappresenti l’inopinato di lui allontanamento dal servizio. Se un mio parere contrario avesse l’effetto di evitare così seria iattura per il Consiglio di stato non esiterei ad esprimerlo. Me ne astengo perché, purtroppo, mi risulta che il Governo, certo a malincuore, ha già acconsentito ad accogliere il desiderio del Consigliere Sorrentino e che nulla potrebbe servire ormai a contrastarlo».
L’unità della formazione culturale e morale di Antonio Sorrentino ebbe modo di manifestarsi strenuo sostenitore di tesi chiare, illuminanti, tante volte felicemente innovate. L’autorità del respondente e del patrocinante non fu mai disgiunta dalla comprensione e dal rispetto per l’avversario, in una dialettica culturale, soffusa sempre di alta umanità.
Egli fu con Dedin e con Piccardi – altri indimenticabili colleghi e amici – un esponente del nuovo stile forense, nel quale si fusero tradizione e rinnovamento; «stil novo» che fu espresso dall’alta «fioritura» di avvocati - «professori» e avvocati - «semplici pratici» - come si autodefinirà Sorrentino – tanti dei quali vedo oggi qui presenti.
Rimase intatta in Lui, dopo il passaggio all’attività forense, la solidarietà verso il Consiglio di Stato e i suoi componenti, che si manifestò con spontaneità e con riserbo tutte le volte che si fece ricorso al suo consiglio.
Alieno dalla ricerca di riconoscimenti formali (che pur ebbe alti e spontanei), non esitò a dare il suo contributo ad iniziative connesse a momenti fondamentali delle istituzioni, pubbliche e private: il suo apporto alla costituzione della Società italiana degli avvocati amministrativi ne è vivente conferma.
Sintesi e conclusione di questa sua partecipazione considero l’intervento nel convegno di Taormina (novembre 1981) sulla giurisprudenza in Italia nell’ultimo cinquantennio.
Mi piace richiamare qui, da dove partì e si formò la sua esperienza di giudice, l’affermazione (consuntiva della duplice attività di magistrato e di avvocato), con la quale indicava nella collaborazione del giudice con l’avvocato il momento di sintesi e di progresso della giurisprudenza.
«…L’opera dell’avvocato – avvertiva Sorrentino – va vista nel suo complesso: nel difficile compito che egli ha di interpretare la legge prima del giudice, di utilizzare gli strumenti che l’ordinamento gli accorda per il trionfo del diritto, di sottoporre al giudice gli argomenti che egli deve valutare ed apprezzare ai fini della attuazione della legge.
E questo il vero contributo che l’avvocato deve dare e dà all’opera del giudice; il che può fare per la conoscenza più diretta del caso concreto e delle effettive esigenze della parte che rappresenta ed anche per la sua forma mentis che lo differenzia da quella di chi è chiamato a giudicare.
Compito difficile ed impegnativo, al quale danno un particolare contributo non solo gli avvocati docenti di diritto ma anche i semplici pratici, che con dignità intendono l’effettivo contenuto del loro compito».
E proseguiva, tracciando uno scorcio di storia forense amministrativa, «E se dovessi fare dei riferimenti ai valenti avvocati di grandissimo ingegno, esperienza ed impegno che ho conosciuto ed apprezzato nella ormai lunga mia attività, che ho visto nell’esercizio effettivo della loro professione (mi riferisco per ovvie ragioni soltanto a coloro che sono scomparsi), dovrei ricordare assieme a Federico Cammeo, con il suo inesorabile argomentare, a Ugo Forti, forse il più suadente degli avvocati che ho sentito, a Lessona, caratterizzato dall’eleganza del suo dire, a Guicciardini, non secondo a nessuno nello scrupolo della difesa e nella logica argomentativa, tanti e noti avvocati non docenti, ai professori non inferiori per lo scrupolo, l’impegno e l’acutezza; fra i quali nel nostro campo voglio ricordare solo pochissimi: Selvaggi, Piccardi e Dedin».
Più volte mi è occorso di pensare a queste sue riflessioni: non soltanto per l’insegnamento che ne deriva circa la continuità di rapporti e di apporti, che in questa nostra Istituzione unisce magistrati e avvocati, ma anche perché colgo in esse l’avvertimento del passaggio.
Fu a Taormina, cara Signora Bice che foste sfiorati dal dubbio del male inesorabile che vi colpiva. E di lì (ho impresso nel cuore il ricordo del vostro incontro nelle luci del tramonto autunnale) cominciò la strenua, dignitosa lotta che vi unificò tutti, ancora di più se possibile, e vi distinse, in un lungo, spietato martirio, del quale siamo stati tutti ammirati e partecipi. Da esso avremmo alta testimonianza dello spirito indomito, con il quale Antonio affrontò il supremo esperimento. E anche per questo il risentirlo qui tra noi, se è motivo di commozione, non si accompagna dal conforto che deriva dal suo esempio finale.
ANTONIO SORRENTINO | ||||
INDICE:
'Di Antonio Sorrentino legislatore' di Massimo Severo Giannini | | 'Ricordo dell'Avv. Antonio Sorrentino' di Gabriele Pescatore | | 'Ricordo dell'Avv. A. Sorrentino' di Giuseppe Guarino | | 'In ricordo di Antonio Sorrentino ' di Pasquale de Lise | | 'Esperienza professionale diritto pubblico' di Antonio Sorrentino | | Intervento di ringraziamento all'atto del conferimento del Premio Sorrentino 2005 di Ignazio Francesco Caramazza |
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