di Pasquale Toraldo (1936)
Quando Belisario nel 540 venne in Calabria a raffermare il dominio romano d'Oriente, scelse Tropea fra le piazze che teneva a fortificare, non tanto, forse, per la sua civica importanza, quanto per la sua posizione preminentemente sulle coste. Tropea sul finire dell'impero romano d'Occidente era pressocchè civilmente morta, forse per le frequenti incursioni di pirati a cui era soggetta. Dalle poche vestigia superstiti, quasi tutte cristiane del IV secolo, si rileva come essa fosse ridotta a semplice "massa" a cui fu preposta anche una donna, una certa Hirene, come fu altre volte rilevato. Questa primitiva comunità cristiana adibì a sepoltura dei suoi morti le pendici di quell'ammasso, o mammellone roccioso, che sovrastava il territorio di questa punta sul mare. Questo ammasso roccioso, che costituì anche nei tempi più antichi una acropoli, fu dai primitivi cristiani adibito a cemetero fin quando non venne Belisorio che lo prescelse per ergervi un "castrum". Ebbero casuale e fortunato scampo nella manomissione avvenuta e il cubicolo1 che abbiamo testè rinvenuto e la chiesetta di S. Maria del Bosco, che distava dal primo una cinquantina di passi verso levante. Ved. Figura 1.
Figura 1: - Planimetrica - 1 Basilichetta cemeteriale - 2 Rotonda - 3. Pozzo.
Mentre del cubicolo già esaminato se n'era da più tempo persa ogni memoria, di questa basilichetta, invece, che non fu, forse, quasi mai abbandonata, ne troviamo un piccolo accenno nel P. Marafioti nelle sue "Croniche et antiquitate Calabrie", edite nel 1561 a Venezia. Il P. Girolamo Marafioti appartiene a quella nobile schiera di studiosi e cultori delle antichità cristiane che fa capo al Bosio, definito il Colombo della Roma sotterranea. Nella sua opera predetta a pag. 127 dice " Nel castello della città si vede una cappella, la quale per certo numero antico, dimostra d'essere stata fabbricata già mille e ducent'anni; onde bisogna dire che Tropea sia antichissima nella fede di Cristo". Tenendo presente l'epoca in cui scriveva il Marafioti si deduce esser stata questa chiesetta del IV sec. cioè del secolo della pace. Il numero antico da cui deduceva questo il Marafioti dobbiamo pensare che fosse una data consolare graffita o scolpita su una lapide apposta in questa chiesetta. In linea di massima il De Rossi accolse questa notizia, ma non si diffuse ad esaminarla nel dare le notizie sulle epigrafi cristiane rinvenute nel secolo scorso. Sembra, a quanto riferisce il Marafioti, che questa chiesetta fosse salvaguardata e rispettata nella costruzione del castello tropeano, forse perchè più interna al corridoio esterno delle mura. Nella sua vicinanza le dette mura presentavano anzi un angolo sporgente in fuori, forse così fatte in rispetto di questa costruzione sacra. Nelle notizie tramandateci da mio Padre, che la osservò e la rilevò planimetricamente (vedi figura 2)
Fig.2 - Basilichetta cemeteriale (Santa Maria del Bosco). 1 - angolo leggermente divergente; ivi sotto vari strati di lastrico è stata rinvenuta una tomba cristiana vuota. 2 - avanzi di altare volto a oriente tra cui furono trovate piccole ampolline di vetro.
negli ultimi tempi prima delle completa demolizione, la dice edificata a mezza costa dell'ammasso roccioso che formava il cuore del castello, dimodocchè la parete di settentrione era ricavata nella stessa roccia, mentre quella di mezzogiorno era edificata e poggiava ad un angolo su una tomba cristiana, come risultò durante la demolizione. "L'interno di detti avanzi alti circa un metro delimitavano uno spazio di m. 10,85 x 3.70 diviso da sei pilastri quadrati di m. 0,60 di lato......Mura e pilastri erano dipinti a fresco a colori sbiaditi. Vi si accedeva per una larga e mal costruita scalinata la quale aveva origine da oriente....questa chiesetta era costruzione posteriore al cubicolo già descritto, perocchè sotto l'angolo sud-ovest della chiesetta le fondamenta giungevano fino nel fondo di una tomba già vuota. La suddetta scala prima di arrivare al piano della chiesetta si biforcava, e conduceva ad una grotta incavata nel masso, nella quale un grosso pilastro centrale divideva lo spazio in due, e alle pareti vi erano piccole edicole incavate, e bassi sedili giravano all'intorno...". In questa minuziosa descrizione che dà mio Padre degli avanzi da lui osservati, risulta che alla sua epoca l'edifizio era già in parte diroccato, nè era più visibile la data lettavi dal Marafioti, però aggiunge che vi si notavano avanzi di affreschi. Questo prezioso edifizio era perciò stato spogliato di altri ricordi insigni non solo nel periodo delle persecuzioni e invasioni saracene, ma anche dopo che ne fu additata la sua importanza dal Marafioti nel XVI sec.. Peccato ch'egli non si sia diffuso in maggiori particolari su quanto allora ancora sussisteva! Il giudizio del grande De Rossi, la testimonianza del Marafioti, e le osservazioni di mio padre, concludono tutte nel ritenere questa costruzione sacra cemeteriale del periodo della pace. Fu in questo periodo di tranquillità religiosa che sulle tombe di maggior richiamo per i primi fedeli cristiani sorsero queste costruzioni sacre per una più forte venerazione. A simiglianza quindi delle insigni e venerande basiliche cemeteriali romane sorse questa nostra. Sorse quando con l'editto di Valentiniano III tornarono alla Chiesa i territori già confiscategli dall'imperatore Diocleziano. Tra questi territori è appunto menzionata la "massae trapeianae". La nostra edicola sorse, come le romane, in area cemeteriale, ma non sappiamo per il momento in onore di chi. La riterremo perciò "anonima". Abbiamo però altri caratteri che ci permettono ritenerla edificata sopra una tomba di martire come quelle romane. Le basiliche cemeteriali romane furono le prime a sorgere, e fu intorno ad esse che si svolsero principalmente i primi riti e le prime adunanze, oltre di quelle private nelle "domus Dei" di cui parleremo in seguito. Presso le tombe dei fedeli, e dei martiri in specie, furono in uso nei primissimi secoli delle funzioni speciali extraliturgiche, dette refrigeria, che nulla avendo di comune con l'antica usanza dei banchetti funebri, traevano origine puramente dalla agape eucaristica, a cui erano specialmente invitati i poveri. Questi refrigeria si compivano in triclie o "scolae" che sorsero innanzi agli ipogei più importanti. A queste triclie o scolae fa appunto pensare la rotonda (vedi fig.1) presso l'ingresso della nostra basilichetta, e come tale crediamo ritenerla. Sul basso sedile che girava all'intorno era il posto per la comunità partecipante ai "refrigeria" mentre per il capo era forse il posto presso la colonna centrale. Le nicchie che trovansi in giro erano i loculi per le lucernette che dovevano illuminare l'ambiente. Vedi figura 3.
Figura 3: Rotonda sotterranea
Vicino a questa rotonda, che non esitiamo a ritenerla una vera "triclia", era un "puteus" per l'acqua. Il labbro superiore di questo pozzo o cisterna era ancora tutto pieno di graffiti quando l'osservò mio padre, ma nulla di particolare vi notò salvo alcune croci monogrammatiche. Nelle catacombe siracusane, oltre delle rotonde come la nostra, esistono pure simili cisterne che vennero, dopo la pace, trasformate in cubicoli e presentavano uguale decorazione. Questa simiglianza ha poi per noi ancora maggiore valore in quanto la venerazione per la nostra martire S. Domenica, di cui diremo appreso, rappresenta un legame di relazione tra i primitivi cristiani di Tropea e quelli di Siracusa. Quindi anche una stessa maniera di decorare i cubicoli come abbiamo già accennato. La presenza di questa triclia, che era una caratteristica quasi esclusivamente delle vicinanze della tombe dei martiri, ci fa appunto ritenere questa nostra basilichetta sorta sopra una tomba di martire, ch'era forse sotto l'altarino di cui furono osservate le traccie nell'ultimo vano della basilichetta. Presso di queste fu pure rinvenuta più d'una piccola fialetta di vetro, che venivano usate dai fedeli. Tutto ciò sta a dimostrarci come noi possiamo trovarci innanzi ad una tomba di martire, a noi per il momento quasi completamente ignota. La spogliazione dei cemeteri romani ad opera di papa Paolo I nell'VIII sec. che iniziò il trasposrto delle spoglie dei martiri nelle basiliche urbane, per salvaguardarle dalle invasioni barbare che si avanzavano, coincide per Tropea con l'ampliamento del suo castello nell'area stessa del suo cemetero. Fu Belisario ad iniziarlo per fronteggiare le forti scorrerie saracene. S'iniziò così pure la spogliazione e manomissione del nostro sacro cemetero, le cui venerande spoglie vennero sparse o distrutte. Abbiamo ricordo di tal periodo della trasposizione delle ossa di S. Domenica, nostra Vergine locale, martire sotto Diocleziano, ma nulla ci è stato tramandato di sicuro sul primitivo deposito delle sue spoglie. Non abbiamo ricordo di altri martiri tropenai, almeno ritenuti tali dalla Chiesa, quindi non esitiamo a riconoscere in questa nostra basilichetta cemeteriale, il primo tributo di onore eretto sulla sua tomba. Da qui la nostra ragione a chiamarlo "titulus Dominicae" o per lo meno la sua "cella memoriae". A salvaguardare le sorti di questo venerando luogo delle "massae tropaianae", come è svelato dalla nostra lapide della Hirene conductrix, o della "Massa Tropeas", come è ricordato nel Liber Pontificalis nella vita di Papa S. Silvestro, credo debbasi lo intervento di Papa S. Gregorio Magno, quando nel 591 scriveva a Pietro Notaro interessandolo di una "terrula Ecclesiae nostrae", la stessa, senza dubbio, che invadeva Belisario per la costruzione del ricordato castello. E questo intervento di Papa Gregorio fu l'ultimo, forse, che si ricordi nella storia e negli atti ufficiali della Chiesa, che ingagliardendosi poi le invasioni dei barbari nei secoli successivi, specie nel periodo dell'occupazione araba2, un velo di oblio avvolse tutto, anche perchè le maggiori reliquie furono altrove trasportate per salvaguardarle.
NOTE 1 Per l'insieme delle lapidi di presbiteri ivi rinvenute, lo riteniamo come "cubiculum presbiterorum". 2 Tropea divenne allora sede d'uno deo più importanti emirati arabi di Calabria.