Documento del 1770. Particolare

Il cammino del tempo
e delle memorie

di Domenico La Torre


Sulla strada provinciale che da Briatico capoluogo si arrampica verso le borgate di S. Leo, S. Costantino, Potenzoni e Mandaradoni, dopo aver raggiunto S. Leo Vecchio e la pianura omonina, guardando a sinistra appaiono le valli di Briatico Vecchio.
Incassata in quelle valli, tra le contrade <<Piana del Campo>>, <<S. Rocco e Piana di S. Leo>> una collina si eleva fino a circa 180 mt. di altezza e sulla sua sommità, tra le chiome di qualche albero isolato, si scoorgono dei ruderi.
Sovrasta quei ruderi il massiccio piano-terra di un Castello Svevo-Angioino che, dal lato nord della collina si staglia a picco sullo strapiombo con la sua mole oscura e domina la vallata desolata e selvaggia, intonando un inno alle vicende umane tramontate nel silenzio e nell'eternità.
Sulla collina coperta di macerie, facile asilo di corvi e di altri animali selvatici, là dove oggi regna il silenzio, interrotto soltanto dal rumoreggiare delle acque del fiume Murria che a fondo valle scorrono rapide e vanno a fecondare i campi o a disperdersi nelle azzurre acque del Golfo, sorgeva un tempo l'antica Città di Briatico.
La cittadina si adagiava sul culmine della rupe, su una vasta superficie degradante a terrazze da tre lati del Castello sino alle mura di cinta più in basso, dove quattro bastioni incorporati nelle stesse mura completavano la formidabile difesa naturale dell'abitato, costituita dalla sua posizione topografica che l'aveva risparmiato dalle stragi e dai saccheggi dei Saraceni nel 933 e dalle non meno sanguinose scorrerie dei pirati turchi dopo il 1500, durante il predominio Ottomano nel Mediterraneo.
Due porte consentivano l'accesso nell'abitato: una si apriva sulla strada che discendeva alla fontana e risalendo dalla parte opposta della valle, passava daventi alla Chiesetta rupestre di S. Maria del Ginocchio, raggiungeva la Piana del Campo e discendeva all'Abbazia del SS. Salvatore, dove si diramava per la Rocchetta e per Vibona. L'altra, chiamata Porta della Punta si apriva su una mulattiera che collegava Briatico a S. Leo.
L'abitato, arroccato da secoli su quella rupe, aveva subito diversi terremoti, quando nel tardo mattino del 5 Febbraio 1783 fu scosso da uno spaventoso terremoto e quanto i fremiti della natura si esaurirono era scomparso sotto un ammasso di macerie. Il cataclisma lo aveva raso al suolo causando la morte di oltre 50 persone, mentre i sopravvissuti, terrorizzati, fuggivano cercando rifugio al di là delle valli.
Oggi, a distanza di poco più di due secoli da quell'infausta data, chi si avvicina al piede della collina scorge, in alto, qualche rudere e gli sembra impossibile che sul colle possono esistere i resti dell'antica Briatico. Eppure è così! E chi si arrampica e faticosamente raggiunge la sommità della rupe per osservare da vicino l'immane distruzione, ma soprattutto per soddisfare l'intimo desiderio di individuare la dimora dei propri antenati e di compiere un mesto rito di amorevole accostamento spirituale con gli scomparsi, si trova improvvisamente davanti ad un triste spettacolo e a tu per tu con la realtà della vita e della morte!
Non è leggenda nè fiaba; è il primo contatto con un enorme ammasso di macerie, di muri abbattuti e sbriciolati, di mucchi di sassi, di scheletri di povere case, di edifici, di chiese e di conventi ridotti a cumuli informi di pietre che coprono le viuzze e le strade. E dal groviglio di sterpi e di spine emergono i ruderi della Chiesa di S. Lucia, di S. Nicola, dell'Annunziata, di S. Michele, di S. Pietro e Paolo e dei conventi di S. Maria del Carmelo, di S. Domenico e di S. Chiara.
Sono questi gli unici elementi ponderabili del passato, i soli testimoni della catastrofe che indicano a coloro che cercano un contatto spirituale con le loro genti il luogo dove quelle vissero ed agirono. Il primo contatto con la città morta è indimenticabile perchè rivela ai nostri sensi il suggestivo fascino che stimola la nostra mente a ricostruire ciò che l'occhio attento fissò nella memoria.
E nel religioso silenzio che avanza sulle cataste di pietra di muri abbattuti per osservare lo sfascio e per compiere un mesto rito d'amore, sente aleggiare sulle rovine gli spiriti degli scomparsi ed è portato col pensiero a rifare a ritroso il cammino del tempo e delle memorie. Dallo scrigno dei ricordi balzano allora alla nostra mente i racconti dei nostri avi sulla tragedia vissuta dai loro antenati e le belle favole della loro vita. Si stabilisce allora tra colui che erra sul luogo del dramma e le ombre vaganti sui ruderi quel contatto spirituale desiderato che parla al cuore e inonda l'animo di tristezza e di malinconia.
E da quel contatto si trae l'insegnamento che, al di là delle nostre modeste persone esiste la natura, possente e perfetta finchè vincoli a sè le forze smisurate del Cosmo, ma inesorabile ed implacabile quando le scatena con tutta la loro energia per annientare il genere umano e le sue opere.
Il 5 Febbraio 1783 confermò, ancora una volta, la fragilità dell'uomo di fronte alle forze della natura, quando sul quadrante degli esseri viventi è segnata la parola fine!
 
 
 
BRIATICO  VECCHIA
I N D I C E

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'La descrizione di Briatico Vecchio nel 1600' di Francesco Pugliese
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