STORIA FEUDALE DI BRIATICO
di Domenico A. Prostamo
E' ben noto che furono i Normanni, a metà dell'XI secolo, ad introdurre nei territori conquistati del Mezzogiorno, quel complesso fenomeno politico, economico e sociale che va sotto il nome di feudalesimo. Per quanto riguarda più specificamente l'ordinamento politico feudale in Calabria, esso presenta delle caratteristiche peculiari derivanti dalle condizioni in cui avvenne la conquista. Qui, a differenza della Puglia e della Campania, se si eccettuano pochi grandi feudi (Contee di: Bova, Sinopoli, Squillace, Catanzaro, Tarsia e Martirano) la maggior parte del territorio rimase saldamente nelle mani dei fratelli Altavilla Roberto il Guiscardo e Ruggero, artefici della conquista, i quali se ne spartirono equamente il possesso. Fatta questa doverosa premessa, il primo feutario di Briatico in cui ci imbattiamo è il vescovo di Mileto (1086), il quale, oltre al diritto di esigere la decima sui raccolti e sugli animali e quelli di pascolo e di legnatico, vantava pure il diritto di raccogliere il <<butomo>> (dial. Vutumu), di cui il territorio braiaticese abbondava, per farne cordame e reti, e con queste ultime impiantare nel mare prospiciente Briatico e Bivona le tonnare, secondo un'antica consuetudine di cui godevano ai loro tempi i Vescovi di Vibona. Inoltre, nella platea dei villani assegnati al Vescovo del Gran Conte Ruggero, ve ne sono alcuni originari della circoscrizione amministrativa bizantina facente capo a Briatico come il presbitero Pietro di Santo Cono, il presbitero Leone di Pannaconi con i figli e Basilio Cuczocheri di Pancallo. Abbiamo, poi, tra i feudatari ecclesiastici, l'Abate benedettino della SS.ma Trinità di Mileto, cui il Gran Conte assegna nel 1098, la chiesa di San Giorgio di Briatico con le sue terre. Lo stesso, nel 1136, al fine di una migliore gestione dei suoi interessi patrimoniali, scambia con re Ruggero II i diritti sulle terre e su trentanove villani delle chiese di San Cosma di Cefalù e di San Giovanni di Roccella con altrettanti nei territori di Briatico, Mileto e Mesiano. In particolare, in Briatico una cultura presso la fiumara di Trainiti, un canneto e 14 villani (tra questi dei Rodinò, Lombardo, Pachì, Calogero, Pardea, Tomarchi, Longobardi). Segue, inoltre, da lì a poco (1144) l'Archimandrita basiliano del SS.mo Salvatore di Messina che possiede, tra le dipendenze calabresi, il monastero di San Pancrazio di Briatico, i cui confini sono delimitati dalle fiumare Murria e Potame, cui sono assegnati il tempio dedicato alla SS.ma Vergine (Panaghia) e 36 villani tra i quali ci sono dei Conidi, Mabrici, Collia, Muggeri, Longobardi, Argirò. Per quanto riguarda la feudalità laica, tra i baroni normanni dell'entourage di Ruggero I che ebbero diritti signorili nel territorio briaticese vi fu presumibilmente Guglielmo d'Altavilla, personaggio di spicco che presenziò alla stesura di molti importanti atti pubblici del Gran Conte. Questo è quanto ragionevolmente possiamo ipotizzare induttivamente dalla superstite documentazione angioina, dove, in un documento del 1284, si fa menzione delle azioni di disturbo nel pacifico possesso del suo feudo, del modesto valore di sei once d'oro, perpetrate ai danni di Gubitosa, figlia del fu Guidone d'Altavilla, da parte dell'allora feudatario del Castrum di Briatico, il milite Adamo d'Elmis. Dobbiamo, poi, all'anonimo autore della <<Vita di San Luca>>, Vescovo di Isola Capo Rizzuto (XII secolo) la triste memoria del franco Rebet (grec. Pébetos - lat. Revetus), vissuto al tempo di Ruggero II, che per i suoi balzelli e le vessazioni nei confronti dei suoi villani briaticesi è considerato alla stregua di una vera e propria calamità. Anche di questo feudo abbiamo conferma nella documentazione successiva e, più precisamente, al predetto Adamo d'Elmis, barone di Briatico, nel 1278 veniva ingiunto di desistere dalle molestie ai danni dei coniugi Bermundo di Meso e Margherita di Bellovicino, possessori della metà del feudo di Reveto. Allo stato attuale la nostra ricerca registra una lacuna di circa un secolo relativamente al periodo Normanno - Svevo (1150 - 1250). Da questo momento (1250) la documentazione, progressivamente, si fa sempre più ricca ed articolata. Così, nel 1253, Corrado IV, figlio di Federico II, conferma al messinese Astasio, maestro Protontino di Calabria e Sicilia, un suffeudo nel tenimento di Briatico, concessogli dal maresciallo di Sicilia, Pietro II Ruffo di Calabria, Conte di Catanzaro. Si tratta del feudo di Cessaniti o Chissanito, del valore di sei once e un quarto d'oro, come si evince da un documento del 1275, in cui esso risulta ancora in potere del Ruffo. Al tempo di Re Manfredi (1258 - 1266) è Signore di Briatico suo nipote Corrado di Antiochia. La cittadina ritorna al regio demanio nel convulso biennio 1267 - 1268, tanto che la sua gabella della bagliva, a fine 1268 viene fittata per 17 once d'oro a Giovanni di Chelandara e Roberto Arcumano. Ma, già l'11 maggio del 1269, per ricompensarlo del sostegno prestatogli nella conquista del Regno, Carlo I d'Angiò nomina il palermitano Nicola de Trayna, barone della Terra di Briatico, vita natural durante, cui concede, altresì, i feudi minori di terra Guasta e Rebeto. Tuttavia, gli viene intimato, insieme agli altri feudatari calabresi aventi feudi che danno sul mare, di non svolgere attività portuale, con la proibizione di tenere navi proprie, e il divieto di consentire che altre, sul proprio lido, vengano caricate o scaricate di vettovaglie. Ciò al fine di controllare il contrabbando che arrecava sensibili danni alle casse dell'erario. Il feudo di Briatico è valutato 60 once d'oro ed il feudatario è tenuto al servizio di tre militi. Il feudo di terra Guasta vale appena 2 once, mentre quello di Rebeto ne vale 20 con l'obbligo di un milite. Durante la Signoria di Nicola de Trayna, nel 1271, il feudo di terra Guasta, è concesso a Bartolomeo di Sorrento, quello di Rebeto a Tancredi di Scarlino. Nel 1275, il feudo di Rebeto è nelle mani di Goffredo di Pititto che lo terrà sino agli inizi del 1278. Circa quegli anni (1276 - 1277) Giordano III Ruffo, fratello del Conte di Catanzaro, Pietro II, possiede in territorio briaticese un feudo, di cui non conosciamo il nome, del valore annuo di cinque once. Alla morte di Nicola de Trayna, avvenuta nel 1278, Briatico viene assegnata ad Adamo d'Elmis col consueto obbligo di fornire tre militi. I feudi di Terra Guasta e di Rebeto vengono devoluti alla Curia. Da questo momento non si sentirà più parlare del feudo di Terra Guasta. Viceversa, il feudo di Rebeto, restituito dal Pititto in cambio di beni burgensatici in Reggio, passa in potere del milite Pietro di Bellovicino, Castellano di Monteleone, che ne assegnò la metà alla figlia Margherita, maritatasi con Bermundo de Meso. Abbiamo già accennato, precedentemente, dei tentativi non riusciti, di Adamo d'Elmis, di forzare la mano ai possessori dei feudi minori ricadenti nel territorio di sua giurisdizione. Qui, per completezza, dobbiamo aggiungere le lamentele del milite Giovanni de Rocca, Signore del casale di Paradisoni, molestato nel 1279 (1280) e di Andrea di Anastasio di Monteleone, al quale, il d'Elmis aveva usurpato alcuni beni (1284). Nel 1284, la Corona, rientrata nel possesso della cittadina, la dona al milite Rodolfo di Alneto, la cui signoria dovette presumibilmente durare sino al 1291. Infatti, nel 1292, Carlo II d'Angiò, per compensare i danni subiti e remunerare i servizi prestati a suo padre ed a lui medesimo dal milite Riccardo di Nicotera, gli attribuisce i due terzi del feudo del Castrum di Briatico (= quaranta once) con l'obbligo di prestare il servizio di due militi. L'altro terzo, è da ritenere che sia rimasto in mano al demanio regio. Comunque sia, nel 1301, la signoria di Briatico passa al catalano Gilberto de Santiliis (Centelles), in acconto delle 200 once d'oro assegnategli in perpetuo. Conseguentemente a Riccardo di Nicotera vengono restituiti i beni feudali scambiati nel 1292 con la Regia Corte. Il Centelles risulta signore di Briatico fino al 1315. Nel 1305, il Vescovo di Mileto, Andrea, adiva la giustizia regia nei confronti suoi e degli altri feudatari della diocesi per ottenere il pagamento coattivo delle decime. Nel 1310/1311 è ricordato quale Signore di Briatico e di Borsello in un pronunciamento giudiziale in cui si ribadisce il diritto del Vescovo di Mileto, dei Canonici e dei chierici di poter portare al pascolo i loro animali e di far legna tagliando gli alberi infruttiferi nei feudi della diocesi. Nel 1315 il De Santiliis è anche possessore del feudo d'Altavilla in tenimento di Briatico. Da questa data le vicende feudali si fanno più intricate e frammentarie. Nel 1317 la Curia ordina la destituzione di Margherita vedova di Bertrando Dalmai, e di suo figlio Guglielmo di Rocca Niceforo, del feudo di Reveto, per non aver pagato l'adoha. Certo è che vi avranno provveduto da lì a poco, dato che esso, nel 1326, risultava in suffeudo di Marchisio Lorenzo di Monteleone, che ne ottenne l'immissione in possesso contro Leone di Reggio, Gran Siniscalco del Regno, il quale, avendo comprato dalla Curia la Terra di Briatico, ne rivendicava la titolarità. Prima di proseguire, è qui opportuno chiarire alcuni aspetti del fenomeno studiato. Un dato che emerge a prima vista dalla narrazione dei fatti è che in uno stesso ambito territoriale possono coesistere più feudi e diritti feudali di vario genere e rango. Così, nel nostro caso, oltre al feudo del Castrum o Terra di Briatico, del valore di 60 once d'oro, abbiamo il feudo di Rebeto, che ne vale 20, quello di Terra Guasta di appena 2 once, il feudo di Chissanito (6 once e un quarto), quello di Altavilla (6 once) e, infine, un altro di cui ignoriamo il nome, che fu di Giovanni Ruffo, del valore di 5 once. Come si può notare, la somma dei suddetti feudi implica la disponibilità da parte della corona, di beni aventi una rendita complessiva di circa 100 once. Detti beni, però, pur rappresentando la parte qualitativamente più ragguardevole del territorio briaticese (le terre migliori) corrispondono a poco più di un terzo dello stesso. La rimanente parte appartiene agli enti ecclesiastici ed a privati cittadini, più o meno benestanti. Altra considerazione è che i feudi possono essere concessi ad una stessa persona o a persone distinte, aventi o meno rapporti di parentela tra di loro. Così, ad esempio, nel 1269, Nicola de Trayna, oltre ad essere investito del feudo del Castrum di Briatico, possiede i feudi di Terra Guasta e di Rebeto. I restanti feudi appartengono rispettivamente, a Guidone d'Altavilla ed a Pietro e Giordano Ruffo. Risalta, poi, il carattere vitalizio dei feudi, almeno nei primi tempi della dominazione angioina, e con riferimento alla feudalità minore (milites). La trasmissione ereditaria è prerogativa riservata alla feudalità maggiore (banones). Così, alla morte di Nicola de Trayna, nel 1278, il feudo del Castrum di Briatico, ritornato nella disponibilità della Corona, viene concesso ad Adamo d'Elmis. Inoltre, una cittadina puà essere oggetto di investitura feudale parziale, come nel caso di Riccardo di Nicotera che è signore solo dei due terzi del Castrum di Briatico. Ancora, che la prestazione personale del servizio militare, obbligatoria sino alla fine del XIII secolo, e, nel nostro caso specifico, riguardante la persona del miles investito del feudo, più quella di altri due militi (3 militi), agli inizi del XIV secolo, viene ad essere sostituito dalla prestazione reale dell'adoha, che ne è la sua monetizzazione. Attraverso la riscossione dell'adoha, il sovrano assolda le milizie, aventi compiti di mantenimento dell'ordine interno e di difesa esterna, con l'obiettivo di affrancarsi dalla volubile fedeltà della riottosa classe feudale, che dà al sovrano molti grattacapi. Emblematico, l'imbarazzante comportamento arrogante di Adamo d'Elmis che, non riconoscendo i diritti altrui su parti del territorio datogli in feudo, tende ad atteggiarsi quale signore assoluto, provocando continue proteste dei suoi sottoposti alla giustizia regia, che deve intervenire per evitare tumulti. Ha inizio, altresì, durante il XIV secolo, la prassi della vendita in feudo di comunità demaniali per far fronte ad impegni bellici interni ed internazionali. Spesso la vendita è con patto di riscatto ed accade, in tal caso, che al variare delle situazioni contingenti, una comunità perda lo status della demanialità e dopo pochi anni lo riacquisti o per iniziativa del sovrano o tramite il pagamento da parte dell'universitas del prezzo del riscatto. Riprendiamo adesso il nostro discorso principale. Avevamo analizzato gli eventi sino al 1326, anno in cui Briatico risulta in potere di Leone da Reggio che l'aveva acquistata dalla Curia. Da questo momento sino al 1417 le notizie sono scarse e contrastanti. Secondo alcuni genealogisti, la baronia di Briatico, nel 1331, sarebbe passata a titolo di dote ai Ruffo, Conti di Catanzaro, per via del matrimonio tra Sibilia, figlia di Leone da Reggio, e Pietro II Ruffo, figlio di Giovanni. A costoro sarebbe successo, intorno al 1340, Antonello Ruffo, loro figlio ed erede. Ma non sono mai stati addotti in proposito adeguati riscontri documentali a comprova. Al contrario, dalla nostra meticolosa disamina dei regesti angioini, è emerso che nel 1336/1337 la cittadina era demaniale e che aveva formulato al sovrano (Roberto d'Angiò) una capitolazione separata rispetto ai suoi casali. Segue un vuoto di cinquant'anni di cui nulla sappiamo. Quindi, da un documento del 1390 sembrerebbe che la cittadina appartenga ancora al demanio. Re Ladislao, in quell'occasione, assegnava a Lorenzo de Alajno di Firenze, un annuo reddito di 10 once di carlini d'argento a valere sui diritti della Terra di Briatico. Non siamo in grado di affermare con certezza se tra i feudatari di Briatico sia da annoverare Rinaldo d'Aquino, che finanziò le imprese militari di Re Ladislao, e l'avrebbe comprata nel 1410 per 1800 ducati, anche se propendiamo per la negativa, ritenendo che si tratti, qui, di Umbriatico, l'omonima cittadina della provincia di Crotone. Nel 1417, e la notizia è certa, la cittadina fa parte del vasto complesso feudale dei Ruffo di Montalto, su di essa Polissena Ruffo, Contessa di Montalto e Signora di Briatico, vi esercitava l'ufficio di capitano. Di poi, l'anno successivo, convolando in seconde nozze con Francesco Sforza, futuro Duca di Milano, gliela portava in dote insieme a Mesiano ed altre venti Terre, oltre a 20.000 once d'oro in contanti. Con i soldi della dote lo Sforza riscattò Mesiano e Briatico da Riccardo Morisco, creditore ipotecario dei Ruffo, sborsando 25.000 ducati. Morta Polissena e la figlioletta infante avuta dallo Sforza, nel 1420, il patrimonio feudale di Polissena passò ereditariamente alla sorella Covella Ruffo, che si unì in matrimonio con Giovanni Antonio Marzano, Duca di Sessa. Tra i diritti giurisdizionali concessi a Covella Ruffo con i privilegi del 1425 e 1440 si ricordano il mero mixtoque imperio e la gladij potestate con le giurisdizioni ad essi spettanti e pertinenti. Il figlio di Covella, Marino Marzano, Duca di Sessa e Principe di Rossano, sposata la figlia di Re Alfonso I, Eleonora d'Aragona, fu confermato nel 1445 nella signoria di tutte le Terre ereditate dalla madre, tra le quali è compresa Briatico. In seguito, nel 1452, scambiò con la Regia Corte, Briatico, Mesiano, Motta Filocastro, Calimera e Ioppolo, distanti dagli altri possedimenti, con Paola e Fuscaldo. La conseguenza fu che Briatico e le altre comunità menzionate godettero nuovamente del privilegio della demanialità. A conferma di ciò il giuramento che i Sindaci di Briatico e Mesiano e quello di Motta Filocastro, Calimera e Ioppolo, all'indomani della sedata Congiura dei Baroni, prestarono il 15.7.1464 a Re Ferdinando I d'Aragona, ottenendo in cambio, il giorno seguente, il placito sovrano sui capitoli presentati. Ma nuove nuvole si addensarono sulla monarchia arogonese e, nel 1480, dopo la presa d'Otranto da parte dei Turchi, molte cittadine demaniali furono vendute per far fronte alle ingenti spese belliche a difesa del Regno, avendo ormai raggiunto la pressione fiscale generale livelli tali da non essere più sostenibile dalle popolazioni. Il 15 ottobre 1480, Ferdinando I vendette a Leonardo di Tocco, Despota d'Arta, scacciato dai Turchi, il quale aveva sposato in seconde nozze la nipote Francesca d'Aragona di Marzano (figlia di Marino), per 20.000 ducati la Contea di Sinopoli con l'Aspromonte e la Baronia di Briatico (Briatico, Mesiano, Motta Filocastro, Ioppolo, Coccorino, San Calogero e Calimera) con tutti i diritti che vi tenevano un tempo il Principe di Rossano e il Conte di Sinopoli. A questo proposito è da notare che i diritti giurisdizionali del feudatario vennero notevolmente ampliati, con la cognizione delle cause in primo grado ed in appello, sia civili che criminali o miste, e le quattro lettere arbitrarie che consentivano di trasformare le pene da pecuniarie in corporali e viceversa, e di comporre i delitti (patteggiamento). Leonardo di Tocco aumentò considerevolmente il canone d'affitto (censo) dei beni fondiari feudali e disconobbe molti diritti consuetudinari dei briaticesi. La sua tirannide fu tale che i suoi suffeudatari preferivano pagare la loro rata di adoha direttamente nelle mani del Tesoriere di Calabria, per evitare future contestazioni. Finalmente, agli inizi del 1494, essendo sindaco di Briatico Francesco Satriano, Re Alfonso II d'Aragona ridette la demanialità alle cittadine del complesso feudale del di Tocco, sottoscrivendo il 2 febbraio i capitoli e le grazie sottoposti alla sua approvazione dalla comunità briaticese. Tra le richieste più signignificative, quella di essere mantenuta per sempre in demanio, con diritto di potersi opporre militarmente ad un eventuale infeudamento (c.d. jus resistentiae). Quella di poter girare armati per il Regno di Napoli a propria difesa, come aveva concesso ai tropeani ed alle altre comunità mercantili marittime. Il privilegio del foro per le cause in primo grado. Il divieto al capitano regio di procedere d'ufficio, con l'espressa previsione della querela di parte per mettere in moto la macchina giudiziaria. La contemplazione di un salario contrattuale per gli organi giudiziari di nomina regia, fissato in 12 once per il capitano e 4 per l'assessore, suo coadiutore, con beneficio del di più a favore della comunità. Infatti, il capitano non può chiedere alloggio, legna e coperte per scaldarsi, nè prestazioni personali o reali ai cittadini, ma vi deve provvedere con il suo emolumento. Inoltre, egli non può farsi sostituire da un residente, per garantire l'imparzialità. La riduzione del canone d'affitto (censo) dei beni fondiari della Corte, ingiustificatamente aumentati da Leonardo di Tocco. L'elezione del cappellano della Chiesa matrice di jus patronato della Corte. Il rispetto delle consuetudini, dei privilegi e delle grazie concesse all'Universitas da Re Ferdinando I, e dai suoi predecessori, comprese quelle espropriate alle comunità dalla tirannide baronale. Per finire, di grande importanza politica, è la richiesta di potersi autogovernare. La cittadinanza briaticese chiese di potersi riunire annualmente nel mese di agosto in parlamento generale per eleggere la classe dirigente e deliberare sulle cose da fare. Garante della legalità il capitano, la comunità sceglierà i sindaci, giudici annuali, dieci eletti (consiglieri), il connestabile (tutore dell'ordine pubblico), i sindicaturi (revisori contabili), gli apprezzaturi (per ripartire equamente il carico fiscale nella formazione dell'apprezzo generale), i sergenti (messi comunali) per la notifica degli atti, i camerlinghi (esattori) dei casali. Le dilibere della giunta comunale (Sindaco + Eletti), prese a maggioranza assoluta e pubblicate dal mastro d'atti dell'universitas, sono vincolanti per tutti i cittadini. L'analisi dei capitoli surriferiti ci fa ben comprendere perchè le comunità ci tenessero tanto al privilegio della demanialità. Dalle libertà civiche discendevano quelle economiche e, franche dal giogo baronale, le intraprendenti borghesie cittadine si arricchivano e, per effetto moltiplicatore indotto, il benessero si diffondeva in tutta la comunità. Ma a causa delle turbolente vicende dell'ultimo scorcio del XV secolo la demanialità fu mantenuta solo per un anno. Infatti, incalzato dall'invasione del Regno da parte di Carlo VIII, Re Ferrantino, in cambio dei suoi servizi donò, ai primi di febbraio del 1495, la Baronia di Briatico, la Contea di Sinopoli, Francica e Rocca Angitola, a Gian Giacomo Trivulzio, milanese, Conte di Belcastro. Quindi, essendosi il Trivulzio, a seguito dell'ingresso di Carlo VIII a Napoli (21.2.1495), schierato dalla parte francese, il Re vendette le Terre di Briatico, San Calogero e Calimera al regio consigliere Troiano de Bottunis di Trani. In questo frangente furono molti i feudatari calabresi che abbracciarono le bandiere francesi. Tra costoro Giacomo Sanseverino, Conte di Mileto, che alla testa di un forte esercito cinse d'assedio le cittadine ligie alla causa aragonese. Eroica e vana fu la resistenza opposta dalla comunità di Mesiano, di fede aragonese, a quest'ultimo. Sia l'abitato che le campagne circostanti furono messi a ferro e fuoco. I briaticesi, risentiti con Ferrantino per la rottura dell'impegno a non infeudare la cittadina e per evitare di condividere la triste sorte toccata a Mesiano, in questo conflitto non proprio, presero le armi sotto il vessillo del Re di Francia, unendosi tiepidamente alle truppe del Conte di Mileto. Tanto che, ritornato il Regno sotto il controllo degli aragonesi (luglio 1495) i cittadini più in vista, patteggiarono pecuniaramente con il sovrano la riammissione nella fidelitas. Quindi, nel 1496, per ricompensare degnamente il sostegno militare e finanziario nei suoi confronti del catalano Francesco di Castellbisbal, già fedele scudiero di suo padre Alfonso II, Re Ferrantino lo investì della signoria di Briatico, San Calogero e Cali-mera. Il dominio feudale dei Castellbisbal durò all'incirca un secolo (1496-1590) ed i rapporti con la comunità briaticese, soprattutto all'inizio, furono all'insegna dello scontro. Ferrante, figlio di Francesco, cercò inutilmente di piegare la fiera comunità briaticese, usurpandole i diritti, come quello sui proventi derivanti dal patteggiamento dei delitti, o quello di poter macinare liberamente il grano nei propri mulini, costringendola a macinare nei mulini feudali; diritti negati ed azionati in Napoli dai Sindaci di Briatico e che videro vittoriosa l'Universitas. Nel 1543, Ferrante de Castellbisbal, per meriti verso la Casa d'Asburgo, ottenne da Carlo V il titolo di Conte di Briatico. Alla sua morte, nel 1545, successe il figlio Francesco (II). Anch'egli riprese le azioni di turbativa verso la comunità briaticese, che giunsero al culmine nel 1549, anno in cui, solo l'intervento pacificatore del Vicerè, Don Pedro de Toledo, scongiurò che il conflitto sfociasse in tumulto. Francesco (II), fine cortigiano, per frequentare gli influenti ambienti vicereali, dissipò l'eredità paterna, ipotecando la Contea e, alla sua morte, avvenuta nel 1561, il figlio ed erede Ferrante (II), messo alle strette dai creditori, dovette vendere San Calogero e Calimera a Giovan Battista Soriano, nobile di Monteleone. Quindi, morto Ferrante II nel 1571 nella battaglia di Lepanto, nella Contea di Briatico gli successe lo zio Gian Alfonso, il quale, riscattato il feudo con l'esborso di 45.505 ducati, mutuati da Giovan Battista Sersale, barone di Sellia, vi ottenne, nel 1585, da Re Filippo II il titolo di Marchese. Ma, a causa dei debiti pregressi e recenti, nel 1589, il Marchesato di Briatico fu venduto all'asta dalla Regia Camera della Sommaria. Se l'aggiudicò, per 58.000 ducati Cesare Pappacoda per persona da nominare. Questi nominò nel mese di maggio del 1590 Diana Carbone, la quale, insieme al figlio ed erede Luigi di Capua, a settembre dello stesso anno, lo rivendettero per 60.000 ducati a Geronima Colonna, moglie di Camillo Pignatelli, 3° Duca di Monteleone. In acconto di detta somma, Ettore Pignatelli, 4° Duca di Monteleone, figlio di Geronima Colonna, diede al Pappacoda la Terra di Pisciotta ed il feudo di Molpa di cui era signore. Egli è da ravvisare nel tristemente famoso <<Re Pisciotta>> della tradizione popolare, che avrebbe esrcitato nelle nostre contrade l'odioso jus primae noctis. Ettore Pignatelli ottenne il Regio Assenso sulla compera di Briatico nel 1598. Da questo momento, il feudo di Briatico, spogliato del titolo di Marchesato, andò ad aggiungersi agli altri possedimenti dei Duchi di Monteleone e rimase in loro dominio sino all'eversione della feudalità.
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