Don Carmine Cortese
Soldato di Dio e della Patria

di Antonio Pugliese


Nato a Tropea il 19 febbraio 1887 da una famiglia di piccoli commercianti (il padre Saverio e la madre Bagnato Domenica gestivano una modesta macelleria), Carmine Cortese era il settimo di 13 figli, sette maschi e sei femmine.
I fratelli maggiori, commercianti di bestiame sull'altipiano del Poro, contribuivano al sostentamento della numerosa famiglia, mentre il giovane Carmine, di salute alquanto gracile, veniva avviato agli studi. Compiuti gli studi elementari e ginnasiali nel Seminario di Tropea, nel quale ebbe come insegnante l'illustre umanista tropeano Carlo Toraldo Di Tocco, proseguì gli studi liceali nel Seminario Arcivescovile di Reggio Calabria sino al 1908, l'anno del disastroso terremoto che rase al suolo le due città dello Stretto.
Per volere di Papa Pio X, i seminaristi delle zone terremotate vennero accolti nei collegi e nei seminari della Capitale e del Centro Italia: il Cortese, assieme ai compaesani Giuseppe Scattaretica e Vincenzo Pugliese, potè così completare gli studi liceali e teologici nel Collegio Apostolico Leoniano di Via Pompeo Magno (come ricorda nel suo diario inedito mons. Francesco Pugliese, già Vicario della diocesi di Tropea e alunno di teologia del medesimo Collegio sino al 1908).
In questo Collegio, come in tutti gli istituti religiosi del Centro e del Nord Italia, in quegli anni era vivo il dibattito sul ruolo sociale del sacerdote e sul rinnovamento dell'attività pastorale (promosso e dalla "Rerum Novarum" e dal Modernismo cattolico).
Anche il Cortese, come risulta da alcuni suoi appunti, tra il 1909 ed il 1910 ebbe l'opportunità di fare alcune letture su G. Tyrrel, A. Loisy, L. Laberthonnière, G. Semeria, G. Bonomelli.
Tropea, d'altronde, nei primi anni del Novecento, era un vivace centro di cultura, soprattutto per merito della piccola borghesia locale (professionisti, commercianti, artigiani, ecclesiastici), la quale, attenta alla lettura della stampa nazionale (Il Corriere della sera, il Giornale d'Italia, La Voce, L'Avanti!, ecc.), era attiva anche nella stampa e nella pubblicazione di periodici cittadini (L'eco di Tropea, La Calabria del Popolo, Il Galluppi, Il Gazzettino, L'Efebo), a qualcuno dei quali davano la loro collaborazione intellettuali e politici come Arturo Labriola e Leonida Bissolati.
La città (patria del filosofo P. Galluppi e sede già di una antica Accademia letteraria detta "degli Affaticati") era anche il centro di un attivo commercio comprensoriale (ortaggi, cereali, fiere di bestiame ed altro), che richiamava ogni domenica gli abitanti dei paesi vicini.
Nella grande massa popolare (pescatori, ortolani, manovali, portatori d'acqua, stagnai, caprai, asinai, ecc.) era però diffusa la miseria economica accanto all'analfabetismo anche strumentale, con punte alte di evasione scolastica (uniche istituzioni scolastiche erano le Scuole elementari ed il Seminario vescovile). Le famiglie più povere abitavano nei "bassi" dei diversi palazzi del centro storico appartenenti alle non poche famiglie nobiliari della città (ricchi proprietari terrieri).
In questo ambiente culturale e sociale, nei mesi in cui non era in Seminario, il Cortese trascorse l'adolescenza e la prima giovinezza, partecipando all'attività culturale e alla vita cittadina.
Come tutti i giovani obbligati al servizio di leva, dovette presentarsi alla diverse "chiamate" militari: nel 1907 fu esentato dal prestare servizio perchè riconosciuto di debole costituzione fisica; nel 1909 fu rinviato alla chiamata successiva "continuando ad essere ascritto alla ferma di un anno" (come si legge nel suo foglio matricolare); nel 1910 fu rinviato alla chiamata del settembre 1911 con "la dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà ed onore"; nel 1912, infine, venne assegnato al 42° Reggimento Fanteria e, aggregato al 52°, nel mese di aprile 1912 dovette partire dal porto di Napoli per la Libia, dove per quattro mesi fu in zona di guerra in Tripolitania e in Cirenaica nella qualità di soldato semplice.
Rientrato in Italia il 12 agosto 1912 (porto di Messina) potè riprendere gli studi nel Collegio Apostolico Leoniano, per essere ordinato sacerdote un anno dopo (20 dicembre 1913) dal Vescovo di Tropea mons. Giuseppe Leo.
L'esperienza bellica in Libia, con le sofferenze inevitabili vissute accanto agli altri soldati, gli rimase impressa profondamente, tanto da ricordarla sulle immaginette dell'ordinazione sacerdotale con un pensiero ai commilitoni "caduti sulle terre libiche per un ideale ch'è santo".
Posto in congedo illimitato "siccome ministro di culto religioso", dal mese di gennaio 1914 sino alla metà del mese di maggio 1915 rimase nel Seminario di Tropea come docente di Lettere.
Richiamato alle armi "a senso del R. Decreto 22 aprile circolare riservata n. 555 del Ministero della Guerra Direzione Generale della Leva e Truppa", il 17 maggio 1915 fu assegnato alla Milizia mobile del 19° Reggimento Fanteria "quale cappellano militare".
Il 18 maggio 1915 partì da Monteleone (oggi Vibo Valentia) per il fronte sull'Isonzo, dove rimase per ben 18 mesi col 19° Reggimento Fanteria, prestando servizio nel reparto di sanità, sempre in prima linea, e dove fu anche ferito sul S. Michele il 12 novembre, testimone delle carneficine dei fanti contadini nelle trincee e nelle doline del Carso sino al 24 gennaio 1917.
Il 25 gennaio del 1917, improvvisamente e senza alcuna spiegazione da parte dell'Autorità militare, fu assegnato all'8° Reggimento Alpini - Battaglione "Val Natisone", al seguito del quale rimase sino al 19 agosto dello stesso anno, riportando alcune ferite al naso e ad un orecchio per lo scoppio di una granata.
Ricoverato nell'ospedale di Cremona dal 20 agosto al 17 settembre 1917, pur potendo godere dei benefici di legge ed essere assegnato nei servizi religiosi e sanitari delle retrovie, preferì continuare il servizio in prima linea per essere accanto ai soldati sofferenti e per non sentirsi chiamare "imboscato".
Di salute cagionevole com'era, fu però ritenuto inadatto alle alte quote del Trentino, ed il 18 settembre 1917 venne assegnato ad un nuovo Reggimento, all'11° Bersaglieri, col quale rimase, sempre in prima linea, sino alla disfatta di Caporetto.
Fatto prigioniero, fu internato nel campo di concentramento di Josephstadt (Boemia), nel quale rimase dall'8 novembre 1917 al 24 dicembre 1918.
Rientrato dalla prigionia in seguito all'armistizio, continuò il servizio di Cappellano nell'ospedale militare di Fiesole dal 1° gennaio al 31 agosto 1919, quindi in quello di Villa Bondi (Firenze) dal 1° settembre al 31 ottobre 1919, ed infine nell'ospedale militare di Firenze dal 1° novembre 1919 al 13 febbraio 1920, tra i reduci orrendamente mutilati.
Di quest'ultima esperienza come Cappellano militare, ce ne dà testimonianza, nel già citato diario inedito, mons. Francesco Pugliese (che prestava servizio nello stesso ospedale militare come Cappellano), il quale così ricorda i mutilati e l'opera assistenziale di don Carmine Cortese: "Portavano sul loro corpo deformato le stigmate delle loro sofferenze. Erano giovani, miserandi avanzi di umanità. La loro vita non era stroncata, ma ridotta e divenuta oggetto di commiserazione. A chi mancava un braccio, a chi un piede, a chi una gamba o tutte e due le gambe, chi ivece di braccia aveva solo i moncherini. Chi si trascinava con le grucce, e chi era trascinato dalle braccia, perchè cieco. Tutti facevano pietà. E come se ciò non bastasse, erano così esasperati che non si riusciva mai a contentarli a pieno. Non vi meravigliate - mi disse una volta qualcuno di essi - se ci vedete così esasperati. Siamo dei poveri tronconi, dei poveri cenci umani, e così andremo alle nostre case. Non essendoci per loro una vera disciplina militare, perchè l'ordine si mantenesse nell'ospedale, era necessaria e indispensabile l'opera morale del cappellano, improntata a carità cristiana. Una sera ebbi una gradita sorpresa, che mai avrei potuto immaginare. Mentre ero in cappella per la benedizione eucaristica vidi arrivare un altro cappellano militare. Era D. Carmine Cortese di Tropea, mio collega di studi nel Collegio Leoniano e carissimo amico. Vi era arrivato improvvisamente, mandato dal Ministero della guerra, mentre io vi ero stato mandato dalla Direzione di sanità di Firenze.
Il sig. Colonnello, Direttore dell'Ospedale, volle che vi rimanessimo e l'uno e l'altro, perchè in un ospedale come quello, dov'erano tante miserie fisiche e morali, dava molta importanza all'opera morale dei Cappellani. Così restammo insieme, dividendo il lavoro; D. Cortese, ch'era stato tra i combattenti, in prima linea e poi prigioniero, prescelse di stare fra i reparti, ed io mi occupai della dispensa. Un buon trattamento nel vitto era già una gran cosa per farli stare contenti. Sul prelevamento di generi alimentari, trattandosi di mutilati, non c'era misura. Potevo prelevare quanto credevo necessario per farli stare bene.
Le suore preparavano e poi servivano a tavola nel refettorio del seminario. Non si poteva dare un trattamento migliore. Così mentre D. Cortese compiva l'opera pietosa e morale nei reparti, a sollievo di quei poveri infelici, le suore preparavano in cucina ogni ben di Dio per farli  stare materialmente bene".


Parrocchia di S. Caterina: Don Carmine con i suoi "Luigini"
Dopo cinque anni di dura esperienza militare, decorato di medaglia di bronzo al valor militare (perchè "zelante ed attivo nell'adempimento del proprio Ministero, fu anche efficace cooperatore del personale sanitario. Durante lungo periodo di combattimento, dette costante prova di coraggio nell'assistenza dei feriti rimanendo esso pure leggermente ferito. Monte S. Michele, 10-24 novembre 1915"), rientrò a Tropea, dedicandosi all'educazione religiosa dei giovani come Assistente diocesano dell'Azione Cattolica dal 1920 al 1924 e dando vita al Circolo operaio "Fede e Lavoro".
Nel decennale del Seminario Regionale di Catanzaro, celebrato il 16 aprile del 1922, nell'Adunanza dei vescovi calabresi in cui si discuteva il tema dell'attivismo sociale e pastorale dei sacerdoti, a don Carmine Cortese venne dato l'incarico di relazionare su "Il sacerdote e l'azione sociale".
Collaboratore del bollettino interdiocesano di Nicotera-Tropea "Vita Nuova", per il suo dinamismo pastorale e per il suo atteggiamento critico nei confronti del fascismo (ma anche per la sua esperienzza di cappellano), fu guardato con diffidenza dal clero e dai politici locali.
Dal 1924 al 1932 resse la parrocchia di S. Caterina al Corso di Tropea, guadagnandosi la stima e l'affetto di tutti i fedeli. Le diffidenze e le incomprensioni nei confronti della sua azione pastorale, tuttavia, perdurarono, tanto da invogliarlo ad allontanarsi da Tropea.
Di questo suo desiderio ne fa fede una lunga lettera del 10 febbraio 1930, scritta all'amico e confratello don Gaetano Mauro, prete-soldato nella Grande Guerra, ma "Reggente" della parrocchia di Visconte del Torre (Gorizia) nelle retrovie.
Don Mauro, rientrato dalla guerra, nell'agosto del 1925 aveva fondato nel paese natale, Montalto Uffugo (Cs), l'Associazione Religiosa Degli Oratori Rurali (A.R.D.O.R.) per l'istruzione religiosa dei contadini poveri sparsi per le campagne del vasto comprensorio (dove nel sec. XIV era stata accolta una colonia di valdesi provenienti dal Piemonte).
"Quello che mi spinge a lasciare Tropea", scriveva don Cortese, "ed entrare in una Congregazione di vita d'Apostolato, come i Salesiani o i Figli della Divina Provvidenza, è il desiderio di lavorare tra i giovani avendo a portata di mano mezzi materiali. Quindi, caro Mauro, io son pronto a condividere il tuo lavoro nell'Ardor"; e anzi subito; ma quello che mi preoccupa è questo: liberarmi dal Vescovo. Trova tu un mezzo: io non posso attualmente dirgli nulla. Usiamo uno stratagemma: pregalo che mi conceda di venire a Montalto per quattro o cinque mesi per aiutare le tue cose. Credi pure che dopo cinque mesi di mia assenza da Tropea, io sarei completamente tutto dell'"Ardor". Io, solo come sono e con una grande fiamma di lavorare in mezzo all'Azione Cattolica, mi sento disposto a finire nella tua opera, e così poterti aiutare".
Amava lavorare in tutti i campi, meno che stare in cattedra a fare l'insegnamte. Concepiva la vita d'apostolato in mezzo alla gioventù come un impegno pieno però di mezzi anche finanziari, non già per "menare una vita pagana, spendereccia, vuota", ma perchè, prosegue nella lettera a don Mauro, "un prete taccagno, che lesina il centesimo e porti rattoppata la zimarra, io non potrò mai diventarlo, anche se entrassi in un Convento di Cappuccini (...). Da parte mia cosa potrei portare alla tua opera? Le mie poverissime braccia, la mia buona volontà, il mio entusiasmo per l'Azione Cattolica (...). La questione è di curare il Vescovo. Lui lo sa che a Tropea non voglio starci".
Non finì nella Comunità di don Mauro a Montalto Uffugo, bensì a Spilinga (VV), il 4 gennaio 1933, come "arciprete" della parrocchia di S. Giovanni Battista. Qui, per circa un ventennio, svolse un intenso ed impegnativo lavoro pastorale in mezzo ad una popolazione in maggioranza di contadini e di artigiani, organizzando l'Azione Cattolica, promuovendo attività sportive e ricreative, manifestazioni religiose e sociali varie, rappresentazioni teatrali, scuole serali, gite e pellegrinaggi, conferenze parrocchiali, ecc., col Circolo "S. Michele Arcangelo" da lui fondato.
Dopo la 2^ guerra mondiale organizzò il circolo ACLI, coinvolgendo la maggior parte dei lavoratori di Spilinga e facendo diventare la casa parrocchiale un centro di promozione religiosa, sociale, culturale, ricreativa. La sua libertà, ricca di migliaia di volumi, era a disposizione degli studenti spilingesi. Don Cortese era, come si dice, un divoratore di libri, e di questa sua passione se ne faceva anche uno scrupolo morale, "Non sono santo", scrive in uno dei suoi diari parrocchiali (inediti). "Porto con me la zavorra dell'egoismo e della mia...povera volontà. Amo tante cose che mi potrebbero distrarre. Amo i libri, famelicamente. Amo le lettere, più forse dei libri di meditazione. Amo me stesso più delle anime a me affidate".
Amava ricordare spesso gli anni trascorsi in guerra, sia con gli anziani del paese che vi avevano partecipato, sia con i giovani, sia scrivendone nei propri diari o sui periodici che si stampavano nella diocesi. Rievocando il Carso o le cime del Trentino e del Cadore, i paesini "sventrati" del Veneto o i "campi affamati e ghiacciati della prigionia austriaca", scriveva: " Anche se il povero prete in grigioverde di ieri, sia diventato vecchio e si sia ritirato sotto la tenda. alle falde feraci del Monte Poro, con gli occhi aperti su altri orizzonti (...), non può e non sa dimenticarvi mai (...), anche con questa distanza dalle Giulie alla Calabria, dal S. Michele a Splilinga (...), anche quassù, nel paese agricolo, affidato alle nostre cure spirituali, che alla Patria diede le sue medaglie al valore e i suoi morti, e dove altra gioventù, pia generosa e forte, darebbe all'Italia il suo sangue, come la diedero i loro padri, anche quassù, nel silenzio e nella pace agreste, il ricordo lontano della guerra è sano, intatto, vivo nella memoria del vecchio cappellano militare" ("Vita Nuova", 2.11.1933).
Nonostante i molti impegni pastorali, trovava il tempo, lavorando di notte, per trascrivere antichi manoscritti di poeti tropeani. In uno dei suoi diari parrocchiali annota che "se insistesse con tante famiglie tropeane e cercasse amorosamente nelle vecchie librerie, si scoprirebbero tante e tante ricchezze d'indole letteraria e filosofica: pagine d'un passato glorioso di questa nobilissima città".
Nel corso della 2^ guerra mondiale, preoccupato sempre della vita al fronte dei soldati spilingesi, ebbe con essi una costante corrispondenza epistolare, facendo da tramite con le famiglie. I soldati, dal canto loro, gli mandavano anche delle somme di danaro per i festeggiamenti in onore della Madonna delle Fonti (di cui c'è un tempietto nei pressi del paese, con una preziosa statuina della Madonna, venerata con grande devozione anche dalle popolazioni di tutto il comprensorio vibonese ed oltre). Curava i rapporti con tutte le famiglie del paese, componendo eventuali controversie, visitando le case delle famiglie più povere, intervenendo anche con aiuti materiali.
Insoddisfatto del proprio lavoro pastorale, qualche giorno prima di morire annotava nel suo diario: "Il bene da seminare ancora nella parrocchia è molto", e, quasi rimpiangendo il giovanile ideale di apostolato: "Un ideale solo, senza rimpianti di famiglia, di casa, che si svolgeva, irradiava nel campo della guerra, in mezzo a soldati doloranti, crocifissi e coperti spesso di gloria. Se non fossi stato preso da questa pazzia di soffferenza, dopo i primi sei mesi di questo clima duro, avrei domandato l'avvicinamento dal fronte, e sarei finito cappellano in un ospedale da campo: imboscato cioè. Non mi sentivo di curare ammalati e feriti. Sentivo il bisogno di assistere, confortare, incuorare soldati sotto il rombo del cannone".
Amico e compagno del "servo di Dio" Francesco Mottola (fondatore degli oblati del Sacro Cuore  e della "Casa di Carità" di Tropea), anche don Cortese appartenne alla "Famiglia degli oblati". Avrebbe voluto far sorgere in Spilinga una "Casa di Carità", ma la morte lo colse in una fredda nottata del 7 febbraio del 1952.
Compianto da tutta la popolazione di Spilinga e dei paesi vicini, riposa ora nel Cimitero di Tropea. Sulla lapide si legge: "Canonico Carmine Cortese arciprete di Spilinga - soldato di Dio e della Patria - combattè la sua buona battaglia fino all'olocausto".
 

OPERE

Manoscritti sinora reperiti:
- Tre quaderni di appunti su argomenti di cultura varia (1909-1910);
- Due quaderni contenenti il "Diario di guerra 1916-1917". Pubblicato nel 1998 a cura di Antonio Pugliese, Prefazione di Lorenzo Bedeschi,
  Presentazione di Pietro Borzomati, Rubbettino;
- Otto quaderni su "La gioventù cattolica italiana" (1922-1937);
- Quattro quaderni di "Omelie" (1926-1936);
- Venticinque quaderni contenenti notizie bio-bibliografiche e opere di autori tropeani dal 1500 al 1900 (scritti tra il 1932 ed il 1951);
- Due quaderni di "Meditazioni" (scritti tra il 1936 ed il 1943);
- Otto quaderni di "Diari parrocchiali" (sei dal 1933 al 1942 e due dal 1947 al 1952).

Undici lettere (scritte tra il 1930 e il 1950).

Manoscritti non ancora reperiti:
- Un quaderno contenente il "Diario in partenza per la Libia" (1912);
- Un quaderno contenente il "Diario di prigionia" (1917-1918);
- Un quaderno contenente il "Diario parrocchiale" scritto a Tropea (1927);
- Quattro quaderni di "Diari parrocchiali" (1943-1946);
- Tre quaderni di "Meditazioni" (1936-1938).

Articoli di giornale:
- Commemorazione dei "2 novembre" di guerra (Vita Nuova, 1933);
- S. Alfonso nelle ottave di un poeta tropeano (Parva Favilla, 11/1939);
- N. Capri-Gabrielli (Parva Favilla, 2/1948)
- N. Petracca-Scaglione (ricordi di un vecchio amico) - Calabria d'oggi, 30.4.1948);
- P. Bourelly (Parva Favilla, 11/1948 e 11/1949)
- Giuseppe Toraldo (umanista tropeano) - (Parva Favilla, 10-11/1950 e 1/1951);
- Francesco Mottola di Tropea (Parva Favilla, 1951);
- Francesco Ruffa (nel centenario della sua morte) - Parva Favilla, 7/1951).

Relazioni per Convegni:
- Il sacerdote e l'azione sociale (Adunanza del 26.4.1922 per il 1° decennale del Seminario Regionale Pio X di Catanzaro);
- Gli ecclesiastici di Tropea al tempo del Galluppi (Congresso su Galluppi svoltosi a Tropea nei giorni del 13 al 15 settembre 1946).
 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
R. MOROZZO DELLA ROCCA, La fede e la guerra (cappellani militari e preti-soldati), Studium 1980.
E. FORCELLA - A. MONTICONE, Plotone d'esecuzione (I processi della 1^ guerra mondiale), Laterza 1968.
F. PGLIESE, Tropea nell'età di don Francesco Mottola (Dattiloscritto inedito del 26.9.1987), Archivio don Mottola, Tropea.
L. BEDESCHI, Interpretazioni e sviluppo del Modernismo cattolico, Bompiani, 1975.
M. ISNENGHI, I mito della Grande Guerra, il Mulino 198.
M. ISNENGHI, Giornali di trincea, Einaudi 1977.
P. MELOGRANI, Storia politica della grande guerra, Laterza 1977.
D. e G. PICCIOLI, L'altra guerra, Principato 1974.
G. ROCHAT, L'esercito italiano negli ultimi cento anni, in "Storia d'Italia", vol. V/2°, Einaudi 1975.
F. PUGLIESE, Diario inedito.