ROTA
Non appartenente alla Nobiltà Tropeana.
Le cronache parlano di un Anfuso di Roto, de Rota o semplicemente Rota,
conte di Tropea, devastatore di
chiese e abbazie, complice dei conti di Geraci, che, avendo ordito in Calabria
una congiura contro
l’imperatore Federico II appena quattordicenne ed invitati a Palermo per
il matrimonio di quest’ultimo con
Costanza nell’agosto del 1209, furono in quell’occasione arrestati con
conseguente confisca dei loro beni che
passarono alla Corona. I congiurati furono anche costretti a giurare fedeltà
all’imperatore. Dei fatti c’è
menzione in una lettera inviata dall’imperatore all’abate Roffredo di Montecassino.
Altri danno la famiglia originaria di Asti seguendo il Re Carlo I d’Angiò
venne in Calabria con il ramo dei
Principi di Gerenza e si estinse nella famiglia Giannuzzi di Cosenza. Il
ramo dei Principi di Caposele si
estinse nella famiglia Caracciolo di Castelluccia,e quello de Marchesi
di Collotorto si estinse nel 1782 in
Francesco Saverio.
Giovanni fu capo del presidio della Rocca di Tropea per Alfonso I, essendo
stato assediato da Ludovico
d’Angiò e non potendosi difendere, promise a quest’ultimo di rendere
la rocca se non gli fosse venuto in
aiuto Re Alfonso entro venti giorni. Informato il Re che si trovava a Cagliari,
mosse in aiuto di Tropea
portandosi al seguito 26 galere. Vi giunse però il ventunesimo giorno
a causa del mare in tempesta che lo
costringeva nel porto di Messina. Quando giunse trovò che il Rota,
per mantenere la parola data, fu
costretto ad aprire le porte della città agli Angioini.
Bernardino, comandante delle truppe Tropeane che subirono l’assedio nel
1435 da parte di Luigi d’Angiò,
perché città legata fedelmente agli aragonesi, per sei lunghissimi
giorni, ne uscì valorosamente vittorioso.
A lui, il Sindaco del tempo Nicola Scrugli, quando cambiò la toponomastica
cittadina, gli dedicò il Largo che
ancora oggi si chiama Rota.
ARME: d’azzurro alla ruota d’oro ad otto raggi.Lo scudo accollato dall’aquila
bicipite spiegata in nero.