di Pasquale Russo
Capo Vaticano visto dal mare è un ammasso roccioso bruciato dal sole. Si protende tra l'ampia baia del Tuono e le ospitali insenature di Grotticelle e S. Maria: qui certo dovettero guardare con fiducia i primi navigatori che solcarono questo mare. Qui rimangono le tracce più antiche di un insediamento umano. Sull'acrocoro che domina la baia di S. Maria una spedizione archeologica della sovrintendenza alle antichità della Calabria nel 1975 ha rilevato le mura perimetrali di un nucleo abitato del quale sono state individuate tracce in residui di edifici adibiti a templi e in una vasta necropoli dalla quale sono stati prelevati reparti di notevoli interesse. Tutta la zona dell'acrocoro è stata posta sotto vincolo dal ministero per i beni culturali e ambientali sia per l'importanza archeologica sia per quella paesaggistica. Ma la sfrenata corsa del cemento armato ha superato ogni divieto e là dove nel VII-VI secolo avanti Cristo i coloni greci avevano scelto una loro dimora, oggi sorgono impianti turistici del tutto ignari di un passato che ancora le pietre raccontano. I dati del cantiere archeologico del 1975 sono disponibili presso la sovrintendenza di Reggio Calabria, dove si trovano pure i reperti (non ancora in esposizione), mentre nel museo di Nicotera è possibile vedere oggetti ritrovati nella zona. Ma l'avventura archeologica di questo territorio non si è per nulla conclusa e, dopo numerosi episodi di ritrovamenti più o meno clandestini, nella primavera dell'anno 1987 la sovrintendenza apre un cantiere a S. Maria in località Carnalivari dove i locali hanno sempre ritenuto presenti ampie tracce di una frequentazione umana nell'antichità. Studiosi di questo territorio ritengono che qui è da collocarsi l'antico Portercole le cui origini si perdono nel mito. I risultati degli scavi ultimi evidenziano un vasto insediamento del IV-III secolo avanti Cristo con residui di ville d'epoca romana e una fornace con un deposito di anfore granarie in grandissima quantità sommerse da uno strato alluvionale proveniente dal vicino torrente. Fu appunto quando i mezzi meccanici che operavano per spianare il terreno misero in luce un enorme cumulo di anfore che la sovrintendenza intervenne chiarendo la situazione storica del territorio in epoca romana e confermando la tesi qui sempre praticata in un emporio marittimo. La rilevazione che le anfore sono tutte dello stesso tipo ha fatto dedurre che qui ci fosse solo l'imbarco di prodotti locali (soprattutto cereali), ma che non ci fosse scambio con merce in arrivo. Tuttavia la rada fu luogo di approdo sicuro in tutte le epoche: dai greci ai cartaginesi, ai romani (Strabone ricorda uno sbarco di Pompeo con le sue truppe) tutti hanno lasciato tracce del loro passaggio. La difesa costiera, soprattutto nel periodo delle incursioni saracene, non sempre fu adeguata alla effettiva necessità di protezione dai pericoli: la popolazione andò spostandosi verso l'interno, costituendo piccoli nuclei abitati che oggi formano i paesi distribuiti a grappolo a qualche miglio dal mare. L'antico sistema di difesa fatto erigere da don Pedro di Toledo, vicerè di Napoli, nel secolo XVI, era costituito da una serie di torri d'avviso disposte sulla costa a circa tre chilometri di distanza ciascuna: di alcune di queste è possibile vedere ancora oggi la struttura più o meno deteriorata, qualcuna (come quella di S. Maria) è stata demolita. Tuttavia queste torri, pur fornite di personale di guardia - appena due o tre persone - non davano una vera protezione, ma servivano solo ad avvisare (da qui il nome di "torri d'avviso") l'imminenza del pericolo in cerca di rifugio o alle altre torri perchè segnalassero la richiesta di eventuali aiuti militari. Ai segnali delle torri seguiva il suono delle campane di tutti i campanili ed era un allarme generale. Questo territorio visse con trepidazione il periodo delle incursioni e nacquero leggende sui predatori turchi e sulle belle donne rapite. Ma in realtà le popolazioni di questa zona, dopo alcuni secoli di progresso economico - tra il sec. XII e il XVII - conobbero la grande decadenza che ha coinvolto tutto il Regno di Napoli. La ricchezza che aveva caratterizzato queste popolazioni (intrattenevano rapporti commerciali con la Sicilia, le Eolie e persino con Venezia) ricche di prodotti agricoli pregiati (grano, vino, olio), dotate di un porto e di una flottiglia di imbarcazioni adatte al trasporto (possedevano delle grandi tartane) andò esaurendosi e, ultimo dei casali di Tropea, Ricadi cede anch'esso alla pressione fiscale. Gli abitanti di questo territorio hanno avuto col mare un rapporto di odio-amore che ha contrassegnato la loro vita fino agli anni recenti, quando sembrava a qualcuno che le belle spiagge non fossero amate e fruite, mentre già dalla fine del '700 la gente aveva ripreso a vivere lungo la costa e le marine erano intensamente coltivate e risuonavano di canti nelle varie stagioni. Anche lungo il litorale di Torre Ruffa, dove la leggenda ha collocato il rapimento di Donna Canfora (una bella donna rapita dai turchi) la vita della gente riprese a rifiorire e il mare feceva eco alle dolci canzoni. Ma tutte le spiagge e tutte le marine hanno sempre fatto riferimento alla punta del promontorio Vaticano, non solo geograficamente, ma per quello che esso ha sempre rappresentato: un luogo inacessibile, sacro. Fu inaccessibile per lunghissimi secoli, aspro, selvaggio, arido, abitato solo dalle taccole che popolano le rocce e dalle volpi; e insieme sacro come tutto ciò che ha dell'orrido e dell'inaccessibile. Qui si racconta di un'antica profetessa, come una sibilla, che dava responsi e traeva auspici e ancora oggi lo scoglio che sta davanti al capo porta il nome greco di "Mantineo" a richiamare queste funzioni predittive e lo stesso nome del promontorio "Vaticano" è legato all'esercizio di una attività vaticinante. Forse sotto l'alta roccia passò il profugo Ulisse dopo aver superato Scilla e Cariddi lontano dagli scogli del pericolo e forse anche l'abile navigante ebbe responsi favorevoli alla sua avventurosa sete di conoscere, ma certo era anche nell'antica profezia che questo luogo sarebbe rifiorito e che la terra arida popolata solo da spinosi ficodindia sarebbe rinverdita per diventare un giardino, non più inaccessibile, ma splendido balcone su un mare d'incanto da dove si coglie con un giro di sguardi la linea dei vulcani nell'ampio mare: Stromboli, Vulcano e l'Etna altissimo nella Sicilia vicina, e poi lo stretto di Messina e le luci dei fari nella notte, e l'estremo lembo della Calabria con l'Aspromonte, il monte S. Elia a Palmi, la Piana e qui vicino il monte Poro che scende rapidissimo nel mare sopra Coccorino, mentre degrada dolcemente a lunghe balze da Panaia a Ricadi a S. Nicolò e fin sull'estremità del promontorio. Questo luogo pieno di voci antiche oggi è al centro di uno sviluppo turistico che pone il comune di Ricadi al primo posto nella provincia di Vibo Valentia. Qui si incontrano le lingue d'Europa e i dialetti di tutta Italia; da qui la visione magica delle isole Eolie è come una collana di perle che dà splendore nuovo a una bellezza antica.