(Itinerario storico culturale)
di Giuseppe Vita
A5 km da Tropea, nella provincia di Vibo Valentia, sorge, a ridosso di una lussureggiante collina, il pittoresco paese di Drapia. Il viaggiatore che, lasciata la città di Tropea, si dirige lungo la strada provinciale per Vibo Valentia, appena dopo 3 km, al primo bivio svolterà a sinistra e, dopo aver percorso altri 2 km, attraversato l’abitato di Gasponi, arriverà dritto al paese di Drapia.
Le origini e la storia Probabilmente il primo nucleo del paese dovette sorgere in età prebizantina, prendendo il nome dalla vicina città di Tropea, storpiato col tempo in Drapea e oggi in Drapia. L’origine del toponimo potrebbe essere legato al fatto che, in quel periodo, tutto il territorio intorno a Tropea faceva parte della Massa Trapeas (masseria tropeana), di proprietà della Chiesa Romana, costituita da grandi concentrazioni di latifondi contigui, case coloniche, greggi, chiese e monasteri. A capo di essa vi era un Rettore, nominato direttamente dal Papa, il quale delegava l’amministrazione ad un "conductor" (conduttore) il quale aveva il compito di riscuotere gli affitti dei coloni che occupavano le diverse terre in cui la massa era suddivisa. Con molta probabilità, i primi abitanti del paese dovettero essere gruppi di popolazione non stabile, appunto coloni, che col tempo andarono a costituire un vero e proprio villaggio. L’abitato si estese durante il periodo bizantino quando, nell’anno 700, fu edificato il monastero greco di San Sergio e Bacco e intorno al IX secolo, quando la città di Tropea fu liberata dalle mani dei pirati islamici dal generale Niceforo Focas (poi detto il Vecchio) mandato nell’885 dall’imperatore bizantino Basilio I il Macedone a riconquistare tutto il sud d’Italia che era schiacciato dalla pressione araba e longobarda. Come dice il Fiore questi pirati, dopo essere stati scacciati dalla città, si rifugiarono verso l’interno fondando diversi villaggi e probabilmente incrementando quelli già esistenti. Alla dominazione bizantina si sostituì quella normanna, causa ed effetto di notevoli sconvolgimenti, sia in campo economico-strutturale con l’introduzione del sistema feudale, sia in campo culturale con la sostituzione della liturgia della lingua greca con quella latina. Al dominio normanno successero quello svevo, angioino e aragonese. La fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna fu un periodo particolare, caratterizzato cioè da abbondanti produzioni grazie al lavoro dell’uomo, ma innanzitutto alla ricchezza del terreno. La grande fertilità dei campi e quindi l’insieme delle culture agricole del luogo sono presenti nell’emblema del paese, formato da tre spighe di grano, un monte verde, una spada e una scimitarra incrociate a simbolo della lotta che in epoca passata i drapiesi dovettero sostenere contro i pirati saraceni. In questo periodo Drapia è uno dei 23 Casali dipendenti da Tropea. Dal capoluogo, i casali erano considerati "università (comuni) rurali", ma dipendevano in tutto e per tutto da Tropea. A capo di essi vi era un "amministratore sindaco" nominato dai sindaci della Città capoluogo, il cui compito essenziale era la riscossione delle tasse. Non poche volte questi villaggi si coalizzarono per ribellarsi al capoluogo che li opprimeva al pagamento di grosse somme. A differenza del ‘6oo che per la Calabria è stata un’epoca di forte crisi, a tal punto da farla regredire di molto rispetto ai secoli precedenti, il ‘7oo fu un periodo florido. A Drapia, in questo periodo, abbondavano vino, frutta d’ogni genere, olio e legumi; fiorente era anche il commercio con molti paesi del regno di Napoli, con lo Stato Pontificio e il Veneto. Essendo gente industriosa, la gente di Drapia fu la prima nel circondario di Tropea a dare vita all’industria serica, del lino e del cotone. La fiorente economia e quindi gli affari che andavano a gonfie vele convincevano i tanti nobili di Tropea, proprietari di molte terre nei 23 Casali e quindi di gran parte della produzione, a soggiornare spesso in questo villaggio. Nel XIX secolo, con la fine del controllo di Tropea sui Casali e con l’arrivo di Napoleone, vi fu uno sconvolgimento radicale dell’amministrazione di tutto il regno il cui assetto amministrativo veniva completamente ridisegnato. Nel 1812 fu ufficialmente istituito il Comune di Drapia e ad esso furono aggregate le frazioni di Gasponi, Brattirò e Caria. In quegli anni il paese comprendeva, oltre alle case di campagna, quattro quartieri: Canchi, Carcara, Celsi e Stretto. Le principali risorse erano date dal commercio e dall’artigianato locale e se anche le condizioni di vita erano migliori di altre località, non possiamo certo ritenerle floride. L’unità d’Italia, agli inizi, portò con sé tutta una serie di gravi conseguenze: il brigantaggio e l’emigrazione, con il conseguente svuotamento di tutti i paesi del sud. I drapiesi emigrarono in massa, all’estero e in molte città del nord Italia. Il XX secolo è stato caratterizzato innanzitutto da una serie d’avvenimenti che sconvolsero in modo radicale la vita del piccolo paese, a cominciare dai primi anni con i catastrofici terremoti dell’8 settembre 1905 e del 28 dicembre 1908. Oltre agli ingenti danni causati alle abitazioni, lo sconforto creatosi tra i cittadini fu talmente lacerante che obbligò ancora una buona parte a scegliere la strada dell’emigrazione. I segni di una mancata ripresa economica favorita dal lavoro dei campi, così come c’era stata in altri periodi, ma anche una auspicata espansione urbana è tutt'oggi leggibile tra le stradine e le case che parlano di un tempo dimenticato e molto remoto.
Itinerario di visita La visita ha inizio dai mulini ubicati lungo la fiumara Brummaria che scorre in una gola vicino all’abitato di Drapia. Prima di arrivare in paese, a destra del ponte sulla detta fiumara, incontriamo il primo dei mulini, quello De Rito. Questo mulino è ad un solo livello, in pietra granitica locale con volta a botte costruita in conci di pietra parzialmente squadrata disposta a coltello. Particolare è la "saitta" a forma di tronco conico, che differisce da tutti gli altri presenti nella zona a tal punto da rendere la costruzione peculiare come tipologia. Oltre al locale per la molitura, ne troviamo un altro destinato al ricovero dell’asino. Risalente probabilmente al periodo medioevale, subì vari interventi di ristrutturazione nel ‘700 e nel ‘800. Attualmente il mulino giace in pessime condizioni ed è inagibile. Salendo verso il colle, a poche centinaia di metri, immettendosi per una stretta stradina, incontriamo il mulino Loiacono risalente allo stesso periodo di quello De Rito, ed è ancora in attività. E’ costruito su un solo livello in pietra granitica locale e ha una copertura a volta a botte, in conci di pietra disposti a coltello. Continuando verso il paese, il nostro itinerario prosegue con la Chiesa della Madonna del Carmine, ubicata all’inizio dell’abitato davanti al municipio. Attualmente è inagibile e chiusa al culto. La sua fondazione risale al 1890 e fu edificata da Michele Mazzitelli. Consta di un unico ambiente di forma rettangolare privo d’abside. Il lato che prospetta sulla strada poggia su due gradini e reca sui propri stipiti un paramento in blocchi di pietra granitica. Proseguendo per il caratteristico Corso Umberto I, un tempo totalmente pavimentato in pietra e purtroppo coperto nel secolo passato con asfalto, camminando tra antichi palazzi decorati con splendidi portali e balconi in granito e pietra tufacea, si incontra la Chiesa dell’Immacolata Concezione che è l’attuale chiesa parrocchiale di Drapia. Non conosciamo quando essa fu edificata, ma doveva già esistere nel ‘500. Nel corso dei secoli subì vari interventi, a conferma di ciò, negli anni ’60, durante gli scavi compiuti per la sostituzione del pavimento, sono state portate alla luce le fondamenta di un edificio più piccolo. In quel primo periodo, la chiesa era dedicata a San Pietro Apostolo, successivamente assunse il titolo di Chiesa dell’Immacolata Concezione. La costruzione dell’attuale abside risale alla fine dell’800. Il terremoto del 1908 fu causa di danni in parte irreparabili; il soffitto, crollato completamente, venne ricostruito in legno e coperto di tela, ma solo trent’anni dopo furono possibili interventi definitivi di restauro. La chiesa si presenta oggi di forma rettangolare con abside semicircolare e la volta a botte. La facciata con timpano è decorata con un rosone in vetro colorato e ferro battuto. Il campanile a pianta quadrata è decorato da monofore e pseudo monofore ogivali. Al suo interno, di stile composito con stucchi e marmi di pregevole fattura, possiamo trovare diverse opere degne di rilievo, tra cui il ciborio (XVII sec.); la statua lignea della vergine Immacolata, in stile liberty (XIX sec.), di San Michele Arcangelo (XIX sec.), di Santa Domenica (che si dice proveniente dal convento di San Sergio e Bacco) (XVII sec.), di San Nicola (1897); una tela dell’ultima cena (probabilmente proveniente dal convento di San Sergio e Bacco) di Domenico Finoglia da Napoli (1670); una tela raffigurante la deposizione di nostro Signore Gesù Cristo (copia di un quadro più grande che si trova nella Cattedrale di Perugia), di Vincenzo Basile (XIX sec.); una tela della Madonna del Carmelo, con San Nicola (a destra) e San Francesco di Paola (a sinistra) di F. Bagnati (1840). Attaccato alla chiesa parrocchiale, si trova l’oratorio di San Michele, di proprietà della confraternita. Non sappiamo quando esso fu edificato, ma dovette sicuramente subire delle modifiche nel corso dei secoli. Al suo interno si possono trovare diverse opere d’arte; un ciclo d’otto tele che raccontano la vita di Maria: la natività di Maria (XIX sec); la presentazione al tempio di Maria (XIX sec.); lo sposalizio di Maria e Giuseppe (XIX sec.); l’annunciazione (1800); il miracolo della verga, (XIX sec.); la natività di Gesù, (XIX sec.); l’adorazione dei Magi (1808); l’incoronazione di Maria (1809). Si trovano altresì: una tela dell’arcangelo Raffaele (XIX sec.); un quadro rappresentante l’angelo custode (XIX sec); una tela di Santa Domenica di Vincenzo Basile (1848); una tela di Sant’Antonio di F. Bagnati (1840); una statua della Madonna del Carmelo (proveniente dalla chiesa, ora abbandonata, a lei dedicata) (XIX sec.); parte di un coro ligneo parzialmente distrutto. Continuando la visita al centro storico di Drapia, dopo aver percorso tutto il Corso Umberto I, arrivati in Piazza IV Novembre, continuando sempre dritti, dopo un breve tratto in discesa, arriviamo ad una piccola edicola dedicata a San Sergio Martire, che ricorda l’antico monastero che sorgeva nelle vicinanze e del quale sono ancora visibili i resti. Il monastero era ubicato nella valle tra Drapia, Alafito (poi andato distrutto) e Zaccanopoli. Fu edificato nell’anno 700 dai basiliani, quale monastero di San Sergio e Bacco. Il cenobio fu meta di vari santi penitenti. Era fornito d’orto, di un proprio boschetto e di una fonte d’acqua salubre (che scorre ancor oggi) detta "Vardaro". Sempre meta di pellegrinaggi da parte dei cittadini di Tropea, nell’anno 1221, con una bolla di Onorio III, il monastero ricevette una visita particolare, quella di due delegati apostolici, cioè del Vescovo di Crotone e dell’Abate di Grottaferrata. Avanti negli anni i basiliani lo abbandonarono perché l’edificio stava andando in rovina per il cedimento del sottosuolo. Dopo essere stato riparato, il vescovo di Tropea, Nicolò Acciapaccia, nell’anno 1421, lo consegnò ai Francescani, che lo rifondarono come Convento di San Sergioe Bacco. Proprio in questo periodo vi fu guardiano San Bernardino da Siena. Per secoli si conservò nel convento lo scudo che il santo portava con sé nelle sue missioni. Successivamente, il terremoto del 5 febbraio 1783 lo distrusse in maniera tale che ai giorni nostri non rimangono che pochi ruderi, qualche quadro, una statua di Santa Domenica, conservati nella chiesa parrocchiale di Drapia e il tabernacolo, che fu trasportato nella chiesa parrocchiale di Caria. Ritornando indietro verso Piazza IV Novembre e proseguendo dove l’abitato confina con le campagne, troviamo la cappella della Madonna del Carmine. Inizialmente, nel 1861, ci doveva essere un’edicola dove era venerata la Vergine del monte Carmelo e dove, col tempo, nell’anno 1908 fu edificata l’attuale cappella. La devozione del popolo è tale che, nell’anno 1991, fu restaurata integralmente. Ha forma rettangolare senza abside e le mura sono completamente intonacate. Non presenta nessun pregio artistico. Di qualche rilevanza artistica è la pittura dipinta su maiolica, rappresentante la Vergine del Carmelo, custodita al suo interno (1861). Ripercorrendo la stessa strada, girando a destra al bivio continuiamo la nostra visita dirigendoci verso Gasponi.
Gasponi
LE FESTE
A Drapia:
BIBLIOGRAFIA
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