CENNO STORICO
sulla
CHIESA VESCOVILE DI TROPEA
scritto
da
FRANCESCO ADILARDI
Cavaliere si S. Gregorio Magno, e socio di diverse accademie



SECONDA EDIZIONE
accresciuta della serie cronologica dei vicari generali e capitolari


(Estratto dall'Enciclopedia dell'ecclesiastico)
Tomo IV, pag. 1067 a 1079)

1849

A S. E. REVERENDISSIMA
MONSIGNOR D. MICHELANGELO FRANCHINI
PATRIZIO DI PICENTE
VESCOVO DI NICOTERA E TROPEA
CHIARO PER PIETA' E DOTTRINA
DEL SAPIENTE E MAGNANIMO PONTEFICE
PRELATO DOMESTICO, ASSISTENTE AL SOGLIO
ACCETTO ALL'AUGUSTO PRINCIPE
GRATO AI DIOCESANI
MOLTO DELLE CANONICHE DISCIPLINE INTELLIGENTE
BENEFICO, MODESTO, CORTESE
PER VIVERE SENZA MACCHIA, SPETTABILE
PER APOSTOLICO ZELO, DISTINTO.
FRANCESCO ADILARDI
QUESTO SUO LAVORO
IN SEGNO DI OSSEQUIO
GRATITUDINE E RISPETTOSO AFFETTO
OFFRE, DEDICA, CONSACRA.


 


Breve pontificio, col quale S. S. Pio IX premiava il merito letterario dello scrittore di questo Cenno, conferendogli la croce di S. Gregorio Magno, e che ad ornamento della presente ristampa, e ad eccitare altri ai buoni studi, l'editore del medesimo Cenno pubblica.

PIUS PP. IX

Dilecte fili, salutem et apostolicam benedictionem. Iucundum Nobis evenire solet honorum muneribus egregios decorare viros, quos, praeter generis claritatem, integritas, fides, ingenium, bonarum artium cognitio exornat. Quum igitur noverimus, te, dilecte fili, nobili ortum stirpe, rebusque optimis institutum, pietate, ingenio, exquisita doctrina excultum, editis operibus egregiam tibi laudem comparasse, Nobis praeterea, atque huic Apostolicae Sedi ex animo esse adductum, idcirco facile adducti sumus, ut aliquem tibi honoris titulum tribueremus. Te igitur peculiari beneficentia prosequi volentes, et a quibusvis excommunicationis et interdicti, aliisque ecclesiasticis sententiis, censuris et poenis quovis modo, vel quavis de causa latis, si quas forte incurreris, huius tantum rei gratia absolventes, ac absolutum fore censentes, hisce litteris auctoritate nostra Apostolica Equitem Ordinis S. Gregorii Magni classis civilis eligimus et constituimus, teque in splendidum illum equitum coetum cooptamus. Proinde ut eiusdem ordinis insigne, nempe auream crucem octangulam rubra superficie imaginem S. Gregorii Papae in medio referentem, quae taenia serica flavi coloris extrema oris rubra sinistra lateris parte dependeat, gestare possis, concedimus, atque indulgemus. Ne quid vero discrimen sit in hoc gerendo insigne, Crucis eiusdem schema tibi tradi mandamus. Datum Romae apud S. Mariam Maiorem sub Annulo Piscatoris die XXIII maii MDCCCXLVIII Pontificatus Nostri anno secundo. Pro domino Cardinali Lambruschini, A. Picchioni substitutus. -Dilecto filio Francisco Adilardi de Mandaradoni Diocesis Nicoteren (°).

(°) Un sovrano rescritto ha permesso al cav. Adilardi di far uso della croce di S. Gregorio Magno nelle Due Sicilie.
 
 


Berotti: Tropea in prospettiva. Stampa del 1795.

TROPEA

La diocesi di Tropea in Calabria, si distingue in superiore ed inferiore. Essa confina, nella superiore, colle diocesi di Mileto all'est, di Nicotera al sud, e col mare tirreno dal nord all'ovest; e nella inferiore colle diocesi di Nicastro all'ovest, di Cosenza al nord ed all'ovest, e col mare tirreno al sud. Evvi tra l'una e l'altra il golfo di S. Eufemia, con una distanza di 70 miglia dalla parte di terra. Le due parti della diocesi comprendono ben formati comuni, ricchi la maggior parte per fertili campi, industria e commercio, e nel loro grembo racchiudono molti santuari, e un popolo, che per religione e pietà, a pochi è secondo. Noi, per seguire il metodo di altri lavori (1), divideremo in due parti questo nostro cenno. La prima verserà sulla diocesi superiore; si occuperà la seconda della inferiore. Nell'una e nell'altra accenneremo la situazione, l'origine, e lo stato presente dei più antichi, o principali comuni (2).

PARTE PRIMA

Diocesi superiore

Tropea, capitale della diocesi del suo nome, sorge su di un colle, alle falde del monte S. Angelo, sotto il grado 34, 5 di longitudine e 38, 50 di latitudine, ed è bagnata dalle acque del mar Tirreno. Ha il capo Zambrone a destra, ed il Vaticano a sinistra, essendo lontana sei miglia dal primo, e quasi altrettanti dal secondo. Dista poi mezzo miglio dall'antico Porto di Ercole (3), 16 miglia da Monteleone, capoluogo del distretto, e 50 da Catanzaro, capitale della provincia. Nel 1785 era popolosa di 3977 abitatori, cresciuti a 4237 nel 1816 (4); ed al presente ne ha 6605. Tropea si offre cinta di mura, con tre porte d'ingresso, e munita di un fossato. Insigne per l'amenità del luogo la diceva il Frezza (5), essendo invero posta in sito amenissimo e di aria saluberrima, e l'Alberti la encomia per gli abbondanti viveri, pel popolo numeroso, e pel decoro di gran nobiltà (6). Nulla di certo può dirsi dell'origine di Tropea. Chi la stima fondata dagli ausoni e dagli enotri; chi da Scipione; chi da Sesto Pompeo (7). Degli antichi, Stefano di Bizanzio è il primo a ricordarla (8). La ricordò poi S. Gregorio Magno (9), cui fece seguito Costantino Porfirogenito, narrando essere stata per valore dei greci liberata dai saraceni, i quali la tenevano oppressa (10), benchè poi in altre epoche, e specialmente nel 946, fosse ricaduta nel servaggio di quelli (11). Dal secolo XI le sue memorie civili sono più copiose ed onorevoli. Conceduta in feudo ad Ugone di Bonvill nel 1314, fu restituita al regio demanio nel medesimo anno (12). Per la sua devozione al principe, Tropea meritò il titolo di fedelissima, il demanio perpetuo, la precedenza delle sue galere nelle navi di guerra, ed altri privilegi (13). Dei tropeani, un Pietro Ruffo e un Matteo Rossi sotto l'imperatore Federigo II (14), ed altri senza numero poi, occuparono distinte cariche (15), e la città fece sempre luminosa figura. A trattare le cose della università, Tropea avea due sedili, ombre di governo rappresentativo. Uno di questi, detto grande, e poscia di Portercole, era dei nobili, ed oggi è casa comunale; un altro, che dire si dovea seggio africano, apparteneva agli onorati (16), e non esiste. Anche oggidì Tropea ha l'accademia degli Affaticati, molte famiglie nobili, molti proprietari e civili, ed era meritatamente riputata città industriosa e commerciante (17). Essa per ultimo è patria del celebratissimo Pasquale Galluppi, le cui opere saranno monumento eterno del suo valore nelle scienze filosofiche (18).
Nulla sappiamo della instituzione del vescovado, e molto meno dell'esordio del cristianesimo in Tropea. Narra il Marafioti, che un tempio sacro a Marte, fu convertito in chiesa sotto la invocazione di S. Giorgio, e che prima in questa, e poi nella chiesa di S. Nicolò, ebbe stanza la sede vescovile. Aggiungne, che nel castello si vedeva un tabernacolo, che per certo numero antico dimostrava essere di 1200 anni (19). Senza prestar fede intera ad ogni notizia riferita dal citato scrittore, (20) noi ritenghiamo, che la religione pose salde radici in Tropea sin dal primi secoli, vantando martire della fede la concittadina S. Domenica sotto Diocleziano, vale a dire nei primordi del secolo IV. Sembra intanto che la origine del vescovado di Tropea sia a porre nel settimo secolo, non ritrovandosi di esso alcun ricordo nelle epistole di S. Gregorio Magno, e molto meno in più antiche scritture. Nel 649 era vescovo un Giovanni, di cui si ha la firma al concilio lateranense in quell'anno celebrato (21); e nel 679 reggeva il pastorale tropeano un Teodoro, che fu presente al concilio convocato in Roma ai 5 aprile del detto anno (22). Caddero in fallo il Barrio, il Fiore, e gli altri che attribuirono a questa sede quel Lorenzo, che intervenne al concilio celebrato sotto papa Simmaco, e fu vescovo di altra Chiesa (23). Si noti, che Giovanni e Teodoro dipendevano immediatamente dal patriarca di Roma, ed erano di rito latino, perchè nel loro secolo le Chiese tutte di Calabria e di Puglia erano sottoposte al patriarcato romano; ma quando poi insorse il famoso scisma di Oriente, il patriarca di Costantinopoli fece di sua dipendenza le Chiese in parola; ed erigendo Reggio a metropoli, a questa assoggettò il vescovado di Tropea. Evvi di tal fatto luminosissima prova, risultante da scrittura dell'VIII, o IX secolo, in cui ritroviamo la sede tropeana sotto la metropoli di Reggio (24). Ascese intanto la medesima sede altro Teodoro, ed essendosi convocato il secondo concilio niceno a tempi di lui, egli occupò il suo luogo tra i padri di quel sacro consesso (25). Adottato il rito greco in Calabria, Tropea il fece pure suo, e furono greci i vescovi Pietro e Kalochirio, dei quali esiste ricordo. Questo Kolochirio fioriva nel secolo XI, ed avea la nobilissima dignità di protosincello, solita a conferirsi dagl'imperatori di Oriente a prelati idonei ad intendere la cosa pubblica, istruire, e consigliare, dignità eminente assai più dell'altra dei sincelli (26). A Kalochirio e suoi successori, il duca Roberto Guiscardo, in novembre 1066, indirizzava un privilegio, col quale confermava alla Chiesa vescovile di Tropea tutto ciò che essa fin dal suo principio possedeva, e che Pietro, vescovo antecessore, avea posseduto. Donava quindi e concedeva allo stesso Kolochirio quanto alla detta Chiesa apparteneva ab antiquo, avea ed era per acquistare: vigne, cioè, terre, selve, pascoli, acque, villani, o mercenari, e cherici. Ordinava infine agli stratigoti, e a tutti i suoi dipendenti, di non esigere pesi da quest'ultimi, e di non tradurli in giudizio, accordando queste facoltà al vescovo. Roberto, senza dubbio, avea molta stima per Kalochirio, nella di cui residenza, egli non solo, ma anco la duchessa Sichelgaita sua consorte, furono di persona (27).
Credesi, e con fondamento, che Kalochirio fosse stato l'ultimo dei vescovi greci. Imperocchè Iustego, che fioriva nel 1094, fu il primo vescovo latino (28). I normanni restituirono alla ubbidienza del papa le Chiese di Calabria e di Puglia, e richiamarono generalmente in osservanza il primiero rito. A Iustego il duca Ruggiero, nel detto anno 1091, consegnava un privilegio, col quale faceva dono alla chiesa della B. Vergine di Tropea, ed al medesimo Iustego, di tutto ciò che gli antecessori greci di quest'ultimo aveano posseduto in Tropea ed in Amantea, vigne, terre, mulini, ed altro; e perchè la chiesa in discorso era povera, donava a Iustego i preti, diaconi e suddiaconi greci di Tropea e di Amantea, coi loro figli ed eredi, e finalmente gli faceva altri doni. Questo è il primo documento, da cui risulta la unione della Chiesa di Amantea alla tropeana. Lo stesso documento fu confermato da re Guglielmo in epoca incerta. Guglielmo nostro sovrano, in gennaio 1155, a dimanda di Geruto vescovo di Tropea, fece riassumere, e munire di regio sigillo il privilegio del 1066, e papa Alessandro III, con breve del 15 marzo 1179, quando era vescovo Coridone, confermava alla Chiesa di Tropea ciò che questa canonicamente possedeva. Innocenzo III in fine, nel 1200, confermò il breve del suo antecessore Alessandro. Questi privilegi furono per lungo tempo osservati. Non si dolsero infatti, il vescovo, che nel 1164 ritornando dalla Francia in Italia con forti commendatizie di papa Alessandro III (29), non avrebbe saputo tacere; Giovanni, quello stesso che per altra faccenda contese con Ridolfo abate di Fonte Laurato; Arcadio, che sul principiare del secolo XIV, fece lite con taluni, che aveano deviato il corso delle acque di un suo mulino (30), ed altri vescovi, che a Iustego, Geruto e Coridone succedettero. Non erano però nello stesso modo le cose nel presulato del vescovo Roberto (31). Parecchi giustizieri della provincia, e diversi capitani e regi ufiziali della città, non tenendo conto dei detti privilegi, tradussero alla loro giurisdizione i vassalli della Chiesa di Tropea. Roberto se ne querelò presso il cardinale Aymerico, legato apostolico nel regno, e da Nicola (Tropeano) vescovo di Nicastro, all'uopo delegato dal cardinale, ottenne sentenza degli 11 novembre 1344, la quale ordina la osservanza dei privilegi accennati sotto pena di scomunica (32). Notisi, che al suddetto vescovo Giovanni, o a qualche altro, che governò la Chiesa tropeana, papa Gregorio commise di far pagare le decime ai preti, greci nei più, della diocesi di Squillaci, quante volte fossero loro dovute, essendo alla sede apostolica ricorso l'Ordinario squillacese per ottenere su di ciò un provvedimento (33).
Papa Alessandro III, nel 1165 confermava al metropolitano di Reggio il vescovado di Tropea come a suffraganeo (34), ed intorno al 1198 l'abate Gioacchino di Celico, scriveva sopra Isaia, nominava il medesimo vescovado. Era poi il 1529, e l'imperatore Carlo V otteneva dalla santa sede il diritto di patronato sopra talune Chiese vescovili del regno, fra le quali andò compresa quella di Tropea (35); e forse allora esso imperatore, se Marafioti non s'inganna, manifestò al santo padre il piacere che incontrerebbe, se il vescovado ed i benefici fossero conferiti ai paesani (36). La stessa Chiesa nel 1818 fu da Pio VII congiunta all'altra di Nicotera, aeque principaliter, ognuna di esse conservando i propri diritti e privilegi (37). La rendita della mensa ammonta a circa duc. 3000 depurata dai pesi, mentre lorda di duc. 5000 a tempi di Ughelli (38).
Dei vescovi tropeani, Francesco d'Amantea fu ambasciatore della regina Giovanna I in Ungheria (39); Nicola Acciapacci di Sorrento, grato assai ai papi Martino V ed Eugenio IV, esercitò la carica di consigliere dell'augusta Giovanna II e di Luigi d'Angiò, ed essendo poi arcivescovo di Capua, nel 1439 fu nel concilio fiorentino creato cardinale prete del titolo di S. Marcello (40); Giosuè Mormile, napolitano, fu vicario di detto papa Eugenio; e Girolamo Mirto di Caiazzo stette in corte regia da consigliere e cappellano del II re Alfonso, alla cui sacra unzione fu presente (41). A costoro fecero seguito, Giovanni Poggio bolognese, nunzio apostolico nelle Spagne ed in Germania, e nel 1551 cardinale, e Carlo Maranta di Napoli, cappellano maggiore del regno sin dal 1637 (42). Noveriamo tra i prelati, che lasciarono saggi di lor sapere, Pietro Balbi di Pisa, parente di Paolo II, versatissimo nella lingua orientale (43); Felice Rossi di Troja in Puglia, sommo giureconsulto, di cui abbiamo le aggiunte alle Consuetudini napolitane (44); il suddetto Maranta, scrittore di opere legali; e Girolamo Borgia, anco di Napoli, originario bensì di Valenza, che nel 1678 mise a stampa XX libri di sue ricerche di diritto civile per correggere l'insigne Fabbro (45).
Oltre diversi prelati dei secoli XI a XII, furono benemeriti della loro Chiesa, chi più, chi meno, i vescovi Sigismondo Pappacoda, Tommaso Calvo, Fabrizio Caracciolo, Aloisio Morales, Francesco Figueroa, Lorenzo Ibanez, Gennaro Guglielmini, Felice Paù, e Giovanni Vincenzo Monforte. Pappacoda amò tanto la sposa, che, per vivere in essa, rifiutò la sacra porpora, e morendo dispose di ducati 300 per edificarsi la tribuna della cattedrale. Calvo fece ricco di argenti il duomo; rinnovò il palazzo vescovile aggiungendovi cinque stanze; fondò diversi monti pii, e quattro monasteri di monache, profondendo in queste spese circa duc. 20 mila, e diede ai padri del Gesù duc. 2000 col peso di provvedere la cattedrale di annuo predicatore, e tenere le scuole. Caracciolo eresse la nuova segrestia della cattedrale, fornendo quest'ultima di sacri arredi, e nel 1618 celebrò un sinodo. Morales celebrò un altro sinodo nel 1669, e tra le diverse cose fatte da lui, si contano il campanile del duomo, ed un'ampia vasca nell'orto della mensa. Figueroa tenne anco il suo sinodo nel 1687, e ornò di pitture la cattedrale. Ibanez restaurò l'episcopio, migliorò i fondi della mensa; e spese molte somme per il mantenimento della sua giurisdizione su i vassalli, per lo che ottenne tre cedole imperiali. Guglielmini crebbe di argenti la suppellettile della cattedrale, al cui lato eresse la nuova cappella di S. Domenica, e si adoperò al miglioramento delle chiese diocesane. Paù erogò duc. 5 mila per la edificazione del novello seminario, cui aggregò la badia di S. Angelo; eresse dei casini, crebbe la rendita della mensa, e fece altre cose belle. Monforte finalmente beneficò la sua Chiesa, fondando la cappella dell'arcangelo Raffaele nel duomo, e costruendo di quest'ultimo in marmi la balaustrata del presbitero, il fonte battesimale, ed il pulpito, anco in marmi, non che erigendo una baracca nel borgo. Egli ampliò e provvide di molta suppellettile l'episcopio, ed altre molte più belle cose avrebbe fatto, se non fosse stato traslocato a Nola, dalla quale sede fu trasferito alla metropolitana di Napoli. Di questi sacri pastori, l'Ughelli magnifica il Calvo, dicendolo chiaro giureconsulto, ed illustre per conoscenza di nobili discipline. Fa la stessa lode di Ambrogio Cordova e Giovanni Lozani, appellando di alto sapere e rispetto quello, e sommo teologo questo (46). Anche Paù era adorno di positive conoscenze. Egli dottamente scrisse sulla musica, e grato ai celebri uomini della età sua, non veniva da costoro nominato senza lode (47).
Da ultimo per pietà e beneficenza coi poveri si possono veramente encomiare i vescovi Calvo, Ibanez, Paù e Giovanni Tomasuolo, essendosi distinti più degli altri nel soccorrere gli orfani, le vedove, ed ogni infelice, e mai negando favori (48). Occupa adesso la cattedra episcopale di Tropea mons. Franchini, delle cui esimie qualità abbiamo altrove fatto doveroso encomio (49).
Commendatari della Chiesa di Tropea furono i porporati, Giovanni Domenici fiorentino, e Girolamo Ghinucci senese, illustre il primo per santità e dottrina, chiaro il secondo per le sue legazioni apostoliche, e per eminenti virtù (50). Da vicari apostolici governarono poi, Matteo Samminiato di Lucca, dottore di ambe le leggi, nel pontificato di monsignor Rustici; e Giuseppe Battaglia, dottor di legge e di teologia, a tempi di monsignor Mandina; non che Sebastiano Militino e Ferdinando Cive, persone qualificate, alla morte di monsignor Caracciolo. Melitino eresse nella cattedrale la cappella di S. Domenica, dotandola di duc. 100; e morto a' 16 ottobre 1631, fu seppellito in detta cappella. Si distinse inoltre il vicario capitolare Antonio Pelliccia, governando più volte con saggezza e prudenza, e promuovendo le buone discipline nel seminario (51).
Ma che diremo di fra Marco d'Assisi, minore osservante, che fu vescovo di Tropea? Giovanni Agrosillo, canonico del capitolo, lo accusò di enormi delitti. Espose egli alla santa sede, che fra Marco entrato come ladro dalla finestra nel reggimento della Chiesa vescovile di Cassano, e trascorso in gravi falli, fu destituito per sentenza del legato apostolico Ridolfo. Nondimeno fra Marco, uomo ignorantissimo ed ambizioso, agognò la infula tropeana, e fatto morire di veleno il leggittimo pastore, occupò il vedovato seggio, nè punto era addivenuto migliore. Dato alle dissolutezze, a simonie, ad usure, senza affatto curarsi dell'interdetto comminatogli dalla curia metropolitana di Reggio!... Questo prelato fu ignoto all'Ughelli, ma vi fu: esistono infatti lettere di papa Niccolò III, date in Roma a'15 gennaro, anno 3.° del suo pontificato (1280), dalle quali si desume la terribile denunzia del canonico Agrosillo, e che in veduta della stessa, esso pontefice commise al decano del capitolo di Nicastro, e al guardiano dei frati minori di Monteleone, di citare l'accusato a presentarsi tra cinquanta giorni alla sede apostolica. Non possiamo accertare, se ciò che l'Agrosillo al vescovo addebitava fosse tutto vero, ed anche il sommo pontefice ne dubitava, ragion per la quale voleva sentire l'accusato. Di questo fra Marco d'Assisi null'altro sappiamo con certezza, se non che fu assunto alla cattedra di Cassano nel 1268, e dopo aver disimpegnato dei pontifici incarichi, continuava nel governo della Chiesa cassanese nel 1277; ma nel 1279 e 1280 era, come si è detto, vescovo di Tropea (52).
La cattedrale di Tropea, che il Pacichelli chiama antica e sontuosa (53), è a tre navi, ed ha il fregio di marmi e cappelle. Monsignore Rustici ne consacrò l'altar maggiore, ed il Guglielmini le fece degli accomodi. Conquassata dai tremuoti del 1783, fu rifatta a spese del capitolo e di monsignor Monforte. Nulla ne sappiamo dell'origine. Nel 1094 era sacra alla B. Vergine, e lo è ancora sotto il titolo della Assunzione. Son quivi da notarsi di pregevole la effigie, bruna nel volto, di Maria SS. della Romania, dipinta sopra tavola, ed alcuni marmi rappresentanti la nascita e resurrezione di N. S., ed i santi apostoli Pietro e Paolo. Vuolsi che la prima fosse qui pervenuta dall'Oriente al tempo della eresia degl'iconoclasti (54). Vi è ancora la reliquia di S. Domenica V. e M. donata da mons. Ibanez, la quale consiste in una piccola parte della colonna, ove la santa soffrì il martirio. I tropeani hanno molta divozione per Nostra Signora della Romania, pienamente credendo, che avesse salvato la loro città nelle generali disgrazie, e perciò le celebrano solenne festa. Nè minore divozione essi hanno per S. Domenica, la cui festa è anzi più solenne di ogni altra, trattandosi di onorare la propria concittadina, che vogliono financo tra loro seppellita (55). La seguente iscrizione incisa sul marmo, orna la cappella di S. Domenica: S. Januario episcopo vigilantissimo, martyri incomparabili, regni neapolitani, regnorumque omnium Hispanico imperio subiectorum patrono in coelis potentissimo, Januarius Guglelmino neapolit. civitatis Tropeae episcopus, mox archiepiscopus Tarsensis providentissimus, in S. Dominicae virginis et martyris huiusce civitatis patronae sacello, ex marmore aram excitavit, et ad I colemnae CCL privata ab aliquo ex insigni canonicorum coetu sacrificia Altissimo quotannis offerenda, tabulis in episcopali curia Tropaen, et a pubblico tabellione Joan. Baptista Cimino prid. Kal. septemb. anno CICICCCXLVIII obsignatis  CICCC aureis, summa munificentia dotavit. Muneris et officii memoria ne pereat IV Kal. sept. anni vulgaris aerae CICICCCLVI monumentum positum.
Ad ufiziare il duomo di Tropea vi sono 24 canonici, e altrattanti mansionari, ai quali una volta seguivano 8 semimansionari. Ogni canonico ha la sua prebenda, come del titolo di quest'ultima avea la sua chiesa (56). Dei canonici son dignitari, il decano, l'arcidiacono, il cantore, il tesoriere, l'arciprete, ed il penitenziere, ed evvi nel resto il teologo. Niente si conosce della fondazione del Capitolo. Soltanto si vedevano sottoscritti un Guglielmo cantore, ed altri sette canonici in una bolla data nel maggio 1204 da Riccardo loro vescovo. Sottoscrissero ancora ad un privilegio del 1220 un Simone decano, un Riccardo arcidiacono, e cinque altri canonici (57). Forse il Capitolo era in quei tempi poco numeroso. Al Vescovo e Capitolo apparteneva in patronato una chiesa parrocchiale della città, sacra al principe degli apostoli: la stessa, che poi con orto contiguo, il vescovo ed i canonici donarono ai padri francescani, i quali ai 17 giugno 1296 ebbero pontificia conferma (58). Nel 1607 surse quistione in ordine alla precedenza tra i membri del Capitolo, e la sacra congregazione dei riti, a'17 giugno detto anno, dichiarò che i canonici sacerdoti debbano precedere ai canonici diacono e suddiaconi. Rinnovate le contese nel 1619, la stessa sacra congregazione ai 10 dicembre di quell'anno, dichiarò, che essendo preti tutt'i canonici, essi godano la precedenza, secondo l'epoca di loro ricezione (59). Avea allora sin da'25 gennaro 1603 dichiarato, che il vicario foraneo non gode preminenza nelle processioni e nel coro: goderla bensì nelle congregazioni, che per volere del vescovo si adunavano in ogni mese, nelle quali era egli un delegato dell'Ordinario diocesano (60).
Il Capitolo, a premura di monsignor Ibanez, ottenne da papa Bendetto XIII l'indulto, perchè i suoi membri potessero far uso di rocchetto e delle mozzette rossa, violacea, e nera. I medesimi canonici, pei buoni ufizi di monsignor Paù presso la santa sede, hanno facoltà d'indossare non meno la cappa magna, che d'insignirsi della mitra, come gli abati (61), benchè di tali onorificenze, per quanto ci vien detto, non abbiano mai usato. La rendita del Capitolo, oltre le prebende particolari in circa duc. 3000, somma ad annui duc. 2000 circa, dei quali due parti sono delle dignità e dei canonici, ed una è dei mansionari. All'arcipretura fu congiunto il protopapato, trasferendosele i diritti (62), e l'arciprete si ebbe la cura del borgo sino al 1847, quando il zelantissimo monsignor Franchini affidò una tal cura ad altro sacerdote, che ivi col titolo di parroco ufizia nella chiesa del Rosario, sacra una volta a Nostra Signora della Libertà, e appartenente un tempo ai padri agostiniani scalzi del medesimo borgo. Non è questa però la sola parrocchia, che provvede ai spirituali bisogni di Tropea, essendovene altre quattro; S. Demetrio, cioè, nella chiesa di S. Francesco d'Assisi; S. Giacomo, limitrofa all'abolito monistero della Pietà; S. Caterina, nel già convento dei domenicani, e S. Nicola della Piazza. Queste parrocchie sono antiche, ed hanno la rendita voluta dalle leggi in vigore, ma la origine di esse a noi ignota. Nella giurisdizione di dette parrocchie s'incontrano diverse chiese semplici, delle quali la Neve, ovvero S. Maria di Micalizia, e S. Nicola della Marina, sono prebende di due canonici della cattedrale. Le altre hanno diversi titoli. Non parliamo delle chiese ricettizie distrutte, perchè andremmo troppo per le lunghe.
Presentemente nella città di Tropea sonvi i conventi di S. Francesco d'Assisi, di conventuali, eretto nel 1296, dov'era la chiesa di S. Pietro (63); dell'Annunciazione, di riformati, che nel 1626 succedettero agli osservanti, pei quali il sacro chiostro era stato edificato, col favore dell'augusto Carlo V, sin dal 1531 (64); ed il monastero delle religiose nobili, sotto il titolo di S. Chiara, eretto nel 1261 (65), e provveduto oggi dell'annua rendita di circa duc. 3000. Aggiungasi il collegio del S.S. Redentore, nella cui chiesa in bisogno si esercitano i divini uffizi della cattedrale. Questo collegio, da circa 45 anni è locato sul dismesso del Gesù, che sorgeva sin dai primordi del secolo XVII, e da monsignor Calvo avea ottenuto la chiesa parrocchiale di S. Nicola la Cattolica per funzionare (66). Lo stesso collegio è in forma elegante, ed ha un'annua rendita di duc. 1000. Numerosi ordini religiosi, oltre i cennati, ebbero stanza in Tropea e suo territorio. I primi erano di S. Basilio, il quale occupava i monasteri di S. Angelo sopra la città, e di S. Sergio nel bosco, che tuttavia di questo santo si appella, vicino Drapia, cenobi di antichissima fondazione. Di S. Angelo infatti scrive S. Gregorio Magno a Pietro notaio, commettendogli di soccorrere per conto di lui quei religiosi, mal provveduti di vitto e di vestiario (67); e S. Sergio fu eretto prima del 700. Riedificato quest'ultimo nel 1421 ad uso degli osservanti, cadde in mano dei riformati nel 1587 (68). I basiliani occupavano ancora il cenobio di S. Isidoro, di cui, presso gli scrittori, null'altro si sa, all'infuori del nome (69). Antico non meno era in Tropea l'ordine benedettino, il quale vi avea il monastero di S. Maria dell'Isola entro mare, e quello S. Maria dei Latini dietro le mura della città. Le rendite di questi cenobi, all'epoca del Fiore, si percepivano dai monaci di Monte-Cassino (70), ai quali Innocenzo III nel 1208 avea confermato la chiesa di S. Maria (dell'Isola o dei Latini) di Tropea (71). Essendo badia il santuario di nostra Signora dei Latini, nel passato secolo conservava miracolosa immagine di sua titolare (72); ma oggi non è più, e i detti padri hanno soltanto la chiesa della Madonna dell'Isola. Si stabilirono poi in Tropea gli agostiniani e i domenicani in epoche a noi ignote, ed i paolini occuparono il convento della B. V. dell'Ajuto nel 1534; i carmelitani quello del Carmine, nel 1580; e i cappuccini l'altro della Sanità, nel 1590. Le monache chiariste anch'esse presero stanza nei monasteri di S. Domenica nel 1612, e di S. Maria della Pietà nel 1639, e nel 1738 fu aperto un conservatorio di donne pentite (73). Di taluni conventi esistono le chiese, delle quali quella del patriarca di Paola è di bellissima forma, ed appartiene a privati, e l'altra della Presentazione fa parte del regio ospedale. I cenobi si sciolsero nel 1783, epoca memoranda per Tropea e Calabria (74), ed allora Porzia Carbonaro soffrì la perdita dei duc. 15 mila di lei spesi per la fondazione del monastero della Pietà.
Esistono nei propri oratori le confraternite del Santissimo, dietro la cattedrale; di S. Giuseppe, nel luogo un dì dei frati di S. Domenico; di S. Anna, dove stanno i padri del Redentore; e S. Nicola, dei nobili, ai medesimi padri. Rivengonsi inoltre le confraternite di S. Michele Arcangelo nella chiesa curata del borgo, e della Maddalena nella chiesa di S. Elia profeta, un tempo dei carmelitani. Ve n'era un'altra sul fine del decorso secolo (75). Esiste, come si è detto, un regio ospedale, ed esiste pur anco il monte di Pietà, eretto da monsignor Calvo. Ma il più lodevole stabilimento è il seminario sotto la dipendenza del vescovo. Ignoriamo chi fondato avesse l'antico: il nuovo, lo ripetiamo, è opera di monsignor Paù, che addì 26 gennaio 1752 ne gittava le fondamenta, e con molta solennità lo apriva ai 7 giugno 1756, facendo sinanco celebrare nel duomo un'accademia. Egli l'ornò di un marmo, che tuttavia offre la seguente iscrizione: Aaedes pro adolescentibus ad pietatem ac littaras instituendis, angustas antehac, squalentesque a templo maximo remotas, alumnisque desertissimas, Felix Pauvius domo Terlicio, ex priscis Butuntinis patriciis, quatuor annorum intervallo, egregiis cuiuscumque disciplinae, praeceptoribus conquisitis, aptissimo loci situ, plena elegantique arte, maximam partem pecunia sua extruendas curavit an. MDCCLV. sui pontificatus an, V.
Paù non solo unì al seminario la badia di S. Angelo per accrescergli le rendite, ma gli aggregò ancora il beneficio dell'Annunciata eretto in Belmonte, ed un legato di annui duc. 40 lasciato da un nocerino, ammettendo per quest'ultimo un individuo di Nocera, gratis, al seminario (76). Ridotto sì bello istituto in umile stato per le vicende del tempo, mons. Franchini si studiò di renderlo in forma elegante, e fu subito fatta ragione al merito dell'insigne prelato, innalzandosi un marmo con questa iscrizione: D. O. M. Gymnasium hocce, temporum injuria fractum et quasi labens, Michael Angelus Franchini patricius picentinus, perillustris Nicot. et Tropien Episcopus, in sollicitudinibus episcopalibus explendis nemini antistitum secundus, summa cura ac studio ad hanc elegantiorem formam reduxit, ampliavitque an. rep. sal. MDCCCXLIV.
Il seminario adunque è amplo, e mercè le assidue cure del Franchini, è pure ben messo. D'ordinario contiene 60 convittori, ciascuno dei quali paga annui duc. 36 se diocesano, e 48 se di aliena diocesi; ed oltre questa rendita, l'istituto ha l'annuo introito di circa duc. mille da beni stabili e censi. Colà s'insegnano varie lingue, la filosofia e la teologia, ed egregi sono gl'istitutori, per cui la gioventù ricava molto profitto, così nelle lettere e scienze, come nella cristiana morale.
Nè meno amplo e decente è l'episcopio, il quale ha comunicazione col seminario e col duomo. Essendo un edifizio antico, minacciò rovina sotto diversi vescovi, i quali, come si è detto, furono sollecitati ad instaurarlo. Quel che abbia fatto Paù si rileva da un marmo, messo sulla porta d'ingresso, colla seguente iscrizione: Pontificiam hanc donum, nulla dignitate spectabilem, deformam atque aevitate collabentem, Felix de Paù praesul, non paucis aedibus adiectis honesta supellectile decoris, sacello, atque eximio scalarum opere, de suo instauravit, exornavitve A. R. S. MDCCLIX. p. VIII.
I tremuoti del 1783 non lasciarono immune l'episcopio, di cui è parola. Monsignor Monforte quindi adempì le veci di ottimo pastore, come si ha da altro marmo eretto nella sala, la cui scritta riferiamo: D.O.M. Aedes olim hospitandis praesulibus opportunas, furentibus terrae motibus fatiscentes, Joannes Vincentius Monfortius e dynastis Lauretis, Tropiensis antistes, huc illuc in vitae discrimine diversari indignatus, ultro restituit, auxit magnificentius, et ne quos diu foverat pastores paries perderet ruinis, decussalis consutisque circum trabibus immitis electri impetum substinentibus, firmavit, munivit, perennavit, suique pontificii nondum expleto novennio adhuc sub ascia primus incoluit. Anno MDCCXCV.
Grazie al non mai lodato abbastanza monsignor Franchini, oggi l'episcopio è ornato di tutto il decoroso e bello, e la seguente iscrizione che, incisa sul marmo devesi apporre, l'ornerà maggiormente: Hanc episcopalem aedem, jam varia temporum offensione labefactam, et Michaelis Angeli Franchini, Picentini patricii, Nicoterensis Tropiensisque episcopi aere ad pristinam suam elegantiam restitutam, ac decenti supellectile exornatam, Ferdinandus Hutriusque Siciliae rex pientissimus in calabra lustratione suo aspectatissimo adventu fecit spectabiliorem X Kal. maji. an. MDCCCXXXIII. Idem praesul, ut tanti successus memoria perennaret, hoc monumentum p.
Dal clero di Tropea sursero uomini distinti. Ascesero infatti le vescovili sedi di Nicastro, Nicola Tropeano nel 1344; di Oppido, Giovanni Malatacca nel 1394; di Pozzuoli, Matteo Griscono nel 1454; e di Policastro, Giacomo Lancellotti nel 1438. Emulando le virtù di costoro divennero vescovi di Martorano, Goffredo di Castro nel 1442; di Lesina, Francesco Nomicisio verso il 1500; di Satriano, Marco Lauro nel 1560; e di Oppido, Teofilo Galluppi nel 1561. Furono parimenti decorati della mitra di Belcastro, Antonio Lauro nel 1599; e di Bitetto, Gaspare Toraldo nel 1669 (77). Marco Lauro e Teofilo Galluppi intervennero al concilio di Trento, ove il primo egregiamente disputò; nè fu men dotto Bernardino Lauro di molto onore all'ordine domenicano cui apparteneva (78). Tutti poi sorpassò nella virtù e nel merito Vincenzo Lauro, fratello del cennato monsignore Marco, filosofo, medico, e teologo insigne, che nel 1583 da vescovo di Mondovì nel Piemonte, ascese al cardinalato: fu assai accetto ai pontefici del suo tempo, e in diversi conclavi ebbe gran copia di voti per essere papa. Fu anco legato apostolico in Polonia; e giunto in celebrità, terminava i giorni suoi a Roma nel 1592 (79). Inoltre si distinsero i tropeani Ottavio Glorizio e Giovan Battista Puntorieri, ambi canonici della cattedrale, e scrittori di opere, dei quali il primo nel 1596 ascese la cattedra di sacri canoni in Messina (80). A costoro fece seguito Antonio Barone della compagnia di Gesù, che scrisse e nel 1692 pose a stampa la vita di S. Domenica sua concittadina (81); e nel passato secolo fiorirono Tommaso e Saverio Polito, canonici decani del Capitolo, e letterati di merito (82). Alfonso Manco, avendo preso l'abito dei chierici regolari minori, divenne generale del suo Ordine, e nel 1632 stampò un libricino per istruzione del maestro dei novizi (83); Teofilo, religioso domenicano, fu insigne teologo, assai accetto a Paolo IV, che lo fece commissario di S. Inquisizione (84); ed Egidio Cordova, laico cappuccino, fratello di Diego che disimpegnò dei vicariati apostolici, morì da vero servo di Dio (85). Tutti costoro avea preceduto il frate minore Giovanni, il di cui corpo, come di un santo, riposava nel monastero di S. Maria dell'Aiuto (86). Emuli finalmente degli scienziati e virtuosi loro concittadini, furono, il padre maestro Crescenti, terminando il secolo XVIII, che in elegante verso latino scrisse quattro libri su i fasti della sua patria (87), e il padre Michele Melograni, versatissimo in filosofia e teologia, che per più anni lesse nel ven. seminario di Nicotera, generale dei minimi nel corrente secolo. Non parliamo dei concittadini e vescovi Giovanni, Teodoro I e II, Stefano, Kalochirio, e Iustego (88), e tralasciamo pur anco i cavalieri del sacro militar ordine gerosolimitano, volendo esseri brevi (89).
La diocesi superiore di Tropea è composta da cinque comuni, situati a non molta distanza dalla città in clima ove più, ove meno salubre, e tra campi fertili di vettovaglie, vini, lini, e altre derrate. I ventitre paesi, dai quali detti comuni si formano, fecero con Tropea una sola amministrazione, godendo con quella il regio demanio, e non si separarono, che ai principi del corrente secolo, restando aggregati al circondario dell'antica loro capitale. I comuni sono:
1.Parghelia.-Sul lido del mare, a due miglia da Tropea. Si distingue per incivilmento e commercio, ed è senza dubbio il miglior luogo della diocesi superiore, essendo quasi tutti gli altri comuni mancanti di persone civili ed istruite. Il popolo di Parghelia ascende a 2260 anime, mentre nel 1783 non oltrepassava il numero di 1533, ed era di circa 2000 nel 1794. La parrocchia è intitolata a S. Andrea apostolo, e le chiese soccorsali, a S. Maria, detta di Portosalvo, a S. Antonio, al Santissimo, ed a S. Anna. Vi ha inoltre la confraternita del SS., e un monte di pietà. Parghelia fu patria di Annibale Pietropaolo e di Silvestro Stanà, vescovi, uno di Castellammare nel 1684, e l'altro di Minori nel 1722 (90). Vi ebbero i natali il P. Gregorio, riformato, che fu provinciale nel 1681, e guardiano poi in Gerusalemme (91); l'abate Ierocades, letterato sommo, filosofo e poeta; e Antonio Melograni, dottore di ambe le leggi, vicario generale e poi capitolare di Tropea, una volta giudice delle cause matrimoniali nella curia arcivescovile di Napoli. -A questo comune appartengono i villaggi, Zaccanopoli, Fitili e Alafito. Zaccanopoli, numeroso di 1455 anime, ha due chiese, una parrocchiale, sacra alla Vergine della Neva, e un'altra semplice, dedicata parimente a Maria. Esso villaggio dette la culla a Mansueto, religioso di S. Francesco di Paola, che visse e morì da santo (92), ed a Paolo Collia, teologo del cardinale Althan, vicerè del regno, e vescovo quindi di Larino, poi di Nicotera (93). Fitili, di 267 anime, serba la chiesa parrocchiale di S. Girolamo; Alafito ha la parrocchia sacra all'Immacolata. Quest'ultimo villaggio, il cui popolo componesi di circa 40 individui, rammenta con onore il suo paesano Paolo, che fu provinciale dei riformati nel 1707 e nel 1716 (94).
2.Zambrone.-Sorge a destra di Parghelia, da cui è lontano 4 miglia. Si vede su di un piano inclinato, che nei suoi confini forma il capo, che Isacco, o più tosto Giovanni Tzetze, avrebbe detto ipponiate (95), ed oggi si appella di Zambrone. Gli abitanti erano 588 nel 1783, e 637 nel 1816. Ora sono 633. Essi godono il patrocinio di S. Carlo Borromeo, cui è dedicata la chiesa parrocchiale. Inoltre hanno la confraternita della Natività di Maria in chiesa semplice del medesimo titolo. -Sono villaggi di Zambrone, S. Giovanni, che offre ai suoi 186 naturali la chiesa curata di S. Marina vergine; Daffinà, che venera S. Nicodemo, divoto a S. Nicola vescovo, titolare di sua parrocchia. Questi due ultimi villaggi compongonsi di 482 anime, 380 a Daffinà, e 102 a Daffinacello.
3.Drapia.-Posto a 3 miglia da Zambrone, e ad un miglio da Tropea, aveva un popolo di 566 nel 1783, e di 826 nel 1816, ma adesso lo ha di 1077. La chiesa parrocchiale è sacra all'Immacolata, ed evvi la confraternita di S. Michele arcangelo in chiesa semplice. Sono riuniti a Drapia i villaggi, Gasponi di 480 anime, Caria di 600, e Brattirò di 478. Vi sono poi le cure, di S. Acindino martire a Gasponi, del Salvatore a Caria, e di S. Pietro apostolo a Brattirò. Caria inoltre ha la chiesa semplice di S. Nicola vescovo di Mira, e la confraternita del Santissimo; ed anco in Brattirò evvi una chiesa semplice dedicata a S. Anna.
4.Ricadi.-Popolato di 510 anime nel 1783, e di 397 oggi, s'innalza infra al promontorio Vaticano, così detto da Solino e Plinio, dove nel 1278 Raone Giffone possedeva uomini a titolo feudale (96), ed ove fu un convento dell'ordine di N. D. del Carmelo, soppresso nel 1653 (97). Ricadi vede il mare, e dista 7 miglia da Tropea. Si distingue per le chiese curate di S. Pietro apostolo, e di S. Zaccheria, per la confraternita del Santissimo, e per avere a 2 miglia una chiesa semplice (patronato oggi del capitolo tropeano), sacra a N. D. di Galilea, in cui onore, ogni lunedì dopo Pasqua, celebra divotamente la festa.-Sono villaggi di Ricadi, Brivadi di 310, Ciaramiti di 110, Orsigliadi di 156, S. Niccolò di 192, Lampazzoni di 227, Barbalaconi di 123, e S. Domenica di 651 abitanti -Brivadi ha la chiesa parrocchiale di S. Biagio, Ciaramiti quella di S. Paolo, e Orsigliadi l'altra di S. Martino. Il villaggio S. Niccolò ha la parrocchia intitolata al santo del suo nome; lo stesso quello di S. Domenica: l'altra di Lampazzoni è dedicata a S. Michele, e quella di Barbalaconi a S. Lucia.
Vi sono pure le chiese semplici di S. Anna a Ciaramiti e a S. Domenica, e le confraternite del Rosario a Brivadi, e della Grazia a S. Niccolò. Di questi villaggi il solo Orsigliadi va declinando. S. Domenica, ad avviso del Barrio, è antico, benchè non se ne sappia il primiero suo nome. La sua paesana S. Domenica fiorì ai tempi dell'imperatore Diocleziano, quando, per non aver voluto sacrificare agli idoli, soffrì il martirio nella Campania, ove si trovava (98). Fu anco del villaggio S. Domenica un padre domenicano per nome Arcangelo, chiaro per santità e per dottrina (99).
5.Spilinga.-Sorge tra due valli a 6 miglia da Ricadi e ad altrettanti da Tropea, ed in se racchiude 1429 fedeli (712 nel 1783). La chiesa parrocchiale è intitolata a S. Giovan Battista, e l'oratorio della confraternita delle anime purganti, è sacro a S. Michele arcangelo. Mancano le chiese semplici di S. Caterina e di S. Francesco, le cui rendite appartengono al parroco, e va a riaprirsi la chiesetta del beneficio del Gesù. Sono villaggi di Spilinga Panajia e Carciadi, dei quali il primo ha 99, e il secondo 376 abitanti. Le parrocchie di questi villaggi sono di S. Giuseppe a Panajia, e della Presentazione a Carciadi. Panajia ha una chiesa semplice con immagine, un tempo miracolosa, di S. Maria di Centofiori, comunemente detta di Centoferri (100).
Il Barrio, seguito da Marafioti e dal Fiore, colloca tra Spilinga e Carciadi il villaggio Condorchinone (meglio Cordocchidoni) di Tropea, che non più esiste, come non esiste S. Nicodemo, altro villaggio, che il detto Fiore situa in diocesi della stessa Tropea (101). Ritratti a Spilinga, come a luogo vicinissimo e popolato, i pochi abitanti di Cordocchidoni, la chiesa curata del dismesso villaggio, che portava il titolo di S. Nicola, cadde in abbandono; e distrutta nel 1783, le sue rendite furono incorporate alla parrocchia di Spilinga.
Oltre il circondario di Tropea, fan parte della diocesi superiore i villaggi Coccorino e Coccorinello, posti a sinistra di Ricadi, in pochi passi di stanza tra loro, e a 12 miglia da Tropea. Formando un solo paese, nel 1344 costituivano da per loro un feudo (102), ed oggi son riuniti al comune di Ioppolo in circondario di Nicotera. Vuolsi, che questi due paesi fossero stati sottoposti ad un archimandrita, che la tradizione situa nel detto Ioppolo, riferendo la loro aggregazione alla diocesi di Tropea all'epoca, in cui Ioppolo fu tolto l'archimandrita. Il popolo di Coccorino e Coccorinello, giunto a 934 anime nel 1810, somma adesso a 815. La chiesa parrocchiale sta a Coccorino, ed è intitolata a S. Mercurio: le chiese semplici sono della Immacolata colla confraternita a Coccorinello, e del Rosario a Coccorino.
L'Ughelli, che scrivea dei vescovi tropeani a'tempi di monsignor Maranta, segnava a Tropea 4 chiese curate, 11 monasteri, 8 cioè di uomini, e 3 di donne, uno spedale, un monte di pietà, un seminario, e 4 confraternite di laici. Segnava poi in diocesi superiore 24 chiese parrocchiali in altrettanti villaggi, collocandone 12 verso Capo Zambrone, e 12 altre alla parte di Capo Vaticano. Diceva finalmente, che vi erano stati 3104 fuochi in città, e 3 mila anime vi erano in diocesi superiore; ma coi primi esser doveano comprese le seconde. Nel cadente anno 1848 si noverano, tra la città e la diocesi superiore, 30 chiese curate con altrettanti parrocchi, inclusi gli arcipreti, 27 chiese semplici, 4 monasteri, 15 confraternite, 2 monti di pietà, un seminario, un regio ospedale, e un popolo di 19,453, partito in 6 comuni e 20 villaggi. Dieciotto sono i sacerdoti beneficiati, 30 i preti semplici, 13 gli ordinati in sacris, e 21 i minoristi.


Disegno dell'Ing. Pietro Loiacono della fiancata esterna sinistra della Cattedrale di Tropea con parte dell'Episcopio prima dei lavori di restauro 1927 - 1931.
La sagoma della Cattedrale appare più lunga di quella di adesso. In particolare, la parte dell'abside invadeva quasi per intero l'attuale villetta del vescovado.
 

PARTE II

Diocesi inferiore

Di questa parte della diocesi tropeana è luogo principale Amantea, città del distretto di Paola, in provincia di Calabria citra, e sieguono poi i circondari di Aiello e Fiumefreddo nel medesimo distretto, e il circondario di Nocera in distretto di Nicastro, provincia di Calabria ulteriore 2.a. Capoluogo di circondario, avente un popolo di 2900 all'epoca di Ughelli, di 2177 nel 1794, e di 3550 adesso, Amantea sorge tra i promontori Lino e Tillesio, oggi Verre e Corica (103), sopra roccia di viva pietra, alla falda meridionale di un colle, ed a fronte delle isole di Lipari: è bagnata dal mare tirreno, e si nudre di aria temperata. Essa fu cinta di mura con due porte d'ingresso, e munita di forte castello; ma nel 1806, non avendo ceduto alle armi della Francia, soffrì un terribile assedio, e la distruzione di ogni mezzo di sua guardia e difesa (104). Questa città abbonda di purissimo olio, di vini generosi, gelsi per seta ed agrumi, nè è scarsa di vettovaglie. Dista miglia 70 da Tropea, 12 da Paola, e 16 da Cosenza. La stessa è decorata di nobili famiglie, che nei decorsi tempi si adunavano nel portico di S. Basile, senza aver mai riconosciuto barone, e convoca un forte mercato in ogni domencica, con celebre fiera dalla seconda alla terza domenica di ottobre. Amantea fu presa da alcuni per l'antica Napezia (105), e da altri per Clampezia (106), due cospicue città dei loro tempi. Napezia infatti fu municipio dei romani (107), e secondo Antioco Siracusano, diede il nome ad un tratto di mare (108). Secondo poi un marmo dell'anno centoundici, i napetini cogl'ipponiati, coi mamertini, e con altri popoli brezi, concorsero nelle spese per la costruzione della via traiana, che passava per i detti brezi e per i salentini (109). Clampezia poi (la stessa che Lamezia di Polibio e di Stefano, e Dampezia di Livio) nella seconda guerra punica si ribellò ad Annibale, dandosi al console Gn. Servilio, che si trovava coll'esercito nei brezi, ed era distrutta ai tempi di Plinio, che ne ricordò il luogo (110). Ma archeologi sagaci hanno osservato, che Napezia corrisponde all'attuale Pizzo (111), il cui mare, posto al di qua del golfo di S. Eufemia, è senza dubbio il napetino di Antioco; e noi fortemente dubitiamo, se Clampezia possa locarsi in Amentea, ritrovandola segnata nella tavola del Peutingero a 10 miglia da Tempsa, e 11 da Cerilli, distanze, che invece di sciorre, confermano i nostri dubbi. Pare quindi doversi reputare Amantea per una città, antica sì, ma di origine sconosciuta.
Amantea fu sede vescovile, benchè non se ne sappia lo istitutore, come ignorarsi il principio del cristianesimo tra gli amanteani. Vi è chi crede eretta nel IX secolo la cennata sede. Noi la troviamo compresa nei vescovati di Calabria sottoposti al metropolitano di Reggio, che dal patriarca di Costantinopoli ricevea l'ordinazione (112), e sentiamo ricordare come a suoi vescovi i beati Gregorio e Giosuè, il secondo dei quali era sepolto nella chiesa di S. Bernardino (113). Occupata dagli arabi, che vi si trapiantarono nel secolo IX, snidando ben tardi (114), Amantea non potè conservare la sua cattedra. Abbattuta questa dai saraceni, non avea esistenza, quando i normanni restituirono la Calabria e la Puglia alla ubbidienza dell'apostolica sede, ed il duca Ruggiero aggregò la vedovata chiesa a quella di Tropea (115). Risorse quindi la città, divenendo forte per terra e per mare; crebbe di popolo; fu onorata della presenza di papa Callisto II (116); si distinse per fedele attaccamento al principe, che l'arricchì di privilegi (117); ma non riebbe la sede vescovile. Il solo Sigismondo Pappacoda, sul fine del secolo XV, fu ordinato per vescovo di Tropea ed Amantea, come di due Chiese vescovili tra loro unite (118); e nel 1633 gli amanteani, insistendo appo la sede apostolica per riavere l'antico loro vescovo, ottennero, che innanzi all'arcidiacono di Nicastro Pietro Nicotera, e al professore di teologia padre Diomede Ottense, producessero documenti e testimoni in sostegno del loro assunto. Essi presentarono la cronaca delle Tre Taverne, e fecero udire molti testimoni (119). L'una e gli altri facevan fede della esistenza del vescovado nei tempi antichi; ma accortisi forse, che la cronaca era un ammasso d'imposture, come la chiamò poi il dotto Morisani (120), e che la sola tradizione non avrebbe potuto giuridicamente stabilire un fatto di così vecchia data, tacquero. Si sarebbero meglio avvisati, se si avessero fatto scudo della Diatiposi, cioè della sovrana sanziona delle sedi episcopali sottoposte al patriarca di Costantinopoli, nella quale evvi l'amanteana sotto la metropoli di Reggio.
Mente poi Giuseppe Amato, scrivendo, che a suoi tempi la diocesi, di cui trattiamo, serbava i diritti di vescovado, governandosi per mezzo di un suo vicario capitolare, diverso da quello di Tropea (121). Si governava bensì da un peculiare vicario, nominato dal vescovo di Tropea, che gli conferiva diverse facoltà; e vacando la sede tropeana, il vicario capitolare di Tropea nominava con facoltà limitate un provicario per Amantea, senza, che il vescovo, o il vicario capitolare, avesse avuto obbligo di farlo (122).
Anche oggi evvi in questa parte della diocesi tropeana, un luogotenente generale, che rilascia gli attestati per dispense di matrimoni, e verifica poi le dette dispense. Egli per lo più risiede in Amantea; è informato dell'occorrente da diversi vicari foranei, e corrisponde col vescovo, da cui ripete la sua elezione ed i suoi poteri. E rieletto, o confermato dal vicario capitolare di Tropea nelle vacanze della sede (123).
Manca in Amantea un Capitolo di canonici. Vi si trovano solo l'arcipretura curata di S. Biagio, e le non menoantiche parrocchie di S. Pietro apostolo, di S. Elia profeta, e di S. Maria della Pinta, detta pure Campana. Queste nel loro gremio racchiudono molte chiese semplici, di patronato nelle più dei nobili, delle quali undici sono sacre alla B. V. di diverso titolo, due si appellano di S. Anna, due altre di S. Antonio, e una di S. Alfonso. Vi sono le confraternite, di Maria dei sette dolori, dell'Immacolata e del Rosario. Ad Amantea presero stanza gli agostiniani, i conventuali, ed i claustrali del terz'ordine di S. Francesco in tempi antichi; gli osservanti nel 1436; i cappuccini nel 1607; i cherici regolari nel 1618, e le monache nobili di S. Chara nel 1603 (124). L'Amato vi aggiugne il convento di S. Francesco di Paola di minimi, e quello di S. Francesco d'Assisi di monache di stretta osservanza, un ospizio di cappuccini, e l'ospedale di S. Maria della Misericordia, esente, per breve di papa Sisto V, dalla visita episcopale (125). Andata via la maggior parte degli ordini religiosi, nel 1795 vi erano soltanto i cappuccini, i conventuali, gli osservanti, e le chiariste (126), e questi dal 1807 al 1811 furono anco dismessi. La città quindi è priva di ordini regolari, e la chiesa di S. Bernardino, che apparteneva agli osservanti, dipende ora dal vescovo.
Degli amanteani, oltre i mentovati Giosuè e Gregorio vescovi del luogo, ascesero le cattedre espiscopali di Tropea, Francesco nel 1344; di S. Marco, Aloisio Amato nel 1514; di Stabia, Antonio Lauro nel 1562; e di Caserta, Bonaventura Cavallo nel 1669 (127). Di costoro, Francesco, come altrove dicemmo, fu ambasciatore della regina Giovanna I al re di Ungheria, e mons. Amato intervenne al concilio lateranese V (128). Antonio Lauro esercitò la carica di cappellano maggiore del regno (129), e Bonaventura Cavallo fu commissario generale dei riformati, tra i quali fiorì per costume evangelico, e per vasto sapere (130). Inoltre si rese chiaro per santità il B. Antonio Scocetto, contemporaneo di S. Francesco di Paola (131), e non ottenne l'ultimo luogo tra i riformati un Lodovico, tre volte provinciale, cioè nel 1529, 1552, e 1547 (132). Michele Baldacchino poi, ed Alfonso Amato furono cavalieri del sacro militare ordine di Malta (133).
San Pietro, Belmonte, e Laghitello sono tre paesi del circondario di Amantea in diocesi inferiori. -S. Pietro, con buoni fabbricati, si offre in luogo piano, a circa 3 miglia da Amantea, di cui, a'tempi del Barrio, era contrada. Cresciuto di popolo, contando oggi 1200 abitatori, sorge a comune. La sua parrocchia è sacra a S. Bartolomeo apostolo, e la chiesa della confraternita a Maria della Grazia. Quivi nacquero Serafino Policicchio, vicario generale delle diocesi di Aquino e Pontecorvo, consultore generale del cenobio di Monte-Cassino, autore d'Istituzioni pratiche forensi ad uso di curia spirituale; e Francesco Sav. Sesti, arciprete del luogo, protonotario apostolico, e vicario generale in Nicotera e Tropea. -Belmonte, così detto dal suo amenissimo sito, è vicino al Capo e fiume Verre, a due miglia da Amantea, e altrettanti circa dal mare. Giovanna I. lo infeudò a Guglielmo Sacchi verso il 1360, ed il re Filippo III lo diede in principato ai Ravaschiera nel 1619 (134). Feudo di 3042 abitanti nel 1794, è comune oggi di 3800 amministrati, avente la Chiesa parrocchiale dell'Assunta, e le confraternite del Sagramento e della Concezione. Prima dell'ultima occupazione militare eravi un convento di carmelitani intitolato a S. Maria del Carmine, eretto nel 1577, e quello di S. Giuseppe di cappuccini, edificato nel 1611 (135). Furono di Belmonte, Antonio Barone, filosofo, giureconsulto, e teologo chiarissimo; Felice, laico cappuccino di santa vita; e Lodovico, sacerdote dell'istesso abito, che fu provinciale nel 1729 (136). -Laghitello poi villaggio di Aiello una volta, ed oggi di comune, appartenente alla diocesi di Cosenza, è posto in una pianura, dove l'aria è cattiva, alla falda del bosco Caredo, ed a 4 miglia da Amantea, ed altrettanti dal mare. Col nome di Motta di Lago, fu infeudato a Francesco Siscar dal re Ferdinando I d'Aragona. Il suo popolo, tutto volgare, ma industrioso, ascendeva a 950 nel 1794; ma ora è cresciuto a 1100; e benchè disperso per quelle campagne, si convoca spesso nella chiesa parrocchiale della Grazia. Il villaggio è quasi diruto.
Di circondari appartenenti alla diocesi inferiore di Tropea, abbiamo, come si è detto:
1.Aiello -composto dai comuni, Serra, Terati, e Pietramala, di cui è villaggio Savuto. -Aiello è posto sopra una roccia di viva pietra, dove l'aria è salubre, a miglia 4 dal promontorio Tillesio, oggi Corica, 3 dal mare, e 8 da Amantea. Tillesio (monte) è ricordato da Licofrone, e, sulla autorità di lui, da Stefano di Bisanzio (136); ma nè l'uno, nè l'altro pone colà un paese di tal nome, come fa Isacco, ovvero Gio. Tzetze (137). E' fuori dubbio che Aiello nel medio evo era forte, apprendendosi dal Malaterra, che nel 1065 Roberto Guiscardo lo assediò per quattro mesi, e lo ebbe quindi colla pace (138). Non pertanto questo comune non salì mai a vescovato, come ideava l'autore della falsa cronaca delle Tre Taverne. Aiello, sino al cominciare del corrente secolo, era chiuso di mura con quattro porte d'ingresso, le quali ancora sussistono, ed avea a sua difesa dei baluardi ed un castello. Esso divenne ducato dei Cibo nel 1605 (139), e ultimamente i Tocchi lo tenevano in feudo per la sovrana casa d'Este. Avea un popolo di 1860 individui ai tempi di Ughelli, e di 2969 nel 1794; ma adesso lo ha di 3800 con famiglie nobili e civili. La sua chiesa matrice di S. Maria Maggiore è retta da un arciprete curato, e da due parrochi; e tre altri parrochi uffiziano nelle chiese, parimenti curate, di S. Giuliano e di S. Nicola di Bari. Vi si contano diverse chiese semplici, delle quali tre sono dedicate alla B. V. sotto i titoli della Concezione, del Rosario, e dei Settedolori; e a tre ascendono le confraternite, Immacolata, Sagramento e Rosario. Ivi sin dall'anno 1667 si venera la reliquia di S. Geniale martire, specialissimo protettore del luogo, a cui onore si celebra l'annua festa con molto concorso di popolo (140). Nelle pertinenze di Aiello il monastero della Trinità di Mileto avea le chiese di S. Filippo, di S. Maria di Ponticello, di S. Lorenzo, e di S. Ippolito: le stesse, che nel 1150 papa Eugenio II confermò a Roberto, abate di detto monastero (141). Ad Aiello poi furono eretti il convento di S. Francesco di osservanti, nel 1450; ed il monastero S. Giacomo di chiariste nel 1615. Nel primo di essi riposava il corpo del B. Martino da Bisignano (142). Disciolti questi sacri consessi dal 1808 al 1811, son rimasti quattro monti di pietà a dotare le zitelle povere. Dal clero di Aiello uscirono Giuseppe Lavalle, Filippo Amato, e Giuseppe Maruca, ad occupare, il primo, il vicariato generale della diocesi di S. Severina, ove morì, il secondo la vescovile sede di Umbriatico nel 1751, e il terzo quella di Vieste nel 1764 (143). Anco di Aiello furono i riformati, Francesco, che cessò di vivere santamente nell'isola di Cipro, ove predicava, e Giacomo, provinciale nel 1652 (144). Si distinse inoltre, per profonda cognizione dell'ebraico e del latino, Mario Malta, dottor di legge, aiutante di studio dell'eminentiss. Alessandro Aldobrandini, e segretario di cifra della nunziatura di Spagna (145).
Serra e Terrati facevano parte del contado di Aiello nel 1463, in cui detto contado divenne signoria dei Siscar (146), e lo fecero ancora sino ai primi anni del corrente secolo. Il Barrio infatti chiama vichi di Aiello, Serra e Terrati. Di essi il primo ha 780, e il secondo 1100 abitatori. L'uno e l'altro occupano siti piani, e distano miglia 2 da Aiello, 3 dal mare, e 8 da Amantea. Serra si offre sul dorso di un piccolo colle, ed è decorato della chiesa parrocchiale di S. Martino vescovo, e delle chiese semplici dell'Immacolata e del Carmine. Terrati poi contiene un popolo meschino, che abita umili fabbricati. La sua chiesa parrocchiale è di S. Marina vergine, e le chiese semplici sono della Immacolata e di S. Lucia, nella prima delle quali esisteva una confraternita. Terrati fu patria di Giuseppe Polimeni, laico cappuccino di santa vita (147).
Pietramala s'innalza sopra una rocca a pendio, a 3 miglia dal mare, e 5 da Amantea. Il suo territorio sarebbe fertile; ma gli abitatori, benchè 1164 nel 1794, 1300 adesso, non ne traggono profitto, a causa di loro indengenza. Il Barrio crede essere stata quivi l'antica Cleta, edifizio di Cleta nutrice della regina Pantasilea, ad avviso di Licofrone; ma la sua opinione non ha fondamento. Pietramala era feudo dei Guinsac nel 1314 (148); lo fu poi dei Sersali (149), e posteriormente iva col ducato di Aiello. Ha le chiese dell'Assunta, parrocchiale, e le semplici della B. V. del Rosario, e della Consolazione, ed ha pure la confraternita del Rosario. Prima del 1809 aveva il monistero di S. Francesco di conventuali. Pietramala fu presa dai turchi verso il 1555, ed allora si distinse Pietro Massa, sacerdote del luogo, che cercò di salvare la santa pisside, prendendo con quella la fuga; ma arrivato dai maomettani, soffrì il martirio (150).
Savuto poi sta sopra un colle, e dista miglia 5 dal mare, e 8 da Amantea. Apparteneva in feudo ai Sersali ai tempi del re Carlo I (151), ed era baronia di Lepiane all'epoca di Aceti e di Sacco. Savuto figura adesso da villaggio di 498 abitanti nella maggior parte bisognosi, e nel 1794 il suo popolo arrivava appena a 348. La parrocchia è sacra all'Assunta, e le chiese filiali sono: Rosario, S. M. della Neve, S. Tommaso d'Aquino, S. M. del Carmine, e S. Maria del Soccorso.
2.Fiumefreddo - cui van compresi i comuni Longobardi e Falconara, non che il villaggio di Fiumefreddo per nome Sambiase. -Fiumefreddo sorge alla sommità della marina, quasi alle falde del celebre monte Cocuzzo, e gode di perfettissimo orizzonte, colla vista del mare, che gli è lontano circa un miglio. Dista poi da Amantea otto miglia, e i suoi 3000 abitatori sono commercanti. Ascendevano questi a 1300 all'epoca dell'Ughelli, e a circa 1900 nel 1816. Secondo l'Aceti, Fiumefreddo appartenne a Tertullo, padre di S. Placido, che fu martirizzato nel 536, e da Tertullo passò al monastero di Subiaco in Campagna di Roma. Simone Manistra lo possedeva nel 1201; gli Sclavelli lo acquistarono nel 1296 (152); ed ultimamente lo aveano in marchesato gli Alarcon Mendoza. Munito di antico e forte castello, e chiuso di mura con quattro porte d'ingresso, Fiumefreddo era un distinto paese (153). Quanto allo spirituale è governato da un arciprete e due parrochi, che funzionano nella chiesa curata di S. Maria, e nella loro giurisdizione comprendono undici chiese, esenti di cura, sacre alla Vergine e a diversi santi. Vi comprendono ancora due confraternite. Quivi era stato un antichissimo convento di agostiniani, dedicato a S. Domenica V. e M. quando il sudetto Manistra e sua moglie Gaitelgrima fondarono in quel sito il celebre monistero di florensi, sotto il titolo di S. Maria di Fontelaurato, dotandolo di molte proprietà. Avvenne precisamente la fondazione nel 1201; e nel 1202, Riccardo vescovo di Tropea concedette ai padri florensi le chiese di S. Domenica, e di S. Pietro, esentando i religiosi dalla episcopale giurisdizione. Papa Innocenzo III, nel 1204, confermò al detto monistero i suoi possedimenti: lo stesso fece papa Onorio III nel 1216; ed in quest'ultima epoca l'imperatore Federigo II ricevè in protezione il detto monastero. Clemente IV poi nel 1267, non solo gli confermò le cennate chiese, ma anco quella di S. Angelo Militino, in diocesi di Rossano, e diverse proprietà (154). Disciolto sì celebre monistero nel 1807, si perdè una alla chiesa, la quale, non da molto rifatta, si continua ad appellare S. Maria di Fontelaurato, e dipende dal vescovo. Sono parimenti disciolti sin dall'ultima occupazione militare, il convento S. Francesco di Paola di minimi, e il monastero di S. Antonio abate di clarisse. Fiumefreddo ha prodotto degni cittadini: un Francesco Maiorana e un Antonio Buono di vita integerrima, compagni di S. Francesco di Paola; un Antonio, padre riformato, cospicuo per santità; e un Giovanni Aleto, Generale dell'ordine dei minimi (155). Furono di Fiumefreddo, i vescovi, Francesco Brusco di Lettere, Giulio Sacchi di Monopoli, e Isidoro Pitellia di Termoli. Di quest'ultimo vi sono a stampa delle orazioni panegiriche.
Longobardi è posto nei confini di Fiumefreddo, a circa 4 miglia da Amantea. S'innalza su di un colle, le cui falde sono bagnate dal mare. Ha un popolo di 1600 anime con due, o tre famiglie nobili e ricche, ed ha puranco un fertile territorio, una volta compreso in quello di Fiumefreddo. La sua chiesa parrocchiale è intitolata a S. Domenica V. e M.; e delle sue chiese semplici, Immacolata concezione, S. Francesco di Paola, S. Giuseppe. S. Antonio, e S. Maria detta di Tauriana, quest'ultima è sottoposta ai padri di S. Scolastica a Subiaco in Campagna di Roma, mentre nel 1150, portando il titolo di S. Nicola di Tauriano, dipendeva dall'abate della Trinità di Mileto (156). Riceve altresì decoro dal corpo di S. Innocenza vergine, molto ivi venerato; ed è a dolere, che nel 1809 perdette il monistero dell'Assunta, aperto ai minimi nel 1600 (157). Nè poco lustro ha tratto dai suoi naturali, chiari, chi per santità, chi per erudizione, chi finalmente per cariche, essendo stati da Longobardi il B. Arcangelo, compagno di S. Francesco di Paola, martirizzato dagli eretici; Giovanni, generale dei minimi nel 1565; Francesco Preste, altro generale dell'istesso ordine nel 1630, scrittore di opere; ed il B. Nicola Saggio, anco dei minimi, di cui annualmente si celebra solenne festa (158). Furono altresì da Longobardi i vescovi, Gio. Battista Miceli di Cassano, e Carlo Pellegrini di Nicastro, nonchè l'arcivescovo Gaetano Miceli di Rossano. Non facciamo ricordo di molti altri, a non dilungarci di troppo.
Falconara è un comune di 1700 amministrati industriosi e solerti, nè tutti ignobili, mentre ai tempi del Barrio non era, che un vico di Fiumefreddo, al cui territorio appartenne sino al 1808 circa. La sua origine è del secolo di Giorgio Castriota, quando vaganti albanesi, giusta la patria tradizione, approdarono alla sponda di Fiumefreddo, e innoltrati alla parte di terra, si stanziarono al nord su di una rupe di aria salubre, nel cerchio di quei monti, fondando così Falconara, ove non sono spenti i costumi e la lingua di Albania. Vuolsi che il rito fosse stato greco: oggi è latino. La parrocchia è sacra all'arcangelo Michele, e la confraternita alla Vergine del Buon Consiglio. Due erano le confraternite nel 1794, quando quel popolo ascendeva a 1545, Concezione cioè, e Rosario. Vi sono pure le chiese ricettizie, dell'Immacolata, dell'Assunta, e del Buon Consiglio.
Finalmente Sambiase, villaggio di fresca data, il quale nel 1794 componevasi di 773 abitatori, oggi diminuiti a 600, ha la sua parrocchia sotto il titolo della Annunciata.
3.Nocera -composto dal comune Falerna, di cui è villaggio Castiglione, e dal comune Sammango. -Nocera si offre sulle vette di ameno colle, tra i fiumi Fucino e Rivale, a miglia 2 dal mare, e 9 da Amantea. Si distingue da altri paesi del suo nome, chiamandosi Nocera di Pietra della Nave, da un grosso scoglio, che sorgeva nel suo mare, ed in buona parte sorge adesso nella sua marina (159). Il suo popolo è di 2460 individui, mentre nel 1816 era di 2151, e vanta origine assai rimota. Quasi tutti lo vogliono surto dall'antica Terina, di cui si veggono ancora le vestigia a circa un miglio da Nocera, nella diocesi tropeana. Edifizio dei crotoniati, come si esprimono Solino e Scinno Chio (160), Terina fu compresa tra le greche città di Lucania da Scilace Cariandense, quando i brezi erano ristretti nella Sila (161). Usciti dai loro primitivi stabilimenti, eglino la occuparono, e vi dedussero una loro colonia (162). Scrive Strabone, che Annibale cartaginese, non potendola difendere, la distrusse (163), il che deve intendersi per le mura e torri, ritrovando di essa ricordo negli scrittori dei tempi susseguenti (164). Questa città, come dalle numerose sue medaglie, prestò culto a Mercurio, Apollo, Pallade, e Ligea (165), ed ancora nel suo sito si veggono i ruderi di un tempio. Ligea, presa da molti per una delle tre famigerate sirene, fu sepolta a Terina, ove dappresso, alla foce del fiume Ocinaro, oggi Savuto, era la sua tomba (166). Intanto la luce del Vangelo illuminò i terinei, e vi eressero delle chiese, delle quali una, ai tempi del Fiore, si offriva rovesciata, con pitture greche di santi in una parte sana (167). Però Nocera non può ritenersi sorta dalle reliquie di Terina: essa esisteva col nome di Nucria, ed era città autonoma all'epoca della Magna Grecia, il che si ricava da medaglie rinvenute nel brezio territorio, di fabbrica ed emblemi non difformi di quelle di Terina e di Reggio, le quali hanno la epigrafe NOIKRINON (168). Nondimeno è ragionevole il credere, che distrutta Terina dagli arabi, al tempo di S. Nilo, secondo il Barrio, vale a dire nel secolo X, i superstiti terinei si rifuggirono a Nocera, come a luogo vicino e forte, ed ivi presero stanza. Nocera infatti, dacchè vi è memoria, si offrì sempre chiusa di mura e munita di castello, ed occupa un sito naturalmente forte, e non insalubre. Essa è memorata in un diploma del 1220 appo al Fiore, e questa forse, e non già Nocera dei Pagani, è la Nuceria, che si legge nel cronico cavense sotto il 1074. Nocera di Pietra della Nave fu regia finchè l'imperatore Federigo II non la infeudò al monastero di S. Eufemia, vicino Nicastro (169), ed ultimamente era baronia dei cavalieri di Malta. Nel secolo del Fiore, la chiesa madre, che portava e porta il titolo di S. Gio. Battista, veniva ufiziata da sei parrochi porzionari, ed in essa racchiudeva la ricca arciconfraternita del Santissimo, e la congrega del Rosario. Vi erano pure le confraternite della Pietà e di S. Caterina in chiese proprie; le congregazioni dell'Annunciata e dei Morti, e un monte di pietà (170). Oggi la chiesa matrice ha un arciprete e tre parrochi, e nella sua giurisdizione comprende le chiese semplici, Annunciata, Suffragio, Pietà, S. Caterina, e S. Francesco di Paola; le confraternite, Annunciata e Suffragio, e il monte di pietà istituito da mons. Calvo. Vi fu un convento di agostiniani, e un altro di conventuali, fondati, quello nei primi anni del sesto X secolo, e questo nel 1559 (171), e vi è oggi il convento dell'Assunta di frati cappuccini, che vi entrarono nel 1581 (172). Dal Sacco apprendiamo, che ai suoi tempi, o per dir meglio nel 1795, in cui egli scrivea e pubblicava il suo dizionario geografico, vi sussistevano i conventuali ed i cappuccini. Nocera è patria dei religiosi cappuccini, Ambrogio, provinciale nel 1559, e Gregorio che nel 1626 morì da santo (173).
Falerna è sito sopra un colle di aria salubre, alla parte superiore di Castiglione, da cui si vuole derivato verso il 1600. Barrio e Marafioti non lo nominano, forse perchè allora esisteva. Falerna sorge dirimpetto a Castiglione, tra campi fertili; ed il suo popolo è laborioso. Questo ascendeva a 144 nel 1794, ma oggi è di 1788. Lo stesso, per gli esercizi di religione, si convoca nella chiesa ricettizia, e la confraternita del Rosario. A Falerna nacque il sacerdote Domenico Sonni, celebre matematico, che morì a Napoli nel 1840.
Castiglione era capitale di Falerna; e perchè di aria poco salubre, afflitto dalla peste del 1653, e dai tremuoti, si è ridotto a meschinità, con 457 poverissimi abitatori. E' posto sopra un'ampia collina, ove l'occhio ben si diletta, vedendo sino il mare, da cui il paese dista circa un miglio, nè è lontano da Capo Suvero, che il Barrio confuse col promontorio brezio di Sallustio, quando lo dovea riconoscere per il promontorio Lamezio di Stefano bizantino (174), Castiglione (Leo castrum nell'idioma latino) era un forte castello, in cui i calabresi, profittando delle discordie insorte tra Roberto Guiscardo e Ruggiero suo fratello, l'occuparono per via di tradimento, uccidendo i 70 normanni, che ivi erano di presidio (175). Avanzi fuori dubbio dell'antico Castiglione sono i rotti arnesi di metallica fonderia, i sepolcri, i ruderi di ampie mura, le medaglie, e quant'altro di bello ogni dì si scopre in quella contrada Chipano. Nel 1306 Castiglione apparteneva in feudo ad Adinolfo d'Aquino, i cui discendenti, nel 1602, vi ebbero il titolo di principe (176); e se costoro lo avessero protetto, come praticarono le più fiate, Castiglione non sarebbe disceso alla umiltà di villaggio. Non ha infatti i mezzi necessari a coltivare gli estesi campi, che gli stanno d'appresso, e si nudre di aria cattiva. Serba nondimeno l'antica chiesa parrocchiale di S. Antonio abate, e le chiese ricettizie di S. Leonardo e dell'Annunciazione. Nel 1809 perdette il monastero della Pietà di agostiniani, nè ora ha più le confraternite del Suffragio e del Sagramento. Questo villaggio tiensi onorato nel suo paesano Paolo, cappuccino provinciale nel 1742 (177).
Sammango perultimo si offre in luogo piano, ove il clima è mediocre, alla sinistra sponda del Savuto. Sono le sue case qua e là disperse, e gli abitanti industriosi. E' questo un edifizio dei principi di Castiglione, i quali, avendo nel 1591 ottenuto dal fisco quel ristretto, ed ora fertilissimo territorio, lo popolarono con gli abitatori dei convicini villaggi, dandogli il nome di Muricello prima, e di Sammango poi (178). L'Aceti dice eretto Sammago nel 1640 in territorio di Savuto: forse voleva dire, che nel 1640 si compì la fabbrica del villaggio. Decorati del titolo di principi di Sammango fin dal 1623 (179), gli Aquini nel 1648 vi fondarono la Chiesa curata di S. Tommaso, che al presente amministra 2284 fedeli, tenendo nel suo gremio la chiesa ricettizia colla confraternita di S. Giuseppe, e quella di S. Maria, detta della Buda.
Ai tempi di Ughelli vi erano nella diocesi inferiore di Tropea 23 parrocchie, 7 confraternite, 5 monasteri, ed un popolo di 7580 individui, diviso ad una regia città, a 8 terre, e 5 villaggi baronali. Nell'anno che declina, 1848, vi si noverano 21 chiese di cura, con 14 arcipreti e 16 porrochi, 78 chiese semplici, 14 confraternite, un monastero, 9 amministrazioni di beneficenza, 8 uffiziali del vescovo, e 31,017, fedeli, partiti a 4 circondari di 13 comuni e 4 villaggi. Vi si contano 69 sacerdoti semplici, ordinati in sacris 4, minoristi 8, e novizi 15.


Tropea 6 luglio 1903. Pontificale presso la Cattedrale durante
i festeggiamenti di Santa Domenica (Archivio privato).

NOTE

(1) I cenni storici dei Vescovadi di Cariati, di Nicastro e di Nicotera, da noi scritti ed inseriti in questa collezione. -Nel cenno riguardante la chiesa di Cariati, si tolga ciò ch'è detto nel § I, a cominciare dalle parole: <<Il ricordo più antico che di questa cattedra si rinviene è nella Diatiposi>> sino a queste altre: <<si era disciolta mediante le incursioni degli arabi>>. Avendo fatto nuove ricerche, abbiamo osservato di non essere nella Diatiposi la vescovile sede cariatense, come vorrebbe taluno, ma la Euriatense, cioè di Oria.
(2) Chiamati dal dolce ed illustre amico signor abate d'Avino a dettare quest'altro cenno di storia, lo abbiamo in pochi giorni compilato alla meglio, sulle notizie degli scrittori, che abbiamo avuto opportunità di consultare, e su quelle che da più anni avevamo raccolto negli archivi vescovile e capitolare di Tropea. Rendiamo intanto vive azioni di grazie al coltissimo monsignor Mincione vescovo di Mileto, saggio e cortese, per essersi compiaciuto di mettere a nostra disposizione la biblioteca di quel venerando seminario.
(3) Il porto di Ercole, memorato da Plinio e da Strabone, era un ricettacolo di navi nel luogo ancor detto le Formicole. Non si confonda dunque colla città, nè a questa si dia il nome di quello, come fecero Paolo Giovio, Marino Frezza, e ultimamente Orazio Lupis. Ved. Romanelli, Antica topografia storica del regno di Napoli, part. I. Secondo la favola, riferita da Dionigi d'Alicarnasso, il porto di cui parliamo, avrebbe avuto a fondatore Ercole, figlio di Giove. Vuolsi che nel medesimo fosse stato re Ferdinando d'Aragona, dopo aver perduto la battaglia di Seminara. Consalvo, gran capitano di lui, era in Tropea addì 15 dicembre del 1501.
(4) Andrea De Leone, Giornale e notizie dei tremuoti del 1783; Stato di popolazione del regno del 1816.
(5) Frezza, De subfeudis.
(6) Leandro Alberti, Descrizione d'Italia, reg. 7.
(7) Ved. Barrio, lib. II. cap. 13; Lascaris, De philosophis calabris; Parrasio, in Claudiano, De raptu Proserpinae.
(8) Stef. voce Postropea, che l'Olstenio legge Ad Tropeam, Città di Sicilia, disse Postropea l'etnografo bizantino, forse perchè ritenne questa parte di Calabria abitata dai sicoli.
(9) S. Gregor. lib. II epist. 1.
(10) Costantino Porfirogenito, Vita Basilii imperat., nel suo trattato sugli affari dell'impero.
(11) Arnolfo, Chron. saracenico calabrum, an. 946.
(12) Regest. 1314, C. fol. 278, 282 archiv. regiae Siclae.
(13) Fiore, Calabria illustrata, pag. 136.
(14) Della Marra, Discorsi sulle famiglie imparentate con la casa della Marra; Muratori, Annali d'Italia, an. 1252.
(15) Furono, cioè: Bernardino Vulcano, giudice della gran corte della Vicaria; Aloisio Vento, gran siniscalco del regno; Giovanni Tropeano, cameriere del re Ferdinando II d'Aragona; Lodovico Vulcano, generale delle galere, che detto re teneva nell'arsenale di Tropea, ec. ec. Ved. Beltramo, Descriz. del regno; Aceti nel Barrio, ec.
(16) Ved. i capitoli della città, conchiusi nel 1567, e registrati in protocollo di not. Fran. Scrugli della medesima città. -Il sedile dei nobili di Tropea è detto grande in varie scritture autentiche, e specialmente in una del 1491 presso di noi. Per il sedile chiuso  di Portercole di Tropea scrisse una memoria Giuseppe Maria Avati-Carbone nel 1803, ma non in tutto seppe essere ingenuo.
(17) Per la floridezza del commercio in questa città nel secolo XIII vi si concentrarono molti ebrei diffusi per la Calabria. Nel regest. 1333-1334. B. fol. 310 si legge un sovrano provvedimento a favore dei giudici di Monteleone.
(18) Pasquale Galluppi, nacque in Tropea nel 1770, e morì in Napoli nel 1846.
(19) Marafioti, lib. II, cap. 18.
(20) I grossi granchi presi dal Marafioti debbono far guardingo il lettore ad accettare talune notizie, le quali alcuna volta sono vaneggiamenti del cervello di lui. Vaneggia infatti, scrivendo che Ruggiero (invece di Roberto) Guiscardo fece di regio patronato la Chiesa vescovile di Tropea, alla quale, soggiugne, 800 anni dietro (quando Ruggiero esisteva soltanto nella mente di Dio!) donò la possessione, detta il Rosario.
(21) Ved. Harduino, Concilior. nova collectio, tom. III.
(22) Il Fiore, Calabria Santa, pag. 321, fece di Teodoro, un Teodoro e un Teobaldo, e disse intervenuti, il primo al concilio costantinopolitano VI, e il secondo al concilio celebrato sotto papa Agatone nel 680 (invece del 679). L'Ughellio avea avuto, come dovea, per identico Teodosio e Teodoro, narrando che costui fosse stato al detto concilio costantinopolitano. Ma dagli atti dei concili, l'intervento di Teodoro al sinodo di Costantinopoli non si rileva: si raccoglie bensì, che Teodoro, vescovo di Tropea, intervenne al concilio che papa Agatone convocò in Roma a'5 aprile 679 per condannare l'eresia dei monoteliti, ed ivi sottoscrisse: Theodorus humilis episcopus S. Tropeianae Ecclesiae provinciae Calabriae, in hanc suggestionem, quam pro apostolica fide unanimiter construximus, similiter subscripsi. Ved. Harduino, dove sopra.
(23) Laurentius episcopus Trebiensis leggesi negli atti del concilio convocato sotto papa Simmaco al 499. Ved. Harduino, t. II. -Volere da quel Trebiensis trar congetture a favor di Tropea è uno sforzare il vocabolo per modo stranissimo. Quel Lorenzo forse fu vescovo di Trevi, o di altra sede vescovile d'Italia, il che non interessa il nostro subbietto, per non ingolfarci in quelle discussioni, cui dan luogo le varianti dei diversi codici in ordine ai molti vescovi a quel concilio intervenuti. Gli esecutori del Concordato del 1818, osservarono, che il primo vescovo di Tropea conosciuto, è Giovanni del 649, e ritrovando vescovo di Nicotera Proclo del 595, statuirono, che il pastore delle due Chiese unite si titolasse di Nicotera e Tropea, e non viceversa, dovendosi anteporre il nome della Chiesa più antica. Ved. Concordato tra Pio VII e Ferdinando I, parte III. Nap. 1826.
(24) Ved. Dispositio facta per imperatorem Leonem Sapientem, quem ordinem habeant ThroniEcclesiarum Patriarchae CPolitano subjectarum. Ediz. del Leunclavio.
(25) Harduino, ove sopra, tom. IV -Theodorus indignus episcopus Tropaeorum, è sottoscritto nella sess. VII. del concilio Niceno II. Il Barrio, l'Ughelli, ed altri scambiarono in Stefano il nome di Teodoro: errore, di cui ci emendiamo, avendo anche noi fatto lo stesso nelle nostre memorie storiche nicoteresi, pag. 31.
(26) Sulla dignità luminosa del protosincello veggasi Giacomo Goar, Praefatio ad Georgii Syncelli Chronographiam. Un prete Giovanni nel concilio Niceno II s'intitolava: patriarcaharum synceellus, locum retinens trium apostolicarum sedium, Alexandriae, Antiochiae, et Hierosolymorum. Giovanni era sincello dei patriarchi: Kalochiirio dell'imperatore di Oriente, che gli avea conferito un grado di più.
(27) Ved. Malaterra, De rebus gestis Roberti Guiscardi et Rogerii ducis, ec.
(28) Iusteyrus, Iusteius, Tristanus in latino, son nomi del vescovo Iustego, secondo Ughelli. Iustego è quel Tristano vescovo di Tropea, che in agosto 1094 assisteva alla consacrazione della chiesa dell'eremo di S. Maria della Torre. Ved. Tromby, Storia critico-cronologica diplomatica di S. Brunone, e del suo ordine, t. II, append. II, num. 7.
(29) Ved. l'epist. 94 di Alessandro III, diretta a Lodovico re dei Franchi, col datum Senis IV idus Octobris, presso Duchesne, Histor. Francor. Collectio. Nell'epistola non si legge il nome del vescovo di Tropea, raccomandato da papa Alessandro, ma noi abbiamo motivo a credere, che fosse stato Coridone.
(30) Regest. 1301, 1302. A. fol. 268.
(31) Questo prelato fu confuso dall'Ughelli con Francesco, successore di lui. Il Fiore lo distinse, ma se lo ideò morto nel 1343.
(32) I privilegi o diplomi del 1066 al 1200 sopra cennati, non si trovano originalmente in Tropea. Noi abbiamo avuto colà sotto gli occhi la copia, che ne fece notar Antonio Colello ai 2 ottobre 1619; la stessa che pubblicò l'Ughelli, e nel 1840 il chiariss. cav. Capialbi. Quest'ultimo dice estratti i diplomi della Serie cronologica dei vescovi di Tropea, da lui compilata, opera che speriamo veder presto alla luce a poterne ammirare i pregi. Capialbi corresse la data del più antico privilegio, che era 1088, mentre, per ogni ragione, esser dovea 1066 ed avvertì doversi togliere nel detto privilegio il supposto cognome Dordileto a Kalochirio, dovendosi leggere Kalochirius Deo dilectus, cioè grato a Dio. Errarono in questa parte il Fiore e lo stesso Ughelli. Si noti, che per voce pubblica si conoscono diverse famiglie della città, sulle quali il vescovo esercitava giurisdizione feudale.
(33) Il breve di commissione al vescovo di Tropea si è ritrovato in Catanzaro, donde l'abbiamo avuto in copia per mezzo del chiarissimo signor Luigi Grimaldi. Esso ha il datum Laterani III Kal.maii, pontificat. anno septimo. Un tale breve, per la edacità del tempo, non offre i nomi degl'individui, che occupavano le sedi di Tropea e di Squillaci. Noi lo crediamo di Gregorio IX.
(34) Morisani, De protopapis.
(35) Summonte, Storia della città e regno di Napoli, t. 1. Nap. 1748, pag. 322.
(36) Marafioti, lib. II, cap. 18. -Fu uno de'granchi presi senza dubbio dal Fiore, Calab. illustr. p. 136, quando scrisse, che Carlo V ottenne dalla santa sede, che il vescovo di Tropea fosse cittadino del luogo.
(37) Pio VII, bolla De utiliori.
(38) Nel 1316 apparteneva alla mensa un tenimento, detto Castagneto. Regest. 1316, C fol. 220.
(39) Fontana, Teatro domenicano; Summonte, Storia citata.
(40) Nicola Acciapacci vescovo di Tropea, sottoscrisse l'istrumento de'14 settembre 1423, col quale Giovanna II, con rivocare l'adozione che avea fatto di Alfonso d'Aragona, adottava Luigi d'Angiò: Ego, qui supra, Nicolaus. Dei et apostolicae sedis gratia episcopus Tropiensis, testor et subscripsi. Ved. Lunig, Codex diplomaticus.
(41) Ughelli, t. VII, Romae 1659 pag. 363. -Quivi, forse per errore di stampa, è segnata a 2 maggio 1494 la consacrazione di Alfonso II, mentre seguì nel giorno 8 di detto mese ed anno.
(42) Per Maranta si consulti Giuseppe Carafa, De cappella regis, pag. 317. Il Maranta non fu di Venosa, secondo Dionigi Simon, Biblioteque historique des auteurs de droit, e neppure di Tramonti nel Principato Citra, come avvisa il Beltrano, Descriz. del regno di Nap. edita nel 1610. Fu di Napoli, non solo per l'autorità di Ughelli, ma anco del Chioccarello. Non però la sua vita ebbe fine nel 1666, giusta il Coleti. Egli era morto a 29 maggio 1664, e la Chiesa tropeana avea a suo governo un vicario capitolare.
(43) Ved. il nostro Cenno storico sul vescovato di Nicotera.
(44) Toppi, De origine Tribunalium, t. II.
(45) Sul Borgia ved. Origlia, Storia dello studio di Napoli, t. II; Simon, dove sopra; e Giustiniani, Scrittori legali. L'Origlia fa vescovo di Tropea il Borgia nel 1681, invece di farlo vescovo nel 1682.
(46) E' qui opportuno notare, che nell'Italia sacra di Ughelli sono corsi molti errori cronologici, relativamente ai vescovi di Tropea. Lo stesso difetto si ravvisa nelle addizioni del Coleti all'Ughelli, nella Calabria Santa del Fiore, e nelle giunte del p. Domenico da Badolato a quest'ultimo. Noi l'abbiamo scorto su i bollari ed altri atti dell'archivio vescovile, e ci siamo studiati di rendere più esatto il catalogo posto qui in appendice. In esso ritrovi de' vescovi ignoti all'Ughelli, ma notissimi al Fontana, al Colombini, all'Aceti, e ad altri.
(47) Gli scritti del Paù sulla musica si leggono nel t. VIII delle opere di Metastasio, edite in Napoli il 1782. Metastasio, Martorelli, ed Avitabile, erano gli ammiratori del sapere di Paù.
(48) Su taluni prelati vedi nell'archivio del Capitolo un libro di memorie, scritto da Girolamo Rosso nel 1631, per ordine di Diego di Cordova, procuratore del medesimo Capitolo, e continuato da scrittori posteriori.
(49) Ved. le nostre Memorie storiche di Nicotera e circond., ed il nostro Cenno storico sul vescovato nicoterese. In quest'ultimo avevamo messo in nota, che il vicario generale D. Andrea Coppola, nobile per nascita e per imgegno, can. teologo del Capitolo, ha bene meritato della sua chiesa, alla quale fa onore; ma il tipografo inavvedutamente tralasciò la detta nota, e ci è debito dichiararlo.
(50) Ciacon, Vitae pont. et card., t. II.
(51) Atti diversi nell'archivio vescovile.
(52) Ved. Colombini, Bullarium franciscanorum, tom. III, Romae 1761. -L'annotatore del bollario crede, che il vescovo di Tropea, preteso avvelenato, sia Giovanni, di cui evvi ricordo in un privilegio di papa Clemente IV del 1267, presso l'Ughellio. Ma si osservi, che Giovanni vescovo di Tropea, era tra vivi nel 1220, e se fosse stato eletto circa due anni prima, ed avesse mancato ai vivi verso il 1276, avrebbe avuto troppo lunghi la vita ed il pontificato, ciò che stentiamo a credere. Nè ci aggrada pensare, che Giovanni morendo nel 1267, o poco dopo, avesse lasciato vacante il seggio sino all'epoca in cui l'occupò fra Marco d'Assisi, vale a dire due lustri circa, essendo un termine di vacanza troppo lungo. Pare dunque, che altri, e non Giovanni, fosse stato l'antecessore del vescovo minorita; ma noi lasciamo ai patri scrittori la soluzione del dubbio.
(53) Pacichelli, Regno di Napoli in prospettiva, par. II.
(54) Alcuni si danno a credere, che l'immagine della B. V. del titolo della Romania, fosse dipinta da S. Luca evangelista; ma S. Luca fu medico, e non pittore. Ved. Mamachi, Orig. et antiq. christianae, t. III.
(55) L'Ughelli ed il Pacichelli, secondo le notizie locali, asserirono, che il corpo di S. Domenica, trasportato dagli angeli, sia nella cattedrale, ed il Marafioti, il Beltramo, ed il Fiore credettero ritrovarsi nel villaggio di S. Domenica. Tutto fondasi sulla tradizione, ed il Barrio l'ha in conto di favola. Nel passato secolo si diceva, che il sacro deposito fosse nel locale dell'antico monastero di S. Sergio. Si fecero perciò degli scavi, e si rinvennero dei corpi; ma per difetto di note distinte, non se ne tenne conto.
(56) Anche oggi pochi canonici hanno le chiese delle loro rispettive prebende.
(57) Ughelli, t. IX. -Questi chiama diacono invece di decano il suddetto Simone. Lo crediamo un errore di stampa.
(58) Colombini, Bollario citato, t. IV.
(59) Ferraris, Bibliotheca canonica, t. II. Neap. 1789, voce Canonicatus.
(60) Ferraris, Bibl. citata, t. IX, Vicarius foraneus.
(61) Vi è di ciò memoria nei registri dell'archivio vescovile.
(62) Vedi il sinodo diocesano del 1687. Protopapa nella diocesi di Nicotera, era lo stesso, che vicario foraneo, il quale avea seco un maestro di atti,  ricevea accuse penali e rimesse alle istanze, esigeva per se una parte del jus funerum, ec. Pensiamo, che non di diverso genere fosse stato il protopapa della diocesi tropeana, quando non più era in uso il rito greco in Tropea.
(63) Colombini, Bollario citato; Wadingo, Annales minorum, t. II. an. 1296.
(64) Fiore, Calab. Santa, pag. 418.
(65) Ivi, pag. 433.
(66) Ivi, pag. 427; note in archiv. capitolare, ec. -Nel suddetto collegio sono morti diversi padri e studenti da veri servi di Dio. Di questi ultimi è a nostra notizia Gregorio Gallizzi. gentiluomo di Rombiolo, che dando raro esempio di pietà, rese lo spirito al suo Creatore.
(67) S. Gregor. Operum t. IV, Romae 1613, lib. II epist. II epist. 1.
(68) Wadingo, t. IV, an. 1421; Fiore, Calab. Santa, pag. 418. Quest'ultimo cade in equivoco, fissando al 700 la fondazione del monastero di S. Sergio.
(69) Marafioti, lib. II, cap. 18. Fiore, Calab. Santa, p. 368.
(70) Fiore, Calab. Santa, pag. 374.
(71) Innocentii III Epistolae, Parisiis 1682, t. 1, pag. 288.
(72) Seraf. Montorio, Zodiaco di Maria, stella IX del VI segno.
(73) Fiore, Calab. Santa, pag. 384, 394, 423, 414, 433, 434; fr. Dom. da Badolato, ivi, pag. 366, 433; Stef. Isnardo, Codex minimus, pag. 62.
(74) Francesco Sacco, Dizion. geograf. t. IV, art. Tropea.
(75) Sacco, dove sopra.
(76) Atti di santa visita del 1752 al 1753.
(77) Ughelli, Marafioti, e Fiore nelle loro opere; Aceti nel Barrio, ec. L'Ughelli però equivoca facendo di Napoli mons. Nomicisio, e crediamo che anche coloro i quali dissero amanteano Bernardino Lauro, fossero trascorsi in errore. Noi lasciamo, che altri esamini se Tropea o Amantea sia la patria di Bernardino, e pure di Vincenzo Lauro, ed a noi basta di non mettersi in dubbio l'essere costoro della diocesi di Tropea. Ma per quanto ci è avvenuto di leggere e riflettere, i Lauri, dei quali sopra è parola, furono tutti tropeani, benchè non avessero fatto parte di quella generosa nobiltà, mentre i loro consanguinei erano tra i patrizi di Amantea. Il Barrio, per tacere gli altri, chiama Vincenzo Lauro, Urbis (Tropeae) civis, ed il Barrio era contemporaneo di Vincenzo, allora vescovo di Mondovì.
(78) Harduino, Concilior. general. ampla collectio; Aceti, p. 148.
(79) Ciacon, Vitae pontif. et caardinal. t. II; De Thon, Hist. lib. 104; Ugh. ec.
(80) Giustiniani, Scrittori legali, voce Glorizio; Capialbi, Tipografie calabresi, pag. 93.
(81) Zavarrone, Biblioteca calabra.
(82) Capialbi nel giornale, Il Maurolico, an. II, vol. III., num. 4.
(83) Toppi, Biblioteca napolitana; Zavarr. dove sopra.
(84) Aceti, pag. 149.
(85) Mugnos, Teatro della nobiltà nel mondo, t. 1.
(86) Montaja, Epit.; Fiore, Calab. santa.
(87) Siamo assicurati, che l'opera del Crescenti si serba ms. in Tropea. Va essa citata dal Capialbi, ove sopra.
(88) Questi ed altri prelati anteriori al secolo XII, noi coi patri scrittori segnammo per i cittadini di quei luoghi, dove furono vescovi. Vedi i nostri lavori storici sulle Chiese di Cariati, Nicastro e Nicotera. Avvertiamo di non aver pronunziato una storica certezza, ma una probabilità, o verosimilitudine. E' noto che nei tempi antichi il clero col popolo, e quindi il solo clero, eleggeva il proprio pastore, ed ordinariamente la scelta cadeva sopra individui dell'istesso clero. Potremmo addurre molti esempi.
(89) Ved. Del Pozzo, Ruolo generale dei cavalieri gerosolimitani.
(90) Aceti, pag. 149; ec.
(91) Mss. esistenti nel convento dei riformati di Tropea.
(92) Barrio, pag. 144.
(93) Ved. le nostre Memorie storiche nicoteresi.
(94) Domenico da Badolato, nella Calab. santa del Fiore, pag. 420.
(95) Ved. Isacco, nelle sue note a Licofrone.
(96) Regest. 1278. B. fol. 161. -Quivi, come in altri documenti del secolo XIV, leggesi Batticano, o Baticano, ma non perciò deve covenirsi con Leandro Alberti sulla origine di tal nome. Alberti, pose a Capo Vaticano l'antica città di Medama, e se la ideò distrutta dai cani pagani, a suo dire, cioè dagli arabi: etimologia veramente posta alla tortura! E quando mai Medama fu a Capo Vaticano? Fu bensì, come altrove dicemmo, nella pianura sottoposta a Nicotera.
(97) Fiore, Calab. santa, pag. 365.
(98) Barrio, lib. II, cap. 13; Aceti, pag. 149; ec.ec.
(99) Aceti, pag. 149.
(100) Montorio, Zodiaco di Maria.
(101) De Fiore ved. la Calab. illust.
(102) Mugnos, Teatro genealogico delle famiglie nobili di Sicilia.
(103) I promontori Lino e Tillesio sono ricordati da Licofrone nella Cassandra.
(104) Ved. Luigi Maria Greco, Storica narrazione intorno all'assedio dei francesi contro Amantea nel 1806 e 1807. Cosenza 1844.
(105) Barrio, lib. II, cap. 9; Fiore, Calab. illust. pag. 115; Beltrano, Descriz. del regno, ec.
(106) Cluverio, Italia antiqua; Olstenio, Adnot. ad Italiam Cluverii; Cellario, Notit. orbis antiqui; Egizio, Senatuscons. de bachanal. sive explicat. ec.
(107) Ved. Paolo Manuzio, De antiquit. romanor. pag. 41, e seg.
(108) Strab. lib. VI.
(109) Ved. Pagano, Dissertazione su Terina, nota 10.
(110) Polibio, lib. XIII; Stef. voce Lametia; Livio, dec. III, lib. 10; Plinio, lib. III, cap. 5.
(111) Quattromani, Animadvers. ad Barrium; Ortelio, Lex. geograph.; La Martiniere, Diction. geogr.; Del Re, Descrizione dei reali domini al di qua del faro.
(112) Ved. la Diatiposi, edita da Leunclavio.
(113) Barrio, lib. II, cap. 9; Davide Romeo, Index Divorum; Aceti, pag. 121.
(114) Costantino Porfirogenito, Vita Basilii; Cedreno, Anna'es ad Niceph. Phocam; Andrea, italiano, Chron. presso Mencherio, Rerum germanar. t. 1.
(115) Così scrivono il Fiore, Calab. illust., e l'Amato, Laconismus de Amanthea, e sembra verosimile il loro avviso. Nel privilegio dato nel 1060 da Roberto Guiscardo al vescovo Kalochirio di Tropea, non si fa parola di Amantea come a luogo diocesano: se ne fa parola nel privilegio, che nel 1094 il duca Ruggiero diede a Justego successore di Kalochirio: e quindi pare che la unione della Chiesa amanteana a quella di Tropea fosse avvenuta tra le dette epoche, 1030 al 1094. Il duca Ruggiero si distinse per pietà, instaurando il culto religioso in Calabria. Egli eresse badie e monisteri, e restituì le nostre Chiese alla ubbidienza della santa sede. A buon diritto Romualdo Salernitano lo chiama: Largus Ecclesiarum Dei, atque sacerdotum consulens.
(116) Non vi ha dubbio che Calisto II fosse stato in Amantea, leggendosi nel t. XXI della raccolta dei concili, alcune bolle di lui non sospette date ai 3 novembre 1121 in detta città. Ma fu pure papa Calisto in Tropea, in Nicastro, in Catanzaro, secondo scrissero taluni calabresi? Egli, come da altre sue bolle, era in Benevento ai 30 settembre, ed in Taranto a 10 novembre dello stesso anno 1121. Volava adunque senz'ali per la Calabria?
(117) Giuseppe Amato, dove sopra.
(118) Ughelli, t. IX Tropeaen. episc. in Sigism. Pappacoda. E' però notevole, che mons. Pappacoda non mai si titolò vescovo di Tropea ed Amantea, ma solo di Tropea. Abbiamo ciò osservato in diverse bolle di lui.
(119) Amato, ove sopra.
(120) Morisani, De protopapis.
(121) Per altro noi ignoriamo aver avuto esistenza in Amantea un capitolo di canonici quando era dismesso il vescovato.
(122) Ved. le carte dell'archiv. vesc.
(123) Al fu luogotenente generale Gio. Battista arciprete Cavallo di Amantea, succedette, non ha guari, il molto rev. Pasquale arcip. Solimena di Aiello, uomo erudito e degno, a cui abbiamo diretto delle dimande per assicurarci di talune notizie locali, siccome noteremo. Di lui si ha in istampa una Memoria di risposta al programma di economia civile della società economica di Calabria citra, scritta che gli fa merito.
(124) Fiore, Calabria santa, lib. II, part. 2.
(125) Giuseppe Amato, Laconism. ec.
(126) Sacco, Dizion. geograf. t 1, art. Amantea.
(127) Ughelli, Italia sacra; Fontana, Theatr. domenican.; Toppi, Bibl. napol.; Amato, dove sopra; Aceti nel Barrio, ec. -Mente il Bisogni, Hipponii historia, lib. III, cap. 7, facendo monteleonese mons. Cavallo.
(128) Harduino, Concilior, nova Collectio, t. IX, pag. 1771.
(129) Toppi, dove sopra.
(130) Ughelli, t. VI; Toppi, Bibl. citata; Giuseppe Campanile, Notizie di nobiltà.
(131) Davide Romeo, Index divorum. Ved. anco il Martirologio francescano.
(132) Fiore, Calab. illust. p. 115; Calab. santa, p. 404.
(133) Fiore, Calab. santa, p. 429; Amato, dove sopra.
(134) Gius. Amato, e Campanile, dove sopra.
(135) Fiore, Calab. santa, pag. 366, 416.
(136) Elia d'Amato, Pantopologia calabra; Michele da Reggio, e Dom. da Badolato, nella Calabria santa del Fiore, pag. 203, 417. -Non si confonda Antonio Barone di Belmonte con Antonio Barone di Tropea.
(137) Licofrone, in Cassandra; Stef. voce Tyllesius.
(138) Gio. Tzetze, in Licofr. ove sopra.
(139) Malaterra, De rebus gestis Roberti Guiscardi, etc. lib. II, cap. 37.
(140) Giuseppe Campanile, pag. 420.
(141) Dobbiamo questa notizia al lodato sig. Solimena.
(142) Fiore, Calab. santa, pag. 375.
(143) Fiore, ivi, pag. 403, 433.
(144) Fiore, Calab. illust. p. 116; Elia d'Amato, Pantopologia calabra; Vincenzo Giuliani, Memorie storiche di Viesti; Zavarroni, Bibl. calabra, ec. Sbaglia chi fa d'Amantea mons. Amato.
(145) Aceti, pag. 122; Fiore, Calab. santa, pag. 419.
(146) Aceti, pag. 122; Zavarroni, dove sopra.
(147) Privilegio registr. in Cancell. nel regest. 95, a 30 agosto 1463.
(148) Michele da Reggio, nella Calab. santa del Fiore, pag. 203.
(149) Regest. 1314. C. fol. 240.
(150) Sambiasi, Ragguaglio di Cosenza, e di 31 sue nobili famiglie.
(151) Aceti, pag. 122.
(152) Sambiasi, ove sopra.
(153) Regest. 1296. A. fol. 59
(154) Fiore, Calab. illust. pag. 114.
(155) Ughelli, t. IX, Tropeaen episc.
(156) Barrio, lib II, cap.9; Lanovio, Chron. minimor; Aceti, pag. 120.
(157) Fiore, Calab. santa, pag. 375.
(158) Isnardo, Codex minimus, p. 11.
(159) Isnardo, dove sopra, p. 224, 230; Barrio, lib II, cap. 9; Lanovio, Chron.; Amato, Pantopol. calabra; Aceti, pag. 121.
(160) Lo scoglio Pietra della Nave, partito in due parti disuguali, è senza dubbio l'isoletta Ligea di Solino, e il Terinaeus scopulus di Tolomeo. Sorge a circa un miglio da Nocera, e ivi dappresso sarà stato il porto di Terina, detto poi della Nave di Arata.
(161) Solino Polyhist. lib. VIII; Scimno, Perieg. V. 3.
(162) Scilace, Periplus maris mediterranei.
(163) Diod. lib. 2, cap. 5.
(164) Strab. lib. VI.
(165) Strab. ove sopra; Tolom. lib. III; Staf. voce Terina.
(166) Pagano, Dissertazione su Terina; Grimaldi, Studi archeologici.
(167) Ivi.
(168) Fiore, Calab. illust.
(169) Millingen, Ancient Greck Coins, London 1831; Cav. Avellino, Italiae veteris numis, sup. p. 32, 33, opusc. vol. II, e III.
(170) Ved. il nostro Cenno storico sul vescovato di Nicastro.
(171) Fiore, dove sopra.
(172) Fiore, Calab. illust. p. 121, e Calab. santa, p. 401.
(173) Fiore, Calab. santa, pag. 415.
(174) Ivi, pag. 162, 417.
(175) Il Barrio fu ripreso dal Quattromani. In verità il promontorio che Sallustio chiama bruzio, e Cicerone appella Promontorium agri Rhegini, è Capo delle Armi.
(176) Tromby, Storia critico-cronologiga-diplomatica di S. Brunone e del suo ordine, t. II.
(177) Filiberto Campanile, Delle armi dei nobili. Nap. 1680, pag. 226; Giuseppe Campanile, Notizie di nobiltà, pag. 87. Ved. anco il regest. 1401, fol. 288.
(178) Domenico da Badolato, nella Calab. santa del Fiore, pag. 417.
(179) Luigi Agresti e Giuseppe Marini, Difesa a pro del comune S. Mango, contro D. Gio. Iait de Gattis. Nap. 1831.
(180) Giuseppe Campanile, cit. op. pag. 41.