CENNO STORICO
sulla
CHIESA VESCOVILE DI TROPEA
scritto
da
FRANCESCO ADILARDI
Cavaliere si S. Gregorio
Magno, e socio di diverse accademie
1849
A S. E. REVERENDISSIMA
MONSIGNOR D. MICHELANGELO FRANCHINI
PATRIZIO DI PICENTE
VESCOVO DI NICOTERA E TROPEA
CHIARO PER PIETA' E DOTTRINA
DEL SAPIENTE E MAGNANIMO PONTEFICE
PRELATO DOMESTICO, ASSISTENTE AL SOGLIO
ACCETTO ALL'AUGUSTO PRINCIPE
GRATO AI DIOCESANI
MOLTO DELLE CANONICHE DISCIPLINE INTELLIGENTE
BENEFICO, MODESTO, CORTESE
PER VIVERE SENZA MACCHIA, SPETTABILE
PER APOSTOLICO ZELO, DISTINTO.
FRANCESCO ADILARDI
QUESTO SUO LAVORO
IN SEGNO DI OSSEQUIO
GRATITUDINE E RISPETTOSO AFFETTO
OFFRE, DEDICA, CONSACRA.
Breve pontificio, col quale S. S. Pio IX premiava il merito letterario dello scrittore di questo Cenno, conferendogli la croce di S. Gregorio Magno, e che ad ornamento della presente ristampa, e ad eccitare altri ai buoni studi, l'editore del medesimo Cenno pubblica.
PIUS PP. IX
Dilecte fili, salutem et apostolicam benedictionem. Iucundum Nobis evenire solet honorum muneribus egregios decorare viros, quos, praeter generis claritatem, integritas, fides, ingenium, bonarum artium cognitio exornat. Quum igitur noverimus, te, dilecte fili, nobili ortum stirpe, rebusque optimis institutum, pietate, ingenio, exquisita doctrina excultum, editis operibus egregiam tibi laudem comparasse, Nobis praeterea, atque huic Apostolicae Sedi ex animo esse adductum, idcirco facile adducti sumus, ut aliquem tibi honoris titulum tribueremus. Te igitur peculiari beneficentia prosequi volentes, et a quibusvis excommunicationis et interdicti, aliisque ecclesiasticis sententiis, censuris et poenis quovis modo, vel quavis de causa latis, si quas forte incurreris, huius tantum rei gratia absolventes, ac absolutum fore censentes, hisce litteris auctoritate nostra Apostolica Equitem Ordinis S. Gregorii Magni classis civilis eligimus et constituimus, teque in splendidum illum equitum coetum cooptamus. Proinde ut eiusdem ordinis insigne, nempe auream crucem octangulam rubra superficie imaginem S. Gregorii Papae in medio referentem, quae taenia serica flavi coloris extrema oris rubra sinistra lateris parte dependeat, gestare possis, concedimus, atque indulgemus. Ne quid vero discrimen sit in hoc gerendo insigne, Crucis eiusdem schema tibi tradi mandamus. Datum Romae apud S. Mariam Maiorem sub Annulo Piscatoris die XXIII maii MDCCCXLVIII Pontificatus Nostri anno secundo. Pro domino Cardinali Lambruschini, A. Picchioni substitutus. -Dilecto filio Francisco Adilardi de Mandaradoni Diocesis Nicoteren (°).
(°) Un sovrano rescritto ha permesso
al cav. Adilardi di far uso della croce di S. Gregorio Magno nelle Due
Sicilie.
Berotti:
Tropea in prospettiva. Stampa del 1795.
TROPEA
La diocesi di Tropea in Calabria, si distingue in superiore ed inferiore. Essa confina, nella superiore, colle diocesi di Mileto all'est, di Nicotera al sud, e col mare tirreno dal nord all'ovest; e nella inferiore colle diocesi di Nicastro all'ovest, di Cosenza al nord ed all'ovest, e col mare tirreno al sud. Evvi tra l'una e l'altra il golfo di S. Eufemia, con una distanza di 70 miglia dalla parte di terra. Le due parti della diocesi comprendono ben formati comuni, ricchi la maggior parte per fertili campi, industria e commercio, e nel loro grembo racchiudono molti santuari, e un popolo, che per religione e pietà, a pochi è secondo. Noi, per seguire il metodo di altri lavori (1), divideremo in due parti questo nostro cenno. La prima verserà sulla diocesi superiore; si occuperà la seconda della inferiore. Nell'una e nell'altra accenneremo la situazione, l'origine, e lo stato presente dei più antichi, o principali comuni (2).
PARTE PRIMA
Diocesi superiore
Tropea, capitale della diocesi del suo
nome, sorge su di un colle, alle falde del monte S. Angelo, sotto il grado
34, 5 di longitudine e 38, 50 di latitudine, ed è bagnata dalle
acque del mar Tirreno. Ha il capo Zambrone a destra, ed il Vaticano a sinistra,
essendo lontana sei miglia dal primo, e quasi altrettanti dal secondo.
Dista poi mezzo miglio dall'antico Porto di Ercole (3), 16 miglia
da Monteleone, capoluogo del distretto, e 50 da Catanzaro, capitale della
provincia. Nel 1785 era popolosa di 3977 abitatori, cresciuti a 4237 nel
1816 (4); ed al presente ne ha 6605. Tropea si offre cinta di mura, con
tre porte d'ingresso, e munita di un fossato. Insigne per l'amenità
del luogo la diceva il Frezza (5), essendo invero posta in sito amenissimo
e di aria saluberrima, e l'Alberti la encomia per gli abbondanti viveri,
pel popolo numeroso, e pel decoro di gran nobiltà (6). Nulla di
certo può dirsi dell'origine di Tropea. Chi la stima fondata dagli
ausoni e dagli enotri; chi da Scipione; chi da Sesto Pompeo (7). Degli
antichi, Stefano di Bizanzio è il primo a ricordarla (8). La ricordò
poi S. Gregorio Magno (9), cui fece seguito Costantino Porfirogenito, narrando
essere stata per valore dei greci liberata dai saraceni, i quali la tenevano
oppressa (10), benchè poi in altre epoche, e specialmente nel 946,
fosse ricaduta nel servaggio di quelli (11). Dal secolo XI le sue memorie
civili sono più copiose ed onorevoli. Conceduta in feudo ad Ugone
di Bonvill nel 1314, fu restituita al regio demanio nel medesimo anno (12).
Per la sua devozione al principe, Tropea meritò il titolo di fedelissima,
il demanio perpetuo, la precedenza delle sue galere nelle navi di guerra,
ed altri privilegi (13). Dei tropeani, un Pietro Ruffo e un Matteo Rossi
sotto l'imperatore Federigo II (14), ed altri senza numero poi, occuparono
distinte cariche (15), e la città fece sempre luminosa figura. A
trattare le cose della università, Tropea avea due sedili, ombre
di governo rappresentativo. Uno di questi, detto grande, e poscia
di Portercole, era dei nobili, ed oggi è casa comunale; un
altro, che dire si dovea seggio africano, apparteneva agli onorati
(16), e non esiste. Anche oggidì Tropea ha l'accademia degli Affaticati,
molte famiglie nobili, molti proprietari e civili, ed era meritatamente
riputata città industriosa e commerciante (17). Essa per ultimo
è patria del celebratissimo Pasquale Galluppi, le cui opere saranno
monumento eterno del suo valore nelle scienze filosofiche (18).
Nulla sappiamo della instituzione del
vescovado, e molto meno dell'esordio del cristianesimo in Tropea. Narra
il Marafioti, che un tempio sacro a Marte, fu convertito in chiesa sotto
la invocazione di S. Giorgio, e che prima in questa, e poi nella chiesa
di S. Nicolò, ebbe stanza la sede vescovile. Aggiungne, che nel
castello si vedeva un tabernacolo, che per certo numero antico dimostrava
essere di 1200 anni (19). Senza prestar fede intera ad ogni notizia riferita
dal citato scrittore, (20) noi ritenghiamo, che la religione pose salde
radici in Tropea sin dal primi secoli, vantando martire della fede la concittadina
S. Domenica sotto Diocleziano, vale a dire nei primordi del secolo IV.
Sembra intanto che la origine del vescovado di Tropea sia a porre nel settimo
secolo, non ritrovandosi di esso alcun ricordo nelle epistole di S. Gregorio
Magno, e molto meno in più antiche scritture. Nel 649 era vescovo
un Giovanni, di cui si ha la firma al concilio lateranense in quell'anno
celebrato (21); e nel 679 reggeva il pastorale tropeano un Teodoro, che
fu presente al concilio convocato in Roma ai 5 aprile del detto anno (22).
Caddero in fallo il Barrio, il Fiore, e gli altri che attribuirono a questa
sede quel Lorenzo, che intervenne al concilio celebrato sotto papa Simmaco,
e fu vescovo di altra Chiesa (23). Si noti, che Giovanni e Teodoro dipendevano
immediatamente dal patriarca di Roma, ed erano di rito latino, perchè
nel loro secolo le Chiese tutte di Calabria e di Puglia erano sottoposte
al patriarcato romano; ma quando poi insorse il famoso scisma di Oriente,
il patriarca di Costantinopoli fece di sua dipendenza le Chiese in parola;
ed erigendo Reggio a metropoli, a questa assoggettò il vescovado
di Tropea. Evvi di tal fatto luminosissima prova, risultante da scrittura
dell'VIII, o IX secolo, in cui ritroviamo la sede tropeana sotto la metropoli
di Reggio (24). Ascese intanto la medesima sede altro Teodoro, ed essendosi
convocato il secondo concilio niceno a tempi di lui, egli occupò
il suo luogo tra i padri di quel sacro consesso (25). Adottato il rito
greco in Calabria, Tropea il fece pure suo, e furono greci i vescovi Pietro
e Kalochirio, dei quali esiste ricordo. Questo Kolochirio fioriva nel secolo
XI, ed avea la nobilissima dignità di protosincello, solita
a conferirsi dagl'imperatori di Oriente a prelati idonei ad intendere la
cosa pubblica, istruire, e consigliare, dignità eminente assai più
dell'altra dei sincelli (26). A Kalochirio e suoi successori, il
duca Roberto Guiscardo, in novembre 1066, indirizzava un privilegio, col
quale confermava alla Chiesa vescovile di Tropea tutto ciò che essa
fin dal suo principio possedeva, e che Pietro, vescovo antecessore, avea
posseduto. Donava quindi e concedeva allo stesso Kolochirio quanto alla
detta Chiesa apparteneva ab antiquo, avea ed era per acquistare:
vigne, cioè, terre, selve, pascoli, acque, villani, o mercenari,
e cherici. Ordinava infine agli stratigoti, e a tutti i suoi dipendenti,
di non esigere pesi da quest'ultimi, e di non tradurli in giudizio, accordando
queste facoltà al vescovo. Roberto, senza dubbio, avea molta stima
per Kalochirio, nella di cui residenza, egli non solo, ma anco la duchessa
Sichelgaita sua consorte, furono di persona (27).
Credesi, e con fondamento, che Kalochirio
fosse stato l'ultimo dei vescovi greci. Imperocchè Iustego, che
fioriva nel 1094, fu il primo vescovo latino (28). I normanni restituirono
alla ubbidienza del papa le Chiese di Calabria e di Puglia, e richiamarono
generalmente in osservanza il primiero rito. A Iustego il duca Ruggiero,
nel detto anno 1091, consegnava un privilegio, col quale faceva dono alla
chiesa della B. Vergine di Tropea, ed al medesimo Iustego, di tutto ciò
che gli antecessori greci di quest'ultimo aveano posseduto in Tropea ed
in Amantea, vigne, terre, mulini, ed altro; e perchè la chiesa in
discorso era povera, donava a Iustego i preti, diaconi e suddiaconi greci
di Tropea e di Amantea, coi loro figli ed eredi, e finalmente gli faceva
altri doni. Questo è il primo documento, da cui risulta la unione
della Chiesa di Amantea alla tropeana. Lo stesso documento fu confermato
da re Guglielmo in epoca incerta. Guglielmo nostro sovrano, in gennaio
1155, a dimanda di Geruto vescovo di Tropea, fece riassumere, e munire
di regio sigillo il privilegio del 1066, e papa Alessandro III, con breve
del 15 marzo 1179, quando era vescovo Coridone, confermava alla Chiesa
di Tropea ciò che questa canonicamente possedeva. Innocenzo III
in fine, nel 1200, confermò il breve del suo antecessore Alessandro.
Questi privilegi furono per lungo tempo osservati. Non si dolsero infatti,
il vescovo, che nel 1164 ritornando dalla Francia in Italia con forti commendatizie
di papa Alessandro III (29), non avrebbe saputo tacere; Giovanni, quello
stesso che per altra faccenda contese con Ridolfo abate di Fonte Laurato;
Arcadio, che sul principiare del secolo XIV, fece lite con taluni, che
aveano deviato il corso delle acque di un suo mulino (30), ed altri vescovi,
che a Iustego, Geruto e Coridone succedettero. Non erano però nello
stesso modo le cose nel presulato del vescovo Roberto (31). Parecchi giustizieri
della provincia, e diversi capitani e regi ufiziali della città,
non tenendo conto dei detti privilegi, tradussero alla loro giurisdizione
i vassalli della Chiesa di Tropea. Roberto se ne querelò presso
il cardinale Aymerico, legato apostolico nel regno, e da Nicola (Tropeano)
vescovo di Nicastro, all'uopo delegato dal cardinale, ottenne sentenza
degli 11 novembre 1344, la quale ordina la osservanza dei privilegi accennati
sotto pena di scomunica (32). Notisi, che al suddetto vescovo Giovanni,
o a qualche altro, che governò la Chiesa tropeana, papa Gregorio
commise di far pagare le decime ai preti, greci nei più, della diocesi
di Squillaci, quante volte fossero loro dovute, essendo alla sede apostolica
ricorso l'Ordinario squillacese per ottenere su di ciò un provvedimento
(33).
Papa Alessandro III, nel 1165 confermava
al metropolitano di Reggio il vescovado di Tropea come a suffraganeo (34),
ed intorno al 1198 l'abate Gioacchino di Celico, scriveva sopra Isaia,
nominava il medesimo vescovado. Era poi il 1529, e l'imperatore Carlo V
otteneva dalla santa sede il diritto di patronato sopra talune Chiese vescovili
del regno, fra le quali andò compresa quella di Tropea (35); e forse
allora esso imperatore, se Marafioti non s'inganna, manifestò al
santo padre il piacere che incontrerebbe, se il vescovado ed i benefici
fossero conferiti ai paesani (36). La stessa Chiesa nel 1818 fu da Pio
VII congiunta all'altra di Nicotera, aeque principaliter, ognuna
di esse conservando i propri diritti e privilegi (37). La rendita della
mensa ammonta a circa duc. 3000 depurata dai pesi, mentre lorda di duc.
5000 a tempi di Ughelli (38).
Dei vescovi tropeani, Francesco d'Amantea
fu ambasciatore della regina Giovanna I in Ungheria (39); Nicola Acciapacci
di Sorrento, grato assai ai papi Martino V ed Eugenio IV, esercitò
la carica di consigliere dell'augusta Giovanna II e di Luigi d'Angiò,
ed essendo poi arcivescovo di Capua, nel 1439 fu nel concilio fiorentino
creato cardinale prete del titolo di S. Marcello (40); Giosuè Mormile,
napolitano, fu vicario di detto papa Eugenio; e Girolamo Mirto di Caiazzo
stette in corte regia da consigliere e cappellano del II re Alfonso, alla
cui sacra unzione fu presente (41). A costoro fecero seguito, Giovanni
Poggio bolognese, nunzio apostolico nelle Spagne ed in Germania, e nel
1551 cardinale, e Carlo Maranta di Napoli, cappellano maggiore del regno
sin dal 1637 (42). Noveriamo tra i prelati, che lasciarono saggi di lor
sapere, Pietro Balbi di Pisa, parente di Paolo II, versatissimo nella lingua
orientale (43); Felice Rossi di Troja in Puglia, sommo giureconsulto, di
cui abbiamo le aggiunte alle Consuetudini napolitane (44); il suddetto
Maranta, scrittore di opere legali; e Girolamo Borgia, anco di Napoli,
originario bensì di Valenza, che nel 1678 mise a stampa XX libri
di sue ricerche di diritto civile per correggere l'insigne Fabbro (45).
Oltre diversi prelati dei secoli XI a
XII, furono benemeriti della loro Chiesa, chi più, chi meno, i vescovi
Sigismondo Pappacoda, Tommaso Calvo, Fabrizio Caracciolo, Aloisio Morales,
Francesco Figueroa, Lorenzo Ibanez, Gennaro Guglielmini, Felice Paù,
e Giovanni Vincenzo Monforte. Pappacoda amò tanto la sposa, che,
per vivere in essa, rifiutò la sacra porpora, e morendo dispose
di ducati 300 per edificarsi la tribuna della cattedrale. Calvo fece ricco
di argenti il duomo; rinnovò il palazzo vescovile aggiungendovi
cinque stanze; fondò diversi monti pii, e quattro monasteri di monache,
profondendo in queste spese circa duc. 20 mila, e diede ai padri del Gesù
duc. 2000 col peso di provvedere la cattedrale di annuo predicatore, e
tenere le scuole. Caracciolo eresse la nuova segrestia della cattedrale,
fornendo quest'ultima di sacri arredi, e nel 1618 celebrò un sinodo.
Morales celebrò un altro sinodo nel 1669, e tra le diverse cose
fatte da lui, si contano il campanile del duomo, ed un'ampia vasca nell'orto
della mensa. Figueroa tenne anco il suo sinodo nel 1687, e ornò
di pitture la cattedrale. Ibanez restaurò l'episcopio, migliorò
i fondi della mensa; e spese molte somme per il mantenimento della sua
giurisdizione su i vassalli, per lo che ottenne tre cedole imperiali. Guglielmini
crebbe di argenti la suppellettile della cattedrale, al cui lato eresse
la nuova cappella di S. Domenica, e si adoperò al miglioramento
delle chiese diocesane. Paù erogò duc. 5 mila per la edificazione
del novello seminario, cui aggregò la badia di S. Angelo; eresse
dei casini, crebbe la rendita della mensa, e fece altre cose belle. Monforte
finalmente beneficò la sua Chiesa, fondando la cappella dell'arcangelo
Raffaele nel duomo, e costruendo di quest'ultimo in marmi la balaustrata
del presbitero, il fonte battesimale, ed il pulpito, anco in marmi, non
che erigendo una baracca nel borgo. Egli ampliò e provvide di molta
suppellettile l'episcopio, ed altre molte più belle cose avrebbe
fatto, se non fosse stato traslocato a Nola, dalla quale sede fu trasferito
alla metropolitana di Napoli. Di questi sacri pastori, l'Ughelli magnifica
il Calvo, dicendolo chiaro giureconsulto, ed illustre per conoscenza di
nobili discipline. Fa la stessa lode di Ambrogio Cordova e Giovanni Lozani,
appellando di alto sapere e rispetto quello, e sommo teologo questo (46).
Anche Paù era adorno di positive conoscenze. Egli dottamente scrisse
sulla musica, e grato ai celebri uomini della età sua, non veniva
da costoro nominato senza lode (47).
Da ultimo per pietà e beneficenza
coi poveri si possono veramente encomiare i vescovi Calvo, Ibanez, Paù
e Giovanni Tomasuolo, essendosi distinti più degli altri nel soccorrere
gli orfani, le vedove, ed ogni infelice, e mai negando favori (48). Occupa
adesso la cattedra episcopale di Tropea mons. Franchini, delle cui esimie
qualità abbiamo altrove fatto doveroso encomio (49).
Commendatari della Chiesa di Tropea furono
i porporati, Giovanni Domenici fiorentino, e Girolamo Ghinucci senese,
illustre il primo per santità e dottrina, chiaro il secondo per
le sue legazioni apostoliche, e per eminenti virtù (50). Da vicari
apostolici governarono poi, Matteo Samminiato di Lucca, dottore di ambe
le leggi, nel pontificato di monsignor Rustici; e Giuseppe Battaglia, dottor
di legge e di teologia, a tempi di monsignor Mandina; non che Sebastiano
Militino e Ferdinando Cive, persone qualificate, alla morte di monsignor
Caracciolo. Melitino eresse nella cattedrale la cappella di S. Domenica,
dotandola di duc. 100; e morto a' 16 ottobre 1631, fu seppellito in detta
cappella. Si distinse inoltre il vicario capitolare Antonio Pelliccia,
governando più volte con saggezza e prudenza, e promuovendo le buone
discipline nel seminario (51).
Ma che diremo
di fra Marco d'Assisi, minore osservante, che fu vescovo di Tropea? Giovanni
Agrosillo, canonico del capitolo, lo accusò di enormi delitti. Espose
egli alla santa sede, che fra Marco entrato come ladro dalla finestra nel
reggimento della Chiesa vescovile di Cassano, e trascorso in gravi falli,
fu destituito per sentenza del legato apostolico Ridolfo. Nondimeno fra
Marco, uomo ignorantissimo ed ambizioso, agognò la infula tropeana,
e fatto morire di veleno il leggittimo pastore, occupò il vedovato
seggio, nè punto era addivenuto migliore. Dato alle dissolutezze,
a simonie, ad usure, senza affatto curarsi dell'interdetto comminatogli
dalla curia metropolitana di Reggio!... Questo prelato fu ignoto all'Ughelli,
ma vi fu: esistono infatti lettere di papa Niccolò III, date in
Roma a'15 gennaro, anno 3.° del suo pontificato (1280), dalle quali
si desume la terribile denunzia del canonico Agrosillo, e che in veduta
della stessa, esso pontefice commise al decano del capitolo di Nicastro,
e al guardiano dei frati minori di Monteleone, di citare l'accusato a presentarsi
tra cinquanta giorni alla sede apostolica. Non possiamo accertare, se ciò
che l'Agrosillo al vescovo addebitava fosse tutto vero, ed anche il sommo
pontefice ne dubitava, ragion per la quale voleva sentire l'accusato. Di
questo fra Marco d'Assisi null'altro sappiamo con certezza, se non che
fu assunto alla cattedra di Cassano nel 1268, e dopo aver disimpegnato
dei pontifici incarichi, continuava nel governo della Chiesa cassanese
nel 1277; ma nel 1279 e 1280 era, come si è detto, vescovo di Tropea
(52).
La cattedrale di Tropea, che il Pacichelli
chiama antica e sontuosa (53), è a tre navi, ed ha il fregio di
marmi e cappelle. Monsignore Rustici ne consacrò l'altar maggiore,
ed il Guglielmini le fece degli accomodi. Conquassata dai tremuoti del
1783, fu rifatta a spese del capitolo e di monsignor Monforte. Nulla ne
sappiamo dell'origine. Nel 1094 era sacra alla B. Vergine, e lo è
ancora sotto il titolo della Assunzione. Son quivi da notarsi di pregevole
la effigie, bruna nel volto, di Maria SS. della Romania, dipinta sopra
tavola, ed alcuni marmi rappresentanti la nascita e resurrezione di N.
S., ed i santi apostoli Pietro e Paolo. Vuolsi che la prima fosse qui pervenuta
dall'Oriente al tempo della eresia degl'iconoclasti (54). Vi è ancora
la reliquia di S. Domenica V. e M. donata da mons. Ibanez, la quale consiste
in una piccola parte della colonna, ove la santa soffrì il martirio.
I tropeani hanno molta divozione per Nostra Signora della Romania, pienamente
credendo, che avesse salvato la loro città nelle generali disgrazie,
e perciò le celebrano solenne festa. Nè minore divozione
essi hanno per S. Domenica, la cui festa è anzi più solenne
di ogni altra, trattandosi di onorare la propria concittadina, che vogliono
financo tra loro seppellita (55). La seguente iscrizione incisa sul marmo,
orna la cappella di S. Domenica: S. Januario episcopo vigilantissimo,
martyri incomparabili, regni neapolitani, regnorumque omnium Hispanico
imperio subiectorum patrono in coelis potentissimo, Januarius Guglelmino
neapolit. civitatis Tropeae episcopus, mox archiepiscopus Tarsensis providentissimus,
in S. Dominicae virginis et martyris huiusce civitatis patronae sacello,
ex marmore aram excitavit, et ad I colemnae CCL privata ab aliquo ex insigni
canonicorum coetu sacrificia Altissimo quotannis offerenda, tabulis in
episcopali curia Tropaen, et a pubblico tabellione Joan. Baptista Cimino
prid. Kal. septemb. anno CICICCCXLVIII obsignatis CICCC aureis, summa
munificentia dotavit. Muneris et officii memoria ne pereat IV Kal. sept.
anni vulgaris aerae CICICCCLVI monumentum positum.
Ad ufiziare il
duomo di Tropea vi sono 24 canonici, e altrattanti mansionari, ai
quali una volta seguivano 8 semimansionari. Ogni canonico ha la sua prebenda,
come del titolo di quest'ultima avea la sua chiesa (56). Dei canonici son
dignitari, il decano, l'arcidiacono, il cantore, il tesoriere, l'arciprete,
ed il penitenziere, ed evvi nel resto il teologo. Niente si conosce della
fondazione del Capitolo. Soltanto si vedevano sottoscritti un Guglielmo
cantore, ed altri sette canonici in una bolla data nel maggio 1204 da Riccardo
loro vescovo. Sottoscrissero ancora ad un privilegio del 1220 un Simone
decano, un Riccardo arcidiacono, e cinque altri canonici (57). Forse il
Capitolo era in quei tempi poco numeroso. Al Vescovo e Capitolo apparteneva
in patronato una chiesa parrocchiale della città, sacra al principe
degli apostoli: la stessa, che poi con orto contiguo, il vescovo ed i canonici
donarono ai padri francescani, i quali ai 17 giugno 1296 ebbero pontificia
conferma (58). Nel 1607 surse quistione in ordine alla precedenza tra i
membri del Capitolo, e la sacra congregazione dei riti, a'17 giugno detto
anno, dichiarò che i canonici sacerdoti debbano precedere ai canonici
diacono e suddiaconi. Rinnovate le contese nel 1619, la stessa sacra congregazione
ai 10 dicembre di quell'anno, dichiarò, che essendo preti tutt'i
canonici, essi godano la precedenza, secondo l'epoca di loro ricezione
(59). Avea allora sin da'25 gennaro 1603 dichiarato, che il vicario foraneo
non gode preminenza nelle processioni e nel coro: goderla bensì
nelle congregazioni, che per volere del vescovo si adunavano in ogni mese,
nelle quali era egli un delegato dell'Ordinario diocesano (60).
Il Capitolo, a premura di monsignor Ibanez,
ottenne da papa Bendetto XIII l'indulto, perchè i suoi membri potessero
far uso di rocchetto e delle mozzette rossa, violacea, e nera. I medesimi
canonici, pei buoni ufizi di monsignor Paù presso la santa sede,
hanno facoltà d'indossare non meno la cappa magna, che d'insignirsi
della mitra, come gli abati (61), benchè di tali onorificenze, per
quanto ci vien detto, non abbiano mai usato. La rendita del Capitolo, oltre
le prebende particolari in circa duc. 3000, somma ad annui duc. 2000 circa,
dei quali due parti sono delle dignità e dei canonici, ed una è
dei mansionari. All'arcipretura fu congiunto il protopapato, trasferendosele
i diritti (62), e l'arciprete si ebbe la cura del borgo sino al 1847, quando
il zelantissimo monsignor Franchini affidò una tal cura ad altro
sacerdote, che ivi col titolo di parroco ufizia nella chiesa del Rosario,
sacra una volta a Nostra Signora della Libertà, e appartenente un
tempo ai padri agostiniani scalzi del medesimo borgo. Non è questa
però la sola parrocchia, che provvede ai spirituali bisogni di Tropea,
essendovene altre quattro; S. Demetrio, cioè, nella chiesa di S.
Francesco d'Assisi; S. Giacomo, limitrofa all'abolito monistero della Pietà;
S. Caterina, nel già convento dei domenicani, e S. Nicola della
Piazza. Queste parrocchie sono antiche, ed hanno la rendita voluta dalle
leggi in vigore, ma la origine di esse a noi ignota. Nella giurisdizione
di dette parrocchie s'incontrano diverse chiese semplici, delle quali la
Neve, ovvero S. Maria di Micalizia, e S. Nicola della Marina, sono prebende
di due canonici della cattedrale. Le altre hanno diversi titoli. Non parliamo
delle chiese ricettizie distrutte, perchè andremmo troppo per le
lunghe.
Presentemente nella
città di Tropea sonvi i conventi di S. Francesco d'Assisi,
di conventuali, eretto nel 1296, dov'era la chiesa di S. Pietro (63); dell'Annunciazione,
di riformati, che nel 1626 succedettero agli osservanti, pei quali il sacro
chiostro era stato edificato, col favore dell'augusto Carlo V, sin dal
1531 (64); ed il monastero delle religiose nobili, sotto il titolo di S.
Chiara, eretto nel 1261 (65), e provveduto oggi dell'annua rendita di circa
duc. 3000. Aggiungasi il collegio del S.S. Redentore, nella cui chiesa
in bisogno si esercitano i divini uffizi della cattedrale. Questo collegio,
da circa 45 anni è locato sul dismesso del Gesù, che sorgeva
sin dai primordi del secolo XVII, e da monsignor Calvo avea ottenuto la
chiesa parrocchiale di S. Nicola la Cattolica per funzionare (66). Lo stesso
collegio è in forma elegante, ed ha un'annua rendita di duc. 1000.
Numerosi ordini religiosi, oltre i cennati, ebbero stanza in Tropea e suo
territorio. I primi erano di S. Basilio, il quale occupava i monasteri
di S. Angelo sopra la città, e di S. Sergio nel bosco, che tuttavia
di questo santo si appella, vicino Drapia, cenobi di antichissima fondazione.
Di S. Angelo infatti scrive S. Gregorio Magno a Pietro notaio, commettendogli
di soccorrere per conto di lui quei religiosi, mal provveduti di vitto
e di vestiario (67); e S. Sergio fu eretto prima del 700. Riedificato quest'ultimo
nel 1421 ad uso degli osservanti, cadde in mano dei riformati nel 1587
(68). I basiliani occupavano ancora il cenobio di S. Isidoro, di cui, presso
gli scrittori, null'altro si sa, all'infuori del nome (69). Antico non
meno era in Tropea l'ordine benedettino, il quale vi avea il monastero
di S. Maria dell'Isola entro mare, e quello S. Maria dei Latini dietro
le mura della città. Le rendite di questi cenobi, all'epoca del
Fiore, si percepivano dai monaci di Monte-Cassino (70), ai quali Innocenzo
III nel 1208 avea confermato la chiesa di S. Maria (dell'Isola o dei Latini)
di Tropea (71). Essendo badia il santuario di nostra Signora dei Latini,
nel passato secolo conservava miracolosa immagine di sua titolare (72);
ma oggi non è più, e i detti padri hanno soltanto la chiesa
della Madonna dell'Isola. Si stabilirono poi in Tropea gli agostiniani
e i domenicani in epoche a noi ignote, ed i paolini occuparono il convento
della B. V. dell'Ajuto nel 1534; i carmelitani quello del Carmine, nel
1580; e i cappuccini l'altro della Sanità, nel 1590. Le monache
chiariste anch'esse presero stanza nei monasteri di S. Domenica nel 1612,
e di S. Maria della Pietà nel 1639, e nel 1738 fu aperto un conservatorio
di donne pentite (73). Di taluni conventi esistono le chiese, delle quali
quella del patriarca di Paola è di bellissima forma, ed appartiene
a privati, e l'altra della Presentazione fa parte del regio ospedale. I
cenobi si sciolsero nel 1783, epoca memoranda per Tropea e Calabria (74),
ed allora Porzia Carbonaro soffrì la perdita dei duc. 15 mila di
lei spesi per la fondazione del monastero della Pietà.
Esistono nei propri
oratori le confraternite del Santissimo, dietro la cattedrale; di
S. Giuseppe, nel luogo un dì dei frati di S. Domenico; di S. Anna,
dove stanno i padri del Redentore; e S. Nicola, dei nobili, ai medesimi
padri. Rivengonsi inoltre le confraternite di S. Michele Arcangelo nella
chiesa curata del borgo, e della Maddalena nella chiesa di S. Elia profeta,
un tempo dei carmelitani. Ve n'era un'altra sul fine del decorso secolo
(75). Esiste, come si è detto, un regio ospedale, ed esiste pur
anco il monte di Pietà, eretto da monsignor Calvo. Ma il più
lodevole stabilimento è il seminario sotto la dipendenza del vescovo.
Ignoriamo chi fondato avesse l'antico: il nuovo, lo ripetiamo, è
opera di monsignor Paù, che addì 26 gennaio 1752 ne gittava
le fondamenta, e con molta solennità lo apriva ai 7 giugno 1756,
facendo sinanco celebrare nel duomo un'accademia. Egli l'ornò di
un marmo, che tuttavia offre la seguente iscrizione:
Aaedes pro adolescentibus
ad pietatem ac littaras instituendis, angustas antehac, squalentesque a
templo maximo remotas, alumnisque desertissimas, Felix Pauvius domo Terlicio,
ex priscis Butuntinis patriciis, quatuor annorum intervallo, egregiis cuiuscumque
disciplinae, praeceptoribus conquisitis, aptissimo loci situ, plena elegantique
arte, maximam partem pecunia sua extruendas curavit an. MDCCLV. sui pontificatus
an, V.
Paù non solo unì al seminario
la badia di S. Angelo per accrescergli le rendite, ma gli aggregò
ancora il beneficio dell'Annunciata eretto in Belmonte, ed un legato di
annui duc. 40 lasciato da un nocerino, ammettendo per quest'ultimo un individuo
di Nocera, gratis, al seminario (76). Ridotto sì bello istituto
in umile stato per le vicende del tempo, mons. Franchini si studiò
di renderlo in forma elegante, e fu subito fatta ragione al merito dell'insigne
prelato, innalzandosi un marmo con questa iscrizione: D. O. M. Gymnasium
hocce, temporum injuria fractum et quasi labens, Michael Angelus Franchini
patricius picentinus, perillustris Nicot. et Tropien Episcopus, in sollicitudinibus
episcopalibus explendis nemini antistitum secundus, summa cura ac studio
ad hanc elegantiorem formam reduxit, ampliavitque an. rep. sal. MDCCCXLIV.
Il seminario adunque è amplo,
e mercè le assidue cure del Franchini, è pure ben messo.
D'ordinario contiene 60 convittori, ciascuno dei quali paga annui duc.
36 se diocesano, e 48 se di aliena diocesi; ed oltre questa rendita, l'istituto
ha l'annuo introito di circa duc. mille da beni stabili e censi. Colà
s'insegnano varie lingue, la filosofia e la teologia, ed egregi sono gl'istitutori,
per cui la gioventù ricava molto profitto, così nelle lettere
e scienze, come nella cristiana morale.
Nè meno amplo e decente è
l'episcopio, il quale ha comunicazione col seminario e col duomo. Essendo
un edifizio antico, minacciò rovina sotto diversi vescovi, i quali,
come si è detto, furono sollecitati ad instaurarlo. Quel che abbia
fatto Paù si rileva da un marmo, messo sulla porta d'ingresso, colla
seguente iscrizione: Pontificiam hanc donum, nulla dignitate spectabilem,
deformam atque aevitate collabentem, Felix de Paù praesul, non paucis
aedibus adiectis honesta supellectile decoris, sacello, atque eximio scalarum
opere, de suo instauravit, exornavitve A. R. S. MDCCLIX. p. VIII.
I tremuoti del 1783 non lasciarono immune
l'episcopio, di cui è parola. Monsignor Monforte quindi adempì
le veci di ottimo pastore, come si ha da altro marmo eretto nella sala,
la cui scritta riferiamo: D.O.M. Aedes olim hospitandis praesulibus
opportunas, furentibus terrae motibus fatiscentes, Joannes Vincentius Monfortius
e dynastis Lauretis, Tropiensis antistes, huc illuc in vitae discrimine
diversari indignatus, ultro restituit, auxit magnificentius, et ne quos
diu foverat pastores paries perderet ruinis, decussalis consutisque circum
trabibus immitis electri impetum substinentibus, firmavit, munivit, perennavit,
suique pontificii nondum expleto novennio adhuc sub ascia primus incoluit.
Anno MDCCXCV.
Grazie al non mai lodato abbastanza monsignor
Franchini, oggi l'episcopio è ornato di tutto il decoroso e bello,
e la seguente iscrizione che, incisa sul marmo devesi apporre, l'ornerà
maggiormente: Hanc episcopalem aedem, jam varia temporum offensione
labefactam, et Michaelis Angeli Franchini, Picentini patricii, Nicoterensis
Tropiensisque episcopi aere ad pristinam suam elegantiam restitutam, ac
decenti supellectile exornatam, Ferdinandus Hutriusque Siciliae rex pientissimus
in calabra lustratione suo aspectatissimo adventu fecit spectabiliorem
X Kal. maji. an. MDCCCXXXIII. Idem praesul, ut tanti successus memoria
perennaret, hoc monumentum p.
Dal clero di Tropea sursero uomini distinti.
Ascesero infatti le vescovili sedi di Nicastro, Nicola Tropeano nel 1344;
di Oppido, Giovanni Malatacca nel 1394; di Pozzuoli, Matteo Griscono nel
1454; e di Policastro, Giacomo Lancellotti nel 1438. Emulando le virtù
di costoro divennero vescovi di Martorano, Goffredo di Castro nel 1442;
di Lesina, Francesco Nomicisio verso il 1500; di Satriano, Marco Lauro
nel 1560; e di Oppido, Teofilo Galluppi nel 1561. Furono parimenti decorati
della mitra di Belcastro, Antonio Lauro nel 1599; e di Bitetto, Gaspare
Toraldo nel 1669 (77). Marco Lauro e Teofilo Galluppi intervennero al concilio
di Trento, ove il primo egregiamente disputò; nè fu men dotto
Bernardino Lauro di molto onore all'ordine domenicano cui apparteneva (78).
Tutti poi sorpassò nella virtù e nel merito Vincenzo Lauro,
fratello del cennato monsignore Marco, filosofo, medico, e teologo insigne,
che nel 1583 da vescovo di Mondovì nel Piemonte, ascese al cardinalato:
fu assai accetto ai pontefici del suo tempo, e in diversi conclavi ebbe
gran copia di voti per essere papa. Fu anco legato apostolico in Polonia;
e giunto in celebrità, terminava i giorni suoi a Roma nel 1592 (79).
Inoltre si distinsero i tropeani Ottavio Glorizio e Giovan Battista Puntorieri,
ambi canonici della cattedrale, e scrittori di opere, dei quali il primo
nel 1596 ascese la cattedra di sacri canoni in Messina (80). A costoro
fece seguito Antonio Barone della compagnia di Gesù, che scrisse
e nel 1692 pose a stampa la vita di S. Domenica sua concittadina (81);
e nel passato secolo fiorirono Tommaso e Saverio Polito, canonici decani
del Capitolo, e letterati di merito (82). Alfonso Manco, avendo preso l'abito
dei chierici regolari minori, divenne generale del suo Ordine, e nel 1632
stampò un libricino per istruzione del maestro dei novizi (83);
Teofilo, religioso domenicano, fu insigne teologo, assai accetto a Paolo
IV, che lo fece commissario di S. Inquisizione (84); ed Egidio Cordova,
laico cappuccino, fratello di Diego che disimpegnò dei vicariati
apostolici, morì da vero servo di Dio (85). Tutti costoro avea preceduto
il frate minore Giovanni, il di cui corpo, come di un santo, riposava nel
monastero di S. Maria dell'Aiuto (86). Emuli finalmente degli scienziati
e virtuosi loro concittadini, furono, il padre maestro Crescenti, terminando
il secolo XVIII, che in elegante verso latino scrisse quattro libri su
i fasti della sua patria (87), e il padre Michele Melograni, versatissimo
in filosofia e teologia, che per più anni lesse nel ven. seminario
di Nicotera, generale dei minimi nel corrente secolo. Non parliamo dei
concittadini e vescovi Giovanni, Teodoro I e II, Stefano, Kalochirio, e
Iustego (88), e tralasciamo pur anco i cavalieri del sacro militar ordine
gerosolimitano, volendo esseri brevi (89).
La diocesi superiore di Tropea è
composta da cinque comuni, situati a non molta distanza dalla città
in clima ove più, ove meno salubre, e tra campi fertili di vettovaglie,
vini, lini, e altre derrate. I ventitre paesi, dai quali detti comuni si
formano, fecero con Tropea una sola amministrazione, godendo con quella
il regio demanio, e non si separarono, che ai principi del corrente secolo,
restando aggregati al circondario dell'antica loro capitale. I comuni sono:
1.Parghelia.-Sul
lido del mare, a due miglia da Tropea. Si distingue per incivilmento e
commercio, ed è senza dubbio il miglior luogo della diocesi superiore,
essendo quasi tutti gli altri comuni mancanti di persone civili ed istruite.
Il popolo di Parghelia ascende a 2260 anime, mentre nel 1783 non oltrepassava
il numero di 1533, ed era di circa 2000 nel 1794. La parrocchia è
intitolata a S. Andrea apostolo, e le chiese soccorsali, a S. Maria, detta
di Portosalvo, a S. Antonio, al Santissimo, ed a S. Anna. Vi ha inoltre
la confraternita del SS., e un monte di pietà. Parghelia fu patria
di Annibale Pietropaolo e di Silvestro Stanà, vescovi, uno di Castellammare
nel 1684, e l'altro di Minori nel 1722 (90). Vi ebbero i natali il P. Gregorio,
riformato, che fu provinciale nel 1681, e guardiano poi in Gerusalemme
(91); l'abate Ierocades, letterato sommo, filosofo e poeta; e Antonio Melograni,
dottore di ambe le leggi, vicario generale e poi capitolare di Tropea,
una volta giudice delle cause matrimoniali nella curia arcivescovile di
Napoli. -A questo comune appartengono i villaggi, Zaccanopoli, Fitili e
Alafito. Zaccanopoli, numeroso di 1455 anime, ha due chiese, una parrocchiale,
sacra alla Vergine della Neva, e un'altra semplice, dedicata parimente
a Maria. Esso villaggio dette la culla a Mansueto, religioso di S. Francesco
di Paola, che visse e morì da santo (92), ed a Paolo Collia, teologo
del cardinale Althan, vicerè del regno, e vescovo quindi di Larino,
poi di Nicotera (93). Fitili, di 267 anime, serba la chiesa parrocchiale
di S. Girolamo; Alafito ha la parrocchia sacra all'Immacolata. Quest'ultimo
villaggio, il cui popolo componesi di circa 40 individui, rammenta con
onore il suo paesano Paolo, che fu provinciale dei riformati nel 1707 e
nel 1716 (94).
2.Zambrone.-Sorge
a destra di Parghelia, da cui è lontano 4 miglia. Si vede su di
un piano inclinato, che nei suoi confini forma il capo, che Isacco, o più
tosto Giovanni Tzetze, avrebbe detto ipponiate (95), ed oggi si
appella di Zambrone. Gli abitanti erano 588 nel 1783, e 637 nel 1816. Ora
sono 633. Essi godono il patrocinio di S. Carlo Borromeo, cui è
dedicata la chiesa parrocchiale. Inoltre hanno la confraternita della Natività
di Maria in chiesa semplice del medesimo titolo. -Sono villaggi di Zambrone,
S. Giovanni, che offre ai suoi 186 naturali la chiesa curata di S. Marina
vergine; Daffinà, che venera S. Nicodemo, divoto a S. Nicola vescovo,
titolare di sua parrocchia. Questi due ultimi villaggi compongonsi di 482
anime, 380 a Daffinà, e 102 a Daffinacello.
3.Drapia.-Posto
a 3 miglia da Zambrone, e ad un miglio da Tropea, aveva un popolo di 566
nel 1783, e di 826 nel 1816, ma adesso lo ha di 1077. La chiesa parrocchiale
è sacra all'Immacolata, ed evvi la confraternita di S. Michele arcangelo
in chiesa semplice. Sono riuniti a Drapia i villaggi, Gasponi di 480 anime,
Caria di 600, e Brattirò di 478. Vi sono poi le cure, di S. Acindino
martire a Gasponi, del Salvatore a Caria, e di S. Pietro apostolo a Brattirò.
Caria inoltre ha la chiesa semplice di S. Nicola vescovo di Mira, e la
confraternita del Santissimo; ed anco in Brattirò evvi una chiesa
semplice dedicata a S. Anna.
4.Ricadi.-Popolato
di 510 anime nel 1783, e di 397 oggi, s'innalza infra al promontorio Vaticano,
così detto da Solino e Plinio, dove nel 1278 Raone Giffone possedeva
uomini a titolo feudale (96), ed ove fu un convento dell'ordine di N. D.
del Carmelo, soppresso nel 1653 (97). Ricadi vede il mare, e dista 7 miglia
da Tropea. Si distingue per le chiese curate di S. Pietro apostolo, e di
S. Zaccheria, per la confraternita del Santissimo, e per avere a 2 miglia
una chiesa semplice (patronato oggi del capitolo tropeano), sacra a N.
D. di Galilea, in cui onore, ogni lunedì dopo Pasqua, celebra divotamente
la festa.-Sono villaggi di Ricadi, Brivadi di 310, Ciaramiti di 110, Orsigliadi
di 156, S. Niccolò di 192, Lampazzoni di 227, Barbalaconi di 123,
e S. Domenica di 651 abitanti -Brivadi ha la chiesa parrocchiale di S.
Biagio, Ciaramiti quella di S. Paolo, e Orsigliadi l'altra di S. Martino.
Il villaggio S. Niccolò ha la parrocchia intitolata al santo del
suo nome; lo stesso quello di S. Domenica: l'altra di Lampazzoni è
dedicata a S. Michele, e quella di Barbalaconi a S. Lucia.
Vi sono pure le chiese semplici di S.
Anna a Ciaramiti e a S. Domenica, e le confraternite del Rosario a Brivadi,
e della Grazia a S. Niccolò. Di questi villaggi il solo Orsigliadi
va declinando. S. Domenica, ad avviso del Barrio, è antico, benchè
non se ne sappia il primiero suo nome. La sua paesana S. Domenica fiorì
ai tempi dell'imperatore Diocleziano, quando, per non aver voluto sacrificare
agli idoli, soffrì il martirio nella Campania, ove si trovava (98).
Fu anco del villaggio S. Domenica un padre domenicano per nome Arcangelo,
chiaro per santità e per dottrina (99).
5.Spilinga.-Sorge
tra due valli a 6 miglia da Ricadi
e ad altrettanti da Tropea, ed in se racchiude 1429 fedeli (712 nel 1783).
La chiesa parrocchiale è intitolata a S. Giovan Battista, e l'oratorio
della confraternita delle anime purganti, è sacro a S. Michele arcangelo.
Mancano le chiese semplici di S. Caterina e di S. Francesco, le cui rendite
appartengono al parroco, e va a riaprirsi la chiesetta del beneficio del
Gesù. Sono villaggi di Spilinga Panajia e Carciadi, dei quali il
primo ha 99, e il secondo 376 abitanti. Le parrocchie di questi villaggi
sono di S. Giuseppe a Panajia, e della Presentazione a Carciadi. Panajia
ha una chiesa semplice con immagine, un tempo miracolosa, di S. Maria di
Centofiori, comunemente detta di Centoferri (100).
Il Barrio, seguito da Marafioti e dal
Fiore, colloca tra Spilinga e Carciadi il villaggio Condorchinone (meglio
Cordocchidoni) di Tropea, che non più esiste, come non esiste S.
Nicodemo, altro villaggio, che il detto Fiore situa in diocesi della stessa
Tropea (101). Ritratti a Spilinga, come a luogo vicinissimo e popolato,
i pochi abitanti di Cordocchidoni, la chiesa curata del dismesso villaggio,
che portava il titolo di S. Nicola, cadde in abbandono; e distrutta nel
1783, le sue rendite furono incorporate alla parrocchia di Spilinga.
Oltre il circondario di Tropea, fan parte
della diocesi superiore i villaggi Coccorino e Coccorinello, posti a sinistra
di Ricadi, in pochi passi di stanza tra loro, e a 12 miglia da Tropea.
Formando un solo paese, nel 1344 costituivano da per loro un feudo (102),
ed oggi son riuniti al comune di Ioppolo in circondario di Nicotera. Vuolsi,
che questi due paesi fossero stati sottoposti ad un archimandrita, che
la tradizione situa nel detto Ioppolo, riferendo la loro aggregazione alla
diocesi di Tropea all'epoca, in cui Ioppolo fu tolto l'archimandrita. Il
popolo di Coccorino e Coccorinello, giunto a 934 anime nel 1810, somma
adesso a 815. La chiesa parrocchiale sta a Coccorino, ed è intitolata
a S. Mercurio: le chiese semplici sono della Immacolata colla confraternita
a Coccorinello, e del Rosario a Coccorino.
L'Ughelli, che scrivea dei vescovi tropeani
a'tempi di monsignor Maranta, segnava a Tropea 4 chiese curate, 11 monasteri,
8 cioè di uomini, e 3 di donne, uno spedale, un monte di pietà,
un seminario, e 4 confraternite di laici. Segnava poi in diocesi superiore
24 chiese parrocchiali in altrettanti villaggi, collocandone 12 verso Capo
Zambrone, e 12 altre alla parte di Capo Vaticano. Diceva finalmente, che
vi erano stati 3104 fuochi in città, e 3 mila anime vi erano in
diocesi superiore; ma coi primi esser doveano comprese le seconde. Nel
cadente anno 1848 si noverano, tra la città e la diocesi superiore,
30 chiese curate con altrettanti parrocchi, inclusi gli arcipreti, 27 chiese
semplici, 4 monasteri, 15 confraternite, 2 monti di pietà, un seminario,
un regio ospedale, e un popolo di 19,453, partito in 6 comuni e 20 villaggi.
Dieciotto sono i sacerdoti beneficiati, 30 i preti semplici, 13 gli ordinati
in sacris, e 21 i minoristi.
Disegno
dell'Ing. Pietro Loiacono della fiancata esterna sinistra della Cattedrale
di Tropea con parte dell'Episcopio prima dei lavori di restauro 1927 -
1931.
La
sagoma della Cattedrale appare più lunga di quella di adesso. In
particolare, la parte dell'abside invadeva quasi per intero l'attuale villetta
del vescovado.
PARTE II
Diocesi inferiore
Di questa parte della diocesi tropeana
è luogo principale Amantea, città del distretto di Paola,
in provincia di Calabria citra, e sieguono poi i circondari di Aiello e
Fiumefreddo nel medesimo distretto, e il circondario di Nocera in distretto
di Nicastro, provincia di Calabria ulteriore 2.a. Capoluogo
di circondario, avente un popolo di 2900 all'epoca di Ughelli, di 2177
nel 1794, e di 3550 adesso, Amantea sorge tra i promontori Lino e Tillesio,
oggi Verre e Corica (103), sopra roccia di viva pietra, alla falda meridionale
di un colle, ed a fronte delle isole di Lipari: è bagnata dal mare
tirreno, e si nudre di aria temperata. Essa fu cinta di mura con due porte
d'ingresso, e munita di forte castello; ma nel 1806, non avendo ceduto
alle armi della Francia, soffrì un terribile assedio, e la distruzione
di ogni mezzo di sua guardia e difesa (104). Questa città abbonda
di purissimo olio, di vini generosi, gelsi per seta ed agrumi, nè
è scarsa di vettovaglie. Dista miglia 70 da Tropea, 12 da Paola,
e 16 da Cosenza. La stessa è decorata di nobili famiglie, che nei
decorsi tempi si adunavano nel portico di S. Basile, senza aver mai riconosciuto
barone, e convoca un forte mercato in ogni domencica, con celebre fiera
dalla seconda alla terza domenica di ottobre. Amantea fu presa da alcuni
per l'antica Napezia (105), e da altri per Clampezia (106), due cospicue
città dei loro tempi. Napezia infatti fu municipio dei romani (107),
e secondo Antioco Siracusano, diede il nome ad un tratto di mare (108).
Secondo poi un marmo dell'anno centoundici, i napetini cogl'ipponiati,
coi mamertini, e con altri popoli brezi, concorsero nelle spese per la
costruzione della via traiana, che passava per i detti brezi e per i salentini
(109). Clampezia poi (la stessa che Lamezia di Polibio e di Stefano, e
Dampezia di Livio) nella seconda guerra punica si ribellò ad Annibale,
dandosi al console Gn. Servilio, che si trovava coll'esercito nei brezi,
ed era distrutta ai tempi di Plinio, che ne ricordò il luogo (110).
Ma archeologi sagaci hanno osservato, che Napezia corrisponde all'attuale
Pizzo (111), il cui mare, posto al di qua del golfo di S. Eufemia, è
senza dubbio il napetino di Antioco; e noi fortemente dubitiamo, se Clampezia
possa locarsi in Amentea, ritrovandola segnata nella tavola del Peutingero
a 10 miglia da Tempsa, e 11 da Cerilli, distanze, che invece di sciorre,
confermano i nostri dubbi. Pare quindi doversi reputare Amantea per una
città, antica sì, ma di origine sconosciuta.
Amantea fu sede
vescovile, benchè non se ne sappia lo istitutore, come ignorarsi
il principio del cristianesimo tra gli amanteani. Vi è chi crede
eretta nel IX secolo la cennata sede. Noi la troviamo compresa nei vescovati
di Calabria sottoposti al metropolitano di Reggio, che dal patriarca di
Costantinopoli ricevea l'ordinazione (112), e sentiamo ricordare come a
suoi vescovi i beati Gregorio e Giosuè, il secondo dei quali era
sepolto nella chiesa di S. Bernardino (113). Occupata dagli arabi, che
vi si trapiantarono nel secolo IX, snidando ben tardi (114), Amantea non
potè conservare la sua cattedra. Abbattuta questa dai saraceni,
non avea esistenza, quando i normanni restituirono la Calabria e la Puglia
alla ubbidienza dell'apostolica sede, ed il duca Ruggiero aggregò
la vedovata chiesa a quella di Tropea (115). Risorse quindi la città,
divenendo forte per terra e per mare; crebbe di popolo; fu onorata della
presenza di papa Callisto II (116); si distinse per fedele attaccamento
al principe, che l'arricchì di privilegi (117); ma non riebbe la
sede vescovile. Il solo Sigismondo Pappacoda, sul fine del secolo XV, fu
ordinato per vescovo di Tropea ed Amantea, come di due Chiese vescovili
tra loro unite (118); e nel 1633 gli amanteani, insistendo appo la sede
apostolica per riavere l'antico loro vescovo, ottennero, che innanzi all'arcidiacono
di Nicastro Pietro Nicotera, e al professore di teologia padre Diomede
Ottense, producessero documenti e testimoni in sostegno del loro assunto.
Essi presentarono la cronaca delle Tre Taverne, e fecero udire molti
testimoni (119). L'una e gli altri facevan fede della esistenza del vescovado
nei tempi antichi; ma accortisi forse, che la cronaca era un ammasso d'imposture,
come la chiamò poi il dotto Morisani (120), e che la sola tradizione
non avrebbe potuto giuridicamente stabilire un fatto di così vecchia
data, tacquero. Si sarebbero meglio avvisati, se si avessero fatto scudo
della Diatiposi, cioè della sovrana sanziona delle sedi episcopali
sottoposte al patriarca di Costantinopoli, nella quale evvi l'amanteana
sotto la metropoli di Reggio.
Mente poi Giuseppe Amato, scrivendo,
che a suoi tempi la diocesi, di cui trattiamo, serbava i diritti di vescovado,
governandosi per mezzo di un suo vicario capitolare, diverso da quello
di Tropea (121). Si governava bensì da un peculiare vicario, nominato
dal vescovo di Tropea, che gli conferiva diverse facoltà; e vacando
la sede tropeana, il vicario capitolare di Tropea nominava con facoltà
limitate un provicario per Amantea, senza, che il vescovo, o il vicario
capitolare, avesse avuto obbligo di farlo (122).
Anche oggi evvi
in questa parte della diocesi tropeana, un luogotenente generale,
che rilascia gli attestati per dispense di matrimoni, e verifica poi le
dette dispense. Egli per lo più risiede in Amantea; è informato
dell'occorrente da diversi vicari foranei, e corrisponde col vescovo, da
cui ripete la sua elezione ed i suoi poteri. E rieletto, o confermato dal
vicario capitolare di Tropea nelle vacanze della sede (123).
Manca in Amantea un Capitolo di canonici.
Vi si trovano solo l'arcipretura curata di S. Biagio, e le non menoantiche
parrocchie di S. Pietro apostolo, di S. Elia profeta, e di S. Maria della
Pinta, detta pure Campana. Queste nel loro gremio racchiudono molte chiese
semplici, di patronato nelle più dei nobili, delle quali undici
sono sacre alla B. V. di diverso titolo, due si appellano di S. Anna, due
altre di S. Antonio, e una di S. Alfonso. Vi sono le confraternite, di
Maria dei sette dolori, dell'Immacolata e del Rosario. Ad Amantea presero
stanza gli agostiniani, i conventuali, ed i claustrali del terz'ordine
di S. Francesco in tempi antichi; gli osservanti nel 1436; i cappuccini
nel 1607; i cherici regolari nel 1618, e le monache nobili di S. Chara
nel 1603 (124). L'Amato vi aggiugne il convento
di S. Francesco di Paola di minimi, e quello di S. Francesco d'Assisi di
monache di stretta osservanza, un ospizio di cappuccini, e l'ospedale di
S. Maria della Misericordia, esente, per breve di papa Sisto V, dalla visita
episcopale (125). Andata via la maggior parte degli ordini religiosi, nel
1795 vi erano soltanto i cappuccini, i conventuali, gli osservanti, e le
chiariste (126), e questi dal 1807 al 1811 furono anco dismessi. La città
quindi è priva di ordini regolari, e la chiesa di S. Bernardino,
che apparteneva agli osservanti, dipende ora dal vescovo.
Degli amanteani,
oltre i mentovati Giosuè e Gregorio vescovi del luogo, ascesero
le cattedre espiscopali di Tropea, Francesco nel 1344; di S. Marco, Aloisio
Amato nel 1514; di Stabia, Antonio Lauro nel 1562; e di Caserta, Bonaventura
Cavallo nel 1669 (127). Di costoro, Francesco, come altrove dicemmo, fu
ambasciatore della regina Giovanna I al re di Ungheria, e mons. Amato intervenne
al concilio lateranese V (128). Antonio Lauro esercitò la carica
di cappellano maggiore del regno (129), e Bonaventura Cavallo fu commissario
generale dei riformati, tra i quali fiorì per costume evangelico,
e per vasto sapere (130). Inoltre si rese chiaro per santità il
B. Antonio Scocetto, contemporaneo di S. Francesco di Paola (131), e non
ottenne l'ultimo luogo tra i riformati un Lodovico, tre volte provinciale,
cioè nel 1529, 1552, e 1547 (132). Michele Baldacchino poi, ed Alfonso
Amato furono cavalieri del sacro militare ordine di Malta (133).
San Pietro, Belmonte,
e Laghitello sono tre paesi del circondario di Amantea in diocesi
inferiori. -S. Pietro, con buoni fabbricati, si offre in luogo piano, a
circa 3 miglia da Amantea, di cui, a'tempi del Barrio, era contrada. Cresciuto
di popolo, contando oggi 1200 abitatori, sorge a comune. La sua parrocchia
è sacra a S. Bartolomeo apostolo, e la chiesa della confraternita
a Maria della Grazia. Quivi nacquero Serafino Policicchio, vicario generale
delle diocesi di Aquino e Pontecorvo, consultore generale del cenobio di
Monte-Cassino, autore d'Istituzioni pratiche forensi ad uso di curia spirituale;
e Francesco Sav. Sesti, arciprete del luogo, protonotario apostolico, e
vicario generale in Nicotera e Tropea. -Belmonte, così detto dal
suo amenissimo sito, è vicino al Capo e fiume Verre, a due miglia
da Amantea, e altrettanti circa dal mare. Giovanna I. lo infeudò
a Guglielmo Sacchi verso il 1360, ed il re Filippo III lo diede in principato
ai Ravaschiera nel 1619 (134). Feudo di 3042 abitanti nel 1794, è
comune oggi di 3800 amministrati, avente la Chiesa parrocchiale dell'Assunta,
e le confraternite del Sagramento e della Concezione. Prima dell'ultima
occupazione militare eravi un convento di carmelitani intitolato a S. Maria
del Carmine, eretto nel 1577, e quello di S. Giuseppe di cappuccini, edificato
nel 1611 (135). Furono di Belmonte, Antonio Barone, filosofo, giureconsulto,
e teologo chiarissimo; Felice, laico cappuccino di santa vita; e Lodovico,
sacerdote dell'istesso abito, che fu provinciale nel 1729 (136). -Laghitello
poi villaggio di Aiello una volta, ed oggi di comune, appartenente alla
diocesi di Cosenza, è posto in una pianura, dove l'aria è
cattiva, alla falda del bosco Caredo, ed a 4 miglia da Amantea, ed altrettanti
dal mare. Col nome di Motta di Lago, fu infeudato a Francesco Siscar dal
re Ferdinando I d'Aragona. Il suo popolo, tutto volgare, ma industrioso,
ascendeva a 950 nel 1794; ma ora è cresciuto a 1100; e benchè
disperso per quelle campagne, si convoca spesso nella chiesa parrocchiale
della Grazia. Il villaggio è quasi diruto.
Di circondari appartenenti alla diocesi
inferiore di Tropea, abbiamo, come si è detto:
1.Aiello
-composto dai comuni, Serra, Terati, e Pietramala, di cui è villaggio
Savuto. -Aiello è posto sopra una roccia di viva pietra, dove l'aria
è salubre, a miglia 4 dal promontorio Tillesio, oggi Corica, 3 dal
mare, e 8 da Amantea. Tillesio (monte) è ricordato da Licofrone,
e, sulla autorità di lui, da Stefano di Bisanzio (136); ma nè
l'uno, nè l'altro pone colà un paese di tal nome, come fa
Isacco, ovvero Gio. Tzetze (137). E' fuori dubbio che Aiello nel medio
evo era forte, apprendendosi dal Malaterra, che nel 1065 Roberto Guiscardo
lo assediò per quattro mesi, e lo ebbe quindi colla pace (138).
Non pertanto questo comune non salì mai a vescovato, come ideava
l'autore della falsa cronaca delle Tre Taverne. Aiello, sino al cominciare
del corrente secolo, era chiuso di mura con quattro porte d'ingresso, le
quali ancora sussistono, ed avea a sua difesa dei baluardi ed un castello.
Esso divenne ducato dei Cibo nel 1605 (139), e ultimamente i Tocchi lo
tenevano in feudo per la sovrana casa d'Este. Avea un popolo di 1860 individui
ai tempi di Ughelli, e di 2969 nel 1794; ma adesso lo ha di 3800 con famiglie
nobili e civili. La sua chiesa matrice di S. Maria Maggiore è retta
da un arciprete curato, e da due parrochi; e tre altri parrochi uffiziano
nelle chiese, parimenti curate, di S. Giuliano e di S. Nicola di Bari.
Vi si contano diverse chiese semplici, delle quali tre sono dedicate alla
B. V. sotto i titoli della Concezione, del Rosario, e dei Settedolori;
e a tre ascendono le confraternite, Immacolata, Sagramento e Rosario. Ivi
sin dall'anno 1667 si venera la reliquia di S. Geniale martire, specialissimo
protettore del luogo, a cui onore si celebra l'annua festa con molto concorso
di popolo (140). Nelle pertinenze di Aiello il monastero della Trinità
di Mileto avea le chiese di S. Filippo, di S. Maria di Ponticello, di S.
Lorenzo, e di S. Ippolito: le stesse, che nel 1150 papa Eugenio II confermò
a Roberto, abate di detto monastero (141). Ad Aiello poi furono eretti
il convento di S. Francesco di osservanti, nel 1450; ed il monastero S.
Giacomo di chiariste nel 1615. Nel primo di essi riposava il corpo del
B. Martino da Bisignano (142). Disciolti questi sacri consessi dal 1808
al 1811, son rimasti quattro monti di pietà a dotare le zitelle
povere. Dal clero di Aiello uscirono Giuseppe Lavalle, Filippo Amato, e
Giuseppe Maruca, ad occupare, il primo, il vicariato generale della diocesi
di S. Severina, ove morì, il secondo la vescovile sede di Umbriatico
nel 1751, e il terzo quella di Vieste nel 1764 (143). Anco di Aiello furono
i riformati, Francesco, che cessò di vivere santamente nell'isola
di Cipro, ove predicava, e Giacomo, provinciale nel 1652 (144). Si distinse
inoltre, per profonda cognizione dell'ebraico e del latino, Mario Malta,
dottor di legge, aiutante di studio dell'eminentiss. Alessandro Aldobrandini,
e segretario di cifra della nunziatura di Spagna (145).
Serra e Terrati
facevano parte del contado di Aiello nel 1463, in cui detto contado divenne
signoria dei Siscar (146), e lo fecero ancora sino ai primi anni del corrente
secolo. Il Barrio infatti chiama vichi di Aiello, Serra e Terrati. Di essi
il primo ha 780, e il secondo 1100 abitatori. L'uno e l'altro occupano
siti piani, e distano miglia 2 da Aiello, 3 dal mare, e 8 da Amantea. Serra
si offre sul dorso di un piccolo colle, ed è decorato della chiesa
parrocchiale di S. Martino vescovo, e delle chiese semplici dell'Immacolata
e del Carmine. Terrati poi contiene un popolo meschino, che abita umili
fabbricati. La sua chiesa parrocchiale è di S. Marina vergine, e
le chiese semplici sono della Immacolata e di S. Lucia, nella prima delle
quali esisteva una confraternita. Terrati fu patria di Giuseppe Polimeni,
laico cappuccino di santa vita (147).
Pietramala
s'innalza sopra una rocca a pendio, a 3 miglia dal mare, e 5 da Amantea.
Il
suo territorio sarebbe fertile; ma gli abitatori, benchè
1164 nel 1794, 1300 adesso, non ne traggono profitto, a causa di loro indengenza.
Il Barrio crede essere stata quivi l'antica
Cleta, edifizio di Cleta
nutrice della regina Pantasilea, ad avviso di Licofrone; ma la sua opinione
non ha fondamento. Pietramala era feudo dei Guinsac nel 1314 (148); lo
fu poi dei Sersali (149), e posteriormente iva col ducato di Aiello. Ha
le chiese dell'Assunta, parrocchiale, e le semplici della B. V. del Rosario,
e della Consolazione, ed ha pure la confraternita del Rosario. Prima del
1809 aveva il monistero di S. Francesco di conventuali. Pietramala fu presa
dai turchi verso il 1555, ed allora si distinse Pietro Massa, sacerdote
del luogo, che cercò di salvare la santa pisside, prendendo con
quella la fuga; ma arrivato dai maomettani, soffrì il martirio (150).
Savuto poi
sta sopra un colle, e dista miglia 5 dal mare, e 8 da Amantea. Apparteneva
in feudo ai Sersali ai tempi del re Carlo I (151), ed era baronia di Lepiane
all'epoca di Aceti e di Sacco. Savuto figura adesso da villaggio di 498
abitanti nella maggior parte bisognosi, e nel 1794 il suo popolo arrivava
appena a 348. La parrocchia è sacra all'Assunta, e le chiese filiali
sono: Rosario, S. M. della Neve, S. Tommaso d'Aquino, S. M. del Carmine,
e S. Maria del Soccorso.
2.Fiumefreddo
- cui van compresi i comuni Longobardi e Falconara, non che il villaggio
di Fiumefreddo per nome Sambiase. -Fiumefreddo sorge alla sommità
della marina, quasi alle falde del celebre monte Cocuzzo, e gode di perfettissimo
orizzonte, colla vista del mare, che gli è lontano circa un miglio.
Dista poi da Amantea otto miglia, e i suoi 3000 abitatori sono commercanti.
Ascendevano questi a 1300 all'epoca dell'Ughelli, e a circa 1900 nel 1816.
Secondo l'Aceti, Fiumefreddo appartenne a Tertullo, padre di S. Placido,
che fu martirizzato nel 536, e da Tertullo passò al monastero di
Subiaco in Campagna di Roma. Simone Manistra
lo possedeva nel 1201; gli Sclavelli lo acquistarono nel 1296 (152); ed
ultimamente lo aveano in marchesato gli Alarcon Mendoza. Munito di antico
e forte castello, e chiuso di mura con quattro porte d'ingresso, Fiumefreddo
era un distinto paese (153). Quanto allo spirituale è governato
da un arciprete e due parrochi, che funzionano nella chiesa curata di S.
Maria, e nella loro giurisdizione comprendono undici chiese, esenti di
cura, sacre alla Vergine e a diversi santi. Vi comprendono ancora due confraternite.
Quivi era stato un antichissimo convento di agostiniani, dedicato a S.
Domenica V. e M. quando il sudetto Manistra e sua moglie Gaitelgrima fondarono
in quel sito il celebre monistero di florensi, sotto il titolo di S. Maria
di Fontelaurato, dotandolo di molte proprietà. Avvenne precisamente
la fondazione nel 1201; e nel 1202, Riccardo vescovo di Tropea concedette
ai padri florensi le chiese di S. Domenica, e di S. Pietro, esentando i
religiosi dalla episcopale giurisdizione. Papa Innocenzo III, nel 1204,
confermò al detto monistero i suoi possedimenti: lo stesso fece
papa Onorio III nel 1216; ed in quest'ultima epoca l'imperatore Federigo
II ricevè in protezione il detto monastero. Clemente IV poi nel
1267, non solo gli confermò le cennate chiese, ma anco quella di
S. Angelo Militino, in diocesi di Rossano, e diverse proprietà (154).
Disciolto sì celebre monistero nel 1807, si perdè una alla
chiesa, la quale, non da molto rifatta, si continua ad appellare S. Maria
di Fontelaurato, e dipende dal vescovo. Sono parimenti disciolti sin dall'ultima
occupazione militare, il convento S. Francesco di Paola di minimi, e il
monastero di S. Antonio abate di clarisse. Fiumefreddo ha prodotto degni
cittadini: un Francesco Maiorana e un Antonio Buono di vita integerrima,
compagni di S. Francesco di Paola; un Antonio, padre riformato, cospicuo
per santità; e un Giovanni Aleto, Generale dell'ordine dei minimi
(155). Furono di Fiumefreddo, i vescovi, Francesco Brusco di Lettere, Giulio
Sacchi di Monopoli, e Isidoro Pitellia di Termoli. Di quest'ultimo vi sono
a stampa delle orazioni panegiriche.
Longobardi è
posto nei confini di Fiumefreddo, a circa 4 miglia da Amantea. S'innalza
su di un colle, le cui falde sono bagnate dal mare. Ha un popolo di 1600
anime con due, o tre famiglie nobili e ricche, ed ha puranco un fertile
territorio, una volta compreso in quello di Fiumefreddo. La sua chiesa
parrocchiale è intitolata a S. Domenica V. e M.; e delle sue chiese
semplici, Immacolata concezione, S. Francesco di Paola, S. Giuseppe. S.
Antonio, e S. Maria detta di Tauriana, quest'ultima è sottoposta
ai padri di S. Scolastica a Subiaco in Campagna di Roma, mentre nel 1150,
portando il titolo di S. Nicola di Tauriano, dipendeva dall'abate della
Trinità di Mileto (156). Riceve altresì decoro dal corpo
di S. Innocenza vergine, molto ivi venerato; ed è a dolere, che
nel 1809 perdette il monistero dell'Assunta, aperto ai minimi nel 1600
(157). Nè poco lustro ha tratto dai suoi naturali, chiari, chi per
santità, chi per erudizione, chi finalmente per cariche, essendo
stati da Longobardi il B. Arcangelo, compagno di S. Francesco di Paola,
martirizzato dagli eretici; Giovanni, generale dei minimi nel 1565; Francesco
Preste, altro generale dell'istesso ordine nel 1630, scrittore di opere;
ed il B. Nicola Saggio, anco dei minimi, di cui annualmente si celebra
solenne festa (158). Furono altresì da Longobardi i vescovi, Gio.
Battista Miceli di Cassano, e Carlo Pellegrini di Nicastro, nonchè
l'arcivescovo Gaetano Miceli di Rossano. Non facciamo ricordo di molti
altri, a non dilungarci di troppo.
Falconara
è un comune di 1700 amministrati industriosi e solerti, nè
tutti ignobili, mentre ai tempi del Barrio non era, che un vico di Fiumefreddo,
al cui territorio appartenne sino al 1808 circa. La sua origine è
del secolo di Giorgio Castriota, quando vaganti albanesi, giusta la patria
tradizione, approdarono alla sponda di Fiumefreddo, e innoltrati alla parte
di terra, si stanziarono al nord su di una rupe di aria salubre, nel cerchio
di quei monti, fondando così Falconara, ove non sono spenti i costumi
e la lingua di Albania. Vuolsi che il rito fosse stato greco: oggi è
latino. La parrocchia è sacra all'arcangelo Michele, e la confraternita
alla Vergine del Buon Consiglio. Due erano le confraternite nel 1794, quando
quel popolo ascendeva a 1545, Concezione cioè, e Rosario. Vi sono
pure le chiese ricettizie, dell'Immacolata, dell'Assunta, e del Buon Consiglio.
Finalmente Sambiase,
villaggio di fresca data, il quale nel 1794 componevasi di 773 abitatori,
oggi diminuiti a 600, ha la sua parrocchia sotto il titolo della Annunciata.
3.Nocera
-composto dal comune Falerna, di cui è villaggio Castiglione, e
dal comune Sammango. -Nocera si offre sulle vette di ameno colle, tra i
fiumi Fucino e Rivale, a miglia 2 dal mare, e 9 da Amantea. Si distingue
da altri paesi del suo nome, chiamandosi Nocera di Pietra della Nave, da
un grosso scoglio, che sorgeva nel suo mare, ed in buona parte sorge adesso
nella sua marina (159). Il suo popolo è di 2460 individui, mentre
nel 1816 era di 2151, e vanta origine assai rimota. Quasi tutti lo vogliono
surto dall'antica
Terina, di cui si veggono ancora le vestigia a
circa un miglio da Nocera, nella diocesi tropeana. Edifizio dei crotoniati,
come si esprimono Solino e Scinno Chio (160), Terina fu compresa tra le
greche città di Lucania da Scilace Cariandense, quando i brezi erano
ristretti nella Sila (161). Usciti dai loro primitivi stabilimenti, eglino
la occuparono, e vi dedussero una loro colonia (162). Scrive Strabone,
che Annibale cartaginese, non potendola difendere, la distrusse (163),
il che deve intendersi per le mura e torri, ritrovando di essa ricordo
negli scrittori dei tempi susseguenti (164). Questa città, come
dalle numerose sue medaglie, prestò culto a Mercurio, Apollo, Pallade,
e Ligea (165), ed ancora nel suo sito si veggono i ruderi di un tempio.
Ligea, presa da molti per una delle tre famigerate sirene, fu sepolta a
Terina, ove dappresso, alla foce del fiume Ocinaro, oggi Savuto, era la
sua tomba (166). Intanto la luce del Vangelo illuminò i terinei,
e vi eressero delle chiese, delle quali una, ai tempi del Fiore, si offriva
rovesciata, con pitture greche di santi in una parte sana (167). Però
Nocera non può ritenersi sorta dalle reliquie di Terina: essa esisteva
col nome di Nucria, ed era città autonoma all'epoca della
Magna Grecia, il che si ricava da medaglie rinvenute nel brezio territorio,
di fabbrica ed emblemi non difformi di quelle di Terina e di Reggio, le
quali hanno la epigrafe NOIKRINON (168). Nondimeno è ragionevole
il credere, che distrutta Terina dagli arabi, al tempo di S. Nilo, secondo
il Barrio, vale a dire nel secolo X, i superstiti terinei si rifuggirono
a Nocera, come a luogo vicino e forte, ed ivi presero stanza. Nocera infatti,
dacchè vi è memoria, si offrì sempre chiusa di mura
e munita di castello, ed occupa un sito naturalmente forte, e non insalubre.
Essa è memorata in un diploma del 1220 appo al Fiore, e questa forse,
e non già Nocera dei Pagani, è la Nuceria, che si
legge nel cronico cavense sotto il 1074. Nocera di Pietra della Nave fu
regia finchè l'imperatore Federigo II non la infeudò al monastero
di S. Eufemia, vicino Nicastro (169), ed ultimamente era baronia dei cavalieri
di Malta. Nel secolo del Fiore, la chiesa madre, che portava e porta il
titolo di S. Gio. Battista, veniva ufiziata da sei parrochi porzionari,
ed in essa racchiudeva la ricca arciconfraternita del Santissimo, e la
congrega del Rosario. Vi erano pure le confraternite della Pietà
e di S. Caterina in chiese proprie; le congregazioni dell'Annunciata e
dei Morti, e un monte di pietà (170). Oggi la chiesa matrice ha
un arciprete e tre parrochi, e nella sua giurisdizione comprende le chiese
semplici, Annunciata, Suffragio, Pietà, S. Caterina, e S. Francesco
di Paola; le confraternite, Annunciata e Suffragio, e il monte di pietà
istituito da mons. Calvo. Vi fu un convento di agostiniani, e un altro
di conventuali, fondati, quello nei primi anni del sesto X secolo, e questo
nel 1559 (171), e vi è oggi il convento dell'Assunta di frati cappuccini,
che vi entrarono nel 1581 (172). Dal Sacco apprendiamo, che ai suoi tempi,
o per dir meglio nel 1795, in cui egli scrivea e pubblicava il suo dizionario
geografico, vi sussistevano i conventuali ed i cappuccini. Nocera è
patria dei religiosi cappuccini, Ambrogio, provinciale nel 1559, e Gregorio
che nel 1626 morì da santo (173).
Falerna è
sito sopra un colle di aria salubre, alla parte superiore di Castiglione,
da cui si vuole derivato verso il 1600. Barrio e Marafioti non lo nominano,
forse perchè allora esisteva. Falerna sorge dirimpetto a Castiglione,
tra campi fertili; ed il suo popolo è laborioso. Questo ascendeva
a 144 nel 1794, ma oggi è di 1788. Lo stesso, per gli esercizi di
religione, si convoca nella chiesa ricettizia, e la confraternita del Rosario.
A Falerna nacque il sacerdote Domenico Sonni, celebre matematico, che morì
a Napoli nel 1840.
Castiglione era
capitale di Falerna; e perchè di aria poco salubre, afflitto dalla
peste del 1653, e dai tremuoti, si è ridotto a meschinità,
con 457 poverissimi abitatori. E' posto sopra un'ampia collina, ove l'occhio
ben si diletta, vedendo sino il mare, da cui il paese dista circa un miglio,
nè è lontano da Capo Suvero, che il Barrio confuse col promontorio
brezio di Sallustio, quando lo dovea riconoscere per il promontorio Lamezio
di Stefano bizantino (174), Castiglione (Leo castrum nell'idioma
latino) era un forte castello, in cui i calabresi, profittando delle discordie
insorte tra Roberto Guiscardo e Ruggiero suo fratello, l'occuparono per
via di tradimento, uccidendo i 70 normanni, che ivi erano di presidio (175).
Avanzi fuori dubbio dell'antico Castiglione sono i rotti arnesi di metallica
fonderia, i sepolcri, i ruderi di ampie mura, le medaglie, e quant'altro
di bello ogni dì si scopre in quella contrada Chipano. Nel 1306
Castiglione apparteneva in feudo ad Adinolfo d'Aquino, i cui discendenti,
nel 1602, vi ebbero il titolo di principe (176); e se costoro lo avessero
protetto, come praticarono le più fiate, Castiglione non sarebbe
disceso alla umiltà di villaggio. Non ha infatti i mezzi necessari
a coltivare gli estesi campi, che gli stanno d'appresso, e si nudre di
aria cattiva. Serba nondimeno l'antica chiesa parrocchiale di S. Antonio
abate, e le chiese ricettizie di S. Leonardo e dell'Annunciazione. Nel
1809 perdette il monastero della Pietà di agostiniani, nè
ora ha più le confraternite del Suffragio e del Sagramento. Questo
villaggio tiensi onorato nel suo paesano Paolo, cappuccino provinciale
nel 1742 (177).
Sammango
perultimo si offre in luogo piano, ove il clima è mediocre, alla
sinistra sponda del Savuto. Sono le sue case qua e là disperse,
e gli abitanti industriosi. E' questo un edifizio dei principi di Castiglione,
i quali, avendo nel 1591 ottenuto dal fisco quel ristretto, ed ora fertilissimo
territorio, lo popolarono con gli abitatori dei convicini villaggi, dandogli
il nome di Muricello prima, e di Sammango poi (178). L'Aceti dice eretto
Sammago nel 1640 in territorio di Savuto: forse voleva dire, che nel 1640
si compì la fabbrica del villaggio. Decorati del titolo di principi
di Sammango fin dal 1623 (179), gli Aquini nel 1648 vi fondarono la Chiesa
curata di S. Tommaso, che al presente amministra 2284 fedeli, tenendo nel
suo gremio la chiesa ricettizia colla confraternita di S. Giuseppe, e quella
di S. Maria, detta della Buda.
Ai tempi di Ughelli vi erano nella diocesi
inferiore di Tropea 23 parrocchie, 7 confraternite, 5 monasteri, ed un
popolo di 7580 individui, diviso ad una regia città, a 8 terre,
e 5 villaggi baronali. Nell'anno che declina, 1848, vi si noverano 21 chiese
di cura, con 14 arcipreti e 16 porrochi, 78 chiese semplici, 14 confraternite,
un monastero, 9 amministrazioni di beneficenza, 8 uffiziali del vescovo,
e 31,017, fedeli, partiti a 4 circondari di 13 comuni e 4 villaggi. Vi
si contano 69 sacerdoti semplici, ordinati in sacris 4, minoristi 8, e
novizi 15.
Tropea 6 luglio
1903. Pontificale presso la Cattedrale durante
i festeggiamenti
di Santa Domenica (Archivio privato).
NOTE
(1) I cenni storici dei Vescovadi di Cariati,
di Nicastro e di Nicotera, da noi scritti ed inseriti in questa collezione.
-Nel cenno riguardante la chiesa di Cariati, si tolga ciò ch'è
detto nel § I, a cominciare dalle parole: <<Il ricordo più
antico che di questa cattedra si rinviene è nella Diatiposi>>
sino a queste altre: <<si era disciolta mediante le incursioni degli
arabi>>. Avendo fatto nuove ricerche, abbiamo osservato di non essere nella
Diatiposi
la vescovile sede cariatense, come vorrebbe taluno, ma la Euriatense,
cioè di Oria.
(2) Chiamati dal dolce ed illustre amico
signor abate d'Avino a dettare quest'altro cenno di storia, lo abbiamo
in pochi giorni compilato alla meglio, sulle notizie degli scrittori, che
abbiamo avuto opportunità di consultare, e su quelle che da più
anni avevamo raccolto negli archivi vescovile e capitolare di Tropea. Rendiamo
intanto vive azioni di grazie al coltissimo monsignor Mincione vescovo
di Mileto, saggio e cortese, per essersi compiaciuto di mettere a nostra
disposizione la biblioteca di quel venerando seminario.
(3) Il porto di Ercole, memorato
da Plinio e da Strabone, era un ricettacolo di navi nel luogo ancor detto
le
Formicole. Non si confonda dunque colla città, nè a questa
si dia il nome di quello, come fecero Paolo Giovio, Marino Frezza, e ultimamente
Orazio Lupis. Ved. Romanelli, Antica topografia storica del regno di
Napoli, part. I. Secondo la favola, riferita da Dionigi d'Alicarnasso,
il porto di cui parliamo, avrebbe avuto a fondatore Ercole, figlio di Giove.
Vuolsi che nel medesimo fosse stato re Ferdinando d'Aragona, dopo aver
perduto la battaglia di Seminara. Consalvo, gran capitano di lui, era in
Tropea addì 15 dicembre del 1501.
(4) Andrea De Leone, Giornale e notizie
dei tremuoti del 1783; Stato di popolazione del regno del 1816.
(5) Frezza, De subfeudis.
(6) Leandro Alberti, Descrizione d'Italia,
reg. 7.
(7) Ved. Barrio, lib. II. cap. 13;
Lascaris, De philosophis calabris; Parrasio, in Claudiano,
De
raptu Proserpinae.
(8) Stef. voce Postropea, che
l'Olstenio legge Ad Tropeam, Città di Sicilia, disse Postropea
l'etnografo bizantino, forse perchè ritenne questa parte di Calabria
abitata dai sicoli.
(9) S. Gregor. lib. II epist. 1.
(10) Costantino Porfirogenito, Vita
Basilii imperat., nel suo trattato sugli affari dell'impero.
(11) Arnolfo, Chron. saracenico calabrum,
an. 946.
(12) Regest. 1314, C. fol. 278,
282 archiv. regiae Siclae.
(13) Fiore, Calabria illustrata,
pag. 136.
(14) Della Marra, Discorsi sulle famiglie
imparentate con la casa della Marra; Muratori, Annali d'Italia,
an. 1252.
(15) Furono, cioè: Bernardino
Vulcano, giudice della gran corte della Vicaria; Aloisio Vento, gran siniscalco
del regno; Giovanni Tropeano, cameriere del re Ferdinando II d'Aragona;
Lodovico Vulcano, generale delle galere, che detto re teneva nell'arsenale
di Tropea, ec. ec. Ved. Beltramo, Descriz. del regno; Aceti nel
Barrio, ec.
(16) Ved. i capitoli della città,
conchiusi nel 1567, e registrati in protocollo di not. Fran. Scrugli della
medesima città. -Il sedile dei nobili di Tropea è detto grande
in varie scritture autentiche, e specialmente in una del 1491 presso di
noi. Per il sedile chiuso di Portercole di Tropea scrisse
una memoria Giuseppe Maria Avati-Carbone nel 1803, ma non in tutto seppe
essere ingenuo.
(17) Per la floridezza del commercio
in questa città nel secolo XIII vi si concentrarono molti ebrei
diffusi per la Calabria. Nel regest. 1333-1334. B. fol. 310 si legge un
sovrano provvedimento a favore dei giudici di Monteleone.
(18) Pasquale Galluppi, nacque in Tropea
nel 1770, e morì in Napoli nel 1846.
(19) Marafioti, lib. II, cap. 18.
(20) I grossi granchi presi dal Marafioti
debbono far guardingo il lettore ad accettare talune notizie, le quali
alcuna volta sono vaneggiamenti del cervello di lui. Vaneggia infatti,
scrivendo che Ruggiero (invece di Roberto) Guiscardo fece di regio patronato
la Chiesa vescovile di Tropea, alla quale, soggiugne, 800 anni dietro (quando
Ruggiero esisteva soltanto nella mente di Dio!) donò la possessione,
detta il Rosario.
(21) Ved. Harduino, Concilior. nova
collectio, tom. III.
(22) Il Fiore, Calabria Santa,
pag. 321, fece di Teodoro, un Teodoro e un Teobaldo, e disse intervenuti,
il primo al concilio costantinopolitano VI, e il secondo al concilio celebrato
sotto papa Agatone nel 680 (invece del 679). L'Ughellio avea avuto, come
dovea, per identico Teodosio e Teodoro, narrando che costui fosse stato
al detto concilio costantinopolitano. Ma dagli atti dei concili, l'intervento
di Teodoro al sinodo di Costantinopoli non si rileva: si raccoglie bensì,
che Teodoro, vescovo di Tropea, intervenne al concilio che papa Agatone
convocò in Roma a'5 aprile 679 per condannare l'eresia dei monoteliti,
ed ivi sottoscrisse: Theodorus humilis episcopus S. Tropeianae Ecclesiae
provinciae Calabriae, in hanc suggestionem, quam pro apostolica fide unanimiter
construximus, similiter subscripsi. Ved. Harduino, dove sopra.
(23) Laurentius
episcopus Trebiensis leggesi negli atti del concilio
convocato sotto papa Simmaco al 499. Ved. Harduino, t. II. -Volere da quel
Trebiensis
trar congetture a favor di Tropea è uno sforzare il vocabolo per
modo stranissimo. Quel Lorenzo forse fu vescovo di Trevi, o di altra sede
vescovile d'Italia, il che non interessa il nostro subbietto, per non ingolfarci
in quelle discussioni, cui dan luogo le varianti dei diversi codici in
ordine ai molti vescovi a quel concilio intervenuti. Gli esecutori del
Concordato del 1818, osservarono, che il primo vescovo di Tropea conosciuto,
è Giovanni del 649, e ritrovando vescovo di Nicotera Proclo del
595, statuirono, che il pastore delle due Chiese unite si titolasse di
Nicotera e Tropea, e non viceversa, dovendosi anteporre il nome della Chiesa
più antica. Ved. Concordato tra Pio VII e Ferdinando I, parte
III. Nap. 1826.
(24) Ved. Dispositio facta per imperatorem
Leonem Sapientem, quem ordinem habeant ThroniEcclesiarum Patriarchae CPolitano
subjectarum. Ediz. del Leunclavio.
(25) Harduino, ove sopra, tom. IV
-Theodorus indignus episcopus Tropaeorum, è sottoscritto
nella sess. VII. del concilio Niceno II. Il Barrio, l'Ughelli, ed altri
scambiarono in Stefano il nome di Teodoro: errore, di cui ci emendiamo,
avendo anche noi fatto lo stesso nelle nostre memorie storiche nicoteresi,
pag. 31.
(26) Sulla dignità luminosa del
protosincello veggasi Giacomo Goar, Praefatio ad Georgii Syncelli Chronographiam.
Un prete Giovanni nel concilio Niceno II s'intitolava: patriarcaharum
synceellus, locum retinens trium apostolicarum sedium, Alexandriae, Antiochiae,
et Hierosolymorum. Giovanni era sincello dei patriarchi: Kalochiirio
dell'imperatore di Oriente, che gli avea conferito un grado di più.
(27) Ved. Malaterra, De rebus gestis
Roberti Guiscardi et Rogerii ducis, ec.
(28) Iusteyrus, Iusteius, Tristanus
in latino, son nomi del vescovo Iustego, secondo Ughelli. Iustego è
quel Tristano vescovo di Tropea, che in agosto 1094 assisteva alla consacrazione
della chiesa dell'eremo di S. Maria della Torre. Ved. Tromby, Storia
critico-cronologica diplomatica di S. Brunone, e del suo ordine, t.
II, append. II, num. 7.
(29) Ved. l'epist. 94 di Alessandro III,
diretta a Lodovico re dei Franchi, col datum Senis IV idus Octobris,
presso Duchesne, Histor. Francor. Collectio. Nell'epistola non si
legge il nome del vescovo di Tropea, raccomandato da papa Alessandro, ma
noi abbiamo motivo a credere, che fosse stato Coridone.
(30) Regest. 1301, 1302. A.
fol. 268.
(31) Questo prelato fu confuso dall'Ughelli
con Francesco, successore di lui. Il Fiore lo distinse, ma se lo ideò
morto nel 1343.
(32) I privilegi o diplomi del 1066 al
1200 sopra cennati, non si trovano originalmente in Tropea. Noi abbiamo
avuto colà sotto gli occhi la copia, che ne fece notar Antonio Colello
ai 2 ottobre 1619; la stessa che pubblicò l'Ughelli, e nel 1840
il chiariss. cav. Capialbi. Quest'ultimo dice estratti i diplomi della
Serie
cronologica dei vescovi di Tropea, da lui compilata, opera che speriamo
veder presto alla luce a poterne ammirare i pregi. Capialbi corresse la
data del più antico privilegio, che era 1088, mentre, per ogni ragione,
esser dovea 1066 ed avvertì doversi togliere nel detto privilegio
il supposto cognome Dordileto a Kalochirio, dovendosi leggere Kalochirius
Deo dilectus, cioè grato a Dio. Errarono in questa parte il
Fiore e lo stesso Ughelli. Si noti, che per voce pubblica si conoscono
diverse famiglie della città, sulle quali il vescovo esercitava
giurisdizione feudale.
(33) Il breve di commissione al vescovo
di Tropea si è ritrovato in Catanzaro, donde l'abbiamo avuto in
copia per mezzo del chiarissimo signor Luigi Grimaldi. Esso ha il datum
Laterani III Kal.maii, pontificat. anno septimo. Un tale breve, per
la edacità del tempo, non offre i nomi degl'individui, che occupavano
le sedi di Tropea e di Squillaci. Noi lo crediamo di Gregorio IX.
(34) Morisani, De protopapis.
(35) Summonte, Storia della città
e regno di Napoli, t. 1. Nap. 1748, pag. 322.
(36) Marafioti, lib. II, cap. 18. -Fu
uno de'granchi presi senza dubbio dal Fiore, Calab. illustr. p.
136, quando scrisse, che Carlo V ottenne dalla santa sede, che il vescovo
di Tropea fosse cittadino del luogo.
(37) Pio VII, bolla De utiliori.
(38) Nel 1316 apparteneva
alla mensa un tenimento, detto Castagneto. Regest. 1316, C fol.
220.
(39) Fontana, Teatro domenicano;
Summonte, Storia citata.
(40) Nicola Acciapacci vescovo di Tropea,
sottoscrisse l'istrumento de'14 settembre 1423, col quale Giovanna II,
con rivocare l'adozione che avea fatto di Alfonso d'Aragona, adottava Luigi
d'Angiò: Ego, qui supra, Nicolaus. Dei et apostolicae sedis gratia
episcopus Tropiensis, testor et subscripsi. Ved. Lunig, Codex diplomaticus.
(41) Ughelli, t. VII, Romae 1659 pag.
363. -Quivi, forse per errore di stampa, è segnata a 2 maggio 1494
la consacrazione di Alfonso II, mentre seguì nel giorno 8 di detto
mese ed anno.
(42) Per Maranta si consulti Giuseppe
Carafa, De cappella regis, pag. 317. Il Maranta non fu di Venosa,
secondo Dionigi Simon, Biblioteque historique des auteurs de droit,
e neppure di Tramonti nel Principato Citra, come avvisa il Beltrano, Descriz.
del regno di Nap. edita nel 1610. Fu di Napoli, non solo per l'autorità
di Ughelli, ma anco del Chioccarello. Non però la sua vita ebbe
fine nel 1666, giusta il Coleti. Egli era morto a 29 maggio 1664, e la
Chiesa tropeana avea a suo governo un vicario capitolare.
(43) Ved. il nostro Cenno storico
sul vescovato di Nicotera.
(44) Toppi, De origine Tribunalium,
t. II.
(45) Sul Borgia ved. Origlia, Storia
dello studio di Napoli, t. II; Simon, dove sopra; e Giustiniani, Scrittori
legali. L'Origlia fa vescovo di Tropea il Borgia nel 1681, invece di
farlo vescovo nel 1682.
(46) E' qui opportuno notare, che nell'Italia
sacra di Ughelli sono corsi molti errori cronologici, relativamente
ai vescovi di Tropea. Lo stesso difetto si ravvisa nelle addizioni del
Coleti all'Ughelli, nella Calabria Santa del Fiore, e nelle giunte
del p. Domenico da Badolato a quest'ultimo. Noi l'abbiamo scorto su i bollari
ed altri atti dell'archivio vescovile, e ci siamo studiati di rendere più
esatto il catalogo posto qui in appendice. In esso ritrovi de' vescovi
ignoti all'Ughelli, ma notissimi al Fontana, al Colombini, all'Aceti, e
ad altri.
(47) Gli scritti del Paù sulla
musica si leggono nel t. VIII delle opere di Metastasio, edite in Napoli
il 1782. Metastasio, Martorelli, ed Avitabile, erano gli ammiratori del
sapere di Paù.
(48) Su taluni prelati vedi nell'archivio
del Capitolo un libro di memorie, scritto da Girolamo Rosso nel 1631, per
ordine di Diego di Cordova, procuratore del medesimo Capitolo, e continuato
da scrittori posteriori.
(49) Ved. le nostre Memorie storiche
di Nicotera e circond., ed il nostro Cenno storico sul vescovato
nicoterese. In quest'ultimo avevamo messo in nota, che il vicario generale
D. Andrea Coppola, nobile per nascita e per imgegno, can. teologo del Capitolo,
ha bene meritato della sua chiesa, alla quale fa onore; ma il tipografo
inavvedutamente tralasciò la detta nota, e ci è debito dichiararlo.
(50) Ciacon, Vitae pont. et card.,
t. II.
(51) Atti diversi nell'archivio vescovile.
(52) Ved. Colombini, Bullarium franciscanorum,
tom. III, Romae 1761. -L'annotatore del bollario crede, che il vescovo
di Tropea, preteso avvelenato, sia Giovanni, di cui evvi ricordo in un
privilegio di papa Clemente IV del 1267, presso l'Ughellio. Ma si osservi,
che Giovanni vescovo di Tropea, era tra vivi nel 1220, e se fosse stato
eletto circa due anni prima, ed avesse mancato ai vivi verso il 1276, avrebbe
avuto troppo lunghi la vita ed il pontificato, ciò che stentiamo
a credere. Nè ci aggrada pensare, che Giovanni morendo nel 1267,
o poco dopo, avesse lasciato vacante il seggio sino all'epoca in cui l'occupò
fra Marco d'Assisi, vale a dire due lustri circa, essendo un termine di
vacanza troppo lungo. Pare dunque, che altri, e non Giovanni, fosse stato
l'antecessore del vescovo minorita; ma noi lasciamo ai patri scrittori
la soluzione del dubbio.
(53) Pacichelli, Regno di Napoli in
prospettiva, par. II.
(54) Alcuni si danno a credere, che l'immagine
della B. V. del titolo della Romania, fosse dipinta da S. Luca evangelista;
ma S. Luca fu medico, e non pittore. Ved. Mamachi, Orig. et antiq. christianae,
t. III.
(55) L'Ughelli ed il Pacichelli, secondo
le notizie locali, asserirono, che il corpo di S. Domenica, trasportato
dagli angeli, sia nella cattedrale, ed il Marafioti, il Beltramo, ed il
Fiore credettero ritrovarsi nel villaggio di S. Domenica. Tutto fondasi
sulla tradizione, ed il Barrio l'ha in conto di favola. Nel passato secolo
si diceva, che il sacro deposito fosse nel locale dell'antico monastero
di S. Sergio. Si fecero perciò degli scavi, e si rinvennero dei
corpi; ma per difetto di note distinte, non se ne tenne conto.
(56) Anche oggi pochi canonici hanno
le chiese delle loro rispettive prebende.
(57) Ughelli, t. IX. -Questi chiama diacono
invece di decano il suddetto Simone. Lo crediamo un errore di stampa.
(58) Colombini, Bollario citato,
t. IV.
(59) Ferraris, Bibliotheca canonica,
t. II. Neap. 1789, voce Canonicatus.
(60) Ferraris, Bibl. citata, t.
IX, Vicarius foraneus.
(61) Vi è di ciò memoria
nei registri dell'archivio vescovile.
(62) Vedi il sinodo diocesano del 1687.
Protopapa
nella diocesi di Nicotera, era lo stesso, che vicario foraneo, il quale
avea seco un maestro di atti, ricevea accuse penali e rimesse alle
istanze, esigeva per se una parte del jus funerum, ec. Pensiamo,
che non di diverso genere fosse stato il protopapa della diocesi tropeana,
quando non più era in uso il rito greco in Tropea.
(63) Colombini,
Bollario
citato; Wadingo, Annales minorum, t. II. an. 1296.
(64) Fiore, Calab. Santa, pag.
418.
(65) Ivi, pag. 433.
(66) Ivi, pag. 427; note in archiv.
capitolare, ec. -Nel suddetto collegio sono morti diversi padri e studenti
da veri servi di Dio. Di questi ultimi è a nostra notizia Gregorio
Gallizzi. gentiluomo di Rombiolo, che dando raro esempio di pietà,
rese lo spirito al suo Creatore.
(67) S. Gregor. Operum t. IV,
Romae 1613, lib. II epist. II epist. 1.
(68) Wadingo, t. IV, an. 1421; Fiore,
Calab.
Santa, pag. 418. Quest'ultimo cade in equivoco, fissando al 700 la
fondazione del monastero di S. Sergio.
(69) Marafioti, lib. II, cap. 18. Fiore,
Calab.
Santa, p. 368.
(70) Fiore, Calab. Santa, pag.
374.
(71) Innocentii III Epistolae,
Parisiis 1682, t. 1, pag. 288.
(72) Seraf. Montorio, Zodiaco di Maria,
stella IX del VI segno.
(73) Fiore, Calab. Santa, pag.
384, 394, 423, 414, 433, 434; fr. Dom. da Badolato, ivi, pag. 366,
433; Stef. Isnardo, Codex minimus, pag. 62.
(74) Francesco Sacco, Dizion. geograf.
t. IV, art. Tropea.
(75) Sacco, dove sopra.
(76) Atti di santa visita del 1752 al
1753.
(77) Ughelli, Marafioti, e Fiore nelle
loro opere; Aceti nel Barrio, ec. L'Ughelli però equivoca facendo
di Napoli mons. Nomicisio, e crediamo che anche coloro i quali dissero
amanteano Bernardino Lauro, fossero trascorsi in errore. Noi lasciamo,
che altri esamini se Tropea o Amantea sia la patria di Bernardino, e pure
di Vincenzo Lauro, ed a noi basta di non mettersi in dubbio l'essere costoro
della diocesi di Tropea. Ma per quanto ci è avvenuto di leggere
e riflettere, i Lauri, dei quali sopra è parola, furono tutti tropeani,
benchè non avessero fatto parte di quella generosa nobiltà,
mentre i loro consanguinei erano tra i patrizi di Amantea. Il Barrio, per
tacere gli altri, chiama Vincenzo Lauro, Urbis (Tropeae) civis,
ed il Barrio era contemporaneo di Vincenzo, allora vescovo di Mondovì.
(78) Harduino, Concilior. general.
ampla collectio; Aceti, p. 148.
(79) Ciacon, Vitae pontif. et caardinal.
t. II; De Thon, Hist. lib. 104; Ugh. ec.
(80) Giustiniani, Scrittori legali,
voce
Glorizio; Capialbi, Tipografie calabresi, pag. 93.
(81) Zavarrone, Biblioteca calabra.
(82) Capialbi nel giornale, Il Maurolico,
an. II, vol. III., num. 4.
(83) Toppi, Biblioteca napolitana;
Zavarr. dove sopra.
(84) Aceti, pag. 149.
(85) Mugnos, Teatro della nobiltà
nel mondo, t. 1.
(86) Montaja, Epit.; Fiore, Calab.
santa.
(87) Siamo assicurati, che l'opera del
Crescenti si serba ms. in Tropea. Va essa citata dal Capialbi, ove sopra.
(88) Questi ed altri prelati anteriori
al secolo XII, noi coi patri scrittori segnammo per i cittadini di quei
luoghi, dove furono vescovi. Vedi i nostri lavori storici sulle Chiese
di Cariati, Nicastro e Nicotera. Avvertiamo di non aver pronunziato una
storica certezza, ma una probabilità, o verosimilitudine. E' noto
che nei tempi antichi il clero col popolo, e quindi il solo clero, eleggeva
il proprio pastore, ed ordinariamente la scelta cadeva sopra individui
dell'istesso clero. Potremmo addurre molti esempi.
(89) Ved. Del Pozzo, Ruolo generale
dei cavalieri gerosolimitani.
(90) Aceti, pag. 149; ec.
(91) Mss. esistenti nel convento dei
riformati di Tropea.
(92) Barrio, pag. 144.
(93) Ved. le nostre Memorie storiche
nicoteresi.
(94) Domenico da Badolato, nella Calab.
santa del Fiore, pag. 420.
(95) Ved. Isacco, nelle sue note a Licofrone.
(96) Regest. 1278. B. fol. 161.
-Quivi, come in altri documenti del secolo XIV, leggesi Batticano,
o Baticano, ma non perciò deve covenirsi con Leandro Alberti
sulla origine di tal nome. Alberti, pose a Capo Vaticano l'antica città
di Medama, e se la ideò distrutta dai cani pagani, a suo
dire, cioè dagli arabi: etimologia veramente posta alla tortura!
E quando mai Medama fu a Capo Vaticano? Fu bensì, come altrove dicemmo,
nella pianura sottoposta a Nicotera.
(97) Fiore, Calab. santa, pag.
365.
(98) Barrio, lib. II, cap. 13; Aceti,
pag. 149; ec.ec.
(99) Aceti, pag. 149.
(100) Montorio, Zodiaco di Maria.
(101) De Fiore ved. la Calab. illust.
(102) Mugnos, Teatro genealogico delle
famiglie nobili di Sicilia.
(103) I promontori Lino e Tillesio sono
ricordati da Licofrone nella Cassandra.
(104) Ved. Luigi Maria Greco, Storica
narrazione intorno all'assedio dei francesi contro Amantea nel 1806 e 1807.
Cosenza 1844.
(105) Barrio, lib. II, cap. 9;
Fiore, Calab. illust. pag. 115; Beltrano, Descriz. del regno,
ec.
(106) Cluverio, Italia antiqua;
Olstenio, Adnot. ad Italiam Cluverii; Cellario, Notit. orbis
antiqui; Egizio, Senatuscons. de bachanal. sive explicat. ec.
(107) Ved. Paolo Manuzio, De antiquit.
romanor. pag. 41, e seg.
(108) Strab. lib. VI.
(109) Ved. Pagano, Dissertazione su
Terina, nota 10.
(110) Polibio, lib. XIII; Stef. voce
Lametia;
Livio, dec. III, lib. 10; Plinio, lib. III, cap. 5.
(111) Quattromani, Animadvers. ad
Barrium; Ortelio, Lex. geograph.; La Martiniere, Diction.
geogr.; Del Re, Descrizione dei reali domini al di qua del faro.
(112) Ved. la Diatiposi, edita
da Leunclavio.
(113) Barrio, lib. II, cap. 9; Davide
Romeo, Index Divorum; Aceti, pag. 121.
(114) Costantino Porfirogenito, Vita
Basilii; Cedreno, Anna'es ad Niceph. Phocam; Andrea, italiano,
Chron.
presso Mencherio, Rerum germanar. t. 1.
(115) Così scrivono il Fiore,
Calab.
illust., e l'Amato, Laconismus de Amanthea, e sembra verosimile
il loro avviso. Nel privilegio dato nel 1060 da Roberto Guiscardo al vescovo
Kalochirio di Tropea, non si fa parola di Amantea come a luogo diocesano:
se ne fa parola nel privilegio, che nel 1094 il duca Ruggiero diede a Justego
successore di Kalochirio: e quindi pare che la unione della Chiesa amanteana
a quella di Tropea fosse avvenuta tra le dette epoche, 1030 al 1094. Il
duca Ruggiero si distinse per pietà, instaurando il culto religioso
in Calabria. Egli eresse badie e monisteri, e restituì le nostre
Chiese alla ubbidienza della santa sede. A buon diritto Romualdo Salernitano
lo chiama: Largus Ecclesiarum Dei, atque sacerdotum consulens.
(116) Non vi ha dubbio che Calisto II
fosse stato in Amantea, leggendosi nel t. XXI della raccolta dei concili,
alcune bolle di lui non sospette date ai 3 novembre 1121 in detta città.
Ma fu pure papa Calisto in Tropea, in Nicastro, in Catanzaro, secondo scrissero
taluni calabresi? Egli, come da altre sue bolle, era in Benevento ai 30
settembre, ed in Taranto a 10 novembre dello stesso anno 1121. Volava adunque
senz'ali per la Calabria?
(117) Giuseppe Amato, dove sopra.
(118) Ughelli, t. IX Tropeaen. episc.
in Sigism. Pappacoda. E' però notevole, che mons. Pappacoda non
mai si titolò vescovo di Tropea ed Amantea, ma solo di Tropea. Abbiamo
ciò osservato in diverse bolle di lui.
(119) Amato, ove sopra.
(120) Morisani, De protopapis.
(121) Per altro noi ignoriamo aver avuto
esistenza in Amantea un capitolo di canonici quando era dismesso il vescovato.
(122) Ved. le carte dell'archiv. vesc.
(123) Al fu luogotenente generale Gio.
Battista arciprete Cavallo di Amantea, succedette, non ha guari, il molto
rev. Pasquale arcip. Solimena di Aiello, uomo erudito e degno, a cui abbiamo
diretto delle dimande per assicurarci di talune notizie locali, siccome
noteremo. Di lui si ha in istampa una Memoria di risposta al programma
di economia civile della società economica di Calabria citra, scritta
che gli fa merito.
(124) Fiore, Calabria santa, lib.
II, part. 2.
(125) Giuseppe Amato, Laconism.
ec.
(126) Sacco, Dizion. geograf.
t 1, art. Amantea.
(127) Ughelli, Italia sacra; Fontana,
Theatr.
domenican.; Toppi, Bibl. napol.; Amato, dove sopra; Aceti nel
Barrio, ec. -Mente il Bisogni, Hipponii historia, lib. III, cap.
7, facendo monteleonese mons. Cavallo.
(128) Harduino, Concilior, nova Collectio,
t. IX, pag. 1771.
(129) Toppi, dove sopra.
(130) Ughelli, t. VI; Toppi, Bibl.
citata; Giuseppe Campanile, Notizie di nobiltà.
(131) Davide Romeo, Index divorum.
Ved. anco il Martirologio francescano.
(132) Fiore, Calab. illust. p.
115; Calab. santa, p. 404.
(133) Fiore, Calab. santa, p.
429; Amato, dove sopra.
(134) Gius. Amato, e Campanile, dove
sopra.
(135) Fiore, Calab. santa, pag.
366, 416.
(136) Elia d'Amato, Pantopologia calabra;
Michele da Reggio, e Dom. da Badolato, nella Calabria santa del
Fiore, pag. 203, 417. -Non si confonda Antonio Barone di Belmonte con Antonio
Barone di Tropea.
(137) Licofrone, in Cassandra;
Stef. voce Tyllesius.
(138) Gio. Tzetze, in Licofr.
ove sopra.
(139) Malaterra, De rebus gestis Roberti
Guiscardi, etc. lib. II, cap. 37.
(140) Giuseppe Campanile, pag. 420.
(141) Dobbiamo questa notizia al lodato
sig. Solimena.
(142) Fiore, Calab. santa, pag.
375.
(143) Fiore, ivi, pag. 403, 433.
(144) Fiore, Calab. illust. p.
116; Elia d'Amato, Pantopologia calabra; Vincenzo Giuliani, Memorie
storiche di Viesti; Zavarroni, Bibl. calabra, ec. Sbaglia chi
fa d'Amantea mons. Amato.
(145) Aceti, pag. 122; Fiore, Calab.
santa, pag. 419.
(146) Aceti, pag. 122; Zavarroni, dove
sopra.
(147) Privilegio registr. in Cancell.
nel regest. 95, a 30 agosto 1463.
(148) Michele da Reggio, nella Calab.
santa del Fiore, pag. 203.
(149) Regest. 1314. C. fol. 240.
(150) Sambiasi, Ragguaglio di Cosenza,
e di 31 sue nobili famiglie.
(151) Aceti, pag. 122.
(152) Sambiasi, ove sopra.
(153) Regest. 1296. A. fol. 59
(154) Fiore, Calab. illust. pag.
114.
(155) Ughelli, t. IX, Tropeaen episc.
(156) Barrio, lib II, cap.9; Lanovio,
Chron.
minimor; Aceti, pag. 120.
(157) Fiore, Calab. santa, pag.
375.
(158) Isnardo, Codex minimus, p. 11.
(159) Isnardo, dove sopra, p. 224, 230;
Barrio, lib II, cap. 9; Lanovio, Chron.; Amato, Pantopol. calabra;
Aceti, pag. 121.
(160) Lo scoglio Pietra della Nave,
partito in due parti disuguali, è senza dubbio l'isoletta Ligea
di Solino, e il Terinaeus scopulus di Tolomeo. Sorge a circa un
miglio da Nocera, e ivi dappresso sarà stato il porto di Terina,
detto poi della Nave di Arata.
(161) Solino Polyhist. lib. VIII;
Scimno, Perieg. V. 3.
(162) Scilace, Periplus maris mediterranei.
(163) Diod. lib. 2, cap. 5.
(164) Strab. lib. VI.
(165) Strab. ove sopra; Tolom. lib. III;
Staf. voce Terina.
(166) Pagano, Dissertazione su Terina;
Grimaldi, Studi archeologici.
(167) Ivi.
(168) Fiore, Calab. illust.
(169) Millingen, Ancient Greck Coins,
London 1831; Cav. Avellino, Italiae veteris numis, sup. p. 32, 33,
opusc.
vol. II, e III.
(170) Ved. il nostro Cenno storico sul
vescovato di Nicastro.
(171) Fiore, dove sopra.
(172) Fiore, Calab. illust. p.
121, e Calab. santa, p. 401.
(173) Fiore, Calab. santa, pag.
415.
(174) Ivi, pag. 162, 417.
(175) Il Barrio fu ripreso dal Quattromani.
In verità il promontorio che Sallustio chiama bruzio, e Cicerone
appella Promontorium agri Rhegini, è Capo delle Armi.
(176) Tromby, Storia critico-cronologiga-diplomatica
di S. Brunone e del suo ordine, t. II.
(177) Filiberto Campanile, Delle armi
dei nobili. Nap. 1680, pag. 226; Giuseppe Campanile, Notizie di
nobiltà, pag. 87. Ved. anco il regest. 1401, fol. 288.
(178) Domenico da Badolato, nella Calab.
santa del Fiore, pag. 417.
(179) Luigi Agresti e Giuseppe Marini,
Difesa
a pro del comune S. Mango, contro D. Gio. Iait de Gattis. Nap. 1831.
(180) Giuseppe Campanile, cit. op. pag.
41.