Francesco Lapegna: Una riunione dei giacobini napoletani.

ONOFRIO DE COLACI
 

di Mariano d'Ayala



 


Com'è ingiusta la memoria storica, e come si oblìa facilmante un uomo che fu pur tanto conosciuto e ragguardevole.
Anco il nome ne corse e ne corre incerto e vario; alcuni dicendo Onofrio Colace o Calaci, altri De Colaci o Colacci. Ma nelle investigazioni ch'io feci posso bene assicurare aver trovato Colaci e De Colaci, cui alcuni diedero il titolo di marchese di Guisaco.
E giustamente nella preziosa relazione fatta al Carnot dall'illustre esule napoletano Francesco Lomonaco, che fu la prima e un tempo la sola fonte di coteste notizie politiche, venne il Colaci indicato come consigliere. In fatti, seguitando io a frugare ne' calendari e ne' notiziari del tempo, trovai il Colaci auditore di ruota in Cosenza nel 1781; talmentechè il Campelongo lo chiamava in quel suo Sepolcreto, giureconsulto e poeta ultra adulationem doctissimo.
Che fosse ancora in Cosenza nell'83 se n'ha certezza in una lettera di Giambattista Meola, fra quelle che sono serbate nella biblioteca nazionale di Napoli, dove è lodato per la sua valentìa nelle lettere italiane e latine, sì in prosa e sì in poesia. E un'altra prova più evidente n'ebbi in questi ultimi giorni, in cui fra le carte dell'Acton ligate, al volume 26-8 degli Archivi, lessi una Relazione de' danni seguiti in Cosenza per quel terribile terremoto, sottoscritta dal generale Giovanni Danero, da Francesco Magliano, da Giuseppe Paragallo ed Onofrio De Colaci. Sempre dalle medesime pubblicazioni periodiche lo rinvenni nel 1789 capo ruota nella provincia denominata ancora Terra di Bari sotto il preside Bausan, poi come fiscale a Matera nel 97, e finalmente nell'ordinamento della Corte della Vicaria criminale ebbe l'officio nella seconda ruota di avvocato fiscale nel settembre dell'anno 1798. V'era capo ruota Giuseppe Giacquinto, giudice un Giuseppe Potenza. Così abbiamo spesso veduto sedere collega in un tribunale chi un giorno doveva essere e fu accusatore e carnefice. E quando fu mandato delegato alle carceri egli disse che dimorando al vico Bisi (oggi Nilo) poteva esercitare l'officio senz'essere obbligato di abitare entro Castel capuano, ove ne avrebbe risentito l'età e la salute.
Ed oltre all'aver dato prove della sua dottrina giuridica Onofrio De Colaci acquistò bel nome nelle lettere. E mi riuscì trovare nella Biblioteca della Università il suo libro stampato a Napoli nel 1768: <<Componimenti poetici dedicati a S. A. R. S. l'arciduca Pietro Leopoldo Gran Duca di Toscana>>, cioè: La Nice e L'Aretusa in occasione delle funestissime (e le provò poi infaustissime) nozze di S. M. S. Ferdinando IV con Maria Carolina d'Austria, e La Partenope soddisfatta. Poi nell'anno 1778 pubblicò un canto di venticinque ottave: <<Per la felice inoculazione del vaiuolo fatta a Ferdinando IV re delle Due Sicilie>>, intorno a cui cantò anche il Serio, tanto eran bassi i tempi. E quasi contemporaneamente pubblicò: <<Lodi e preci a Maria nostra Signora a divozione della signora suor Maria Celeste De Angelis de' marchesi di Sant'Agapito religiosa professa dell'ordine domenicano nel monastere di San Giovanni Battista di Napoli>>. Nel qual libro, di 64 pagine in-12, s'intitola tra gli Arcadi Aletino Enocco Filadori, e pubblica dodici canzonette, una canzone agli Arcadi Aletini, un'elegia e quindici sonetti. Finalmente continuando le ricerche, guardando tutte le raccolte, in una del 1775 trovai una sua terzina col nome arcadico di Enocco Filadori in lode della Immacolata Concezione recitata dagli arcadi della Colonia Eletica, dove spesso udironsi vari sonetti dell'altro poeta del tempo Clemente Filomarino.
Scrisse de' Dialoghi sul tremuoto di Calabria del 1783; e questo lavoro potrebbe peravventura farci argomentare esser egli nato in Calabria, e come dice la Cronaca de' condannati, nella città di Tropea, nell'anno 1738. Pare impossibile che avessero potuto così rimanere ignorati o men noti gli studi, le opere, le virtù e fin la patria e l'età di Onofrio De Colaci. Ma in ogni moto politico rimangono figure ricordevoli alcuni pochi, come a tempi nostri Salvagnoli, Farini, Poerio, e fuggon via come meteore tanti e poi tanti, pur degni di speciale menzione siccome fra noi Montanelli, Valerio, Leipnecher, Carducci.
Alla patria sarà pur sempre chiaro il nome del Colaci, un dì coloro che furono giudicati nel 1799 cioè posti nella lista delle vittime.
Fu suo gran reato aver continuato a essere giudice nel reggimento repubblicano, e membro della Giunta militare inappellabile preseduta dal Pignatelli, anch'egli ucciso sul palco, insieme con Vincenzo Lupo Commessario del governo, altro compagno della carneficina, con Giacinto Dragonetti, Nicola Giannotti, Agamennone Spanò, Giovanni Manthonè, Raffaele Manzi, Giuseppe Pignatelli e Giuseppe Celentano segretario. La quale Giunta ebbe a condannare per ragion di giustizia purissima, il dì 7 di marzo, quei tumultuanti e saccheggiatori al Mercato Gaetano Amato bazzariota, Ignazio di Lauro, Michele Angrisano e Salvatore Marino; e il 9 di aprile quegli altri masnadieri di Torre del Greco.
Le condanne contro i ladri e gli assassini furongli addebitate a reati politici. Menato prigione in Santelmo insieme col Varanese, col Caputo, col Morgera e col Logoteta, tutti condannati come lui, fu trasportato in Castelnuovo. E il 10 di ottobre vi andò quella gran birba di Angiolo di Fiore per sentirli o almeno fimgere, e nella notte furon passati al Carmine con Giannotti e Dragonetti che si salvarono; ma il Damiani scriveva al generale De Gambs: <<In conseguenza di quanto il colonnello della Marra ha fatto noto alla Giunta circa le doglianze esposte da' Presi di Stato D. Giacinto Dragonetti e D. Onofrio De Colace, e circa il non essere nel Castello nuovo criminali civili, meno che uno già occupato, ha la mediesima disposto che detti due carcerati dal detto castello passerebbero in quello del Carmine>>. Passò all'altro castello del Carmine, e di qui al Mercato, e come patrizio fu decollato il giorno 22 di ottobre 1799.
Più si può avere una idea della grande riputazione che godeva il De Colaci dal nome di Aristide che meritò in quella Raccolta contemporanea dell'Apoteosi col verso di Sofocle nel Filottete, tradotto in latino; Voceris sane omnium hominum justissimus. E a Tropea in una delle sue piazze principali fu dato il nome di Colaci per deliberazione del Consiglio comunale del dicembre 1871 sotto il sindaco Ignazio Toraldo, da cui ebbi anche una poesia inedita:
 

Io men vo dal prato al monte
Per fuggir l'avverso fato,
E mel trovo al monte, al prato
Sempre allato, sempre a fronte;
E per fare ognor nuove onte
Sempre a fronte, sempre allato
Mi verrà, finchè varcato
Avrò l'onde di Acheronte.
Se fuggir nemmen per morte
Lo potrò, contro quel crudo
Voglio oppormi alfin da forte.
Ma come armo il petto ignudo?
Nice mia, se mi ami, in sorte
Ritrovato avrò lo scudo.