DISCORSI
CAVALLERESCHI
DELL'ILLUSTRE SIGNOR
DON GASPARE TORALTO
IN UN DIALOGO
COMPRESI
Nei quali copiosamente si ragiona di tutti quegli essercizij
così del corpo, come dell'animo, che necessariamente
à compito Cavaliero si ricercano, e lo fanno
riguardevole, e chiaro.
Dati in luce secondo il vero esemplare
dell'Autore per opera di Decio Lacheo,
& dedicati
ALL'ILL.MO S.MO  FERRANTE CARACCIOLO
CONTE DI BICCARI.
Con due tavole una de' discorsi, e
l'altra delle cose più notabili.
 

IN NAPOLI
Appresso Horatio Salviani, 1573


Presentati da Decio Lacheo e dedicati a Ferrante Caraciolo Conte di Biccari, i 'Discorsi' coinvolgono quattro veri gentiluomini appartenenti alla vita del Regno di Napoli di allora: il Duca di Amalfi, il Marchese di Torremaggiore (Paolo di Sangro), il Conte di Simeri (don Michele Ajerba d'Aragona) e don Bernardino Rota, notissimo poeta petrarchista del cinquecento napoletano. La seduta tra i ragionatori si svolge a casa del Duca di Amalfi con sottofondo di musiche suonate da una lira con accompagnamento della voce. I temi dei discorsi affrontati e sviluppati dai quattro sono moltissimi. Dalla Nobiltà si passa all'Amicizia. Dalla Musica alla Poesia. Si parla di Arte Oratoria e delle Macchie della Luna, del Lume delle Stelle e della Via Lattea. Ma anche dei Duelli e dell'Armeggiare a cavallo. Del Gioco di Picca o di Stocco. Dell'Amore.
Abbiamo qui voluto riportare un brano dove si discute sulla differenza tra Amore e Amicizia.

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MARHESE DI TORREMAGGIORE. non me vago, che nuono modo di favorirmi è questo Signor Berardino, ma io vorrei, che i pensieri vostri si rivolgessero hora alla difesa della Musica.
BERNARDINO ROTA. Mal potranno l'antico, e immortal pianto obliando, ripigliar sì contrario soggetto.
MARHESE DI TORREMAGGIORE. Questo avviene à noi altri, che savii non possiamo stimarci, ma al vero savio non possono gl'infortunij di questo secolo perturbar l'animo, come non han potuto à voi, che nel pianto havete così altamente cantato, che meritamente siete da tutti novello Orfeo nomato.
DUCA D'AMALFI. Poca contesa potrei fare col Signor Berardino con tanta disuguaglianza d'armi: nè potrebbe egli ottener palma di Vittoria, vincendomi. ma così comandando noi altri Signori, sarà bene, che insiememente preghiamo il Signor Berardino à farci un ragionamento della Musica, della quale sapendo la diffinitione, possiamo le nostre questioni terminare; et così io vi priego Signor Rota, e astringo à pascer gli animi nostri d'alcun di quei cibi, che havete voi preso dalla mensa di Giove, se non dell'Ambrosia, almeno degli altri non così nobili, per poter esser da noi intesi.
MARHESE DI TORREMAGGIORE. Quì non potete contradire Signor Berardino; ma di gratia apparecchiatevi à sì bella opera.
CONTE DI SIMERI. Il contradirci in questo non sarebbe del Signor Berardino, ma di chi o non sapesse, o con alcuni soverchi modi volesse parere di saper molto.
BERNARDINO ROTA. Hor vedete, come gentilmente mi vengono tolti i ripari: ma poi che è così; non voglio, nè tutto ch'io volessi, potrei difendermi, senza mancare à gli obblighi dell'Amicitia; i quali tanto vengono ad esser maggiori; quanto gli amici, a'quali s'hà da compiacere, sono di meriti più degni.
DUCA D'AMALFI. Con molta mia sodisfatione v'ascoltai un giorno Signor Berardino, ragionando voi copiosamente dell'Amicitia.
BERNARDINO ROTA. Rare volte mi sono tra amici ritrovato, che di questo bel nodo dell'Amicitia non habbia fatta alcuna mentione.
CONTE DI SIMERI. Et hora più, che mai, ne dovreste ragionar tra noi: ma come che lasciando di compiacere il Signor Duca nella sua prima richiesta, non si terminerebbero le nostre liti; un'altra volta, piacendomi Signor Berardino, ne direte alcuna cosa con molte belle occasioni.
DUCA D'AMALFI. Io mi rimetterei al Signor Berardino nell'appigliarsi all'uno di questi ragionamenti: che se bene io l'attesi sopra ciò lungamente discorrere, non varranno però à mancargli nuovi pensieri per dilettarne.
MARHESE DI TORREMAGGIORE. Ben vorrei io, ch'egli s'appigliasse nell'Amicitia, per intender particolarmente, già che'l Signor Berardino la chiamò nodo, come venga ella propriamente ad annodare: e che differenza vi sia tra quello che noi chiamiamo nodo d'Amore, e'l nodo dell'Amicitia.
CONTE DI SIMERI. L'istesso mi muove à desiderar quello, che voi desiderate Signor Marchese.
DUCA D'AMALFI. Dunque potrete, Signor Berardino, in un tratto ragionando d'Amicitia, sodisfare à tre amici.
BERNARDINO ROTA. Io spero così di passata, per non occupare il luogo à ragionamenti più piacevoli, di sodisfarvi non meno in questa ultima richiesta, che nella prima; essendo la Musica, e l'Amicitia molto somiglianti: già che si vede non potersi dir propriamente Armonia quella, che di più consonanze non è ordinata; così non possiamo ritrovar l'Amicitia, se non tra molti, o almeno tra due: e perciò poco prima fù da me chiamata nodo; ch'ella di piacevolissima catena lega gli animi; onde questo legame, c'hà origine dalla benevolenza, possiamo dire Amicitia. E questa è la differenza tra Amore, e Amicitia, che'l Signor Marchese desiderava intendere: perchè Amante possiamo chiamare, chi ama, se ben dal canto dell'amata non vi fosse corrispondenza d'amore: ma Amico à dir non habbiamo, se non colui, che havrà trovata persona, che scambievolmente accetti il vincolo soprahumano dell'Amicitia. Da quì nasce, che molti disputano dell'Amore, e dell'Amicitia diversamente; alcuni tengono che Amore sia più eccellente: perchè egli da se solo depende, e vogliono, che l'Amicitia, traendo principio dall'Amore, non debba esser sì nobile giudicata, ma il contrario mi par di conoscere, cioè, che Amore habbia il suo principio dal desiderio, ch'è pur possibile affetto dell'animo: ma l'Amicitia non da altro, che dalla virtù, onde chiara cosa è, che l'Amante à fine di godere alcuna bellezza, ama: e ben si vede, ch'egli è mosso da'propri commodi: ma l'Amico non usa l'Amicitia, se non per giovare. Così potremo conchiudere, che tanto più eccellente è l'Amicitia dell'Amore, quanto ch'è il donare del ricevere; oltre che, come ogni giorno veggiamo, l'istesso nome d'Amore si può da discordanti, e profaniamo rialterare: già che pur questi amanti tali sono guidati da alcun desiderio di bellezza con disegno di goderla solamente; ma questo nome d'Amicitia non pate, nè riceve mutatione, nè alteratione veruna. Onde nasce, che noi possiamo dire amante colui, ch'amerà, quantunque disordinatamente: ma non possiamo chiamare amico, chi usa à mal fine l'Amicitia. Vedesi ancora in Amore alcuna imperfettione, essendo per commun parere diffinito, l'amante esser più nobile dell'amato: il che nell'Amicitia non avviene, come cosa, che non può esser da altri, che dalla virtù ordinata: onde vogliono i Savi, l'Amicitia non potersi, se non ne'buoni ritrovare, e per ciò doversi anteporre à tutte le cose humane, e quì intenderemo per buoni coloro, de'quali la commune vita se ne contenta; e non coloro, che si fingono, o per ispecial gratia sono richiesti, che altrimenti à pena un paro d'amici in tutto il mondo si ritroverebbe. Tra costoro, dice Aristotele, si trova la perfetta Amicitia: conciosia che la somiglianza della virtù è quella, che fa congiungere gli animi delle persone, e gli stringe con l'indissolubil nodo della benevolenza, la qual'amicizia non solo è durabile da se, ma tuttavia cresce con la corrispondenza dell'amore. Onde tra cattivi non può essere amicitia; e s'alcuna n'appare, ella è falsa: non essendo tra loro altro, che un desiderio d'utilità, e isperanza di guadagno. Et sì come i buoni conversando, e ben'oprando diventano migliori; così i tristi per le loro cattive opere divengono peggiori; e la loro mal fondata amicitia si disperde: che mancando la speranza di poter più consegnare avanzo, o piacere, subito non solo ruina à la benevolenza; ma l'amore il più delle volte in odio si converte. l'Amicitia poi, che deriva solo dalla virtù, non istudia in altro, nè pensa, o cerca, se non di giovar l'amico, senza disegno, ch'à se ne ritorni utile: perchè colui, che ad altri desidera bene per utile, e commodo di se stesso, mostra non amar l'amico per la propria amicitia; ma per l'utilità, che da tal bene si vede ritornare: e questa più tosto mercantia, che amicitia chiamar si deve. Nè debbiamo tener credere, come alcuni fanno, che gli utili siano bastevoli à stringere il nodo dell'Amicitia, e che alcuna volta dall'impotenza ella derivi; ma debbiamo tener molto à vile (come dice Cicerone ne'suoi dialoghi) quest'amicitia, che dall'utilità prende principio; e perchè essa vuole esser men durabile, farne poco conto: perciò che se l'utilità legasse l'amicitia; l'incommodo la disciorrebbe. Onde noi intendiamo il senso dell'amare, e la carità della benevolenza haver l'origine della natura, e conseguentemente dalla virtù, e non dall'umiltà; e però una congregatione d'huomini, come una Republica, seben si può dir largamente; che sia amicitia, non per ciò intenderemo della perfetta, ma più tosto una compagnia per cagion d'utile: perchè ciascuno spera haver giovamento dal compagno. Onde tra dispari d'età, di studij, e d'arte, à gran pena, o non mai si può ritrovar la vera Amicitia. Varie dunque sono le specie dell'Amicitia, ma sotto quella, che da Platone vien chiamata civile, questa, di cui habbiamo preso à ragionare, si contiene. Et perciò in tre modi considereremo questa civile Amicitia. Prima dicesi esser quella, per la quale i Cittadini si vengono (come detto habbiamo) à congiungere insieme per un certo ordine della patria; essendo uno strettissimo modo l'habitare insieme in un medesimo luogo, prender lo spirito d'una medesima aria sotto il medesimo cielo, nudrirsi de'medesimi frutti; e l'esser difesi dall'istesse mura, ordine, e leggi, havendo tra loro molte cose communi. Questa commune Amicitia (secondo Cicerone) quando via si levasse, parrebbe, che'l sole dal mondo si togliesse. Quest'Amicizia, pare, che s'appartenga più al Principe, che à nessun'altro, havendo una certa somiglianza col padre di famiglia, il quale abbraccia la moglie, i figliuoli, i parenti, e tutta la casa con una general benevolenza, desiderando, e facendo bene à tutti, secondo la degnità, l'età, e'l sesso, così dee fare co'suoi il Principe, comunicando la sua volontà con gli amici, et non lasciando far violenza nessuna a'Cittadini, nè da loro ad altri, et ministrando egualmente ragione à tutti. La seconda sorte d'Amicitia è veramente perfetta, quando hà le parti convenevoli della perfetta virtù, che non può essere, se non da'buoni di simili costumi, per li quali possono lungamente pratticare insieme senza macchiar l'amicitia; e come dice Lelio di se, e di Scipione, introdotto da Cicerone ne'suoi dialoghi, questa sorte d'Amicitia non si può ritrovare, se non tra pochi, come à punto suole accadere nell'Amore; che uno non potrà molte persone amare. E perciò tale Amicitia di rado si vede, poiche obliga tra gli amici ogni cosa commune; il quale obligo s'e veduto da pochi serbare. La terza specie di questa civile Amicitia chiamasi sociale, la quale non solamente cerca la benevolenza d'uno, ma di più. E perche questa sorte d'Amicitia non obliga tanto l'amico, quanto la perfetta, e vera; perciò non deve esser'in quel pregio tenuta ma come ombra della vera Amicitia si dee reputare. Questa suole communemente provocar gli animi alla benevolenza, onde essendo essa così commune, e non havendo il suo nascimento drittamente dalla virtù, poche contese può ella fare contra coloro, che la vengono à profanare. Habbiamo noi dunque da eleggere quella Amicitia, che poco avanti nel secondo modo dell'Amicizia civile habbiamo perfetta, e vera amata: e per poterla molto bene usare, secondo la sua proprietà, non sarebbe fuor della vostra richiesta, diffinirla col parer d'alcuni Savij, c'han procurato ne'loro scritti, e ragionamenti scoprirci le grandezze di questa Amicitia. Percioche secondo i vecchi Academici, ella è stata diffinita per un reciproco amore tra due, o più, per una somiglianza di costumi tra loro, o per la medesima virtù, che nell'uno, e nell'altro si ritrova. Ma più brevemente vien da Pitagora diffinita, dicendo, l'Amicitia è una uguale convenienza. Cicerone dice, che l'Amicitia è una volontà di quello, che si desidera per cagion della persona, che s'ama; onde disse, che l'Amore non è altro, che far gran bene altrui, se bene à chi ama non ne torni utile nessuno et per volere in breve chiuder le grandezze dell'Amicitia, in un'altro luogo la diffinì, dicendo, l'Amicitia veramente è di tutte l'humane cose con benevolenza, e carità, somma concordia. Quale spirito vitale dunque (come dice Ennio) vi può essere alla vita di colui, il quale non riposi nella scambievole benevolenza dell'amico? che cosa è più dolce c'havere alcuno, col quale tu ardisca tutte le cose, come teco istesso raccontare? che frutto si porterebbe ne'prosperi successi, se non si ritrovasse alcuno, il quale teco ugualmente si rallegrasse? E molto difficile sarebbe tolerare gl'infortunij, senza alcuno, che altresì di pari si dolesse. Finalmente tutte le cose, che si desiderano, ciascuna quasi ad una cosa per se sola convengono le ricchezze all'uso del vivere; le potenze ad esser riverito; gli honori ad esser lodato; i piaceri à godere; la buona valetudine per poter gli ufficij del corpo essercitare, ma l'Amicitia contiene molte cose, ovunque ti volgi è presto; da niun luogo è scacciata; non è mai fuor di tempo, se molesta. Onde non l'acqua, non il fuoco, non l'aria (come dicono) in più cose usiamo, che l'Amicitia. Ben dice Cicerone, che'l riguardar l'amico, sia quasi riguardar se stesso. Grandi in somma, e sopr'humane sono le lodi dell'Amicitia. Questa mantiene i regni, i quali, ella non essendo, sogliono venire in molte ruine. Questa (come cantò in versi Greci un dotto huomo Agrigentino) raunò tutte quelle cose, che nella natura, e nell'universo si muovono, e la discordia le disperse. Ma lasciando star le cose basse pertinenti all'uso della vita, e rivolgendoci con gli animi sgombrati di questa caliginosa nebbia della terra, vederemo la maestra natura essersi infinitamente compiaciuta in questa Amicitia: che con molta ragione disse Empedocle, i principij delle cose esser l'Amicitia, e la Lite, quella genera, e questa corrompe le cose: e scendendo poi alle congenerate, che ordine? che amicizia serban tutte? Onde (come dice il Divin Cornelio) la terra non s'usurpa il luogo dell'acqua: l'acqua non sale sopra l'aria: l'aria non si sdegna ceder al fuoco: il fuoco non è ambitioso d'occupar le sfere celesti; tra i cieli il primo mobile non vieta alle seconde sfere i moti proprij; e le seconde si lasciano humilmente rapire al moto suo. Così non solo si conferma il mondo in amicitia; ma tutte queste cose insieme ci ammaestrano à ben'usar l'Amicitia perche una persona, quantunque possente, non si dee sdegnare anteporre nelle prattiche dell'Amicitia un'altro di lui maggiore, così in tutti i gradi dell'humane conditioni. Et perciò vogliono i Savij, che tra Nobili nulla cosa offende più l'Amicitia, che la concorrenza de gli honori, e della gloria; e tra Vili la cupidigia. Or poi ch'oggi i grandi del mondo ad altro non attendono, che à precedere ogn'uno così negli honori privati, come publici; malegevole cosa mi pare, che tra loro lunga amicitia vi si truovi. Onde di costoro intendendo Cicerone, dice, niuna cosa esser più difficile, che mantener l'amicitia insino all'ultimo della vita: che, overamente una istessa cosa non è utile all'uno, e all'altro, o che nelle cose publiche non sono d'una istessa opinione. Cangiansi ancora molte volte i costumi degli huomini, hor per gl'incommodi dell'avversa fortuna, e hor per farsi più grave l'età. Ma chi dal canto suo vorrà mantenere a compimento l'Amicitia, gli bisogna schiettamente essercitarla senza alcuna fintione, e communicar con l'amico ogni cosa col vero, e secondo la virtù, e non fare, come Alcibiade, che coprendo i suoi vitij con l'eloquenza, e leggiadria, era valente in acquistare amici, ma debole in conservarli. Nè deve egli richieder l'amico di cose ingiuste, e fuor dell'honesto; che queste sogliono esser quelle richieste, che possono velenare l'Amicitia; perciò che l'Amicitia non escusa il peccato, già ch'ella si secca à fatto, essendo dalla sua radice troncata, ch'è la virtù. Onde ugual peccato è il domandare all'amico cose fuor della virtù, che sia all'amico concederle. Ma per conchiudere, parendomi haver passato oltre il segno, due leggi debbono dello stato dell'Amicitia essere inviolabilmente serbate, acciò ch'ella non solo lungamente viva, ma immortale divenga. La prima è, che non domandiamo all'amico, nè domandati da lui facciamo cosa fuor dell'honesto. La seconda è, ch'ogn'uno tanto apprezzi se stesso, quanto merita, nè più desideri, o comporti esser dall'amico apprezzato. E s'un punto di questa legge si preterisce; l'Amicitia si convertirebbe in odio, non altramente, che se nella Musica s'alterassero le voci, ella di armonia disconsonanza diverrebbe. Molta dunque somiglianza vi si ritrova tra l'Amicitia, e la Musica: vedendosi chiaramente la conformità di più animi nomarsi Amicitia; e la conformità di più voci Musica: e l'una, e l'altra esser dal veleno della discordia uccisi. Nè con minor difficultà si ritrova amico perfettamente usar l'amicitia, che musico perfettamente servirsi della musica. Per che così come infiniti sono i successi, e l'occasioni, che sogliono perturbare il vincolo dell'amicitia; non altramente sono innumerabili i modi, che sempre, o il più delle volte sogliono alterar gli animi de'musici. Onde alcuni attribuendo la colpa alla musica, le danno nome di vanità; non perche ella bene usata s'havesse à riputar vana; ma per che lor pare, che provochi in un certo modo gli animi ad esser vani: e perciò parmi, che l'Amicitia, e la Musica habbiano bisogno d'un'istesso fondamento della virtù: la quale, regolando gli animi de gli amici à bene usar l'Amicitia, e de'musici à ben'esercitar la Musica, rende l'una, e l'altra irreprensibile, e divina: onde Platone parlando della Musica, benchè misticamente, ci insegna à ben'essercitarci in questa scienza; e vuole, che la Musica habbia il suo fine in amare il bene.

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LEPANTO E DINTORNI
 di  Salvatore Libertino
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