Francesco Ruffa

NOTIZIE STORICO-CRITICHE
SOPRA LA TRAGEDIA
TERAMENE
 

di Filarco Eretrio
(1828)

Questa volta tocca a Filarco Eretrio a fare la nota critica sulla tragedia "Teramene". Era stato invitato a redigerla, quando l'opera teatrale era ancora manoscritta e quindi prima di essere pubblicata, dall'amico Luigi Raspi che aveva in animo di comporre in stampa la "Nuova biblioteca di componimenti drammatici d'originale italiano, ovvero tradotti dal francese, dal tedesco e dall'ungherese non mai stampati nè sulle scene esposti: con notizie storico-critiche, rami rappresentanti il costume delle nazioni e relativa,ragionata spiegazione" che poi andò pubblicata nel 1828 a Roma pei tipi di Antonio Boulzaler.
Val la pena di ricordare che "Teramene" è la quarta in ordine cronologico delle tragedie scritte dal Ruffa. Prima di questa, a parte l'esperienza giovanile (si fa per dire: Ruffa aveva solo 12 anni) de "L'avventura di Belfiore e di Federico Lanicci", sia pure applaudita dal pubblico, erano state composte "Ninia", "Achille" e "Belidi" delle quali l'Autore precisa: "non ho ardito apporre il titolo di 'tragedie', come a fronte di molti componimenti con meraviglia ho veduto farsi da taluni scrittori, ma di chiamarli soltanto 'esercizj tragici' io mi sono contentato".
Dopo "Teramene", il Ruffa comporrà "Agave", "Codro" e "I Goti", mai data alle stampe.
Occorre anche precisare che il Ruffa aveva in effetti già pubblicato e fatto rappresentare una tragedia intitolata "Teramene" e che la nuova opera manoscritta non era altro che il rifacimento totale della prima di cui è stato mantenuto solo il titolo. Ed è per questo che Filarco Eretrio ammira l'onestà e il senso della responsabilità professionale dell'Autore che si era reso protagonista di uno stravolgimento totale della propria vecchia opera, anche se questa era stata più volte applaudita durante la rappresentazione ottenendo dai critici innumerevoli consensi.
L'Autore amava ricordare che "Teramene" era il personaggio "più storico" del suo teatro che, oltre a essere stato frutto di una sincera ispirazione, era stato il risultato di un'attentissima ricerca storica svolta direttamente dalla fonte di Senofonte. Personaggio teatrale che continuerà di lì a poco ad apparire sulle scene in "Fedra", capolavoro del grande tragico francese Jean Racine ed ancora oggi rappresentato in tutti i teatri del mondo. Magistrale ne è stata proprio lo scorso anno l'interpretazione di Ugo Maria Morosi mentre Mariangelo Melato recitava nei panni di Fedra sotto la regia di Marco Sciaccaluga.
Non ci stancheremo mai di ripetere che l'opera teatrale di Francesco Ruffa, nato a Tropea il 26 aprile 1792 da Tommaso e Gaetana Paladini e morto a Napoli il 17 luglio 1851, deve essere rivalutata e fatta conoscere ad una platea più ampia che non siano i soliti studiosi di storia patria locale perchè l'Autore lo merita. Così come Francesco Ruffa meriterebbe da parte del Comune di Tropea uno sforzo morale di intestargli una delle tante strade anonime (e non solo quella!) della città natale.


Il chiarissimo autore di questa tragedia avea scritto, e fatto rappresentare sulle scene di Napoli un Teramene. Il pubblico accolse quel componimento con ispeciale favore ed iterati plausi; ma l'illustre autore, a malgrado d'un successo cotanto lusinghiero, scorse che avea d'uopo quella tragedia di molti e molti cangiamenti. Il perchè di nuovo ricompose la tragedia stessa, come oggi viene in luce, dalla prima in tutto differente, cominciando dal carattere del protagonista. Questo tratto, che ridonda in somma lode dell'egregio A. esser dovrebbe di frequente imitato per particolare decoro degli scrittori, e per l'utilità delle lettere !

AL CHIARISSIMO, ED EGREGIO
COMPILATORE
DELLA NUOVA BIBLIOTECA DRAMMATICA
IL VERACE SUO AMICO
FILARCO ERETRIO

Fra i molti favori pe' quali mi sento a voi riconoscente non tengo invero per ultimo quello di avermi distinto fra i pochi ammessi alla lettura della tragedia che porta per titolo Teramene, prima che per la stampa vedesse la pubblica luce.
Gustando colla massima soddisfazione questo lavoro del sig. D. Francesco Ruffa, nome che tien degno posto fra quelli di loro, che aggiungono lustro alla repubblica delle lettere, mi sono sentito compreso da sentimento di verace compiacenza, scorgendo ogni dì più feconda l'Italia di genj, che applicansi, e si distinguono in quel difficile genere di poesia, in cui sì lungo tempo tollerammo di ceder palma a'quei d'oltremonte.
Fermo nella legge imposta a me stesso di leggere per apprendere, e far tesoro, nè mai per trarre argomento di censura dalle fatiche altrui, ho per molto tratto resistito al vostro invito di palesarvi il mio parere sul merito di questa produzione; ma l'amichevole violenza fattami negli scorsi giorni mi riduce alla necessità di mancare all'uno per l'altro dovere. Eccovi pertanto liberamente esposto ciò che ne penso, rimettendo sempre colla maggiore docilità il mio al vostro più sano giudizio.
La scelta del soggetto sembrami commendevole, e degna del coturno. La macchina può sembrar semplice, ma ben montata. E questa stessa semplicità, anzichè attribuirsi a difetto, io penso che a merito dell'Autore tornare si debba, il quale sulle scene esponendo un soggetto greco, ha voluto anche grecamente trattarlo. I caratteri mi appajono generalmente nobili, quali a tragedia convengonsi, e nobilmente pel corso dell'azione sostenuti. Teramene è tutto ateniese, libero, ed intollerante del giogo spartano; convinto dell'impossibilità di liberar se, e la sua patria, anzichè piegarsi un sol poco ai suoi tiranni, preferisce di torsi da se stesso la mia vita.
Crizia, l'Antagonista, è affatto scevro d'ogni virtù, traditore, crudele, e pieno ad un tempo di viltà (attributo inseparabile dalla tirannide mira alla primazia dell'impero).
Nobile io trovo il carattere della Dircea. La di lei virtù è posta in contrasto da tre egualmente forti, e generose passioni. L'amor per il padre, l'amor per la patria, l'amor infine per il degno garzone dal padre stesso destinatole per isposo. Io porto opinione che il personaggio della Dircea, coperto in sulle scene da abile attrice, sarìa capace di sostener con successo l'intiera tragica azione. Isocrate non ha per vero dire gran parte; pur nullameno il suo personaggio molto interessante si rende nella scena 4 dell'atto IV, laddove non dubita di procurar la salvezza del suo maestro col sagrifizio dell'amor suo, insinuando, e forzando la sua Dircea a porger la mano di sposa al suo abborrito rivale.
Poco mi rimane a'parlar dello stile, che forma il colorito dell'intero disegno; e mi contenterò di dire sembrarmi lodevole, bastevolmente sostenuto, e tale qual si conviene al coturno.
Dopo avervi con libertà aperto il mio pensiero sul merito di questo lavoro, all'intendimento di meglio soddisfare i vostri desiderj non lascierò di accennare quelle censure, che mi venne fatto d'intendere sulla bocca di taluno di loro, che meco riservatamente trascorsero questa tragedia. Si pretende, a cagion d'esempio da questi, che alla piena intelligenza degli uditori manchi un rapido cenno dell'antefatto, onde in maggior luce sia posto il carattere in ispecie del protagonista; più chiaramente apparisca come Atene cadesse sotto il dominio di Sparta: come i Trenta si dassero al governo di quella; come Crizia in tanto potere salisse da disarmare i cittadini di Atene; nel proposito forse di divenirne tiranno, e meglio si rendessero note tante altre circostanze, la cognizione delle quali avrebbero potuto spingere gli spettatori a prendere nell'azione un più vivo interesse.
Altri ho sentito non approvare in Crizia che si palesi amante di Dircea in un momento, in cui tutto esser dovea compreso dal progetto di divenire tiranno. In appoggio della quale opinione si sono essi giovati dell'esempio dell'immortale Astigiano, il quale volendo nella sua Antigone servirsi dalla passione amorosa per stringere il nodo dell'azione, non ne fa preso il tiranno Creonte (ancor mal fermo sul trono) ma Emone di lui figlio ci rappresenta perduto amante della unica superstite della casa d'Edipo. Osservano questi inoltre come lo stesso celebratissimo autore molto a proposito siasi diversamente condotto nella sua Virginia, ove non ebbe riguardo di rappresentar Appio, già fondato, e sicuro del suo tirannico impero, dominato dall'impura, e mal concepita passione, la quale ampio posto trovava nel proprio cuore spoglio d'ogni altro affetto di speranza, e timore.
Io mi dispenso, amico carissimo, dal dar sentenza su tali censure, rimettendone ad altri più degni giudici la decisione; ed a voi in ispecie, cotanto nelle tragiche non meno che nelle comiche cose versato. Quanto a me mi contenterò di far voti perchè l'autore del Teramene, proseguendo nella nobile sua carriera a propria gloria, e nella nostra Italia, non cessi di farci ricchi delle giudiziose sue produzioni.
 

 
 
FRANCESCO RUFFA
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