L'Amore
   e  la Fede

Il profondo solco di tristezza, scavato nell'animo di Ruffa dalla immatura morte della sua Enrichetta, gli ispirò bellissimi accorati versi che, con una schietta aderenza della parola al sentimento, esprimono il suo amore sempre vivo e lo struggente rimpianto di una dolce fededi affetti per sempre perduta.
E si rivolge, con il sonetto "Ai Pietosi", a quelli che sono inclini a comprendere con una caritatevole partecipazione il dolore altrui affinchè gli concedano il loro pianto e scusino il suo:
 
 

Fra le donne gentili eraven'una
Bella, avvenente, semplice, pudica,
Degl'infelici generosa amica,
Anima tutta amor fin da la cuna;
Figlia, consorte, madre, a cui niuna
Pregio togliea donna presente o antica:
Soltanto la fortuna ebbe nemica,
Ma vinse col coraggio la fortuna.
Per vaghe arti d'ingegno eranle date
Lodi che troppo parver solo a lei
Che avea rigido sennno in fresca estate.
O pietosi che udite i versi miei,
Datemi il vostro pianto, o il mio scusate...
Era mia questa donna e la perdei!

Se ai "pietosi" Ruffa chiedeva viva compassione per il suo dolore, con il sonetto "Al Salcio", raccomanda a quell'albero. che era stato caro ad Enrichetta, di elargire generosa ombra sulla sua tomba:

O salcio, o pianta cara a la mia bella,
Ch'or sovra il suo sepolcro i rami abbassi,
Se avvien che l'aura te scotendo passi,
Tu mandi suon che a lagrimar mi appella.
Io sento il tuo sospir; lo sente quella,
Che sotto a questi posa amati sassi,
E de' felici dì che seco io trassi
Un palpito di entrambi a te favella.
Tu dolce pianto da questi occhi miei
fai piover sempre; e quando ora molesta
Mi chiama altrove e partomi da lei,
Con la melòde più soave e mesta
E con la voce sua dirti vorrei
A la mia cara ombra pietosa appresta.

Poeta della Fede e dell'Amore, Ruffa credette ed amò.
Credette nei contenuti del cristianesimo che cantò con tanti componimenti poetici e non si contenne dal torcere il muso di fronte a quei cristiani che non seguono Cristo:

A che le facce rattristate e smorte?
A che veste gramaglie il tempio augusto?
E ancor si piange di Gesù la morte?
S'imiti, o Genti, e non si pianga il giusto.
Lamentan tutti, ma niun domanda
Perch'Egli muor del pubblic'odio onusto.

Ed amò. Amò il prossimo con tanta carità cristiana che lo rendeva profondamente partecipe delle sventure altrui, come quando, nel 1837, pianse con un bellissimo sonetto la morte delle quattro figlie dell'amico Francesco De Meis, avvenuta per colera nello stesso giorno:

Dal morbo d'Asia infra l'oppressa gente
A dir di un padre ove trovar parole,
Ricco di quattro figlie al sol nascente,
Orbe di tutte al tramontar del sole?

La sua umanità gli faceva apparire buoni anche esseri di altra natura, come quel "Leone Riconoscente" che, ravvisato nell'arena quel guerriero che un giorno gli aveva estratto una spina dalla zampa, non lo sbranò:

Grande un lion con feri occhi di vampa,
Tolto de' ferri a la sonante soma,
Di liber'orme infame Arena stampa,
Che spettacol di sangua appresta a Roma.
Guerrier dannato da Tiberio aggrampa...
Ma stà; chè sua riconoscenza il doma:
Memor gli porge la curata zampa,
E quel gli liscia la sommessa chioma.
L'alto prodigio assolve il prode - E tante
Turbe ch'ei già difese? Applaudon ora,
Ma treman dell'applauso in pari istante.
Felice istinto che ragione ignora,
Ragion che ingrata stupida tremante
Serve a un Sejano ed un Tiberio onora!

O come "Il Leone di Firenze", o Marzocco, simbolo della Signoria fiorentina, che restituì alla "affannosa madre" il bambino che stava per essere suo pasto:

A Lion che tra l'aspre unghie il tenea
Prostrata innanti con le stese braccia,
Col labbro no, ch'alto terror l'agghiaccia,
Madre affannosa il suo figlio chiedea.
Il pensoso Lion uom parea,
Belva la donna a la sformata faccia,
Che un balen di fierezza e di minaccia
Nell'atto pur della preghiera avea.
Esso guatolla: il disperato aspetto
Fu visibil favella anco al suo ciglio,
E il forte senso fecesi intelletto.
La sentì madre, rammentossi un figlio
Duramente strappatogli dal petto,
E a renderle il fanciullo aprì l'artiglio.

Questo fu Francesco Ruffa: un uomo dall'animo nobile e delicato; un poeta che, cantando cielo e terra, uomo e divino, elevò la sua lirica verso quelle interminate plaghe che solo amore e luce hanno per confine.