T E R A M E N E
Prefazione alla tragedia
di Francesco Ruffa
Questa è fra tutte
le mie tragedie la più storica, se per tale vuolsi intendere quella
che dalla storia non si discosta. Il terzo atto quasi intero, ed il quarto
in gran parte sono tolti da Senofonte. E, per la verità, se questo
Istorico altro non m'avesse somministrato che il bel punto di scena del
refugio inopinato di Teramene al Simulacro di Minerva, pure di troppo gli\1
sarei debitore. Questo punto ebbe in fatti alla rappresentazione ottimo
successo, tanto più, che quell'atto di Teramene nella tragedia è
non già da timore, ma da feroce, e vindice ira consigliato, volendo
l'Eroe sforzare i suoi nemici ad orribile sacrilegio, onde attivar su di
loro odio più grave, e più severa vendetta.
Crizia sembrami tale, quale
non sol da Senofonte, ma da tutti gli altri storici e scrittori ne vien
dipinto: se non che più furbo alquanto, e meno aperto mi è
piaciuto mostrarlo, perchè più abbominevol si renda, e più
curiosa aspettazione lasci dei suoi non chiari andamenti.
Taluno mi tacciò
di aver fatto il mio Teramene più eroe ch'ei non si fu. Convengo
della verità dell'accusa, ma la mia discolpa è bella e pronta.
E' certo essersi egli in quel tempo, nel quale io fingo l'azione, diportato
da forte, e magnanimo, checchè ne sia delle anteriori sue colpe.
Comprendo per altro, che la verisimiglianza resta in qualche modo offesa
dal non avergli io fatto rimproverar tai colpe da' suoi nemici. Ma sia
permesso pure ai poeti di praticar talvolta per arte nel teatro, quel che
i pittori per astio, o per adulazione fanno sì spesso, di formar
cioè i ritratti o più vaghi, o più deformi ancor degli
originali. Il teatro richiede delle dipinture in grande, ed i caratteri
seccamente storici non so quanto possano riuscirvi.
D'altra parte, se non si
fosse a Crizia contrapposto un vero eroe, un mortal languore sarebbesi
sparso su tutta la tragedia, non senza grave danno dello scopo morale.
Mi duole anzi d'esser stato astretto a porre Teramene nella necessità
di usar la simulazione, e l'artifizio, ciò che non dà al
suo carattere tutta quella fiera energia, e tutta quella sublime franchezza,
che pur tanto lustro aggiungono alla virtù perseguitata, ed oppressa.
Quel ch'è poi tutto
da me immaginato si è l'episodio degli amori di Crizia, d'Isocrate,
e di Dircea. Ma io credo aver fatta tutta la satira di questi amori con
averli detti Episodio: poichè altamente mi suona in pensiero la
contraria e troppo giusta sentenza del Voltaire: "" L'amore, o non dee
comparire in teatro, o primeggiarvi"" Non mi restava, che il far, quanto
più poteasi, servir questi amori al fine principale della tragedia,
ed in questa parte mi pare, se pur non mi lusingo, di non essermi mal condotto.
Le tre unità mi
sembrano nel Teramene rigorosamente, e non con molto sforzo sostenute,
senza che seguisse fuor della vista dello spettatore alcuno dei più
importanti avvenimenti dell'azione.
Vi fu che disse inutile
la morte di Dircea: ma diè cagione a questo giudizio la rappresentazion
pessima di quel punto ultimo della tragedia, quando questa si produsse
la prima volta sulle scene di Napoli. La mia difesa sta nella tragedia
stessa. Dircea, donzella di animo nobile quanto onesto, vede trascinare
il padre a sorbire il veleno, e muoversi ad arrestarla i satelliti di Crizia,
che intimanle dover ella esser sua per forza: niuna speranza ella ha più,
niuno scampo fuor che la morte, ed a questa s'appiglia. Aggiungasi che
a questo passo era ella abbastanza disposta (v. scena V. dell'atto IV.,
e scena III. del V.). Intanto quali effetti non produce la costei morte?
un tale atto indirettamente torna a gloria di Teramene: è questo
il più generoso prodotto di sua virtù trasmessa nella figlia:
Crizia vede rapirsi di pugno un dei sommi beni ch'ei proponeasi in premio
dei suoi raggiri, e delle sue crudeltà: la disperazione impotente,
in cui resta Isocrate, allora immagine di tutto il popolo Ateniese, tocca
gli estremi: alla tirannide cade ogni velo.
Lo stile del Teramene è
sparso di troppi ornamenti rettorici, e di quei modi che con moderna voce
diconsi declamatorj. Questo è un difetto presso a poco generale
del mio stile, e mi ci ha tratto forse la frequente lettura dei tragici
francesi, che per lo più fan parlare i lor personaggi più
del bisogno. Ma questa volta parmi che fortunatamente il mio stile sia
d'accordo coll'imitazione. La scena in Atene; tre personaggi principali
della tragedia, Teramene, Crizia, ed Isocrate furono i primi oratori dell'età
loro, e celebri appunto nel genere di eloquenza, che dai Retori fiorito
vien detto; e finalmente la più parte dei discorsi, ed i più
lunghi non sono estemporanei, ma studiati.