I CHIRURGI CALABRESI "VIANEO" Precursori della chirurgia Plastica (Rivendicazioni)
di Arturo Manna
Eccellenza, Illustri colleghi ed amici, gentili Signore,
Verso la metà del secolo XVI, mentre gran parte dell'Italia gemeva sotto la dominazione spagnola, e l'autorità del Vescovo di Roma sembrava ancora scossa dalla riforma e dalle teorie scismatiche del professore di Wittenberg, il tristemente noto monaco Agostiniano Martin Lutero, mentre però l'arte e la letteratura italiana erano nel perioso più rigoglioso, tanto che pareva di rivivere il secolo di Pericle e di Augusto, per dimostrare al mondo attonito che il genio italiano non si spegneva, in questa città, piccola per estensione ma grande per i suoi ricordi storici e per la nobiltà delle sue genti, in questa città due chirurgi, di origine modesta, i fratelli Pietro e Paolo della famiglia Vianeo, si erano dedicati ad un'<<arte mirabile>> come allora si disse e si scrisse, alla chirurgia plastica, e con una nuova tecnica, che ha in gran parte sostituito metodi antichissimi, avevano su di loro attirata l'attenzione e l'ammirazione dei contemporanei vicini e lontani. Chi erano questi due fratelli, la cui attività molti chirurgi, anche di chiara fama, ignorano, il cui nome è dimenticato anche dalle più moderne enciclopedie e dai trattati di chirurgia, ed il cui metodo fu ingiustamente attribuito ad altri? Quale è il loro merito e quale è la giusta posizione che essi debbono occupare nella storia della chirurgia plastica? Come e da chi appresero, non solo, l'arte in genere della plastica chirurgica, ma il metodo dell'autoplastica con lembo cutaneo preso a distanza, che tanta eco e tanta applicazione pratica doveva in seguito avere nella riparazione delle mutilazioni della faccia? La risposta a queste domande non può essere data come si farebbe ad un comune questionario, ma occorre partire dalle origini, percorrendo, sia pure rapidamente, tutto il cammino e tutti i lenti progressi fatti successivamente da questa branca fino a giungere al secolo e alle persone che più direttamente ci interessano. La chirurgia plastica, che, come noto, è quella branca della chirurgia, chiamata a riparare le deformità congenite e le deturpazioni acquisite di tutto il corpo, ma specialmente della faccia, ha avuto le sue origini in epoca lontanissima, circa dodici secoli prima dell'era volgare, nell'India; ma l'unica operazione che allora si praticava era la rinoplastica, cioè la ricostruzione del naso, e ciò perchè, secondo quanto ci è stato tramandato, le leggi di quei tempi, fra le varie pene, comminavano quella del taglio del naso ai lenoni ed agli adulteri, affinchè del loro reato e del loro peccato, rimanesse, come esempio, traccia incancellabile, su una parte del corpo a tutti visibile. Da ciò nacque spontanea l'idea di riparare in qualche modo tale mutilazione, ed infatti nella categoria dei pentolai si distinsero alcuni che si dedicavano alla ricostruzione dei nasi, utilizzando un largo lembo di cute della fronte, che, rimanendo attaccato solamente tra i sopracigli, veniva ruotato e sistemato in modo da formare un rudimentale naso. Inutile dire che, data la mancanza dell'asepsi e lo strumentario veramente primitivo, il rimedio era quasi peggiore del male; il marchio della colpa era sempre visibile. Secondo Plutarco sembra che anche presso la Corte dei Re di Persia vi fossero degli eunuchi maestri nel conformare il naso dei principi in modo che fosse degno di un regnante. (In questo caso più che di chirurgia plastica si trattava della moderna, anzi modernissima chirurgia estetica); quindi <<nihil sub sole novi!>>. Ma oltre quanto abbiano detto, di tale epoca lontana, nessun'altra notizia di notevole interesse su tale argomento è giunta fino a noi; non solo, ma per parecchi secoli, in tutto il mondo, allora conosciuto, non si hanno notizie di operazioni plastiche. Infatti dall'epoca così detta indiana si passa direttamente a quella romana. In questo periodo è da ricordare Aulo Cornelio Celso vissuto ai tempi di Augusto nel I secolo dopo Cristo. Egli si rese celebre per il suo sistema di plastica facciale che consisteva nel riparare il difetto con lembi cutanei, della ragione vicina, resi nobili in seguito a scollamento dei piani profondi e trasportati per scorrimento e trazione. Egli si occupò molto del labbro leporino la cui tecnica descrisse nel trattato <<De re medica>>, e poco si occupò di rinoplastiche, perchè sembra che le leggi romane erano un pò, più indulgenti di quelle indiane verso gli adulteri, e quindi la pena dell'amputazione del naso non era molto usata, mentre vigeva l'uso (il barbaro uso), come presso i greci, di mozzare il naso e le labbra dei prigionieri di guerra. Noi ci meravigliamo di questo barbaro uso, ma tutto ciò impallidisce di fronte agli orrori della recente passata guerra! Nel secondo secolo vi è Galeno, il grande enciclopedico che si occupò molto del labbro leporino e del coloborna. Nel terzo secolo ebbe grande fama Antillo, chirurgo geniale ed audace che, oltre della nota cura dell'aneurisma, si occupò di chirurgia estetica e dettò norme precise su tutte le varie operazioni plastiche delle guancie, delle palpebre, del naso e della fronte. Dopo Antillo, per parecchi secoli non vi furono altri autori che si occuparono di operazioni plastiche, forse perchè in quell'epoca di abbandono degli studi classici in generale e della medicina in particolare, non fiorirono chirurgi di rinomanza tale da portare rinnovamento o miglioramento a quanto era stato fatto fino allora. Nel basso medio evo si rese noto Maestro Rolando dei Capezzuti, della Scuola Salernitana, che, nella sua opera <<Chirurgia>> detta la <<Rolandina>> si occupò di alcuni dettagli di tecnica della cura delle ferite al viso allo scopo di non far rimanere deturpazioni. Quasi suo contemporaneo è Enrico di Mondeville, che quantunque francese di nascita, può considerarsi italiano per l'istruzione ricevuta. Egli fu allievo di Teodorico da Lucca, il celebre vescovo chirurgo, e scrisse un trattato di chirurgia, nel quale accenna alla chirurgia facciale in genere ed alla rinoplastica in specie, applicando il metodo di Celso. Voglio ricordare, non a scopo polemico, che già in quell'epoca un francese, un certo Nicaise, traducendo e commentando il trattato di Maestro Enrico, asserì che si trattava di un metodo francese. Anche allora si voleva portare oltr'Alpi i frutti del genio latino! Per molti anni non si hanno poi notizie di operatori e di operazioni di plastiche. Solo verso la fine del 1200 si parla di un certo Lanfranco da Milano che riuscì a far aderire un naso completamente staccato, ricucendolo, ad un individuo che gli si era presentato portando il naso in mano. E' probabile che altri chirurgi si occuparono in quel periodo di plastica, ma certamente non ebbero alcuna rinomanza e non lasciarono alcuna traccia del loro lavoro.
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Ed ora comincia la storia della così detta autoplastica italiana cioè dell'autoplastica con il lembo preso dal braccio, che rappresenta un grande progresso nello sviluppo di questa speciale chirurgia. Le prime notizie sull'autoplastica italiana, dice il Corradi, rimontano al secolo XV cioè ai primi anni del 1400 e si riferiscono ai Branca di Catania (secondo altri di Messina). Assolutamente errato, come è riportato nell'Enciclopedia Treccani (vol. XXVII, pag. 492), che i Branca siano di Tropea. I Branca erano due: padre e figlio, e la loro famiglia sembra provenisse dalla Provenza. Il padre esercitava la plastica ancora col metodo indiano, colla differenza che invece del lembo frontale prelevava il lembo della cute della guancia. Il figlio Antonio, che già nel 1442 aveva acquistato una certa notorietà, preoccupato certamente dalla grave deturpazione che rimaneva sulla fronte o sulla guancia, fece i primi tentativi di prelevare il lembo di cute da una regione lontana, cioè dal braccio. I tentativi riuscirono abbastanza, tanto che vari autori si occuparono di questo metodo, come il domenicano Pietro Ranzano, vescovo di Lucera, nei suoi <<Annales Mundi>> l'anatomico e chirurgo Alessandro Benedetti, e Bartolomeo Fazio, vissuto alla Corte del Re Alfonso di Napoli e morto nel 1457. Il Fazio nella Storia degli <<Uomini illustri del suo tempo>> ricorda le riuscite operazioni dei Branca affermando: <<Singulari quoque memoria dignos putavi et in hunc numerum referendum Brancam patrem et filium; siculos chirurgicos egregios ex quibus Branca pater admirabilis ac prepe incredibilis rei inventor fuit>>. Ma la descizione del metodo fatta dai suddetti autori, specialmente dal Fazio, riuscì un pò oscura, forse per errori del testo, tanto che per un certo tempo si credette che il Branca tagliasse il lembo del braccio in un sol tempo. Pure discordi ed incerte sono le opinioni, come e da chi i Branca di Catania abbiano appresa la tecnica della rinoplastica: alcuni dicono che essi l'abbiano appresa leggendo qualche opera di Celso; altri pensano che essi l'abbiano appresa da qualche viaggiatore proveniente dalle Indie, ed altri infine ammettono che il Branca padre abbia lui stesso ideato la tecnica della rinoplastica, che fu poi perfezionata dal figlio Antonio. Sembra che i Branca non abbiano avuto discepoli nè abbiano avuto interesse a divulgare il loro metodo; infatti colla morte di Branca Junior che deve essere avvenuta certamente verso il 1450, nessuno nell'isola si occupò più di operazioni plastiche, tanto che al principio del 1500, se ne era completamente perduta la memoria. Ed ecco che a distanza di parecchie decine d'anni l'esercizio della chirurgia plastica ricompare, ma in questa terra, per mezzo della famiglia Vianeo e la fama della loro straordinaria abilità si diffonde rapidamente nella Calabria ed in regioni lontane.
Una prima questione che merita di essere prospettata è quella riguardante il nome e l'origine di questa famiglia. Infatti da parecchi scrittori contemporanei e posteriori oltre che il nome di Vianeo si trova riportato quello di Vianei, Vioneo, Voiani, Boiani, Boiano e perfino Foiano. Ci sarebbe da pardere la testa se un'analoga trasformazione avvenisse nei nostri cognomi! Si può subito rispondere che tutte queste voci sono sinonimi e rappresentano la stessa famiglia, e ciò è avvenuto per una trasformazione linguistica dovuta al dialetto calabrese. Il Chiapparo, tropeano, residente a Napoli, e che si è occupato dell'argomento, fa giustamente osservare che il cognome originario, verso la fine del secolo XV, doveva essere Boiano o Boiani, ma poichè in varie regioni della Calabria il B viene spesso confuso con la V, col trascorrere degli anni tale uso trasformò il cognome in Voiano o Voiani e poi in Voianeo che è un diminutivo di Voiano, ed infine per facilità di pronuncia in Vianeo. Questa trasformazione del cognome avvenuta al massimo, secondo quanto penso io, nel periodo di un secolo e cioè dal 1450 al 1550, ha dato origine ad errori, ritenendosi, anche da scrittori di valore, che Boiano e Vianeo fossero due famiglie distinte. La confusione è stata tale che il Paladini, nel suo libro: <<Notizie storiche sulla città di Tropea>> pubblicato nel 1930, riportando notizie estratte da un manoscritto di Alessandro Campese del 1736, particolari raccolti certamente da documento anteriori, quindi molto vicini ai fatti di cui ci occupiamo, nell'elenco degli uomini illustri di Tropea, tra i medici e chirurgi cita <<Roberto Voiano ed il fratello Pietro, celebri tutti e due per aver trovato modo a restituire sani i nasi marci>> e più sotto <<Pietro Mianeo, medico e chirurgo, famoso per la innestazione dei nasi>>. Quindi qui si scambia non solo il cognome di famiglia, comparendo un'altra trasformazione <<Mianeo>> ma viene presentato anche un Roberto Voiano, che nessuno conosce, che nessuno mai ha citato e che non può essere altro che Paolo. Probabilòente si tratta di un errore di scritturazione, tramandato da manuense a manuense. Del resto anche a Tropea, in epoca non molto lontana, i cultori di toponomastica intitolarono una via a Pietro Vianeo ed una ai Boiano, probabilmente ritenendo che i due cognomi appartenessero a due differenti famiglie. Sull'origine del cognome Boiano qualcuno ha affacciato un altro dubbio. In provincia di Campobasso vi è una città, sede vescovile, che si chiama Boiano. Non potevano forse i Vianeo (alias Boiano) essere ebrei ed avere avuto origine in quella città, dalla quale, come è noto in altri casi, avrebbero assunto il cognome? Desideroso di approfondire le ricerche ho voluto scrivere al Vescovo di Boiano ma l'eminente Prelato mi ha risposto che è dolente di non potermi fornire le richieste informazioni, perchè in seguito alle vicende belliche, l'Archivio parrocchiale è stato completamente distrutto. Il capostipite di questa famiglia, di cui si hanno sicuri ricordi si chiamava Vincenzo e risiedeva a Maida verso la fine del 1400. Ciò è documentato nelle notizie storiche che si leggono nella <<Bibioteca calabra>> di Angelo Zavarroni, citato da Domenico De Luca:
Vincentius Vianeus, aliis Voianus Maidanus, quod oppidum Melanium Barrio dicitur, medicus et chirurgus eximius, qui, ut laudatus Barrius lib. II Cap. IX notatum reliquit <<primus labia et nasos mutilos instaurandi artem exogitavit>> et addit: <<fuit et Bernardinus eius ex fratre nepos et artis haeres. Vigit modo huius filius et itidem artis heres>>.
Dunque Vincenzo, nato a Maida (Maidanus) in provincia di Catanzaro, fu il primo in Calabria ed in Italia, che verso la fine del 1400 ed il principio del 1500 esercitò la chirurgia plastica. Egli però, quantunque sia ricordato come <<medicus et chirurgus eximius>> non ebbe molto fama. Sarà stato forse esperto, ma non fu certo fortunato. Egli trasmise l'arte al nipote Bernardino, figlio sembra, di un suo fratello. Ma Maida è forse ambiente troppo piccolo e ristretto per Bernardino; vicino vi è Tropea, città regia, sede vescovile, ricca di privilegi; Tropea lo attira, forse sogna di far fortuna esercitando l'arte che ha imparato dallo zio, e vi si trasferisce probabilmente all'inizio del 1500. Ma non ha fortuna ed egli non ci lascia altro ricordo che il suo nome e la paternità di due figli Pietro e Paolo, il primo dei quali si rende subito molto noto ed insieme al suo fratello, costituisce l'orgoglio di questa terra. A titolo di obiettività voglio ricordare che alcuni studiosi tropeani hanno avanzata l'ipotesi che la famiglia Vianeo fosse originaria di Tropea. Ma al lume delle attuali cognizioni storiche ciò non può affermarsi: Pietro e Paolo sono certamenti nati a Tropea, mentre il loro padre e i loro nomi risultano nati a Maida. Infatti una via di Maida s'intitolava <<Via Vianeo>> fino a pochi anni fa, quando il suo nome fu cambiato in via tenente Francesco Fabiano. Non è possibile stabilire con certezza da chi i Vianeo abbiano imparata la loro arte. Il Castiglioni, nell'enciclopedia Treccani (vol. VII. pag. 686) parlando dei Branca dice: sembra che per mezzo di scolari del Branca, l'arte della chirurgia plastica sia poi passata alla famiglia Vianeo di Tropea. Senza dubbio. A. Branca praticava l'autoplastica con il lembo cutaneo preso dal braccio, come risulta dalla bella descrizione che ci ha tramandato il già citato anatomico e chirurgo Alessandro Benedetti nella sua opera <<Historia Corporis humani>>. Il Benedetti nato a Legnano, morì a Venezia nel 1511 o 12, quindi quando i due Vianeo erano appena bambini. Ma i Branca, come si è detto, non risulta abbiano avuto dei discepoli ed infine tra la morte di Antonio, avvenuta verso il 1450 e l'inizio dell'attività di Vincenzo Vianeo, trascorsero circa cinquant'anni; è pertanto da ritenersi con certezza che Vincenzo non potè mai vedere un'operazione dei Branca, nè averne notizie da testimoni oculari. Non è quindi molto attendibile l'opinione di Castiglioni ma è invece da supporre che Vincenzo abbia appresa la tecnica attraverso le descrizioni del Ranzano, del Fazio, del Benedetti o di quella più dettagliata che fece il chirurgo militare tedesco Heinrich von Pfolsprundt o ne abbia avuto notizie per mezzo di persone che a loro volta l'avevano saputo da altri; oppure è anche legittimo supporre che egli, indipendentemente dai Branca, abbia avuto l'idea originale del metodo che i suoi discendenti migliorarono e diffusero. Ma un altro dubbio sorge: erano essi veramente medici chirurgi con regolare diploma concesso dall'autorità ecclesiastica, cioè dal Vescovo, oppure solamente dei praticanti che però dovevano almeno avere dal protomedico l'autorizzazione di esercitare solamente quel ramo della chirurgia? Una risposta precisa non siamo in grado di darla; citiamo solo qualche documento di contemporanei: Il Barrio ci parla di <<Petrus Vianeus, medicus chirurgus>>; il Marafioti parlando di Tropea dice che <<fiorirono anche molti medici come Paolo e Pietro Voiani>> e Leonardo Fioravanti dice che Pietro e Paolo Vianeo erano <<huomini nobili et facoltosi et cirugi et degnissimi>>. Specialmente l'elogio di quest'ultimo è tanto più importante e degno di fede, perchè il Fioravanti di cui si parlerà più a lungo dopo, era medico! Dobbiamo pertanto concludere con certezza che i Vianeo erano per lo meno chirurgi, autorizzati cioè dal protomedico ad esercitare la sola plastica, pur non rinunciando ad ammettere, subordinatamente, che avesssero seguito un regolare corso di studi e avessero ricevuto il diploma o laurea dell'autorità ecclesiastica.
Così stando le cose noi troviamo che verso il 1540 Pietro e Paolo, nell'età approssimativa di 35-40 anni sono a Tropea ed esercitano con grande prestigio la loro arte. Vediamo dunque un poco più da vicino l'attività professionale di questi chirurgi per dedurne quale e quanta fu la loro abilità ed in qual modo la loro tecnica fu tramandata fino ai giorni nostri. Intanto veramente numerosi sono stati i contemporanei dei Vianeo che hanno avuto per essi parole di elogio e di ammirazione. Abbiamo già ricordato il dottissimo Gabriele Barrio, il grande umanista, che vestì l'abito chiesastico ed a Roma fu caro ai cardinali Sirleti, Santoro e Savoleto. Egli fu coetaneo di Pietro Vianeo e potè quindi seguire tutta la sua ascesa ed apprezzare tutti i meriti. Nel suo libro <<De antiquitate et situ Calabriae>>, pubblicato a Roma nel 1571, parlando di Tropea dice: " vivit modo huius urbis civis, Petrus Vianeus, medicus chirurgus, qui praeter coetera, labia et nasos mutilos integritate restituit". Altro contemporaneo, che ebbe parole di ammirazione per i due fratelli chirurgi fu Buongiovanni Quinto, Tropeano, filosofo, professore a Napoli e poi medico del papa S. Pio V (al secolo Antonio Ghislieri). Di qualche anno posteriore è il P. Giovanni Fiore, cappuccino, da Cròpani, che nella <<Calabria illustrata>> scrive che Tropea ha dato molti uomini alla gloria tra i quali Paolo e Pietro Voiani. Altro elegio è fatto fa F. Girolamo Marafioti anch'egli di pochi anni posteriore ai Vianeo. Nel suo libro <<Cronache e antichità di Calabria>> (edizione Napoli 1596 ed edizione Padova 1601) parlando degli uomini illustri di Tropea dice: <<Fiorirono anche molti medici come Paolo e Pietro Voiani, celebri per lo mirabile secreto che hanno ritrovato di ristorare nasi tagliati>>. Nè meno interessante è la testimonianza di G. B. Cortesi che tenne per 36 anni la cattedra di anatomia a Messina e lasciò parecchie opere di chirurgia in alcune delle quali si occupa, con competenza, di operazioni plastiche. Egli nel 1599 passando per la Calabria volle recarsi a Tropea, e quantunque nessuno dei chirurgi Vianeo fosse vivente, potè costatare che erano ricordati come <<chirurgi distintissimi ed onoratissimi>>. Ma non basta: anche in versi fu elogiata la fama dei Vianeo; perchè quegli atti operativi, ancora poco conosciuti destavano nei contemporanei un senso tra il misterioso ed il miracoloso e perciò <<dice il Chiapparo>> la fama di quei chirurgi aveva svegliato anche le Muse in un'onda di lirismo giustamente esagerato. Ed ecco Benedetto Caivano che nel 1550 in un sonetto alla città di Tropea canta:
........................................ più di gloria colma tu dei per aver figli in te di tal valore che avanzan l'opre d'altri semidei.
Ama i fratelli tuoi con tutto il core, Dico i Boiani, che, se accorta sei Nasce da loro in te quanto hai d'onore.
E quasi nello stesso periodo di tempo Colamaria Fazzari, uomo d'armi e poeta, in un suo libro di rime, scritto in seguito alla battaglia di Lepanto, alla quale, come è noto, parteciparono 200 tropeani, ci offre un chiaro documento della rinomanza che i due chirurgi si erano acquistata anche in terre lontane:
Quel sempre lieto e glorioso giorno quando a Selim seguì l'orribil caso che quel d'ogni virtù mirabil vaso Li ruppe in mare il dispietato corno
Ivi era un Trace, ch'avea al capo intorno Avvolto mille tele, e tronco il naso D'un sagace spagnol; e persuaso Fu ch'a la mia città si fa più adorno
Il miser prigionier, che stolto e vano Tenea il consiglio, e duro gli parea Dicendo: tal virtù non vide il mondo.
Udì ch'iratamente un Siciliano Can, disse: va nell'inclita Tropea gentil cittade: ivi è Voian giocondo.
Ed anche il chirurgo spagnolo Dionigi Daza Chacon, ai servizi dell'armata di D. Giovanni d'Austria, transitando per Napoli prima della battaglia di Lepanto, dice che ebbe notizia che in Calabria vi era un <<cirujano que restaurava las narices perdidas>>. Ma le testimonianze e gli elogi più di valore e più utili per la storia sono quelli provenienti da coloro che si beneficiarono o assistettero direttamente ai miracolosi interventi chirurgici. Ed in primo luogo, come il più autorevole, è da ricordare Camillo Porzio, il celebre storico napoletano, l'autore della <<Congiura dei baroni del Regno di Napoli>>. Camillo Porzio era nato a Napoli il 1526 e vi morì nel 1603. Uomo di grande intelligenza e cultura, pur immerso nelle profonde meditazioni storiche e giuridiche, come riferisce il Capalbo, non disdegnava le avvenure galanti, che non erano certo una rarità nel corrottissimo secolo dei Borgia e dell'Aretino. Egli infatti, aveva allora 35 anni, amava, riamato, e non precisamente di amor platonico, una formosa donna partenopea. Un brutto giorno il marito scoprì la tresca e dette sfogo alla sua vendetta, amputando con un colpo di spada il naso al suo illustre avversario. Questi poi riparò ad ogni cosa sposando la nobildonna quando naturalmente il furioso marito di lei passò a miglior vita. E nominò sua erede universale la figlia di lei Giulia Scondito, la quale molto probabilmente era sua figlia. Il Porzio che aveva così perduto il naso, si recò espressamente a Tropea da Pietro Vianeo, che era il più rinomato dei due fratelli, e si sottopose con tutta fiducia alla miracolosa operazione. Nel luglio 1561 quando già era in via di guarigione, rispondendo al suo illustre conterraneo il Cardinale Girolamo Seripando1, generale degli eremiti agostiniani che si trovava al celebre e lungo Concilio di Trento2, accennava all'operazione subita ed ai risultati ottenuti. Questa lettera, che è uno dei più importanti documenti, è riportata all'Accademico pontaniano Gervasio in una sua memoria intorno alla vita e alle opere del detto Porzio. L'originale della lettera, si trova nella biblioteca Nazionale di Napoli Codice XIII. A. A. 52. Vale la pena di essere almeno in parte qui riportata:
... questi dì addietro ricevei una di V. S. Ill.ma e R.ma, alla quale se di subito non risposi ne fu cagione che mi trovò in lecto, e certo che ne presi tanta consolazione che non solo mi diede aiuto a guarire, ma anche mi portò seco l'ultimo compimento del mio naso, il quale la Iddio mercè, l'ho quasi ricuparato e tanto simile al primo, che, da coloro che nol sapranno, difficilmente potrà essere riconosciuto; è ben vero che ci ho patiti grandissimi travagli, essendo stato di bisogno che mi si tagliasse nel braccio sinistro duplicata carne della persa, dove si è curata per più di un mese e poi me l'ha cucita al naso, col quale mi è convenuto tenere attaccato quindici dì il predetto braccio. Signor mio, questa è un'opera incognita agli antichi, ma di tanta eccellenza e tanto meravigliosa che è gran vituperio del presente secolo che per beneficio universale non si pubblichi e non s'impari da tutti i corusici, essendo che oggi sia ristretta in un solo uomo, il quale non è quel medico, nè altro suo creato, che come la dice le puose i denti in Portogallo, perchè colui (s'ignora a chi volesse alludere), <<per quanto ho veduto fuit imitator naturae>>, ma costui fa quel medesimo che l'istessa natura. Da Tropea il dì 9 luglio 1561. Di V. S. Ill.ma e R.ma Deditissimo servitore Camillo Porzio.
Immaginate dunque quanta maggior ammirazione dovette destarsi in tutta l'Italia in favore di Pietro Vianeo quando si sparse la notizia che un uomo, come il Porzio, si era affidato alle sue cure con un meraviglioso risultato. Il Porzio era giovane (35 anni) nobile, ricco, ed aveva numerose ed alte relazioni non solo a Napoli, ma in tutta l'Italia e non gli sarebbe mancata la possibilità di scegliere e far venire a Napoli chirurgi di alta fama, italiani e forse anche stranieri. Se dunque egli si rivolse a Pietro Vianeo, se si decise recarsi direttamente a Tropea non c'è dubbio che questi era noto in tutta l'Italia come l'unico capace di eseguire con successo tale operazione. Ed il Cavina, in una sua breve nota sulla rinoplastica scrive che dallo stesso Pietro devesi ritener restaurato il gentiluomo Francese ricordato da Ambrogio Pareo, il quale, stanco di dover ricoprire la sua mutilazione <<avec un nez d'argent>> ed esserne deriso, si recò a Tropea per farsi operare dal <<maistre refaiseur de nez perdus>> ritornandone così bene aggiustato da sollevare sorpresa ed ammirazione in quanti lo conoscevano. Ed infine Tommaso Campanella, da Stilo. il grande domenicano, ammiratore di Bernardino Telesio, vittima del libero pensiero che mai sconfinò dai limiti della religione, dell'ordine e della morale, vissuto tra il 1568 e il 1639, nel suo libro <<De sensu rerum et magia>> parla di un <<vir neapolitanus>> a cui era stato amputato il naso e che, avendo inteso parlare delle straordinarie operazioni <<secundum Magiam Tropiensium>> che si espletavano in 40 giorni, non volendo sottoporsi al primo tempo dell'operazione cioè alla formazione del lembo peduncolato dal braccio, comprò un servo e gli promise libertà se avesse acconsentito a farsi togliere dal braccio tanta carne quanta ne occorreva per rifare il suo naso. Il servo acconsentì; e allora, scrive il Campanella, <<Refectus est nasus, libaratus est servus>>. L'Autore poi fa seguire alcune considerazioni d'ordine filosifico che a noi non interessano. Ed ora soffermiamoci alquanto su ciò che ha scritto il Fioravanti, nel suo libro <<Il tesoro della vita umana>> documento questo di grandissima importanza perchè proviene da un medico, e serve non solo a metter in maggior luce la figura dei Vianeo, ma a dimostrare ad abundantiam, che Gaspare Tagliacozzi il noto professore di anatomia di Bologna, non fu lui l'ideatore del metodo, non fu lui che scoprì <<lo mirabile secreto>> ma probabilmente ne ebbe notizia dallo stesso Fioravanti, che aveva assistito a Tropea a parecchie di quelle straordinarie operazioni. Leonardo Fioravanti, bolognese, dice il Pazzini, era un interessantissimo tipo di medico del rinascimento, paragonato dal Vedrani a Benvenuto Cellini, per la baldanzosa sicuméra con la quale tendeva sempre a narrare fatti meravigliosi. Ed infatti egli si vantava perfino di aver eseguita una rinoplastica sia pure con metodi primitivi3. Ma procediamo con ordine. Il Fioravanti desideroso di vedere ed udire come nuove nel campo della medicina e della chirurgia, un bel giorno e cioè nell'ottobre 1548 partì da Bologna e si recò a Genova, da dove si imbarcò per la Sicilia. Si fermò dapprima a Palermo, poi a Catania ed infine sostò parecchi mesi a Messina. Nel suo già citato libro <<Il tesoro della vita umana>>, riferisce di essersi occupato e di aver curato ogni specie di malattia, e cioè malaria, scabbia, ascessi, itterizia, fratture e spesso la sua narrazione, fatta sempre con enfasi, mette in evidenza il suo carattere. Dunque quando gli sembrò di aver veduto e imparato abbastanza nell'isola, volle anche fare un po di pratica nella cura delle ferite e decise di partire per Napoli ove avrebbe avuto la possibilità di fare un tale tirocinio. Sbarcò così in Calabria ove giunse subito a lui la fama dei Vianeo e, da uomo furbo ed intelligente quale era, non si lasciò sfuggire l'occasione di visitarli; e così riferisce:
<<Ma prima andai a una città di Calabria che si chiama Turpia, nella quale in quel tempo vi erano due fratelli, l'uno nomato Pietro, et l'altro Paolo, huomini nobili et facoltosi et cirugi et dignissimi, i quali facevano il naso a coloro che per qualche accidente l'havevano perduto. Nella qual città mi fermai con animo di vedere se io potevo in qualche modo sapere, come questi tali operavano nel fare tali operazioni. (Il tesoro della vita umana, libro II pag. 46)>>.
Ma il Firavanti non era sicuro che i Vianeo l'avrebbero ammesso ad assistere alle loro operazioni specialmente se egli si fosse fatto annunciare come medico ed allora egli immaginò subito uno stratagemma che così riferisce:
Ritrovandomi dunque io in Turpia benissimo a cavallo, e con un servitore, andai alla casa di questi dui medici, dicendoli che io era gentil huomo bolognese, e che era andato là a parlar con loro, perchè io havea un parente che alla rotta di Serravalle in Lombardia gli era stato tagliato il naso, combattendo con i nemici, e che desiderava sapere se dovea venir sì o no. E perchè a Bologna vi era un figliuolo di un Senatore, che si chiamava Messer Cornelio Albergati, che in tal luoco gli era stato taglito il naso da un Stradiotto, e costoro già ne haveano havuto nuova per lettere, e così io dissi volerlo aspettare, e ogni giorno andava alla casa di costoro che ne haveano cinque da farli i nasi. E quando volean fare quelle operationi mi chiamavano a vedere, e io fingendo di non poter vedere tal cosa, mi voltava con la faccia a dietro, ma gli occhi vedeano benissimi. E così viddi tutto il secreto, dacapo a piedi, e lo imparai. Et l'ordine è questo, cioè, la prima cosa che costoro facevano ad uno quando li volevano fare tale operatione, lo facevano purgare, e poi nel braccio sinistro, tra la spalla et il gombito, nel mezzo pigliavano quella pelle con una tanaglia, et con una lancetta grande passavano tra la tanaglia et la carne del muscolo, et vi passavano una lenzetta o stricca (striscia) di tela, et le medicavano sin tanto che questa pelle diventava grossissima, et come pareva a loro che fosse grossa a bastanza, tagliavano il naso tutto pare, e tagliavano questa pelle ad una banda e la cusivano al naso et la ligavano con tanto artificio et destrezza che non si poteva movere in modo alcuno sin tanto, che la detta pelle non era saldata insieme col naso, et saldata che era, la tagliavano a l'altra banda, et scorticavano il labro della bocca, et vi cusivano la detta pelle del braccio et la medicavano fin tanto che fosse saldata insieme col labro, et poi vi mettevano una forma fatta di metallo, nella quale il naso cresceva a proportione et restava formato ma alquanto più bianco della faccia; et questo è l'ordine che questi tali tenevano nel fare i nasi, et io lo imparai tanto bene quanto loro istessi, et così volendo lo saprei fare, et è una bellissima prattica et grande esperienza. (Cap. 27, pag. 47-48).
Non è possibile stabilire con precisione quanto tempo il Fioravanti si sia fermato a Tropea; egli ci riferisce <<che ogni giorno andava alla casa di costoro<< quindi dovette fermarsi almeno otto o dieci giorni, altrimenti non avrebbe avuto la possibilità di fissare con tanta esattezza tutti i vari tempi della rinoplastica. Da Tropea il Fioravanti passò a Monteleone (Vibo Valentia), ove fece una breve sosta e, continuando il suo viaggio, nel dicembre 1549 partì da Agropoli per Napoli. Tutto l'anno 1550 lo trascorse a Napoli ove, sembra, si dedicò specialmente alla cura dei traumatizzati; nel maggio 1551 partì per l'Africa con tutta l'armata dell'Imperatore Carlo V d'Austria, colla quale sbarcò a Monasterio, paese vicino alla patria di S. Agostino. In Africa si fermò a lungo e fu lì che eseguì l'operazione di rinoplastica più sopra ricordata. Poi fece ritorno a Bologna dove lo ritroveremo.
Tutti gli autori che abbiamo citati ci offrono quindi documenti probativi che i Vianeo esercitarono per vari anni la chirurgia plastica. Tenendo conto che il Fioravanti si recò da loro nel 1549. epoca in cui essi già avevano grande notorietà, e che Camillo Porzio fu da Pietro operato nel 1561 si può senza tema di errore stabilire che la loro maggiore attività chirurgica si svolse tra il 1545 ed il 1565 cioè per almeno 20 anni. E che la loro clientela fosse vasta ce lo dice pure il Fioravanti, che, in quei giorni di permanenza a Tropea, vide almeno cinque interventi plastici sul naso; e da altri storici si desume che numerosi erano i mutilati del viso, che dalla Calabria, dalla Sicilia, da ogni parte d'Italia e anche da paesi lontani ricorrevano alla loro mirabile arte, alla loro magia. Paolo fu il primo a morire probabilmente poco dopo il 1560; mentre Pietro visse più a lungo e morì forse verso il 1570. Non risulta che essi abbiano avuto dei figli; certo è che nel 1571 o poco dopo, la famiglia Vianeo, o almeno il loro ramo, era spenta. Non risulta inoltre che essi abbiano avuto dei discepoli, o, almeno se l'hanno avuti, essi furono di tanta poca abilità che non lasciarono alcun ricordo. Dopo la morte dei due Tropeani, parecchi autori li elogiarono ed ebbero parole di ammirazione, poi a poco a poco, la loro fama ed il loro nome furono quasi dimenticati tanto che già verso la metà del 600 se ne avevano scarse e frammentarie notizie. Infatti anche nella terra che aveva dato loro i natali si perdette la traccia sicura della loro abitazione, del luogo ove essi operavano ed il loro nome fu trasformato in modo da dar origine a quegli errori che più sopra ho accennato. A tutto ciò contribuì non solo il tempo ed il caso, ma la incuria e spesso anche l'invidia degli uomini che a loro succedettero e che o non seppero o non vollero apprezzare il contributo da essi portato allo sviluppo della chirurgia plastica in genere e sulla rinoplastica in specie. Poche notizie e considerazioni sulla sua opera serviranno non solo a far riconoscere i suoi meriti, ma anche quelli indiscussi dei due chirurgi calabresi. Gaspare Tagliacozzi era nato a Bologna al principio del 1546; dopo essersi formato una vasta cultura letteraria, percorrendo gli studi di logica e filosofia, si laureò in medicina il 12 settembre 1570. Poco dopo fu iscritto nei rotoli dello studio di Bologna per la lettura della chirurgia, fino al 1589-90 e successivamente da questa data fino alla sua morte, insegnò solo anatomia. Dedicatosi anche alla chirurgia plastica la perfezionò e l'inquadrò in una cornice scientifica, portando delle modificazioni alla tecnica e agli strumenti dei Vianeo e perfezionando anche l'apparecchio con cui si teneva fisso il braccio alla testa. Le prime comunicazioni sui suoi studi sono contenute in una lettera, ormai divenuta famosa, che egli diresse il 22 febbraio 1586 a Girolamo Mercuriale, uno dei più rinomati medici del secolo XVI, che per parecchi anni insegnò a Padova. In questa lettera egli esponeva la tecnica da lui usata, le gravi difficoltà dell'intervento, ed i risultati meravigliosi delle sue operazioni citando i casi di tre piacentini e di un fiammingo ai quali aveva rifatto un naso così naturale <<ut consilio rationeque adhibita, his faveant pollius quam prioribus ex natura susceptis>>. Sembra però che tale enstusiasmo non fosse condiviso dal Mercuriale specialmente dopo che ebbe occasione di vedere due degli operati; infatti egli dice che il risultato non era perfetto <<ut non dignoscatur error>>. Dopo questa comunicazione il Tagliacozzi continuò i suoi studi e nel 1597, cioè due anni prima della sua morte, pubblicò la nota opera in due volumi <<De curtorum chirurgia per insitionem>> che veramente, per quei tempi, rappresenta il risultato di una preparazione scientifica e di una cultura non comuni. Ed ora, ed è questo il punto principale che ci interessa, sorge spontanea la domanda: da chi e in che modo il Tagliacozzi apprese la tecnica della rinoplastica, o per lo meno, come nacque a lui l'idea di dedicarsi con tanta passione a questa branca della chirurgia? Ne fu egli l'originale ideatore o l'apprese direttamente o indirettamente dai suoi predecessori? Certamente non risulta, nè può ammettersi che il Tagliacozzi sia stato mai a Tropea perchè nel 1571, data approssimativa della morte di Pietro Vianeo, egli aveva da poco conseguita la laurea, essendo appena venticinquenne. E' da pensare invece che il Fioravanti, che già verso il 1555 era tornato a Bologna dall'Africa, abbia in seguito conosciuto il giovane studente, e poi chirurgo, e raccontandogli ciò che aveva visto, lo abbia invogliato a dedicarsi alla plastica. Più logico ancora è il supporre che il Tagliacozzi abbia appresso ogni cosa da libro del Fioravanti <<Il Tesoro della vita umana>> che fu pubblicato nel 1568, e nel quale, come si è detto, egli riferiva tutti particolari dell'operazione. Tale descrizione, fatta con l'enfasi talvolta esagerata, propria dell'<<eccellente Dottore et Cavaliere>> è legittimo supporre, abbia convinto il Tagliacozzi a studiare a fondo l'argomento. Certo è però che il chirurgo bolognese non accennò mai a questo. Egli, nel suo libro, dice che l'idea gli era venuta <<ex agrorum coltura>> cioè osservando e studiando gli innesti nelle piante. Non ebbe poi alcuna parola di ricordo e di giusto riconoscimento dell'opera dei suoi predecessori, anzi criticò gli strumenti dei Vianeo, la loro tecnica ed i loro risultati. Il Tagliacozzi quindi non è stato l'inventore della rinoplastica o di altra operazione plastica, ma eccelse in questa branca perchè ripetè il metodo dei Branca e dei Vianeo perfezionandolo, e perchè ne dettò le norme tecniche da una cattedra universitaria quale era ed è quella di Bologna. La sua trascuratezza verso i suoi predecessori gli procurò critiche oltre che dai posteri, anche dai suoi contemporanei. Infatti il De Luca ci riferisce che G. B. Cortesi contemporaneo e conterraneo di Tagliacozzi, e che aveva eseguite molte operazioni autoplastiche col metodo italiano, nelle sue <<Miscellaneorum medicinalium decades denae>> opera divenuta rarissima, parlando di quel metodo, l'attribuisce e ne da il merito esclusivo ai chirurgi calabresi, e rimprovera Tagliacozzi di averlo a sè attribuito, perchè Vincenzo Vianeo al cader del secolo XV <<primus labia et nasos mutilos instaurandi artem excogitavit>> e Pietro Vianeo, 36 anni prima che fosse pubblicata la citata opera del chirurgo bolognese, eseguì l'operazione a Camillo Porzio, il quale, con la nota lettera al Cardinale Seripando, lasciò al suo operatore un eterno documento di gratitudine e riconoscenza.
Eccellenze, illustri colleghi, gentili signore,
Ho cercato di esporre a grandi linee, la vita, l'attività ed i meriti di questi due chirurgi calabresi riportando documenti che molti di voi in gran parte certamente conoscono. Ma molte altre notizie, molti altri particolari ci mancano, nè sarà mai possibile conoscerli. Non conosciamo ad esempio con certezza quale fosse l'ubicazione della casa ove i Vianeo nacquero e vissero, nè sappiamo con precisione ove fosse la clinica o almeno i locali dove essi praticavano le operazioni ed assistevano i clienti; così pure nessuna effigie nè di essi nè di altro componente la loro famiglia è pervenuta fino a noi. Si sa solamente che nel maggio 1623 la famiglia Boiano di Camillo (forse un ramo collaterale) fu posta nell'elenco degli onorati del popolo, e ciò avvenne, come ci hanno riferito lo Scrugli e Felice Toraldo, in presenza del maestro di campo Don Lorenzo Cenàmi, delegato del Vicerè in occasione della separazione delle famiglie nobili da quelle degli onorati del popolo. Dopo di che nessun altra notizia si sa sui Vianeo o Boiano, perchè tutto ciò che si è scritto di essi posteriormente, è stato ricavato dai documenti dell'epoca già citati. Nè altra notizia sarà possibile ricavare dagli archivi comunali e parrocchiali perchè questi nel secolo XVIII son andati completamente distrutti. Ma quello che sappiamo, le notizie di cui siamo in possesso, quasi tutte certe e degne della massima fede, sono più che sufficienti, per convincerci quale e quanta sia stata la loro rinomanza, quali i loro meriti, quale il posto che essi debbono occupare nella storia dell'autoplastica italiana, nella storia della chirurgia in genere. Ingiustamente dimenticati e considerati meno che figure di secondo piano, essi invece hanno il preciso merito di avere ripresa e migliorata la tenica della rinoplastica che Antonio Branca, più di mezzo secolo prima aveva iniziata; essi hanno ancora il merito di essere stati i primi ed i soli per almeno un quarto di secolo, in Italia ed in Europa, a praticare su larga scala operazioni plastiche con esito indiscutibilmente meraviglioso per quei tempi in cui sconosciuta era l'asepsi e rudimentale lo strumentario chirurgico; di essere stati insomma, come riferisce Cavina, gli <<instauratores>> della <<Curtorum chirurgia>>; essi furono infine l'anello di unione tra la chirurgia plastica empirica e quella che circa un ventennio dopo si avviò ad essere scientifica per merito di Gaspare Tagliacozzi. Già circa 90 anni addietro si era levata la voce di un valoroso chirurgo degli ospedali di Napoli, il De Luca, per togliere dall'ombra le figure dei due chirurgi tropeani, e pochi anni addietro il Ferro ed il Chiapparo hanno rievocato con elevate parole quanto fino allora era incasellato nelle biblioteche e negli archivi. Questa vove noi l'abbiamo raccolta e poichè da circa un ventennio ci siamo dedicati a questa difficile ed interessante branca della chirurgia di cui solo ora si comincia a apprezzarne l'importanza scientifica e sociale, abbiamo compreso che era giunto il momento, di <<dare a Cesare ciò che è di Cesare>> senza voler mettere in dubbio nè menomare i meriti dei predecessori e di quanti a loro succedettero. Sono ben lieto di poter pubblicamente asserire che la mia proposta di indire questo convegno ha trovato ampia comprensione ed aiuti tra i principali tropeani tra i quali mi piace ricordare la Marchesa Toraldo che con singolare prudenza ed intelligenza guida le sorti di questo Comune ed il Dottore Lojacono anch'egli entusiasta della mia iniziativa. La Calabria, terra di bellezze naturali, ricca di prodotti che inondano l'Italia e varcano le frontiere, la Calabria che ha dato all'Italia ed al mondo uomini di primissimo piano quali: M. Aurelio Cassiodoro, Giovacchino da Celico, S. Francesco di Paola, Pomponio Leto, il Parrasio, Bernardino Telesio, Tommaso Campanella, Vincenzo Gravina, Alessandro Poerio, Mattia Preti, Pasquale Galluppi e cento altri, la Calabria, che nella prima guerra mondiale, per chi non lo sapesse, ha annoverato tra i suoi figli ben 12 medaglie d'oro, oggi può ufficialmente gloriarsi di questo primato chirurgico che onora questa graziosa cittadina che si affaccia sul Tirreno, dai variopinti riflessi marini, e può ancora una volta ricordare ed ammonire, che, sebbene dimenticata, essa, oggi e sempre, saprà portare il peso della sua forza nella decisione dei destini vicini o lantani della nostra amata Italia.