Massimo Rizzardini

Dottore di Ricerca all’Università degli Studi di Milano. Studia la Secretistica Rinascimentale e il rapporto tra saperi pratici e teorie mediche del XVI secolo – su cui ha già pubblicato vari lavori – portando particolare attenzione alla personalità e all’opera di Leonardo Fioravanti. I suoi interessi nell’ambito delle ricerche d’intersezione, in particolare del rapporto fra saperi magici e cultura scientifica, lo hanno portato ad affrontare tematiche quali la Metoposcopia di Girolamo Cardano (Micrologus XIII, 2005) e la Chimica Mistica di Robert Fludd. Fra le sue ultime pubblicazioni, il saggio dal titolo “Dietro la maschera. Simbolo e metafora della donna mascoliata” nel libro Amazzoni, sante e ninfe. Variazioni di Storia delle Idee dall’Antichità al Rinascimento, a cura di Davide Bigalli, Milano, Cortina 2006.
 
 


Tribuzio Passarotti. Ritratto di Gaspare Tagliacozzi (1545 - 1599). Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Rubare fa bene alla scienza:
la rinoplastica nel '500
 

di Massimo Rizzardini
 


Bisogna aspettare gli inizi dell’Ottocento affinché Joseph Constantin Carpue introduca la rinoplastica nella pratica chirurgica occidentale. Il suo procedimento, fortemente ispirato alla tradizione medica indiana, suscitò grande ammirazione e vendicò in parte l’insuccesso del connazionale René Garangeot, che un secolo prima aveva pubblicato il resoconto di un’operazione di reimpianto nasale dopo sezione completa. Tuttavia, benché Carpue abbia un’importanza storica più significativa data la scarsa attenzione tributata al predecessore, la tecnica di Garangeot acquista per la nostra analisi un rilievo che i manuali spesso gli ignorano. L’intervento illustrato dal chirurgo francese nel 1724 replicava sostanzialmente la medesima procedura che Leonardo Fioravanti aveva descritto ne Il Tesoro della vita humana. Garangeot aveva quindi riproposto all’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori una tecnica dimenticata da circa due secoli e osteggiata a lungo dalla medicina canonica.
Gli ambienti accademici non avevano mai gradito che si fosse concesso spazio a una pratica deputata a finalità essenzialmente di ordine estetico, e in particolare in Francia anche chirurghi di indubbia fama e capacità come Paré e successivamente Desault non si erano mai allontanati dalle posizioni ufficiali. In Italia al contrario esisteva una lunga tradizione che avrebbe portato agli onori della ribalta, sul finire del Cinquecento, l’anatomista e chirurgo bolognese Gaspare Tagliacozzi1. Nel 1597 il concittadino di Ulisse Aldrovandi e Leonardo Fioravanti aveva rivelato in un’opera splendidamente illustrata il segreto di quello che era universalmente noto come il “metodo italiano”, consistente in un’operazione per cui “al posto del naso tagliato o rotto, si metteva una parte cruentata dell’avambraccio, peduncolata fino a che l’innesto non avesse preso, poi segata e modellata all’uopo”2. Il processo che lo portò ad essere universalmente considerato il fondatore della plastica facciale scientifica è molto più complicato di quanto comunemente si ritenga, ed ha in Fioravanti un ispiratore non indifferente. Tagliacozzi “understood the value of the method described by Fioravanti and transformed a barber-surgery technique into a remarkable charter of scientific surgery by divulging in the academic circles the principles of the pedicled flap, which have been the basis for development of modern plastic surgery"3. Come infatti suggerisce il titolo dell’opera in cui il famoso chirurgo espone la propria tecnica, anche mediante il supporto di splendide tavole, egli sviluppò un’idea d’innesto esplicitamente sottratta alle tecniche agrarie di insizione promosse da Fioravanti. Il quale però, a sua volta esecutore diretto di interventi di chirurgia plastica, aveva per così dire “rubato” i rudimenti della tecnica ai fratelli calabresi Pietro e Paolo Vianeo di Tropea4. Da tempo i Vianeo praticavano nel paese la rinoplastica, una tecnica ricostruttiva del setto nasale ancora sconosciuta ai medici del Nord Italia e quindi allo stesso Fioravanti, che infatti non vi aveva mai assistito di persona. Il piano di sottrazione del segreto andò, per sommi capi, in questo modo. Si presentò bussando alla porta di casa, senza indugi, dopo essere montato a cavallo per raggiungere la città alta. Aveva preparato anche una scusa convincente per poter spiare il loro lavoro con sufficiente tranquillità. Spiegò infatti ai due fratelli che un suo paziente di Bologna necessitava urgentemente dell’intervento, e che se fosse stato possibile lo avrebbe aspettato lì. La buona sorte gli venne incontro. Il figlio del senatore Albergati era realmente in viaggio dal capoluogo emiliano perché si era fratturato il naso in duello con un mercenario balcanico. La sua disgrazia fu la gioia del coraggioso mentitore che, per nulla soddisfatto della benevolenza che il destino gli aveva fino ad allora riservato, decise di fermarsi qualche giorno in più, impiegando il tempo libero nella pesca e negli altri “piaceri del mondo”5 .

Avendo abilmente celato la sua vera identità (per quanto giovane e sconosciuto, il sapere che si trattava di un empirico desideroso di imparare lo avrebbe immediatamente allontanato da Tropea), i chirurghi calabresi con grande spirito di ospitalità gli avevano offerto per tutta la durata del soggiorno di assistere ai loro interventi. Fioravanti non si preoccupò affatto di tradire la fiducia dei Vianeo, ed anzi quotidianamente si recava all’ambulatorio casalingo che in quei giorni ospitava cinque pazienti provenienti da tutta Italia.
Era l’autunno del 1549, e Fioravanti era sbarcato sulla costa calabra dopo essersi fermato un anno in Sicilia e aver acquistato fiducia nei propri mezzi in seguito alla splenectomia eseguita in collaborazione con lo Zaccarello. Fattosi poi ammettere alla corte degli esperti rinoplastici,

fingendo di non poter vedere tal cosa, mi voltava con la faccia a dietro, ma gli occhi vedeano benissimo e così viddi tutto il secreto, da capo a piedi, e lo imparai. E l’ordine è questo, ciò è, la prima cosa che costoro facevano ad uno quando li volevano fare tale operazione lo facevano purgare e poi nel braccio sinistro tra la spalla e il gombito, nel mezo pigliavano quella pelle con una tanaglia e con una lancetta grande passavano tra la tanaglia e la carne del muscolo e vi passavano una lenzetta o stricca di tela e le medicavano fin tanto che quella pelle diventava grossissima. E come pareva a loro che fosse grossa a bastanza, tagliavano il naso tutto pare e tagliavano quella pelle ad una banda e la cucivano al naso e lo ligavano con tanto artificio e destrezza che non si poteva muovere in modo alcuno fin tanto che la detta pelle non era saldata insieme col naso e saldata che era, la tagliavano a l’altra banda e scorticavano il labro della bocca e vi cucivano la detta pelle del braccio e la medicavano fin tanto che fosse saldata insieme col labro. Epoi vi mettevano una forma fatta di metallo nella quale il naso cresceva a proporzione e restava formato, ma alquanto più bianco della faccia6.

Il racconto di Fioravanti, arricchito da un’importante messe di particolari “tecnici”, oltre a costituire un’ulteriore prova della sua spregiudicatezza e della fame di conoscenza che lo animava, testimonia in modo molto accurato la straordinaria capacità dei Vianeo. Nonostante tentassero in tutti modi di mantenere un alone di segretezza circa la procedura che avevano messo a punto, Fioravanti non fu l’unico che riuscì nell’impresa di sottrargli qualche trucco del mestiere. Con ben altri modi, anche Camillo Porzio si recò a Tropea, ma in quanto vittima di un marito geloso che gli aveva tagliato il naso. Lo storico napoletano, quand’era studente di filosofia a Pisa, si era unito in amicizia con un giovane prelato, che poi sarebbe divenuto il Cardinale Girolamo Siliprandi di Lucca. Avvenuto, molti anni dopo, lo spiacevole incidente (evidentemente però una routine se i Vianeo erano così richiesti e la loro arte così invidiata7), ne aveva informato, tramite missiva, il vecchio conoscente impegnato al Concilio di Trento, con la precisazione che il nuovo naso “è difficilmente riconoscibile da chi non lo sappia”8. A differenza di Fioravanti, non essendo Porzio un medico, i particolari dell’intervento non furono annotati. L’unico segreto di cui siamo a conoscenza per sua informazione è che la donna responsabile dell’agguato, rimasta nel frattempo vedova e attirata dal fascino che il naso ricostruito doveva emanare, convolò con lui a giuste nozze. Il metodo che Fioravanti aveva copiato e che l’anno successivo si era deciso a sperimentare (pur con qualche variazione) sulla pelle di un soldato spagnolo mostrava delle discrepanze oggettive con quello dell’altra tradizione italiana, della quale i rappresentanti più illustri furono i membri della famiglia Branca di Catania9. Non ci è dato di sapere se l’empirico li avesse inutilmente cercati durante la sua permanenza in Sicilia, dal momento che i chirurghi attivi per tutto il Quattrocento avevano ceduto il passo alla famiglia dei Vianeo. Un membro della dinastia calabrese aveva al tempo preso servizio da loro e si era impossessato della tecnica che successivamente aveva subito delle modifiche. Infatti il più giovane dei Branca, Antonio, attuò diverse migliorie al procedimento utilizzato dal padre Gustavo, il quale ancora prelevava lembi cutanei locali, cioè presumibilmente dalla fronte, alla maniera della chirurgia indiana. Gustavo Branca, che la leggenda voleva avesse visitato la Persia prima di stabilirsi in Sicilia, era entrato in contatto con queste tecniche ricostruttive e le aveva trasmesse al figlio, il quale a sua volta cercò di affinarle. Onde evitare ovvie e grossolane cicatrici sul viso, concepì una metodica che si avvaleva di un lembo cutaneo scolpito non più sul volto, ma addirittura sulla faccia interna del braccio. La differenza fra la sua procedura e quella dei Vianeo e, conseguentemente, di Fioravanti, sta nel prelievo o meno del muscolo. I Branca utilizzavano una tecnica di prelievo brachiale, i Vianeo si fermavano alla pelle.


Gaspare Tagliacozzi. Tavola delle attrezzature chirurgiche
illustrate nel 'De curtorum chirurgia per insitionem'.

E’ presto detto quale fu il ruolo di Fioravanti nella vicenda. Attribuirgli la parte del plagiario non sarebbe totalmente ingiusto né tradirebbe la veridicità dei fatti. A sua giustificazione possiamo addurre che l’utilità della tecnica operatoria superò le problematiche morali e l’aiutò a sgravare la coscienza dai torti arrecati agli ospitali chirurghi. Ma ve n’è un’altra più interessante e che ben rispecchia la sua concezione del rapporto fra sapere e segretezza.
Fioravanti non accettava probabilmente che anche coloro che come i Vianeo avevano sviluppato una tecnica e un sapere indipendente e parallelo alle linee canoniche mantenessero nell’oscurità un simile contributo scientifico. E’ quindi possibile che in verità non abbia mai pensato a un atto illegittimo.
I Vianeo, e i Branca prima di loro, limitavano la trasmissione del sapere ai soli membri della famiglia attraverso il tramandamento della tecnica di padre in figlio, che comunque non impediva si verificassero mutamenti come nel passaggio da Gustavo ad Antonio Branca. Fioravanti, dal canto suo futuro promotore della manualistica popolare e della “medicina fai da te”, riteneva che una simile impostazione fosse causa dell’ignoranza che contagiava gli ambienti della cosiddetta medicina “colta”, troppo a lungo bloccata rigidamente sulle sue posizioni, fedele alla tradizione e mai disponibile al confronto. Se paradossalmente avessero mantenuto lo stesso atteggiamento anche gli empirici e i pratichi portatori di una nuova ventata di operatività e di sofisticate (per i tempi) tecniche chirurgiche, la scienza medica non avrebbe mai conosciuto una proficua estensione del dibattito e un "rigoroso" esame dei risultati raggiunti. In definitiva, per il suo modo di intendere il delicato e controverso processo di rinnovamento che la medicina, e in generale gran parte della scienza, stavano attraversando, i Vianeo erano in errore. Non aveva più senso mantenere sepolte le nozioni di cui erano in possesso minando con un atteggiamento protezionistico il possibile sviluppo della chirurgia, estetica o strettamente curativa che fosse. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratti comunque di motivazioni sterili, destinate a crollare di fronte all’evidenza che Fioravanti si era impossessato della tecnica con l’inganno per il solo scopo di utilizzarla in seguito a fini di lucro. La sua avidità, il desiderio di un facile arricchimento e il sogno di una scalata sociale cui ambiva da molto tempo lo avrebbero tradito dinanzi alla tentazione offertagli dall’ingenuità ospitale dei Vianeo. I quali dicono le cronache se la passassero molto bene dal punto di vista finanziario, specialmente dopo essersi trasferiti da Maida a Tropea, città imperiale e quindi assai più redditizia per i liberi professionisti. La conferma delle finalità dell’iniziativa fioravantiana, indirizzata a diffondere il procedimento dei fratelli calabresi, è però ulteriormente data dalla pubblicazione del Tesoro della vita humana nel 1570, nel quale come abbiamo visto la tecnica è definitivamente resa nota in tutti i suoi particolari. Se Fioravanti avesse voluto farne a sua volta un dispositivo di guadagno, oppure se a sua volta l’avesse mantenuta segreta per gelosia ed interesse, allora saremmo costretti a dare una lettura diversa del suo “tradimento”. E invece, annotando e mettendo a disposizione di tutti lettori le informazioni sottratte, “played a crucial role in disseminating knowledge and stimulating other academics to take a similar interest”10. Non si può nemmeno escludere che la sua visita a Tropea facesse parte di una precedente programmazione di viaggio e non di un accidentale approdo sulla costa calabrese.
La rotta che doveva portarlo dalla Sicilia al Regno di Napoli coincide con quella che lui stesso nel Tesoro racconta di aver seguito veleggiando sottocosta, ed è anche possibile che dopo aver cercato inutilmente i Branca, dei quali non vi erano più tracce, non abbia voluto rinunciare all’occasione di assistere personalmente all’opera dei Vianeo. Tuttavia alcuni fatti lasciano pensare che Fioravanti fosse informato da tempo dell’attività dei rinoplastici tropeani, e che avesse approfittato dei buoni rapporti esistenti tra Bologna e la località costiera. Nel 1526 il bolognese fra’ Leandro Alberti, Provinciale dell’ordine Domenicano, visitò l’ospedale di Tropea. Nel 1529 il sindaco Sebastiano Galluppi si era recato a Bologna per rappresentare la città all’incoronazione di Carlo V e per ottenere la riconferma dei privilegi che godeva la sua città. Tra il 1541 e il 1558 furono eletti vescovi commendatari di Tropea il bolognese Giovanni Poggio e il nipote Giovanni Matteo de Luca (o Luchio), membro dello stesso ramo famigliare di quel Teodorico de Luca, vescovo chirurgo del XIII secolo, e maestro in plastica facciale che insegnò a Henri de Mondeville11. Comunque siano andate le cose, l’anno successivo alla sosta sulle coste calabresi Fioravanti si era avventurato nella celebre campagna africana di Carlo V. Il clima caldo e mal sopportato dai componenti dell’esercito, i lunghi tempi di combattimento che erano andati ben oltre alle previsioni e il timore degli avversari guidati dal terribile Dragut Raìs avevano contribuito a rendere difficoltosa la permanenza dei soldati al campo. Un palpabile nervosismo serpeggiava fra i commilitoni dell’armata di cui Fioravanti era il protomedico ed anche il salvatore, poiché un buon numero sopravvisse più per le sue cure d’ “acqua salsa” che per la bontà del nemico.
Se poco bastava perché in quelle condizioni scoppiasse un’epidemia, complicata dalla scarsa igiene personale e dall’approssimazione delle strutture sanitarie, ancor meno ci voleva per scatenare diverbi e litigi i cui segni necessitavano comunque del suo intervento. In un caso in particolare si rivelarono fondamentali quelle poche ma propizie giornate passate a Tropea. Lo spagnolo ventinovenne Andrès Gutiero era difatti venuto alle mani con un altro soldato, che vista la mala parata si era difeso con un colpo di spada. Lo spettatore d’eccezione Fioravanti racconta che il naso

cadette nella arena e io lo viddi, perché eravamo insieme. Fu dispartita la zuffa e il povero gentiluomo restò senza naso; e io che lo avea in mano tutto pieno di arena, li pisciai suso e lavato col piscio gli lo attaccai e lo cuscì benissimo e lo medicai col balsamo e lo infasciai e lo feci stare così otto giorni, credendo che si dovesse marcire; nondimeno quando lo sligai, trovai che era ritaccato benissimo e lo tornai a medicare solamente un’altra volta e fu sano e libero, che tutto Napoli ne restò maravigliato ; e questo fu pur la verità e il Sig. Andrès lo può raccontare perché è ancor vivo e sano12.

La descrizione dell’intervento che aveva permesso a Fioravanti di mettersi nuovamente in mostra s’interrompe qui, destando qualche perplessità sul metodo utilizzato. Al di là del buon esito dell’operazione, non si ha materiale sufficiente per porre le sue modalità tecniche in rapporto con quelle dei Vianeo. A questo punto si può quasi affermare con certezza che il suo contributo allo sviluppo della rinoplastica sia fondamentalmente di tipo divulgativo, e che l’intenzionalità di entrare in possesso dei loro segreti fosse davvero animata dalla volontà di levarne il velo di riserbo che li contraddistingueva. Il messaggio pienamente raccolto da Tagliacozzi gli rese giustizia sul finire del secolo, troppo tardi perché egli potesse vedere sancito l’atto di nascita della chirurgia plastica scientifica. A discapito dei Vianeo dobbiamo invece ricordare che, non se ne abbia Fioravanti, la loro fedeltà al cosiddetto paradigma della segretezza non era del tutto ingiustificata. La tecnica rinoplastica era malvista sia dai medici ufficiali, che ne apprezzavano la procedura ma ne contestavano l’utilità, sia dal clero che la riteneva sacrilega, in quanto si arrogava il diritto di un’imitazione se non di tutto l’uomo, almeno di una sua parte.
L’accanimento nei loro confronti dovette essere così determinato che non cessò neppure con la morte dei due chirurghi. I Vianeo infatti, godendo del diritto di patronato sulla primitiva cappella di S. Domenica, ebbero lì la loro sepoltura della quale però è scomparsa ogni traccia. Si potrebbe individuare la causa di questo spiacevole accaduto nel terribile terremoto del 1783, tuttavia grava su di esso una strana coincidenza. La sparizione della tomba di coloro che praticavano la “magia Tropaensium”, come era denominata la loro arte, fa decisamente supporre che abbia condiviso il medesimo destino di quella di Tagliacozzi, il cui cadavere (secondo alcune fonti) fu prima dissotterrato e poi gettato in una fossa sconsacrata perché responsabile di operazioni “magiche”. Questi in breve i presupposti con i quali ci si apprestava ad entrare nella modernità.
 
 

NOTE
1Gaspare Tagliacozzi o Tagliacozzo (Bologna 1546 – 1599). Figlio di un tessitore di raso benestante, iniziò gli studi in medicina nel 1565. Nel 1570 si laureò all’Università di Bologna, dove venne immediatamente nominato professore di anatomia e chirurgia, vedendosi abbuonati gli usuali tre anni di studi post-laurea. Nel 1576 ricevette la seconda laurea in Filosofia, e successivamente venne ammesso al collegio di Medicina e Filosofia. Tagliacozzi approfondì gli studi precedentemente condotti sulle tecniche di ricostruzione nasale, soprattutto a partire dal 1586, attraverso un intenso scambio epistolare e animato da grande operosità. Evidenziò gli errori dei suoi predecessori, indicò l’uso del muscolo dell’avambraccio e respinse le critiche di Paré che lo riteneva un intervento troppo doloroso e difficile. Le sue operazioni di ricostruzione del naso sono descritte nel De curtorum chirurgia per insitionem, composto di due libri: il primo è suddiviso in venticinque capitoli e tratta la teoria medica, il secondo in venti e descrive la pratica della chirurgia con minuziose descrizioni della pratica e dello strumentario, nonché numerose illustrazioni. Una di queste è a tutt’oggi il logo del S.I.C.P.R.E., la Società Italiana di Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica. Morì improvvisamente all’età di soli 54 anni, lasciando alle sua spalle una pesantissima eredità.
2M. D. Grmek, “La mano, strumento della conoscenza e della terapia”, in Storia del pensiero medico occidentale. Dal Rinascimento all’inizio dell’Ottocento, a cura di M. D. Grmek, Laterza, Bari 1996, vol. II, 419.
3Riccardo Mazzola, “Leonardo Fioravanti (1517 – 1588): a barber-surgeon who influenced the development of reconstructive surgery ”, in Plastic and Reconstructive Surgery, Williams & Wilkins, febbraio 1997, n. 2.
4Nonostante la grande risonanza degli interventi effettuati dai due maghi della rinoplastica, esiste ancora più d’una incertezza sul loro vero cognome. Non esiste infatti uniformità fra gli svariati testi che si sono occupati di loro. Il cronista Marafioti, del loro stesso secolo, per quanto ne parli in base a notizie di seconda mano dategli dal medico tropeano Girolamo Sannio, li chiama infatti Pietro e Paolo Voiani. Al contrario, due cronisti del ‘700, il Campesi ed il Barrio, li chiamano Vianeo. Toccò al più importante storico calabrese dell’Ottocento, Vito Capialbi, cercare di dirimere la questione, suggerendo come soluzione l’ipotesi che Voiano fosse lo stesso che Vianeo. In compenso, per complicare la già confusa storiografia, ne cita solamente uno, vale a dire Pietro figlio di Bernardino. Considerato che nessuna delle due dizioni suggerite compare in alcun atto ufficiale tropeano, è quindi probabile che si tratti di una corruzione del loro cognome originale. Tenendo allora conto degli usi fonetici locali nei quali non è raro riscontrare la sostituzione della “B” in “V” e la desinenza “eo” che il popolo ama dare a tutti i nomi, il vero cognome dovrebbe essere Boiano. Questo a sua volta deriverebbe dalla città di Boiano, l’antica Bovianum Vetus nominata da Plinio, per cui il nome di Vianeo potrebbe essere il diminutivo volgarizzato dell’antico Pliniano nome di Boviano (per chiunque voglia ulteriormente documentarsi sulle origini dinastiche ed onomastiche dei chirurghi calabresi rimando al Resoconto Ufficiale del convegno storico-scientifico “I Vianeo e l’antica autoplastica italiana”, Tropea, 15-16 giugno 1947).
5Il Tesoro della vita humana, Dell’Eccellente Dottore & Cavaliere M. Leonardo Fioravanti Bolognese. Diviso in libri quattro, Venezia, Appresso gli heredi di Melchior Sessa, 1570, 48.
6Ivi, 47.
7Secondo John Addington Symonds (Renaissance in Italy, The Modern Library, New York 1935, 559), il periodo tra il 1530 e il 1600 “è caratterizzato da una straordinaria ferocia di temperamento e da una facilità di spargimenti di sangue senza paragoni”. Per lo storico americano il violento temperamento dell’epoca potrebbe essere dovuto in parte all’influenza spagnola, il che spiegherebbe nel contempo lo sviluppo della chirurgia plastica in Italia meridionale, ed in particolare in Calabria.
8Paolo Santoni Rugiu, La ricostruzione del naso prima del 1600, articolo disponibile presso il sito www.Italmed.com.
9Gustavo Branca aveva ottenuto la licenza a praticare chirurgia nel 1432 per opera del re di Sicilia Ferdinando I, licenza peraltro trasmissibile ai suoi discendenti. Alcuni studiosi ritengono praticasse la ricostruzione nasale secondo la tecnica di Celso (che nel De Medicina descrive numerosi lembi cutanei appunto per la ricostruzione di diverse parti del volto compreso il naso), altri che il suo modo di operare non differisse di molto da quello descritto da Sushruta (l’autore del Samità, un trattato di chirurgia indù compilato attorno all’800 a.C. e nel quale sono descritti lembi cutanei per la ricostruzione non solo della piramide nasale, ma anche di naso e orecchio). L’affinarsi del senso estetico che il Rinascimento aveva introdotto nella cultura occidentale promosse secondo Santoni Rugiu (La Ricostruzione del naso prima del 1600, cit.) il mutamento della tecnica da parte del figlio Antonio. La descrizione dell’opera dei Branca è attestata da Pietro Ranzano, arcivescovo di Lucera nel 1442 ed autore del libro Annales Mundi, nel quale descrive la procedura dei cerusici. Altre testimonianze ci vengono dallo storico Bartolomeo Fazio, che cita ampiamente i Branca nella sua opera De viribus Illustribus del 1457, e dal poeta pugliese Eligio Calenzio. Tra i colleghi medici, ne parlano unitamente ad attestati di stima Alessandro Benedetti (1460 – 1525), professore di Anatomia e Chirurgia a Padova, nel suo Anatomia sive historia corporis humani, e il medico militare tedesco Heinrich von Pfolsprundt.
10Michael Ciaschini, Steven L. Bernard, “History of plastic surgery. The renaissance”, in eMedicine Journal, 3 ottobre 2001, vol. 2, n. 10.
11Le notizie sono tratte da: Michele Lojacono, Resoconto ufficiale del convegno storico-scientifico “I Vianeo e l’antica autoplastica italiana”, Tropea, 15-16 giugno 1947.
12Leonardo Fioravanti, Il Tesoro della vita humana, cit., c. 64.
 
 

TROPEAMAGAZINE  -   42^ TORNATA
I FRATELLI VIANEO 
E l'autoplastica italiana
INDICE
Presentazione di Salvatore Libertino  |
 | 'Il tesoro della vita umana' di L. Fioravanti 
|  'Miscellaneorum medicinalium decades denae' di G. B. Cortesi   |
| Baroni e Feudatari nel Napoletano di G. Parisio |
| I Vianeo di Tropea e la Chirurgia dei sec. XV e XVI  di A. Frangipane |
Il Convegno di Tropea di A. Manna  |  Atti del Convegno del 1947
Magia Tropaeensium di M. Mazzitelli  |  Il Convegno di Tropea di G. Pizzuti |
Lettera a G. Toraldo di Francia di M. Mazzitelli |
I Vianeo di Maida e l'invenzione della plastica di A. Parisi
| La Rinoplastica e una gloria tropeana misconosciuta Di G.Toraldo di Francia
 |  Maida patria natale dei Vianeo di F. Pascuzzi  |
In margine all'articolo 'Maida patria natale dei Vianeo' di G. Turchi  | 
 | Ancora sui Vianeo, San Francesco e Maida di A. Parisi  |
 | Sull'arte di accorciare i nasi di D. Tripodi |
| I viaggiatori del Cinquecento e la rinoplastica di L. Monga
La ricostruzione del naso prima del 600 di P. Santoni Rugiu |
Dati biografici dei Vianeo di F. Rombolà  |
I Vianeo e Tagliacozzi di S. Marinozzi  |
Rubare fa bene alla scienza: la rinoplatica nel '500 di M. Rizzardini  |