CITTA’ DI TROPEA
GUIDA TURISTICA
(1966 a cura dell'Assessorato al turismo - 1990 a cura della Pro loco)
del Gen. Ing. Riccardo Toraldo di Francia
TROPEA: ORIGINI – STORIA – LEGGENDA
CAP. I
Tropea è situata su di un masso roccioso di arenaria compatta ancora oggi quasi isolato in quanto circondato da pareti a picco per circa tre quarti del suo perimetro e diviso per il resto dal retroterra da una profonda spaccatura.
Il masso terminava originariamente con un pianoro inclinato da terra verso il mare e sul lato orientale presentava una depressione pianeggiante. La superficie complessiva del pianoro, della forma di un elissoide è di circa 13 ettari con un’altezza media sul mare di m. 60 circa.
Sul fronte nord a circa m. 60 dal masso ed a m. 350 fra di loro vi sono due grossi scogli denominati rispettivamente <<l’isola>> e <<S. Leonardo>> ambedue ancora lambiti dal mare ma in piccola parte.
Fino al 1872 però il San Leonardo era completamente circondato dal mare che batteva le basi del masso roccioso ed anche l’isola era unita alla terraferma solo limitatamente dal lato occidentale, e vi si accedeva mediante un viadotto in muratura inclinato.
La conformazione orografica naturale del complesso ebbe fin dalle sue origini due caratteristiche ben distinte:
- il masso roccioso su cui sorge la Città fu un <<punto naturalmente forte>> di difficile accesso ma di facile difesa; esso quindi, deve essere stato certamente utilizzato come sito di stanziamento dai primi nuclei di abitatori della nostra terra;
- il masso roccioso ed i due scogli con i vari ridossi, riparati dai venti, dominanti: libeccio – maestro – scirocco, costituivano un sicuro rifugio per i naviganti sorpresi da fortunali; quale delle due caratteristiche influì maggiormente per la costituzione del primo nucleo di abitatori, cioè da dove essi vennero, dal retroterra cacciati da altri popoli o dal mare cacciati dalle tempeste? Troppo remota è l’epoca di tali avvenimenti per poterlo stabilire; è un fatto che l’abitato del masso roccioso di 60 metri alto sul mare quasi inaccessibile, malgrado la vicinanza deve essersi sviluppato indipendentemente del piccolo nucleo della marina (dove alla foce del Lumia ci fu in passato un piccolo cantiere navale). Ad ogni modo la storia nulla dice in quanto gli storici o geografi, che danno notizie di Tropea solo come esistenza e con dati spesso imprecisi, appartengono ad epoche relativamente recenti cioè prossime all’inizio dell’era cristiana (Strabone – Plinio – Appiano – Stefano – Bizantino – Dionigi di Alicarnasso).
E’ da notare ancora che Tropea, oltre le due caratteristiche suaccennate ne aveva una terza che molto deve aver influito nella mancanza di notizie. Essa è ubicata a breve distanza dalla punta del promontorio montuoso di Capo Vaticano, lontana da vallate di fiumi che costituiscono nelle epoche preistoriche le sole linee di penetrazione, senza un retroterra, costretta entro limiti immodificabili dal contorno di rocce a picco; rimase nei secoli di assai limitata importanza: essa fu sì <<un punto naturalmente forte>> ma rimase un <<piccolo>> punto forte; fu un sicuro porto rifugio ma un piccolo porto rifugio, per di più fuori strada dove non servì e non ostacolò nessuno.
Essa subì evidentemente distruzioni e saccheggi ma mai radicali; il più delle volte la bufera la risparmiava.
Prova ne sia che anche nelle epoche storiche note e cioè negli ultimi due millenni quando Tropea con la sua cinta muraria ed il suo castello non poté più essere ignorata essa subì tutte le varie occupazioni del territorio, per vari periodi tra l’8° ed il 10° secolo fu occupata dagli Arabi, poi dagli Svevi, poi dai Normanni, dagli Angioini, dagli Aragonesi, dai Borboni fino alla costituzione del Regno d’Italia senza mai essere coinvolta in avvenimenti di particolare importanza: tutto al più servì da rifugio sicuro a qualche personaggio importante.
La mancanza di notizie di Tropea relative ad epoche remote quindi non deve meravigliare: gli storici non ne riportano per il semplice motivo che non vi furono importanti avvenimenti da riportare: vana fatica è quella quindi di voler trovare per Tropea una data di fondazione ed il nome di un fondatore quando essi si confondono con i miti di Ercole e del Sole. Certo è che a stabilire i limiti di Tropea non fu necessario un Romolo che col suo aratro ne tracciasse il solco, i limiti più forti e precisi li fissò Iddio con la creazione.
Tale evidente situazione però non trattenne gli studiosi da ogni sforzo per svelare il mistero del suo passato. In mancanza di notizie storiche, di ruderi di scritti su lapidi e steli votive, si cercò di indagare sulla origine del nome e per questo molte furono le ipotesi.
Ercole che a Tropea si sarebbe riposato nella sua lotta contro i giganti che occupavano la Calabria avrebbe dato alla città un nome che onorava Giunone sua nutrice. L’etimologia greca di nutrice è di fatto molto simile al nome attuale di Tropea che può essersi nei secoli anche modificato.
Il nome deriverebbe dai <<trofaea>> che Sesto Pompeo avrebbe eretto per ricordare la vittoria navale nel mare delle Eolie sulla flotta di Cesare Ottaviano.
Riferendosi a studi etimologici <<Tropea>> trarrebbe origine dal greco <<tropis>> carena di nave (da qui il vernacolo <<Tropia>>) o da <<tropos>> retroversione da una inversione delle correnti litoranee che avverrebbe in prossimità di Capo Vaticano.
A tutte queste illazioni più o meno fondate due sprazzi di luce hanno dato un deciso colpo: sottosuolo, testimone ineccepibile ha parlato, non molto ma quanto basta per dare alla questione un preciso inquadramento.
Nel 1928-30 in occasione dei lavori di consolidamento della Cattedrale Normanna, nel sottosuolo dell’edificio e nelle immediate vicinanze vennero ritrovati fra l’altro frammisti al terriccio, numerosi frammenti di vasi di creta riferentesi ad epoche diverse, ma alla profondità di circa m.5 dall’attuale livello e quasi a quello del terreno originario, alcuni vasetti quasi intatti di creta cruda, di rozza fattura e di probabile uso sacrificale; tali vasetti esaminati da esperti vengono riferiti al periodo neolitico che per il nostro territorio viene collocato a 3.000 anni A.C.. – Tali elementi provano l’esistenza di una piccola collettività sul masso roccioso di Tropea 3.000 anni A.C..
Successivamente, nel 1962, su quella che fu nei secoli l’unica via di accesso di Tropea dalla terraferma, in Contrada La Croce in vicinanza dell’attuale cimitero è stata individuata una vera e propria necropoli attribuita da esperti all’epoca preellenica (1100 – 1200 anni A.C.).
Vennero individuate cinque tombe delle quali quattro violate in passato e una intatta.
In questa vi era un ossuario con le ceneri della cremazione e due vasetti, il tutto coperto come una capanna da una grossa giara capovolta ridotta nella sua altezza originaria.
Dato che nelle guerre puniche a noi l’esistenza di Tropea è certa, i due punti fermi: 3000 anni A.C. e 1200 anni A.C. ci collegano alla preistoria senza possibilità di dubbi.
In definitiva Tropea è sempre esistita per il senso che a tale parola vogliamo dare, e cioè da quando i primi abitatori vennero nella nostra terra e si ripararono nelle grotte naturali che certamente esistevano sul masso roccioso, da quando vi costruirono le prime capanne, cioè dalle epoche più remote. Veniva ad essere confermata così quanto la logica portava a dedurre da un esame dei luoghi degli avvenimenti storici noti.
La piccola collettività visse e si sviluppò entro i limiti che la natura stessa le pose e che le mura e le opere di difesa maggiormente ridussero.
Per la sua particolare ubicazione <<fuori strada>> poté superare tante bufere riuscendo sempre a sopravvivere ed arrivando fino a noi quasi intatta.
Fu solo l’opera dei suoi stessi cittadini che ne ridusse le parti che il progresso ritenne non più necessarie ma che nel passato avevano rappresentato gli elementi vitali.
TROPEA COM’ERA PRIMA CHE GLI UOMINI
E GLI ELEMENTI LA RIDUCESSERO ALLO STATO ATTUALE
CAP. II
Fino al 1872 Tropea si presentava ancora quasi intatta nella costituzione e nelle forme di vari secoli precedenti: particolarmente intatta era la situazione topografica del suo porto naturale.
Verso mare una piccola spiaggia esposta a levante univa lo scoglio della Isola al masso roccioso su cui sorge Tropea in corrispondenza del Monastero della Pietà.
Il mare occupava tutto l’arenile oggi esistente tra l’isola ed il San Leonardo che ne era totalmente circondato, la spiaggia riprendeva solo alla altezza della scala dei carabinieri ed arrivava alla foce dei due torrenti <<La Grazia>> e >>Burmeria>> tagliando l’attuale marina all’altezza del Preventorio.
Le due Marine quindi dette del Vescovado a levante del San Leonardo e dell’Isola a ponente di questo erano nettamente separate dal mare e conseguentemente avevano due diversi accessi.:
alla Marina del Vescovado si accedeva dalla scala che parte tuttora nei pressi della Cattedrale, che proseguiva con rampe lastricate di tipo arabo fino al nucleo abitato presso la foce del Lumia; l’ultimo tratto di detto accesso esiste tuttora e funziona da scorciatoia per andare dalla provinciale al suddetto nucleo.
Alla marina dell’Isola si accedeva e si accede tuttora con una mulattiera a rampe partente dal Borgo e che malgrado le numerose sovrastrutture mantiene sostanzialmente la sua forma originaria.
Fino al 1785 due furono le Porte di accesso alla città: la Porta detta di Vaticano che la univa alla terraferma e alla marina dell’isola; la Porta di Mare nei pressi del Vescovado che la univa alla Marina del Vescovado ed al Porto.
Le due porte erano difese da appositi Bastioni della cinta murata, quello detto della <<Munizione>> difendeva la porta di mare, quello di Vaticano la porta omonima.
Le due porte erano unite all’esterno e solo verso terra dalla cinta di mura con al centro il Castello e la Torre Mastra o Lunga; vi era inoltre tra il castello e la porta di Vaticano il Bastione Aragonese o Torre Bassa – all’interno invece le due porte erano unite da due strade su unica direttiva con al centro la Piazza dedicata a Ercole; esse costituivano con orientamento levante-ponente l’asse della Città.
Solo nel 1785 dopo che per i danni del terremoto si dovette costruire il rione Baracche, si aprì la terza porta che appunto venne detta <<Nuova>> nella cortina adiacente al Castello; all’interno con
rilevante sbancamento venne aperto il primo tratto di quello che poi fu il Corso Vittorio Emanuele III.
Alla porta di Vaticano difesa dal Bastione omonimo si accedeva mediante lungo viadotto alto circa 15 metri interrotto presso la porta da un ponte levatoio. La soglia di granito della porta è tuttora al suo posto… sotto l’asfalto!
La porta Vaticano fu fino al 1785 l’unico accesso della Città dal retroterra.
Il fronte a terra della città di Tropea così costituito rappresentò per secoli unito alla parte naturalmente difesa dagli apicchi un complesso fortificato di notevole importanza e non meraviglia se in momenti difficili Tropea potè sostenere posizioni di indipendenza e dare sicuro asilo a personalità.
Si ricorda in proposito la moglie di Roberto il Guiscardo, Sichelgaita che riparò a Tropea da Mileto in occasione delle lotte sostenute dal marito col ribelle Conte Rosso.
Chi costruì le mura di Tropea? La storia non ce lo dice – La necessità di esse deve farsi risalire almeno alla epoca delle invasioni barbariche quando Tropea fu uno dei presidi costituiti da Belisario per difendere i territori dell’Impero.
Un esame accurato di quanto ancora esiste per la maggior parte incorporato in costruzioni posteriori porta a giudicare le costruzioni più antiche bizantine ed arabe.
Durante la demolizione di un tratto di muro del castello venne rinvenuta una moneta di Giovanni I Zenisce che fu sul trono di Bisanzio negli anni dal 969 al 976.
Se queste considerazioni possono farsi sulle strutture esterne, per quanto riguarda il castello che deve aver rappresentato in tempi remoti l’Acropoli della città in quanto sul più naturalmente elevato punto e con a ridosso il primo nucleo di abitatori, elementi molto anteriori all’epoca bizantina debbono essere scomparsi con la demolizione.
Nella demolizione scomparve la cosidetta torre lunga o mastra che risultò impiantata su di un sepolcreto cristiano del III secolo che all’epoca non poteva essere ignorato; tale torre si vorrebbe attribuita a Don Pietro di Toledo compresa fra le 336 torri vedetta della costa (nel 1537); che possa essere stata utilizzata a tale scopo in quell’epoca è probabile, ma penso sia da escludersi alla stessa epoca la costruzione.
Solo gli Arabi nei periodi non brevi della loro occupazione possono avere impiantato una torre di vedetta su di un sepolcreto cristiano.
Agli effetti di questi brevi cenni ad ogni modo la questione ha importanza relativa visto che fra l’altro, trattesi di opera distrutta.
Fino al 1872 Tropea, a parte l’apertura della Porta Nuova era ancora intatta nella sua cinta fortificata come per secoli si presentò a chi passava da terra, e intatta nella topografia della costa per chi veniva da mare.
La prima radicale modifica la portarono gli elementi nel lato mare.
Fu appunto nel 1872 che piogge torrenziali e persistenti provocarono larghi franamenti della sponda destra del torrente La Grazia sotto Zaccanopoli; il materiale ostruì il torrente proprio al termine di un tratto pianeggiante dove venne a formarsi un vero lago montano; quando la massa di terriccio e materiali non resse più la spinta dell’acqua accumulatasi a monte tutto precipitò a valle come il Cleno, come al Frejus…
Tutti gli agrumeti siti sulle due sponde del torrente nella Marina furono sommersi da una coltre di materiale alluvionale alto più di 10 metri e con esse case coloniche, due mulini ad acqua…
L’antico livello non si ripristinò più.
Al mare, in corrispondenza della foce unita dai due torrenti La Grazia e Burmeria un enorme conade di deiezione penetrò per oltre 800 metri.
Le correnti litoranee non poterono smaltire l’enorme massa di materiali che invece lentamente si allargò invadendo le zone tra lo scoglio dell’Isola – Tropea – lo scoglio di San Leonardo, portando avanti il lido sino all’altezza della punta sud del San Leonardo.
Mentre il mare svolgeva il suo lavoro lento ma inesorabile di interramento modificando radicalmente la topografia della marina, la cinta murata della città subiva il primo attacco. Motivi più psicologici che reali influirono per <<aprire>> la città che fino all’epoca, al tramonto rinchiudeva le sue porte e non le riapriva che all’alba successiva.
Così nel 1875 cadde il Bastione di Parta Vaticano, la Torre Bassa, la Porta Nuova; si ampliò il Belvedere chiamato villetta del Borgo, la zona tra il viadotto di accesso alla porta e le mura venne interrata come venne interrata buona parte del fossato fino a Porta Nuova formando l’attuale Via Margherita.
Successivamente per ragioni non chiare e con discutibile diritto, da parte di privati nel 1873-83 si procedette alla demolizione del Castello nel cui corpo venne riscontrata l’esistenza di un sepolcreto cristiano a loculi sovrapposti; la demolizione risparmiò un tratto di mura ancora oggi esistente come ultimo testimonio. Sull’area di risulta vennero costruiti edifici privati.
Nel 1885 attuando un piano di sventramento venne proseguito il corso della Piazza Ercole all’affaccio demolendo la chiesa Parrocchiale di S. Giorgio attaccata all’attuale palazzo Naso in quella occasione rinnovato, tagliando i fabbricati Vizzone e Mirabelli che ebbero una nuova facciata e mutilando da un lato il palazzo Barone.
Vi fu quindi un periodo di sosta durante il quale demolizioni di case cadenti formarono qualche piazzetta (Largo T. Toraldo Grimaldi).
Nel 1928-30 per effettuare lavori di consolidamento della Cattedrale venne demolito il Bastione della Munizione già sede dell’Università <<Tropeana>>, del Sedile di Portuale, del Governatore. La chiesa venne in gran parte rifatta sulla forma originaria normanna demolendo tutte le sovrastrutture barocche che specie nella parte absidale costituivano opera pregevole e ricca di marmi preziosi; proprio in quella parte la ricostruzione è stata totale avendo come unica guida le fondazioni.
E’ parte integralmente conservata e originaria la fiancata nord anche manomessa nel centro della costruzione di una porta di epoca rinascimentale.
Altre modifiche avvennero nel frattempo costituite dalle opere nuove come il porto e l’attuazione di un piano regolatore per lo sviluppo della Città.
Per fortuna il centro storico della città anche con le varie manomissioni e distruzioni rimase nettamente staccato dal resto anche se l’unione alla terraferma estesa tra la zona della Porta di Vaticano e quella di Porta Nuova sia stata resa continua ed ampliata; Nel suo complesso ha mantenuto le caratteristiche che ebbe per secoli con tutti i rifacimenti che i fabbricati subivano adeguati al periodo di esecuzione.
Sono rimasti i rapporti planovolumetrici gli androni d’ingresso e numerosissimi portali pregevoli opere di artigiani locali.
I criteri moderni che mirano alla conservazione senza manomissione dei centri storici potranno, se applicati con metodo e precisione rendere il Centro Storico della nostra città un complesso di estremo interesse.
Ma se la cinta murata giunta quasi fino a noi è stata per Tropea una valida difesa, un’altra cinta più ampia è giunta fino a noi con minore distruzione: la cinta delle chiese e dei Conventi, cinta della fraternità e dell’amore cristiano.
A distanze varie da 200 a 800 metri sei chiese con annessi conventi ebbero sviluppo nei secoli dal XIV al XVIII e precisamente:
Il Convento di San Francesco di Paola con annessa chiesa tuttora officiata ed esistente.
Il Convento degli Agostiniani al Carmine con annessa chiesa tuttora officiata e sede di Parrocchia.
Il Convento di S. Maria del Soccorso del quale esistono solo pochi ruderi e dove si seppellivano i morti dell’ospedale.
Il Convento di S. Maria della Sanità dei Minori Riformati con annessa Chiesa tuttora officiata.
Il Convento dell’Annunziata anche dei Minori Riformati con annessa Chiesa gotica tuttora officiata e sede di parrocchia.
Questa cinta, più che quella murata caratterizzò la città negli ultimi cinque secoli, in quanto entro la cinta altri sei conventi fiorirono con la Curia Vescovile che rimonta ai primi secoli, ed il Seminario venendo a formare un complesso veramente notevole dei centri culturali come lo furono in particolare quello dei PP. Gesuiti e quello dei Francescani ai quali si unì anche nel periodo corrispondente l’Accademia Arcadica degli Affaticati i cui atti ancora vengono oggi consultati da studiosi.
COME TROPEA SI RESSE E SI AMMINISTRO’ NEI SECOLI
CAP. III
Le notizie storiche sulla città di Tropea anche riferite ad epoche relativamente recenti sono quanto mai scarse e frammentarie e per dippiù con larghe lacune, così con periodi di secoli per i quali essi mancano completamente come per esempio dal IX al II secolo; per questo periodo s’interrompe financo la cronologia dei vescovi della Diocesi.
Chi la occupasse e con quali metodi la governasse prima che la Repubblica romana all’epoca delle guerre puniche estendesse il suo territorio in tutta Italia Meridionale costituendo la 10^ Regione, non risulta né da storici, né da geografi né da cronisti.
E’ però lecito supporre che i Romani estendendo appunto il loro territorio, vi abbiano attuato il loro sistema di amministrazione in base al quale essa veniva affidata a cittadini scelti dalla collettività (universitas) in particolare categoria, che emergeva per prestigio (pubblica stima) e per indipendenza (censo). Presso i Romani tali elementi erano chiamati <<curiali>> (esenti da cure); ad essi venivano affidate le cariche amministrative quali, particolarmente la determinazione e la esazione dei tributi, l’amministrazione della giustizia e altri incarichi del genere.
Questo concetto informatore profondamente democratico che riconosceva al popolo il diritto di scegliersi a mezzo del voto i cittadini che dovevano governarlo, a parte le varianti normative circa le modalità di elezione deve essere rimasto nella sua sostanza in tutto il periodo imperiale di occidente e di oriente e al termine di questo fino alla costituzione del sistema feudale, i regimi furono troppo instabili e fluttuanti perché si potesse pensare a fare riforme di struttura – chi comandava trovava comodo avere a chi rivolgersi per imporre tasse e balzelli.
Con la costituzione del sistema feudale Tropea è stata favorita da un complesso di circostanze per non avere il feudatario e dipendere direttamente dalla corona rimanendo con le sue costituzioni e così le prime notizie che si hanno sull’organizzazione amministrativa di Tropea ci portano come antiche costituzioni:
a) l’esistenza di università Tropeana con un suo Parlamento.
b) L’esistenza di due sindaci (come duumviri) a dirigere la città.
c) L’esistenza degli eletti (curiali) con le varie cariche.
A rappresentare la Corona vi erano un governatore che amministrava giustizia assistito da due giudici eletti.
Vi erano poi altre cariche come i due <<mastrigiurati>> che tenevano a turno le chiavi della città e due eletti come pacieri per dirimere le controversie bonariamente.
Col periodo feudale ai curiali si sostituirono i <<nobili>> i quali avevano un loro <<sedile>> dove si riunivano.
L’entrata nella classe era regolata da rigide disposizioni – Tutte le cariche fino al 1575 erano affidate a componenti di famiglie nobili iscritte al sedile che si chiamava di <<Portercole>>.
Con l’andar del tempo, il progresso generale portò alla formazione di un’altra classe che pur non essendo di nobili non poteva considerarsi plebea, si trattava della classe che successivamente si chiamò borghese.
Venne costituito allora a Tropea un secondo sedile detto <<l’africano>> al quale venivano iscritti i componenti di famiglie che svolgevano determinante attività escludendo particolari mestieri manuali – Essi vennero chiamati <<onorati del popolo>>.
Con la costituzione del secondo sedile le cariche di amministrazione vennero divise in parti uguali pur lasciando al Sindaco dei nobili una precedenza su quella degli onorati.
L’autorità del governo della città che i Sindaci custodivano con ogni cura dava loro prestigio spesso anche difronte allo stesso governatore che nella città rappresentava il Re ma che non aveva poteri assoluti…
Questo sistema di governo funzionò sempre senza inconvenienti per tutto il periodo feudale e non fu scevro di pericoli in quanto ad ogni cambio di sovrano si correva il rischio di essere venduti come feudo perdendo la qualifica di città demaniale.
Dall’epoca normanna 1.100 all’abolizione della feudalità 1804 si susseguirono la dinastia sveva, due dinastie angioine, tre dinastie aragonesi fino ai Borboni, ogni volta la città doveva organizzare un’ambasceria per chiedere la conferma dei privilegi: che fossero veri privilegi lo dimostrano i numeri: nel 1743 da un censimento del Territorio del Regno di Napoli, su 2765 – città – terre etc. solo 50 erano demaniali e fra queste appunto l’Università di Tropea!
Solo una volta i Tropeani non arrivarono in tempo ad evitare di essere venduti come feudo e ciò avvenne nel 1612.
Il Pincipe di Scilla l’acquistà per ducati 191.041!
Occorsero ambascerie, proteste e… il pagamento del riscatto perché la vendita venisse annullata e Tropea ritornasse libera dopo 4 anni di umiliazioni e di lotte.
Al felice risultato della vertenza tutto il popolo partecipava con la sua resistenza morale ma quando si trattò di pagare il riscatto tutti vollero concorrere e specialmente fra le donne del popolo fu una gara a donare i propri ornamenti di oro perché la cifra del riscatto si raggiungesse al più presto.
E furono giorni di tripudio e di festa quella in cui i messaggeri tornarono con le notizie della missione compiuta: a dirigerla vi fu un insigne giureconsulto Luigi Lauro al cui nome è intitolata una via della città.
Una partecipazione di popolo così sentita non poteva esserci se il sistema di governo, inquadrato nei tempi, non fosse stato effettivamente un sistema di privilegio specie se confrontato con quello delle altre città.
Se si pensa che esso conservò nei secoli quasi intatto il principio romano di sovranità popolare c’è da meravigliarsi come ciò possa essere avvenuto ininterrottamente quando in altri centri esso venne sommerso da lunghi periodi di dittatura e tirannie durate per secoli o, che dovettero arrivare all’unità d’Italia per sentir parlare ancora di sovranità popolare.
Indubbiamente molte circostanze influirono favorevolmente, la posizione topografica e geografica, circostanza particolare delle dinastie succedutesi, specie dei Normanni, degli Aragonesi, ma è un fatto che fino all’abolizione della feudalità 1804, Tropea si era governata da sé, con cittadini eletti, per quasi duemila anni!
Poi vennero i nuovi sistemi e tutta l’Italia fu livellata secondo i nuovi principi, ma con questo livellamento molti salirono per raggiungere il comune livello: Tropea… non so!
Il progresso, l’accentramento di tanti nuovi poteri portò come conseguenza radicali modifiche nel significato di <<autonomia>> che ormai è diventata in gran parte più formale che sostanziale: un’autonomia guidata!
Se i Tropeani quindi sono orgogliosi della loro storia ne hanno ben ragione.
ITINERARIO DI VISITA
- Il Centro Storico -
CAP. IV
Si arriva a Tropea da tre direttrici: da Levante (Pizzo) e da Ponente (Nicotera) con la litoranea, da monte con la provinciale detta dei Pioppi che si unisce alla statale n° 18 sull’altipiano di M. Poro (Km. 23); le tre provenienze convergono sul Largo San Michele o di “Porta Nuova” all’inizio del Corso V. E. II dove trovavasi la porta di tal nome aperta nel 1785.
Per la visita conviene seguire la via Umberto I, costeggiare la linea dell’antica cinta incorporata nelle abitazioni private ma visibile in più punti; la via Umberto I è risultata dalla parziale colmatura del fossato: la parte non colmata è chiaramente visibile con le sue unioni al sobborgo occidentale.
La via sbocca su di un piazzale detto Villetta del Borgo da dove si ammira uno stupendo panorama: la costa fino alla punta di Riace, lo Stromboli e, nei giorni di atmosfera tersa, quasi tutte le Isole Eolie. Sotto la prima parte del piazzale vi sono gli archi rifatti dell’antico viadotto che adduceva alla porta di Vaticano la cui posizione esatta è determinata dal punto dove finisce la zona del viadotto ed il piazzale si allarga.
Nella sottostante marina dopo la fascia coltivata, la spiaggia di sabbia bianchissima e l’isola col suo Santuario.
Si entra a Tropea imboccando Via Indipendenza avendo sulla destra il palazzo dei Conti Gabrielli già dei Principi Pignatelli.
La via Indipendenza deve il suo nome all’annullamento della vendita che nel 612 il Viceré di Napoli aveva fatto al Principe Ruffo.
La via sbocca in Piazza Ercole che fu sempre la piazza centrale della città; sulla destra vi è il Circolo di Cultura “P. Galluppi”, un tempo Sedile dei nobili ed al piano terra sede della Corte di Giustizia o Bagliva.
Nella Piazza vi è inoltre il monumento a Pasquale Galluppi un tempo sulla fontana in Largo San Francesco. Proseguendo per via Duomo si incontra sulla destra un’edicola della Madonna di Romania ed una lapide che ricorda il terremoto del 1638 (27 Marzo) avvenuto mentre la processione passava lungo la via.
Si sbocca quindi in piazza Duomo avendo di fronte la cattedrale romanico – normanna, la cui fiancata, a nord è totalmente originale. Anche originale è la testata col frontone d’ingresso, mentre il fondo con l’abside principale e le due laterali più piccole sono totalmente ricostruite; totalmente ricostruita è anche la copertura sia all’esterno sia purtroppo all’interno con grosse ossature in cemento armato in luogo alle normali leggere armature in legno.
Sulla facciata principale una parte, sulla destra, è incorporata nel campanile alla base del quale è unito il portico svevo che unisce la Chiesa all’Episcopio. Da elementi ritrovati e lasciati in sito sopra il portico doveva esserci un piano.
Il portico è di arenaria compatta accuratamente lavorata, sotto di esse vi sono due statue in marmo raffiguranti S. Pietro e S. Paolo di ignoto autore, ma di ottima fattura; vi furono portate a Tropea da Venezia, via mare, nel 1582 e si trovavano nella Cattedrale seicentesca ai lati della transenna.
Al centro della facciata vi è un rosone gotico ed un bassorilievo della Madonna di Romania.
Entrando in Chiesa la linea sobria, l’assenza di ornamenti darebbe la caratteristica impressione delle Chiese romaniche se le enormi dimensioni ed il colore forte delle armature del tetto non la turbassero.
La Chiesa è a tre navate con pilastri ottagonali senza basamenti e capitelli di linea semplice, archi a sesto acuto di arenaria, alcuni originali.
Ai lati delle porte due bombe di aereo cadute assieme ad altre sei nella zona del Piano Regolatore nel 1943 e non esplose, fatto attribuito alla protezione della Madonna di Romania unitamente a numerosi altri avvenimenti della storia cittadina.
Dalla navata di destra si rilevano:
- La cappella della famiglia dei baroni Galluppi alla quale appartiene il filosofo Pasquale (1770 – 1846) di fama mondiale.
Vi sono sepolti due congiunti e (si conserva anche la pietra tombale della cripta della vecchia chiesa) le ceneri del filosofo che si trovavano a Napoli nel cimitero di Poggioreale, nel recinto degli
uomini illustri.
- Proseguendo sulla destra vi è una seconda cappella con un crocefisso ligneo nero, di ignoto autore, portato dal mare sulla spiaggia della foce del Torrente Vaticano nel fondo di proprietà
Bongiovanni. Si ritiene del XV secolo ed è opera probabilmente di autore spagnolo o di influsso spagnolo.
- Proseguendo sulla destra vi è la porta di uscita secondaria della Chiesa e l’accesso alla Sacrestia; nel vestibolo un monumento sepolcrale con due figure dormenti rappresentanti secondo l’iscrizione
un fratello e una sorella della famiglia Guzzetta. L’autore è ignoto ma la fattura è pregevole ed accurata.
- Successivamente vi è la cappella del sacramento costruita come quella di S. Gennaro a Napoli con bella cupola e numerosi monumentini e ricordi. E’ coeva della cattedrale settecentesca, demolita
per ripristinare quella attuale.
- Si arriva così all’abside di destra dove è sistemato l’organo; allo altare una statua in marmo dello scultore Montorsoli, l’autore della nota fontana Monumentale della Piazza del Duomo di Messina.
- Nella navata centrale un pulpito del settecento in marmo policromo della vecchia Cattedrale ed ornato con bassorilievo rappresentante la Natività.
- Nell’abside centrale vi è un coro in legno di noce scolpito, opera pregevole di artigiani locali, già della cattedrale settecentesca ed adattato all’attuale più piccola. L’altare, 0insufficiente ed in
alto il quadro della Madonna di Romania, la Patrona della Città.
Trattasi di un quadro bizantino proveniente dall’Oriente all’epoca degli iconoclasti di Leone Isaurico.
Una leggenda è legata ad una tradizione, a fatti e circostanze che non trovano spiegazioni se non in un intervento sovrannaturale.
Venerata in un primo tempo nella Cattedrale di rito greco venne portata poi nella nuova romanica dove sostituì la primitiva patrona Santa Domenica, vergine e martire Tropeana.
Il quadro ha subito vari restauri ed aggiunte ma nel 1930 è stato riportato alle sue linee primitive. E’ custodito in una cornice di argento con due sportelli anche di argento con fini
bassorilievi.
- Passando all’abside di sinistra c’è da notare sull’altare un ciborio in marmo scolpito con bassorilievo opera di ignoto, del XV secolo.
- Sulle pareti della navata vi sono delle lunette in marmo con bassorilievi riportanti: l’Angelo dell’Annunciazione…
- Si esce dalla 2^ porta secondaria sulla piazza. Il portale è del settecento; sopra di esso un bassorilievo proveniente probabilmente da S. Maria della Cattolica eseguito da mano di artista anche
se priva di scuola.
Dalla piazza si può passare alla zona absidale sopraelevata e recintata, la zona però è su di uno spiazzo rimasto dalla demolizione del Bastione di Porta di Mare; vi è da un lato la scala che poi si collega alla nuova strada per la marina, ma di fronte un belvedere con un magnifico panorama comprendente la zona vicina e lontana della costa (nei giorni di atmosfera tersa sono visibili le montagne della Sila) nonché la Marina del Vescovado con il porto e lo scoglio di S. Leonardo.
Si prosegue per via Boiano, dopo aver ammirato nella piazza Duomo il portale in granito del palazzo D’Aquino. Sulla detta via Boiano altro portale del palazzo Zinnato, del Palazzo Braghò.
Si arriva così al Largo San Francesco, rettangolare, ampio, terminante verso il mare con bellissima vista dello scoglio di S. Leonardo e del villaggio turistico <<Le Roccette>>.
La piazza o <<largo>> contornata da alberi ha lungo il suo perimetro numerosi palazzi signorili: Tranfo, Adilardi, Fazzari, Collareta (ex Ospizio S. Rita), Giffone, Di Tocco, Toraldo. Vi è l’ex convento del Minimi di San Francesco (ora carcere mandamentale). La Chiesa seicentesca di San Francesco con una statua in marmo dell’Immacolata, opera dello scultore Montorsoli.
Annessa alla Chiesa vi è la Cappella di S. Pietro ad Ripas del ‘400 a pianta quadrata con volta gotica a crociera; vi era nell’interno un sarcofago in marmo di cui un lato trovasi esposto nel giardinetto annesso.
La facciata della cappella unita al palazzo Collareta è un blocco di arenaria con portale di epoca sveva sormontato da uno stemma portato da due angeli, simbolo delle tombe di persone di sangue reale; lo stemma è quello di Andrea d’Ungheria marito di Giovanna 2^ di Napoli! Un altro stemma del sarcofago non è stato definito.
Alle varie supposizioni va aggiunta quella che attribuisce la tomba ad un figlio naturale di Carlo d’Angiò detto Carlo lo Zoppo in quanto claudicante.
Dalla piazza tra il Palazzo Fazzari ed il successivo un varco di accesso alla “Ripa di San Francesco” uno dei tanti balconi panoramici del perimetro della città verso il mare.
Proseguendo si passa nel “Largo Municipio” dove, nell’ex convento dei PP. Gesuiti poi PP. Redentoristi fu sistemato dal 1867 il Comune.
Di fronte al Comune il Palazzo Di Tocco, poi il Palazzo D’Aquino dove nacque Pasquale Galluppi.
Sulla Piazza vi è l’ingresso principale della Chiesa del Gesù sorta dalla trasformazione della Chiesa a croce greca di S. Maria della Cattolica. La facciata molto più alta con due file di nicchie e di statue venne ridotta all’attuale altezza dopo il terremoto del 1905.
Nell’interno, sulla parete della porta, per tutta la sua larghezza un grande quadro del Grimaldi rappresentante un Presepe. L’Altare maggiore come quello di S. Ignazio a Roma con colonne tortili e barocco.
Vi è nella Chiesa inoltre un altare di marmo ad intarsi policromi di un tipo diffuso di fattura accurata.
Uscendo dalla porta laterale si sbocca in una piazzetta denominata “largo Gesuiti” con ai lati i palazzi Barone e Parisi e, di fronte, il palazzo dei Duchi De Mendoza.
Si imbocca quindi via Lauro che, dopo i Palazzi De Mendoza e Adilardi da un lato e Toraldo di Francia dall’altro, ha un piccolo allargamento con i due palazzi Mottola nel primo dei quali è stata trovata di recente parte di una finestra romanica rimasta visibile; dalla “Ripa” fra i due palazzi bellissima veduta dei due scogli di S. Leonardo e dell’Isola.
Continuando si sbocca nel larghetto Migliarese che ha su di un lato un caratteristico palazzo, quello Mottola – Gabrielli con corpo avanzato sul portone.
Si arriva sulla parte terminale del Corso V. E. II con “l’affaccio” balconata a mare da dove si gode un magnifico panorama. Ad una sosta invitano anche dei sedili di pietra sistemati ai lati.
Risalendo il Corso con a destra il Palazzo Barone si passa nel largo Santa Chiara dalla Chiesa omonima divenuta poi zona di ampliamento dell’Ospedale; ora ha sede il Comune.
Proseguendo verso la testata occidentale della Chiesa si sbocca in una piazzetta dove doveva essere originariamente l’ingresso della Chiesa: un portale del ‘400 in conci di arenaria con elementi aggiunti in marmo di epoca più recente da accesso ad un locale dove si trova altro portale anche di arenaria analogo a quello della Chiesa dell’Annunziata.
Dalla piazzetta che ha una “ripa” con affaccio a mare si passa al Largo Galzarano tra i palazzi Toraldo, Mazzitelli e Coccia e per via Lepanto si prosegue verso l’incrocio con la via Indipendenza.
Sulla destra si lascia il largo Guglielmini dove c’è il Palazzo Di Tocco vincolato dalla P.I. come pregevole esempio di architettura barocca.
Da via Indipendenza si passa per via Rivellini sul Largo S. Giuseppe e da qui per il Vico Adesi si ritorna sul Corso V. Emanuele II.
L’attraversamento di questa zona di Tropea rimasta totalmente medioevale addossata alle mura con le numerose piccole costruzioni con scale esterne è quanto mai caratteristico ed interessante. Un taglio netto nella cinta con una scala che porta oggi alla Via Umberto I doveva costituire una volta l’accesso al torrione aragonese o torre bassa.
TESORO DELLA CATTEDRALE
Purtroppo eventi di vario genere, guerre, terremoti in modo particolare hanno disperso molto materiale storicamente ed artisticamente prezioso.
Come oggetto di valore vi è un pastorale del XV secolo riccamente ornato in oro.
Come libri vi sono Codici del XV secolo.
Come arredi sacri numerose pianete dei Vescovi, riccamente ricamate ma tutte di epoche relativamente recenti (Sec. XVII e XVIII).
CAP. V
2° Itinerario
EDIFICI E ZONE DI PERIFERIA
Il secondo itinerario ha inizio dal santuario di Paola, prosegue per la Chiesa di Michelizia, la Chiesa ed il Convento di S. Maria del Carmine, i ruderi del Convento del Soccorso, il Viale Tondo fino a via Annunziata per visitare la Chiesa e i ruderi del Convento, ritornando su via Libertà procedere fino a Via Ospedale nota come <<discesa Convento>> per vedere la Chiesa ed il Convento di S. Maria della Sanità. Ritornando su Via Libertà visita della Chiesa di S. Maria della Libertà o degli Scalzi. Per la discesa dell’Isola quindi si passa nella marina da dove si sale sullo scoglio dell’Isola dove c’è il Santuario omonimo. Dall’Isola si può passare al Lido S. Leonardo per poi risalire in città per la strada provinciale o la scala detta <<dei carabinieri (185 gradini)>>.
Venendo da Parghelia dopo aver superato i due torrenti La Grazia (limite di Comune) e Burmeria (che nella marina hanno un’unica foce), sulla destra c’è un bivio e presso di esso una statua di San Francesco di Paola.
Si imbocca una strada vicinale in mezzo a giardini di aranci e si arriva dopo circa 200 metri su di una piazzetta. Di fronte vi è un cunicolo che immette nella zona panoramica (proprietà privata); sulla destra il Santuario con a fianco il convento (proprietà privata).
La Chiesa ed il convento vennero fondati nel 1543 essendo vescovo di Tropea Mons. Giovanni Poggio.
E’ tradizione che lo stesso San Francesco risalendo il torrente Burmeria per recarsi a Zaccanopoli nel 1483 ne abbia indicato il sito per un santuario.
La costruzione avvenne a spese del nobile tropeano Giovanni Adesi, già valoroso guerriero che successivamente entrò nell’Ordine dei Minimi di S. Francesco e resse il Convento fino alla sua morte avvenuta in fama di santità.
Sia la Chiesa che il Campanile hanno subito vari rifacimenti e non hanno particolari pregi artistici.
Nella Chiesa numerose le lapidi tombali della città.
Per ammirare la zona dai giardini della villa che appartiene ai Marchesi Toraldo, rivolgersi al Custode.
Ritornando sulla via provinciale e proseguendo verso Tropea alle prime case della contrada <<Carmine>> a destra una stradella di campagna porta alla Chiesa detta Michelizia dedicata a Santa Maria della Neve.
E’ una delle costruzioni più caratteristiche di Tropea in quanto per la sua ubicazione e per la sua elegante e slanciata cupola rinascimentale è visibile da ogni lato.
La Chiesa dedicata a S. Maria della Neve è una costruzione del 1500 effettuata a cura di tale Michele Milizia di una famiglia cioè che è esistita in Tropea.
La Chiesa è di forme rinascimentale ed ha bei portali in granito. E’ sotto il vincolo delle BB.AA. e quindi col tetto cadente e le porte scardinate!
Vi è un quadro bizantino che si ritiene sia stato portato dall’Oriente assieme ad altri due dal Vescovo Teodoro al ritorno dal Concilio di Nicea II (787 d.C.).
Vi è una pregevole tela del Grimaldi (La crocefissione) deteriorata.
Il posto, panoramico è come tutti gli altri analoghi particolarmente bello e suggestivo.
Per entrare nella Chiesa rivolgersi ad una casa vicina.
Ritornando sulla via provinciale alla contrada Carmine si incontra in posizione sopra elevata la Chiesa di S. Maria del Carmine sede della Parrocchia dell’Immacolata.
La Chiesa sorse unitamente al Convento degli Agostiniani Calzati nel 1569 senonché il Convento per mancanza di frati che rimasero nel convento vicino di S. Maria del Soccorso, venne abbandonato.
La Chiesa del Carmine che aveva sostituito una cappella precedente è dello stile caratteristico dell’epoca ed ha subito numerosi rifacimenti. Non vi sono in essa opere di pregio, solo in Sacrestia si conserva un quadro bizantino su tavola probabilmente del VII, VIII secolo. Unitamente a quello analogo della vicina Chiesa di Michelizia si ritiene portato dall’Oriente dal Vescovo Teodoro di ritorno dal II Concilio di Nicea (787 d.C.).
Dal Carmine, dopo un ampio giro per superare il vallone del Torrente Lumia la strada incontra una via pedonale, via del Soccorso, fiancheggiata verso valle da un muro con numerose porte chiuse con pietre a secco. Trattasi di quanto rimane del Convento e della Chiesa di S. Maria del Soccorso.
Questo convento, fondato nel 1480 essendo vescovo Mons. Frangipane funzionò anche da ospedale e nella sua chiesa si continuarono a seppellire i morti dell’ospedale quando questi venne trasferito altrove.
Il convento venne soppresso da Papa Innocenzo X nel 1650 e continuò a funzionare da ospedale finché non venne abbandonato.
Proseguendo per via del Soccorso si sbocca sul viale della Stazione di fronte al Viale del Tondo; seguendo questo viale, antica passeggiata alberata ora invasa dalle costruzioni si arriva dopo due tratti quasi ad angolo retto, in via Libertà; voltando a sinistra si arriva al Cimitero Comunale dove si trova la Chiesa della SS. Annunziata.
La Chiesa venne costruita unitamente al convento nel 1535 per volere di Carlo V d’Asburgo di ritorno dalla battaglia di Seminara. Egli finanziò l’opera devolvendo ed integrando un donativo che l’università tropeana gli aveva offerto.
Nel sito è tradizione vi fosse un oratorio dedicato alla SS. Annunziata e che il lume di tale oratorio avrebbe indotto le navi dell’imperatore a fermarsi.
Sta di fatto che la Chiesa mentre è di puro stile gotico nell’abazia e nel lato destro è romanica nella parte frontale e nel chiostro.
Con la Chiesa venne costruito il convento ultimato nel 1539 e venne occupato dai Frati Minori riformati del convento di S. Sergio sulla piana di Sant’Angelo.
La Chiesa è stata restaurata in epoca recente ma… non da restauratori. Il soffitto in legno dipinto a colori ancora oggi malgrado tutto è brillante, è in corso di restauro.
Il campanile e la sacrestia sono diruti.
All’interno, il convento passato al Comune dal 1882 rimase a pochi frati fino a consumazione di essi ma poi anch’esso si consumò ed adesso rimangono pochi locali al piano terra adibiti a cappelle funerarie.
Nella Chiesa, oltre il soffitto, il portale d’ingresso in pietra scolpita un mausoleo barocco della famiglia Toraldo di Calimera.
Sull’altare maggiore vi è una statua in marmo dell’Annunciazione dello scultore G. B. Mazzola.
La Chiesa era ricca di quadri e di arredi adesso è spoglia,
Il coro in legno scolpito è in restauro e vari dipinti sono conservati dalla Curia Vescovile.
Un cassone di legno intagliato del secolo XV che i frati di San Sergio avevano portato nel Convento trovasi attualmente nel Museo Comunale.
Ritornando verso la città per la via provinciale poi per la via Libertà, sulla sinistra un bivio (Via dell’Ospedale) che è noto come discesa del Convento, porta al Convento ed alla Chiesa di S. Maria della Sanità.
La Chiesa restaurata ai primi del secolo ha di particolare l’altare maggiore in legno scolpito.
Originariamente il convento che era sede dell’Ospedale era in locali angusti oggi scomparsi.
Passò nei nuovi locali nel 1578, locali successivamente migliorati ed ampliati. Attualmente il convento è sede di un noviziato ed ha una parte panoramica particolarmente interessante.
D’altra parte all’esterno dove si svolge una strada che porta nella marina in una località detta <<dei messaggi>>, vari punti hanno visuali particolarmente interessanti.
Risalendo la discesa del convento si passa in Via Libertà avanti al Calvario si oltrepassa il palazzo Toraldo arrivando alla Chiesa nota come <<Chiesa degli Scalzi>>. Questa Chiesa unitamente al Convento (il palazzo Toraldo) venne costruita dall’università Tropeana nel 1619 per celebrare l’annullamento della vendita della città al Principe di Scilla. Essa venne approvata dal Papa Pio V con bolla del 21-3-1619 e dedicata a Santa Maria della Libertà. Chiesa e convento vennero assegnati agli Agostiniani Scalzi.
Attualmente il convento è proprietà privata; la Chiesa che ha subito numerosi rifacimenti non possiede opere di particolare pregio. Pareti affrescate si rivelano specie nella Sacrestia sotto gli intonaci successivi.
Una statua in marmo di fine fattura che era nella Chiesa trovasi nella Cattedrale sull’altare della cappella di sinistra dell’abside.
Uscendo dalla Chiesa sul Largo Vaccari, dove c’è l’Episcopato (sede estiva) sulla destra s’incontra quasi integralmente nel suo sviluppo la <<strada dell’Isola>> a larghi <<gradoni>>, a tratti meno ripidi che porta nella Marina nei pressi dell’Isola. Su questo scoglio detto appunto <<scoglio dell’isola>> vi è un Santuario le cui origini si perdono nel buio dei tempi.
L’isola fu sempre unita alla terraferma da un lembo del lato occidentale. Una rampa in muratura consentiva di arrivarvi con relativa facilità. Demolita tale rampa adesso si accede con una stradella incavata nella roccia che porta su di un ampio piazzale sul lato verso terra circondato da un muretto con sedili-
Al posto dell’attuale santuario c’era originariamente una delle 4 celle istituite verso la fine del IV secolo in Calabria da San Basile (370 d.C.). Il più antico documento che riguarda l’isola è un rescritto di Papa Urbano II del 1077 col quale venne assegnata alla Badia di Montecassino una <<cella S. Maria in Tropea>>. Precedentemente la cella basiliana era intestata a S. Menna.
La Chiesa ebbe nome di S. Maria ad Presepe per un quadro ancora esistente e rappresentante appunto la Sacra Famiglia.
Nella porta di bronzo del Monastero di Montecassino sono riportati i vari <<cenacoli>> da esso dipendenti e compresi fra essi un bassorilievo rappresentante l’isola col Santuario e la scritta <<S.ta Maria da Tropea cum omnis pertinensis suis>>.
La porta fu costruita dall’abate Desiderio per S. Vittore.
Da altri documenti dei Papi Alessandro III (1159-1181), Innocenzo III (1198-1216) ed Onorio III (1216-1227) è denominata <<S. Maria di insula>>, o <<Santa Maria de Latinis>>.
Attualmente la Chiesa composta di tre piccole navate trovasi incorporata in un edificio a due piani.
Non risulta siano stati fatti sondaggi per accertare l’epoca della costruzione.
Dei turisti francesi che furono relegati in quarantena ne parlano di <<essere stati sistemati in un torrione moresco>>…
Attualmente la Chiesa è officiata e festeggia la titolare il 15 agosto.
Oltre il panorama dal piazzale è interessante quello verso dove una zona pianeggiante adibita ad orto è circondata da piante selvatiche e consente di godere in piena tranquillità la vista del mare.
Ultimata la visita dell’Isola, seguendo un piccolo tratto di spiaggia si può passare al vicino Lido San Leonardo adiacente allo scoglio omonimo dove l’itinerario si può concludere rientrando in città per la strada provinciale o per la scala detta <<dei carabinieri>> che con 185 gradini, porta al Largo Galluppi o S. Francesco.
3° Itinerario
LOCALITA’ CARATTERISTICHE DEI COMUNI LIMITROFI
Punti panoramici:
In tutta la zona di Capo Vaticano la costa si presenta a terrazze nettamente distinte l’una dall’altra, con un dislivello di 70-100 metri costituito da rocce o da zone a forte pendio.
La prima terrazza, a livello del mare ha una larghezza quanto mai varia in quanto in alcuni punti supera i 700 metri, in altri si annulla e le acque del mare lambiscono le rocce costituenti la base della terrazza soprastante.
Su detta seconda terrazza corrono: la linea ferroviaria e la strada provinciale Pizzo-Nicotera.
Piccole strade vicinali o private consentono di scendere da detta terrazza al mare in punti caratteristici.
In queste condizioni il 3° Itinerario conviene dividerlo in due: il primo via mare, che prevede di seguire la costa della Tonnara a S. Maria; il secondo via terra, effettuando sulla provinciale il tragitto tra gli stessi punti estremi ed a piedi i piccoli tratti necessari per raggiungere i punti caratteristici.
L’itinerario completo via mare e via terra, inizia noleggiando una delle barche a motore dei pescatori, partendo da Tropea (porto) si può seguire la costa per la Pizzuta e la Tonnara da dove risalendo a piedi quella provinciale si prosegue via terra per S. Angelo, poi Capo Vaticano (lanterna) e, anche in macchina, alla spiaggia di S. Maria (in macchina).
Da S. Maria, via mare, tornare a Tropea superando Capo Vaticano fermandosi alle Formicole, a Riace e quindi a Tropea porto.
Non disponendo dei mezzi o non essendo in comitiva e fermandosi a Tropea questo terzo itinerario potrà essere frazionato in distinte gite.
I punti panoramici sono qui appresso descritti:
La Tonnara, detta anche S. Irene, è costituita da una piccola insenatura, dove i locali della Tonnara sono stati trasformati in sede estiva del seminario di Mileto. Il mare è sempre calmo e di una limpidezza pura e cristallina, particolarmente panoramica la posizione sovrastante.
La Pizzuta, così detta dalla caratteristica forma di un grosso masso di granito, tutta la zona è costituita da un ammasso di grossi blocchi di granito, per il bagno numerose le piccole <<vasche>> di acqua limpidissima.
Si arriva alla Pizzuta anche dalla zona di porto di Tropea camminando lungo la riva del mare.
Riace, è costituito da un gruppo di scogli uno dei quali di dimensioni maggiori con una galleria che lo attraversa per tutto il suo spessore dove il mare circola liberamente. La spiaggia corrisponde ad una zona di maggiore larghezza dopo un’altra sottostante <<il campo D’Aquino>> particolarmente frazionati in piccole spiagge raggiungibili solo dal mare.
Marina delle Formicole, un gruppo di scogli presso la foce del torrente <<La Brace>> dette Formicole dal nome della zona; l’origine di detto nome è controversa: o è la volgarizzazione di <<forma herculis>> o è il nome vernacolo di formiche (analogo alle <<formiche>> di Grosseto.
Capo Vaticano – Grotticelle, comprende la parte estrema del promontorio, dimostra chiaramente il continuo tormento delle corrente delle onde con delle zone di roccia molto alte comprendenti piccole spiaggette o insenature.
S. Maria, è all’inizio del golfo di Gioia che ha in questa zona caratteristiche differenti del resto e dal golfo di Santa Eufemia. Posto ancora tranquillo dove è possibile godere in pace il mare e la natura in una cornice di particolare bellezza.
Tutti questi punti hanno in comune la bellezza del cielo, la limpidezza dell’acqua, la sabbia bianca della spiaggia, la bellezza selvaggia della natura in gran parte ancora inviolata.
CAP. VI
LA VITA QUOTIDIANA DEI TROPEANI NEI SECOLI PASSATI
Usanze – Aneddoti
Come fosse Tropea quando la sua cinta murata era ancora intatta, nel suo interno non erano stati fatti “sventramenti” o demolizioni varie e con l’esterno si comunicava solo attraverso le sue porte sboccanti su strade mulattiere, è facile immaginarlo in base a quanto esiste tuttora.
Ma per stabilire quanti fossero e come vivessero i suoi cittadini non sarebbe stato facile stabilirlo se di questo periodo particolarmente aureo della vita della Città non esistesse un documento completo la perizia di stima che l’ing. Giulio Fontana nel 1610 redasse dalla Città e sue pertinenze per stabilirne il valore in occasione della vendita che il Viceré di Napoli fece in quel tempo al Principe di Scilla.
Da tale perizia risulta che in quell’anno la popolazione di Tropea comprendeva 1276 “fuochi” che alla media di 4 componenti ogni fuoco corrisponde a 5104 abitanti.
Essi erano così suddivisi:
300 gentiluomini, fra i quali 2 baroni e 8 feudatari;
300 cittadini viventi “nobilmente” (cioè di rendita);
30 dottori in legge;
12 notai;
6 medici;
6 farmacisti;
12 fondachi di mercante.
Numerosi artigiani e pescatori.
Un primo esame di queste cifre conferma come Tropea fosse un “centro” di un vasto territorio, quello dei 24 casali oggi riuniti in sette comuni autonomi.
I seicento fra gentiluomini e cittadini viventi nobilmente erano proprietari di una buona parte di detto territorio mentre una parte forse maggiore apparteneva agli Ordini religiosi.
I professionisti 12 Notai (oggi ne abbiamo 1) servivano per l’intero territorio, il quale gravitava altresì per quanto riguarda gli artigiani e gli operai edili si recavano nei casali per l’esecuzione dei lavori di tal genere e di una certa entità.
I dodici fondachi di mercante (grossisti) provvedevano al concentramento dei prodotti del suolo che poi, via mare, venivano smistati verso i mercati di utilizzazione. Merci di entità assai notevoli se si pensa che affluivano a Tropea il grano, il granturco, i vari cereali, il vino, l’olio, i fichi secchi, la lana, i formaggi, gli agnelli, polli, uova ecc.
L’afflusso di questi prodotti era legato alle stagioni e quando venivano portati i mosti quasi tutti i larghi venivano ingombrati dai carri a buoi con la botte.
Da tutti questi elementi è facile rilevare come la vita della nostra cittadina anche con alti e bassi stagionali fosse quasi sempre particolarmente intensa dall’alba al tramonto cioè nel periodo in cui le porte della città erano aperte. Le ore più intense erano quelle intorno al mezzogiorno per cui in tali ore dato che tutti si portavano appresso il mezzo di trasporto (l’asino) nella città quasi non si circolava; per il “parcheggio” di tali mezzi servivano gli alberi dei “larghi” o gli anelli di ferro degli androni dei palazzi signorili dove le bestie venivano legate.
Per fortuna vi era una valvola; il Borgo; dove, per l’esistenza di maniscalchi molti asini venivano lasciati per la ferratura.
Per mangiare funzionavano le “bettole” in numero adeguato dove era di prammatica lo “stufato” e lo “stocco” ambedue preparati con abbondante “peperoncino”.
All’apertura delle porte i primi ad arrivare e quindi ad entrare in città però non erano quelli dei casali ma gli “ortolani” coltivatori degli orti all’intorno.
Essi svolgevano un ruolo assai importante: la pulizia delle strade; portavano con se l’asino con un’apposita sporta di sparto (zimbili) una cesta di grossi giunchi ed una scopa di frasche; essi si rifornivano di concime per la coltivazione dei loro orti ed un secondo giro facevano nel pomeriggio per raccogliere quanto avevano depositato le numerose cavalcature in sosta. Servizio svolto puntualmente e gratuitamente.
Al mattino, mentre entravano gli ortolani gli operai che si recavano al lavoro nei casali. Più tardi cominciava l’afflusso di chi veniva per affari e che man mano ritornava fuori; rientravano quindi gli operai usciti al mattino per recarsi al lavoro. Al tramonto le porte si chiudevano ed il traffico in città finiva.
Questa era la vita della popolazione attiva ma… l’altra? L’altra stava quasi sempre in casa. Per le strade non c’era dove andare, vi erano soli “larghi” avanti le chiese, non vi erano caffè.
S’alzava quindi tardissimo e quando non c’era d’andare a Messa non usciva se non per andare in casa da amici per fermarvisi fino a tarda ora.
La città quindi, poco prima del tramonto era quasi senza movimento. Dopo la chiusura delle porte, al sopravvenire della notte, mancando la illuminazione pubblica vi supplivano solo in parte le lampade ad olio avanti alle numerose <<icone>> (conicolèi) site in quasi tutti i larghetti.
Presso tali icone le donne del vicinato svolgevano piccole funzioni religiose per novene, mese di maggio ecc. con canti nei quali sia la voce che la perfetta tonalità erano sempre gradevoli.
Dopo questo periodo il silenzio notturno copriva la città. In definitiva il regime di vita divideva nettamente la popolazione in due categorie.
Al calar della notte la popolazione attiva si ritirava nell’intimità familiare per <<distendersi>>, si dice oggi, e quindi riposare.
Chi non aveva lavorato, si era alzato tardissimo, aveva pranzato verso le 1600, si era riposato, pensava a come passare la serata in riunioni di numerose famiglie per conversazioni dotte fra i grandi, per giochi per giovani, per conversazioni e… commenti un pò da tutti.
A tarda notte, preceduti da un porta-lanterna i vari gruppi familiari rientravano alle loro case.
Oggi, non si concepisce una vita simile anche se cerimonie religiose, ricorrenze e riunioni presso le famiglie amiche, gite in campagna in particolare occasioni interrompono la monotonia.
Era umano però che una vita svolta così <<a contatto di gomito>> provocasse continui urti, screzi e litigi, che lasciavano strascichi da far riaccendere gli urti alla prima occasione. Era uso a quei tempi che i nobili circolassero sempre con la spada a fianco; le strade strette obbligavano a passarvi incontrandosi molto vicini e allora… dice lo Scrugli nella sua interessante storia di Portercole e Tropea, bastava un semplice sguardo o un’innocente mossa delle labbra male interpretata perché subito le spade venissero sguainate. Gli incidenti sanguinosi erano così frequenti che nel 1444 Re Alfonso di Aragona dispose che con le cariche pubbliche venissero eletti anche due <<pacieri>> col compito d’intervenire presso i contendenti e le loro famiglie per comporre subito le vertenze ed evitare che si creassero le vendette a catena.
La partecipazione alle funzioni religiose ad ogni modo era molto diffusa e anche le autorità civili vi intervenivano in forma ufficiale con i Sindaci ed il Gonfalone.
Tali autorità però pur partecipando sempre con devozione ed ossequio restavano gelosissime delle loro prerogative e dei loro diritti che difendevano contro chiunque e quando occorreva anche contro le stesse autorità religiose i cui poteri nei secoli passati erano molto più vasti di oggi. Tipico in proposito è un episodio accaduto nel 1622.
Era vescovo di Tropea allora Mons. Fabrizio Caracciolo appartenente a nobile famiglia napoletana; avvenne:…”Il Sindaco mise in carcere uno dei vassalli del Vescovo per mancato pagamento fiscale; di ciò il vescovo molto se ne punse. A placarlo il Sindaco credette fare le convenevoli scuse e mandò a Lui un eletto dell’università, Monsignore invece andando agli abusi lo cacciò nelle ecclesiastiche sue carceri con dire che se il Sindaco o il governatore vi fossero andati avrebbe fatto del pari.
Per tali irruenze costoro dettero ordine che dalla porta di mare rivolto il cannone si traesse contro l’episcopato casa così che della porta fu rotta la chiave dell’arco del portone.
Il Vescovo allora fattosi forte delle solite potenti, perché molto temute in quei tempi armi spirituali, accostatosi al balcone col suono di sua mano il campanello fulminò la scomunica.
Non si andò a trarre un secondo colpo ma riunitosi il Parlamento si fece relazione al Viceré di Napoli ed al re di Spagna. Il fulmine ecclesiastico “fu assoluto” ed il Vescovo venne richiamato a napoli dove morì…>>.
Così riferisce lo Scrugli nel suo volumetto già citato.
L’avvenimento inquadrato nei tempi può sembrare strano ma si spiega col fatto che essendo Tropea città-demaniale, cioè dipendente direttamente dal Re, i suoi dirigenti in loco Sindaco e Governatore, rappresentavano direttamente il re.
Il privilegio di città demaniale fu rinnovato ripetutamente dai Re delle varie dinastie Aragonesi ed Angioine e non privilegio da poco se si pensa che nel 1743 su 2765 centri abitati solo 50 godevano di tale privilegio in tutto il Regno di Napoli.
In definitiva compatibilmente con i tempi la vita della città si svolgeva tranquilla anche se la popolazione era praticamente divisa in due <<caste>>. I giorni si susseguivano e con essi le ricorrenze per lo più religiose alle quali erano collegate periodi di festività, alle quali corrispondevano particolari usanze per le quali, come sempre, l’uso di speciali preparazioni gastronomiche ad esse collegate.
Così il periodo di Carnevale legato come d’uso alle macellazioni dei maiali, alla formazione delle provviste con l’utilizzazione diretta delle bestie macellate per fare i capicolli, macculari, soppressate, strutto in vasi o in vesciche, le frittole… e il sangue dolce; giornate di lavoro delle famiglie, di scambio di preparazioni, di regali ai <<mastri di casa>>.
Seguiva al Carnevale la Quaresima. Appositi predicatori venivano per svolgere la predicazione e le Chiese erano ogni sera frequentatissime. Nel periodo Quaresimale si usavano le <<pizze pie>> crostate confezionate con pasta di farina e vino cotto e ripiene di uva passa.
Coincideva con la Quaresima la festa di San Giuseppe; Nel largo di fronte alla Chiesa omonima, a dei poveri costituenti la Sacra Famiglia veniva servito su apposito palco un pranzo a base di pasta e ceci. La festività era celebrata oltre che con la funzione religiosa e la processione, con la preparazione d’ <<i zippuli a ventu>>, specie di bignè fritte fatte di pasta di farina stemperata con uova e zuccherate e spruzzate di liquore.
Alla Quaresima che veniva osservata con molto scrupolo, seguivano le festività pasquali. La Chiusura avveniva però oltre che con la visita ai sepolcri, con la Processione del Cristo morto, processione caratteristica che ancora oggi per quanto ridotta si fa ancora.
Usciva all’imbrunire dalla Chiesa di S. Anna; tutte le confraternite con i loro altissimi stendardi, con i <<fratelli>> con cappuccio abbassato e recanti delle lunghe torce a vento (torce <<i pici>>). Con i <<fratelli>> bambine vestite di nero con coroncine di rose <<(i virginei)>>. Tutti gli ordini religiosi, il Capitolo con mozzetta nera e un sacerdote scalzo con in testa la corona di spine e recante la croce.
Dietro la bara con i lati di cristallo le donne cantano una nenia funebre (i lamentazioni).
Nel suo insieme questa cerimonia è tuttora quanto mai suggestiva. Con le festività pasquali la parte gastronomica ricorda principalmente <<campanari>>, ciambelle di pasta di pane con uova intere, esse affondate e coperte con fili di pasta in croce; la <<pitta china>> torta rustica di pasta da pane stemperata con uova e ripiene con ricotta salata e formaggio pecorino fresco; pezzetti di salame con frittole (cotiche), cibo di laboriosa digestione.
Dopo Pasqua, le ricorrenze legate alle funzioni religiose di maggio e di giugno iniziano con una festa caratteristica che ricorre appunto il 3 maggio, invenzione della Croce <<i tri da cruci>>. E’ la festa tradizionale del Borgo.
All’angolo del Borgo (ora Via Umberto I) con il largo San Michele dove c’è oggi un’edicola delle <<anime del Purgatorio>> ci fu fino alla fine del secolo XVIII un tempietto rotondo con due porte e una cupola dentro c’era un Calvario.
La festa oltre la parte religiosa che si svolge nella vicina Chiesa del Purgatorio ha tuttora tre distinte fasi riferentesi a tre distinte tradizioni.
La prima, costituita dall’accensione di mucchi di sterpi (falò) sui quali i giovani si esercitano a saltare senza bruciarsi, sembra rappresentino l’unica tradizione pagana e cioè la cerimonia dei <<fuochi purificatori>> in onore della dea Pale.
La seconda ricorda la dominazione araba quando per la esazione di vari balzelli un cammello montato da un moro e preceduto da un tamburo girava per la città.
Il cammello costruito con stecche di canne portanti strisce e artifici è portato in giro da un artificiere mentre gli artifici scoppiano da tutti i lati, precede il tamburo e seguono i ragazzi che fanno la baia (la cucca).
La terza, a somiglianza della colombina e del carro di Firenze ricorda i calabrese alla battaglia di Lepanto; una nave di carta carica di esplosivo e sospesa fra le case; la colombina su filo prima traversa per intero la strada poi ritorna e da fuoco alla nave che scoppia con grande fragore. La festa dura fino a tarda notte con l’accensione di fuochi d’artifizio.
E’ questa l’unica ricorrenza che ricorda antiche tradizioni.
Maggio e giugno passavano con le cerimonie religiose; con luglio il giorno 6 festa di Santa Domenica già protettrice di Tropea alla fine dei fuochi una bomba particolarmente forte, dà inizio alla stagione balneare <<riscaldando il mare>>.
Parlare di <<stagione balneare>> con la mentalità di oggi è un pò azzardato; il secolo scorso ci ha tramandato <<l’ultimo grido>> in materia: stabilimenti su palafitte in acqua, tende di tela abbassate per isolare la zona sottostante rigorosamente divisa per i due sessi… costumi come si vedono in alcuni films.
Nel periodo estivo chi poteva sciamava per le campagne vicine: S. Angelo, Caria, Monte Poro; chi restava soffriva il caldo.
Con la fine di settembre le vendemmie davano la possibilità di scampagnate per scorpacciate di focacce di granturco (pitti paniculi) e peperoni arrostiti. Contemporaneamente la fiera dei santi Cosma e Damiano a Brattirò dava inizio alla macellazione dei maiali.
Successivamente fra una novena e un’altra si arrivava al mese di Natale con i presepi familiari e… naturalmente la preparazione dei vari tipi di dolci a base di pasta di mandorle.
Per la Vigilia di Natale era d’uso lo <<stretto magro>> con l’impiego di tredici ingredienti (i tridici cosi): cavolfiore, zucca gialla, baccalà ecc., ma più di ogni altro <<i zippuli ca passula o a tunnina>>. La sera della vigilia tutta la città friggeva le zippole e nei vicoli l’odore era forte fin dalle prime ore.
In definitiva le funzioni religiose collegate alle varie ricorrenze impegnavano qualche ora del pomeriggio e quasi tutto l’anno perché venivano frequentate da tutti. Le riunioni familiari completavano l’impiego del <<tempo libero>>, come si chiama oggi.
Era in definitiva una vita ordinata e tranquilla che per i tempi era quasi un privilegio e alla quale molto influì la ininterrotta forma democratica con la quale la città per circa 2000 anni si poté reggere e governare.
Di feste particolarmente tradizionali non vi sono che la processione del venerdì santo e quella della <<invenzione della Croce>> (3 maggio).
Di cibi tradizionali molti ne restano ancora resistendo all’invasione dei vari Galbani-Negroni-Motta-Alemagna-Dulciora dei quali si fa anche largo consumo.
Un prodotto che regge ancora anche se non, di produzione locale è costituito da <<i mastazzoli ‘i fera>> prodotti particolarmente in centri dell’interno ma che continuano ad essere presenti nelle caratteristiche casse da portare a soma anche se vengono con mezzi meccanici.
Si tratta di dolci di forme piatte varie: cavalieri – donne – vasi da fiori – pesci ornati con confettini e confezionati con farina impastata col miele.
Sono anche esposte a Roma in via del Tritone in un negozio di specialità calabresi (i trastulli calabresi).
Essi sono presenti in tutte le fiere e le feste con i semi di zucca (a sumenta) i ceci infornati (a ciciricalia), le favette (favuzze) e noccioline americane.
Oggi Tropea è una selva di antenne televisive ed i ragazzi per strade cantano con perfetta tonalità le ultime canzoni che Mina, Celentano, Bongusto, Bobbi Solo, diffondono tramite i juke-boxes… bene che sia così anche se nei momenti di esasperazione per una radio a tutto volume farebbe pensare con <<nostalgia>> ai tempi nei quali non occorreva la lotta contro i rumori.