Il Cardinale Lauro,
Abate di Pinerolo
 
 

di Antonio Francesco Parisi
(1958)
 






Tra le attività del Cardinale Lauro, meno note fuori del Piemonte, possiamo senz'altro includere quella svolta nel Pinerolese in conseguenza della sua qualità di abbate di un illustre cenobio della zona: il monastero benedettino di S. Maria di Pinerolo.
Ruggiero Tritonio in quel suo pregiato ed antico volumetto che costituisce l'unica ragguardevole biografia del Cardinale tropeano stampata in Italia, ne accenna appena a pag. 80, scrivendo; <<Num quo animi sui magnitudini responderet, me nobilissimo illo Pinaroliensi Sacerdotio, quod sibi paulo ante a Sixto Quinto Summo Pontefice delatum erat, ac cui semper primarij, principesque homines praefuerant, cohonestatum esse voluit...>>1.
In questo accenno, non vi è specificato nulla dell'opera effettuata dal Nostro in questo angolo del Piemonte, che nel secolo XVI era diventato un punto nevralgico del cattolicesimo italiano: opera che, se in parte egli svolse fuori del suo periodo di dominio abbaziale diretto a quasi sempre per interposte persone, nondimeno è giusto attribuire al suo merito, perchè compiuta secondo le direttive da lui impartite, dietro suo ordine ed a suo nome. Che autori moderni ed antichi non siano nel vero attribuendo al Tritonio molti più meriti di quanto ne ebbe, ce lo attestano non solo i suoi rapporti di dipendenza dal Lauro, ma i documenti coevi, comprovanti l'attività stessa, e le lettere del Cardinale, dai quali risulta chiaramente che il Tritonio, anche da abate, non fu, nel pinerolese, che un mirabile esecutore della volontà del prelato calabrese.
Come si può constatare dal brano surriportato, il Tritonio attribuisce all'esclusiva volontà di Sisto V la nomina del Lauro ad abate di S. Maria; ma ciò non è esatto. Infatti sin dal tempo di Nicolò V si erano stabilite nuove norme per l'elezione. Quest'ultimo Papa, in compenso della rinuncia al Pontificato fatta da Amedeo VIII, aveva concesso al Duca Ludovico di Savoia ed ai suoi discendenti la nomina di tutti i titolari dei benefici concistoriali e l'assenso ducale alle nomine dei vescovi ed abati di abbazie dipendenti <<nullo mediante>> da Roma.
S. Maria di Pinerolo rientrava in quest'ultima categoria, e la nomina di norma spettava al Papa; ma in pratica l'abate di S. Maria di Pinerolo veniva, quasi sempre, proposto e nominato dal Duca: il Papa dava il riconoscimento. Non diversamente avvenne nel caso di Lauro, messo a capo dell'abbazia pinerolese da Carlo Emanuele che in tal modo gli volle dimostrare maggiornente la sua stima. Il Papa gli concesse, poi, l'investitura.
Nella carica il Lauro seguì al cardinale di Vercelli, Guido Ferrero, morto il 16 maggio 1585; fu il 40° abate ed i 12° dei commendatari2.
Quasi tutte le antiche memorie storiche di S. Maria segnano il 1586, quale anno d'inizio della sua commenda. E' invece accertato che vi prese possesso il 15 luglio dell'anno prima, tramite il segretario Ruggero Tritonio, cui aveva dato lettere di procura il 27 maggio 1585: esecutore della bolla pontificia fu il pinerolese D. Rinaldo Ressano, prevosto delle locali chiese di S. Donato e di S. Maurizio3.
L'abbazia di S. Maria di Pinerolo, pur non vantando l'antichità di quella della Novalesa o dell'altra di S. Michele della Chiusa, era tra le più importanti e doviziose del Piemonte. Riccamente dotata da Adelaide di Susa nel 1064, nel corso dei secoli aveva man mano accresciuto i possedimenti ed i privilegi, venendo così in possesso dell'intera vasta vallata del Chisone, di territori nella pianura adiacente e di molte altre terre sparse, site presso Torino, la Val Varaita, Garresio, Ceva; fuori del Piemonte possedeva il monastero di S. Martino nell'isola Gallinara presso Albenga, e metà del Castello di Porto Maurizio.
Su questo complesso di terre l'abate aveva giurisdizione spirituale, ed, in origine, anche temporale: questa venne, però, sempre più riducendosi a favore dei Duchi di Savoia, e già nel secolo XIV era limitata alla sola Villa del Monastero. Quando il Lauro entrò in possesso dell'Abbazia questa non brillava per numero dei monaci, nè per la disciplina monacale; le condizioni della religione cattolica nella sua sfera d'azione territoriale erano tuttaltro che soddisfacenti: il Valdismo, per quanto accanitamente combattuto, aveva nelle valli limitrofe la sua culla e la sua inviolabile sede. Il Lauro era ben al corrente della situazione: da consigliere ducale, da vescovo e da Nunzio si era occupato e preoccupato di quei protestanti, li aveva combattuti e aveva riportato anche qualche vittoria. Ma ora che in qualità di abate si veniva a trovare con essi a diretto contatto, comprendeva che era necessario effettuare nuovi sforzi e, dato che i compiti cardinalizi lo avevano allontanato nuovamente dal Piemonte, capiva che, a maggior ragione, doveva agire con prudenza e ponderatezza. Dal suo pensiero, come del resto aveva già dimostrato coi due priorati Sabaudi, era lontanissima la concezione dell'abate commendatario solo interessato alla riscossione dei frutti della sua abbazia, ma sentiva il peso materiale e morale della direzione della stessa.
I suoi primi provvedimenti sono di ordinaria amministrazione. Conferma per prima cosa d. Rinaldo Ressano Vicario generale abbaziale; e poi il 22 novembre 1585 concede l'investitura del feudo di Famolasco ad un nobile del luogo, Giovanni Antonio Ferreri4. Intensamente occupato a Roma nella Curia sino al principio della primavera, torna a visitare la sua diocesi ed il Piemonte nell'aprile del 1586; il 20 partecipa alla inaugurazione del Monte di Pietà di Mondovì della cui fondazione era stato uno dei massimi cooperatori5. E' probabile che abbia proseguito il viaggio sino a Pinerolo.
Gli avvenimenti di fine d'anno 1586 che, in seguito alla morte di Bathori, rimisero sul tappeto la spinosa questione della successione polacca, non consentirono al Lauro di potersi allontanare neppure temporaneamente da Roma, per cui credette opportuno di rinunciare alla diocesi di Mondovì, che non aveva più la possibilità di ben amministrare. Mantenne invece la carica di abate che gli rendeva bene e gli riserbava pure non pochi fastidi.
Il 4 maggio 1587, onde mettere in chiaro alcune situazioni particolari, aveva fatto scrivere dal Tritonio una lettera al canonico Ressano specificandogli che, quale vicario generale abbaziale, era rappresentante della sua persona. Il Ressano, sia perchè la lettera non era molto esplicita su alcuni punti, sia perchè gli faceva comodo poterla interpretare a suo modo, nel giugno successivo pretese di portare in processione il SS. Sacramento e, naturalmente, volle avere il posto d'onore durante la processione del <<Corpus Domini>>. Era una delle solite questioni di precedenza, che tanto davano da fare in quel tempo alla Congregazione dei Sacri Riti, e perciò non possiamo stupirci se il priore pinerolese ne restasse molto irritato e che ne fossero scontenti gli altri frati. Essi manifestarono pubblicamente il loro sdegno e la festa ne soffrì. <<Intesa la mala soddisfazione che era avvenuta in Pinerolo il giorno del Corpus Domini per l'occasione del portare il SS. Sacramento>>, il Lauro ne rimase afflitto ed in data 10 agosto fece scrivere ad un noto giurista, D. Bernardo Trotti, affinchè chiarisse la situazione e definisse la faccenda, aggiungendo <<che in questa parte si saria rimesso a quel tanto che da lei si fosse più spediente>>. Il Trotti prese la cosa con calma e soltanto il 14 giugno 1588, appena in tempo per regolare la nuova imminente festa, emanò la propria sentenza: la delazione del SS Sacramento spetta all'abate; ma in sua assenza il diritto non può passare al vicario generale, poichè l'atto non è di giurisdizione, bensì di natura cerimoniale: quindi spetta al capitolo dei monaci ed al priore dello stesso6.
Fu ancora il Ressano a procurargli altre noie. Generoso com'era, il Lauro gli aveva assegnato, una prebenda sopra i beni della mensa capitolare. I monaci, che non avevano dimenticato le pretese del Vicario per il posto d'onore durante la processione del <<Corpus Domini>> ed erano irritati, si sentirono lesi da quell'assegnazione e protestarono vivacemente; al Ressano non restò che adire il Nunzio a Torino, Giulio Ottinello, dinnanzi al quale il 25 luglio s'iniziò la lite. I monaci, opponendosi, citarono a comparire l'abate Lauro e tutte le comunità della Valle di Perosa sulle quali gravava la commenda, e cercarono di dimostrare che il Cardinale non poteva assegnare una prebenda claustrale al vicario, ma doveva stipendiarlo del proprio, senza scapito della mensa7.
Il Lauro in tal modo riceveva un bel compenso al suo buon cuore. Altra prova della generosità del suo animo, e nello stesso tempo di affetto per le genti del Pinerolese, egli fornì nel 1587. Nella primavera di quell'anno pare vi fosse, in Pinerolo, una carestia: in gravissimo bisogno sappiamo che versasse il locale ospedale di S. Maria e Giacomo8. Venuto a conoscenza di ciò, il cardinale dette immediatamente disposizione ed adeguati mezzi, al Ressano, di soccorrere l'ospedale ed assistere i poveri di Pinerolo. Quanto consistente fosse l'aiuto fornito ce lo attestano i quasi 800 nomi di assistiti, elencati nel <<quinternetto delli denari ricevuti dal sig. Prevosto Ressano et distribuiti per me Domenico Ollivero alli poveri miserabili et infermi al nome dell'Ill.mo sig. Cardinale dell'Abbadia di Pinerolo>>9. Come si rileva dal <<quinternetto>> la distribuzione durò dal 24 maggio al 13 giugno 1587 ed il sussidio non fu mai inferiore ai 60 denari.
Grato per questo aiuto fornito alla cittadinanza, il Consiglio Maggiore della città, riunito in seduta plenaria sotto la presidenza di Francesco Sillano di Vigone, deliberò ed approvò la proposta <<Di scrivere al Ill.mo et Rev.mo Cardinale di Mondovì, abbate nostro, per ringraziamento dell'elemosina fatta a suo nome alli poveri di questa città>>10.
Da quanto precede risulta evidente la piena fiducia che il Nostro Prelato nutriva per il prevosto Ressano: un'ulteriore prova dei legami di amicizia che lo univano a questa antica famiglia pinerolese ci viene fornita dalla seguente lettera del 15 giugno 1587, nella quale egli prega il duca Carlo Emanuele di mostrarsi clemente verso un membro di quella famiglia, il quale, già graziato da Emanuele Filiberto, per questioni procedurali non poteva rientrare dall'esilio:
<<Ser.mo Signore,
Gio. Battista Ressano di Pinerolo fu già nove anni bandito in contumacia per certa questione causale: et dopo ottenne dal signor Duca Ser.mo, che sia in gloria, la remissione con haver anco per la speditione sborsati mille e più scudi al sig.r Grimaldo al hora Generale de le Finanze; ma per non essersi, come averia bisognato, fatta la interinazione in Senato, è avvenuto che il pover'huomo se ne resta tuttavia in esilio. Hora io avendo particolare affettione a li Ressani si per le buone loro conditioni, et si per la cura che tengono gli affari di quella mia Abbatia, vengo a supplicar V. Altezza che si degni far gratia al sodetto Gio: Battista d'un salvo condotto... Di Roma, a li 15 di giugno 1857>>11.
Ancora per tutto il 1588 l'attività presso la Curia Romana non consentì al Lauro molto tempo per badare all'Abbazia: l'unico provvedimento preso, e da noi conosciuto, è di ordinaria amministrazione: l'investitura a suo nome concessa il 23 giugno a certo Francesco Tinetti, di un terreno del monastero, che dipendeva dall'Ufficio dell'elemosineria12.
Le intense occupazioni romane che non gli lasciavano tempo disponibile, l'età ed il desiderio di premiare un suo devoto dipendente, ma soprattutto le necessità del cattolicesimo e quelle particolari dell'abbazia, che bisognava di un abate stabile e sul posto, lo indussero a rinunciare alla commenda in favore del suo segretario Tritonio, che così divenne il 41° abate. Ma è bene spiegare subito che la rinuncia del Lauro fu parziale, poichè egli conservò il titolo di <<perpetuo reservatario del Monastero>>, e che non significò affatto il principio del suo disinteresse per l'Abbazia. Vedremo, anzi, come proprio in questo periodo egli dedicherà la maggiore attenzione verso questo antico e glorioso monastero.
Tornando all'atto della rinunzia, cominciamo col precisare che, quantunque preso in perfetto accordo col Duca, giuridicamente non era regolare: o meglio, era regolare la rinunzia, ma non la resignazione a favore del Tritonio. Questa proposta sarebbe dovuta venire da Carlo Emanuele, il Duca regnante, il quale, come abbiamo avanti scritto, ne aveva il diritto. Questo particolare, non rilevato dagli storici pinerolesi, fu gravido di conseguenze giuridiche importanti. Infatti se Carlo Emanuele nel caso del trapasso abbaziale dal Lauro al Tritonio, trattandosi di persone di somma fiducia e devote alla casa Sabauda, fu completamente consenziente e non curò di far rispettare la procedura, e se lo stesso Carlo Emanuele non oppose resistenza quando l'esempio del Lauro fu seguito dal Tritonio il quale, l'otto agosto 1606, in Roma, - notisi bene - cedette nelle mani del Pontefice Paolo V l'Abbazia di Pinerolo, alla quale dal Papa, sempre senza opposizione ducale, venne preposto il cardinale Borghese; in realtà, proprio a causa di tali cessioni e nomine, la situazione di fatto del trapasso si era venuta cambiando e la nomina dell'Abate era tornata in facoltà del Papa, mentre al duca non restava che dare o meno il <<placet>>. La ripristinata consuetudine non ebbe però il tempo di consolidarsi e venne a creare uno stato di incertezza che si rilevò pienamente più tardi quando al dominio dei Savoia seguì, in Pinerolo, quello francese. Nel 1638 infatti, dovendosi provvedere alla sede vacante dell'Abbazia pinerolese, il Papa nominò abate Gian Francesco d'Aglié parente del consigliere della duchessa Cristina. Il re di Francia, però, cui erano state spedite le bolle di nomina, non soltanto ricusò di riconoscerlo (i legami della di lui famiglia verso i Savoia, evidentemente, non gli erano graditi) e gli vietò di prenderne possesso, ma, appena morto, si affrettò a nominare abate un uomo di sua fiducia, Michelangelo Broglie fratello del maresciallo di Francia, che, a sua volta, il Papa non volle riconoscenze.
Tornando all'atto del Lauro del 27 marzo 158913, esso, come abbiamo precedentemente detto, non fu una rinuncia pura e semplice. Il mantenimento della riserva però non fu dettato da ragioni di carattere economico, come alcuni hanno supposto, in quanto nella lettera che pubblichiamo qui di seguito, vedremo che la pensione di mille scudi d'oro, a lui nominalmente spettanti, era di fatto destinata ad un raccomandato del duca; la sua riserva fu dettata dalla intenzione di riportare tutto il Pinerolese all'unità della fede cattolica. E ciò con l'abbandono dei tradizionali e violenti sistemi del tempo.
Vissuto per tanti anni a contatto di protestanti e più volte trovatosi nel pieno di sanguinose lotte religiose in Piemonte, in Francia, in Polonia, abbiamo visto che la sua ormai collaudata esperienza in materia lo portava a rigettare ogni costrizione violenta e a giudicare che le migliori armi contro i nemici del cattolicesimo rimanessero la parola persuasiva e l'esempio.
I turbolenti monaci di Pinerolo non erano certo dei buoni esempi di cristiani e perciò in quegli ultimi tempi, il Cardinale-abate aveva concepito il disegno di sostituire quei pochi e turbolenti benedettini, tanto attaccati agli interessi materiali della mensa o alla tronfia meschinità del primo posto in processione. Ma una simile operazione non poteva effettuarsi che con la presenza personale dell'Abate. Egli non avrebbe avuto nè il tempo nè più la forza di recarsi a Pinerolo solo per questo e perciò preferì rinunziare alla carica. Ma che nello stesso tempo avesse intenzione di mantenere la direzione del monastero e che considerasse il Tritonio solo come l'esecutore dei suoi ordini, ci viene attestato oltre che dalla sua ingerenza nella vita abbaziale, anche da una breve lettera scritta alla Duchessa, il 14 maggio 1589, in cui afferma di mandare il Tritonio in Piemonte per curare i <<suoi affari>> ed in altra lettera, in pari data, diretta al duca Carlo Emanuele, nella quale afferma che il suo segretario rappresenta la continuazione dei suoi sentimenti.
<<Serv.ma Sig.re,
piacque a l'Alt.za Vostra, co' una sua significarmi che le saria grato ogni volta che l'Abazia di Pinerolo si resignasse da me in favor del Tritonio, mio secretario, co' la riserva d'una pensione di mille scudi d'oro per lo s.or Don Filippino. Io, che come in gran parte riconosco tutto quello che ho da la benignità di V. Altezza, così desidero impiegarlo co' la vita propria in servizio di lei et de la Serenissima sua Casa, ho dal canto mio e da la banda di esso Tritonio eseguito quanto faceva di mestieri; resta solamente che Nostro Signore, secondo la speranza data qui al sig.or Marchese di Settimo, confermi la prefata pensione. Quanto poi a la fede, integrità et zelo del sodetto Tritonio verso il servigio di V. Alt.za, io posso prometter a l'Alt.za V. tutto quello che da lei si deve prometter da me stesso. Hora egli, in ricompensa d'esser stato accresciuto de la degnità abbaziale per la benigna cortesia di V. Alt.za, se ne viene in Savoia per dedicarle co' la persona la vita stessa, et insieme per rappresentarle al vivo la continuazione de la sincera servitù e divotion mia verso di lei; resti l'Alt.za V. servita co' la solita reale grandezza de l'animo suo, aggradir il duplicato officio che prestando a lui la medesima credenza, che farebbe a la mia stessa persona... Roma a li 14 di maggio 1589>>14.
Rinunciato al titolo d'Abate, il Lauro non mancò di far presente al Papa che nell'abbazia pinerolese vi erano soltanto 6 monaci, mentre lo spazioso territorio, privo di città ma notevole di risorse, su cui l'abate esercitava giurisdizione, avrebbe potuto ospitare uno stuolo molto più numeroso di religiosi; lo avvisava inoltre che la disciplina di quei monaci era piuttosto rilassata, mentre la vicinanza dei luoghi abitati da protestanti rendeva indispensabile che i monaci dessero esempio di fede e disciplina. Pertanto egli proponeva a sua Santità la sostituzione di quei turbolenti ed indisciplinati benedettini con monaci fogliensi, i quali, per appartenere ad un ordine di recente formazione e di maggiore disciplina, davano più fiducia di poter adempiere i difficili compiti cui erano chiamati. Il Papa Sisto V non tardò molto a prendere in considerazione la proposta del Cardinale ed in data 28 marzo 1590 lo autorizzò ad effettuare il cambiamento dei benedettini coi fogliensi cistercensi: <<qui procumbentem in eo [Monasterio] disciplinam et religionem restituere procurent, ac divina officia digne peragentes et animarum Christi fidelium salutem procurantes Altissimo famulatum praessent, ac adversus cordes naereticos Catholicae fidei propugnatores assertoresque existant, illosque in Ecclesiae graemium piis adorationibus et Catholictis intructionibus reducere satagant>>15.
Il Lauro, in conformità della bolla, precedette contro i monaci benedettini, espellendoli dal monastero dietro concessione di una pensione individuale di 40 scudi. L'esecuzione materiale venne affidata al Tritonio, che era stato da lui precedentemente convocato a Roma. L'ex segretario tornò il 1. giugno 1590 portando anche una lettera per la Duchessa Caterina: Non potendo io in presentia, come desidererei sommamente, far riverenza a l'Alt.za V. e insieme mostrarle la devotion mia verso il servigio di lei e de la Ser.ma sua Casa, ho data questa cariga a l'abbate Tritonio. Resti V. Alt.za servita co' la solita grandezza de l'animo suo aggradire tal dovuto officio, e favorirmi spesso de suoi comandamenti. Co' che bascio la real mano... Roma il primo di giugno 159016.
Il Tritonio giunse a Pinerolo verso il 20 giugno. Per il 26 successivo convocò il capitolo dei monaci, nel quale il prevosto Ressano comunicò ai 6 benedettini presenti la bolla papale, il processo con l'ordine di lasciare il monastero, e le disposizioni del Tritonio in merito. Pochi giorni dopo i benedettini <<neri>> lasciarono libera l'abbazia. Il Tritonio, seguendo le direttive del Lauro, si recò a Torino per prendere accordi coi cistercensi del monastero di S. Andrea (o della Consolata) di Torino e, il 19 luglio 1590, sempre a nome del Lauro, sottoscrisse insieme al Rev. P. Alessandro da S. Bernardo, priore del monastero torinese, l'atto di immissione dei nuovi monaci in S. Maria17.
Nel periodo di vacanza monacale tra l'allontanamento degli antichi e l'arrivo dei nuovi monaci, il Lauro prese questi altri provvedimenti: poichè per la soppressione del capitolo dei benedettini, egli, quale <<Perpetuo commendatario>>, era divenuto titolare del <<jus decimandi>> sulla cappellania di S. Caterina, con strumento dell'11 luglio cedette quei diritti a favore del suo prevosto Ressano e dei canonici della chiesa collegiata di S. Donato di Pinerolo, che lo avevano tanto sollecitato18; in secondo luogo <<Aggregò alla Curia di S. Verano una parte del reddito della mensa monacale con istrumento de l'11 medesimo mese di luglio>>, la qual cosa i monaci mai gli perdonarono19. Infine, il 3 agosto, dette in fitto per 6 anni, a cominciare dal Natale del 1590, tutte le terre attorno all'abbazia, ai sigg. Cap. Francesco Botallo e Bonifacio Nostero20.
Il fatto che questi provvedimenti portino la sottoscrizione del Tritonio non sminuisce la responsabilità del Lauro dal momento che l'abate in carica tiene sempre a chiarire di agire ad ispirazione e in nome del Lauro; ed in secondo luogo non vi è dubbio, data la loro importanza, che il Tritonio non li avrebbe presi senza averli concordati ed esserne autorizzato dal cardinale. Che del resto fosse proprio il Lauro ad agire e disporre dei beni dell'abbazia, ne abbiamo ampia prova nella lettera da lui scritta il 23 novembre 1591, da Roma, alla Duchessa, per comunicarle che la donazione di un beneficio del Pinerolese, da lui accordata a favore di un protetto della Duchessa, non era stata dichiarata valida dal giurista Trotti, per cui prometteva di poter giovare altrimenti al raccomandato ducale. Ecco come il Cardinale si giustifica dell'errore:
<<Ser.ma Sigra,
persuadendomi io che il beneficio di Miradolo fosse secolare, scrissi li giorni a dietro a V. Alt.za che volentieri mi contentavo che vi si riserbasse quella pensione che si fosse potuto, conforme alli decreti del Sacro Concilio Tridentino, per lo figliolo del Dott. Lobetto. Ma essendosi dopo per voto del Sr. Bernardo Trotto, al quale erano state rimesse le scritture, trovato il detto beneficio essere regolare in modo che non potendosi da me darsi in commenda, non possono anco li frutti essere applicati salvo che per regolari>>21.
Aggiunge perciò che farà in modo da poter giovare altrimenti al figliolo del Lobetto.
Avuta notizia della sistemazione dei nuovi monaci il Lauro, pieno di letizia e fiducioso nel fervore degli stessi, ne dà comunicazione alla città di Pinerolo con la seguente lettera:
Alli molto Magnifici Sig.ri li Sindici
de la città di Pinerolo.
Molto Magnifici Signori. Io ho ricevuto molta consolazione che da l'abate Tritonio si fossero l'anno passato introdotti ne l'Abbadia li Padri Riformati di San Bernardo; da la buona, esemplare e santa vita de' quali dovemo sperare, che ne habbiano ogni di di più a risultare li frutti, che si desiderano per l'avanzamento del culto divino in quel luogo. Hora, ritornandosene il detto Abbate per finir di stabilire l'opera ne la maniera che si conviene, non ho voluto lasciar d'accompagnarlo con questa mia, per significare tuttavia a le S. V. la prontezza che sarà in me sempre al solito d'impiegarmi con effetti per qualunque commodo e giovamento di cotesta honorata Città; e poichè nel sopra più mi rimetto al medesimo Abbate, non aggiungerò altro, eccetto che me lo raccomando con tutto l'animo, e desidero loro ogni vero contento. Di Roma, a li 26 di marzo 1591.
De le S. V. come fratello amorevole
il Card. di Mondovì22.
La sua fiducia era del resto pienamente giustificata. La prova che i nuovi monaci non rimasero passivi la si ebbe poco dopo, quando cominciarono a ricevere minaccie non soltanto verbali da parte dei valdesi e furono costretti <<due volti a fugire le reliquie de l'abazia a Turino, con le scritture, per paura delli Luterani>>23.
Egli rimase molto contento dell'attività di questi monaci verso i quali secondo il suo solito, non mancò di largheggiare; nella lista dei <<Debiti fatti>>, che il Tritonio redasse ad uso degli erdi del Lauro, si rileva <<al 22 giugno 1592 alli P. P. Bernardi per un donativo fattogli da S. Signoria Rev.ma, oltra loro provisione: scudi 96>>24.
Da questa medesima lista apprendiamo che il Cardinale, il medesimo anno, aveva fatto riparare il palazzo abbaziale di Pinerolo ed aveva fatto piantare nel giardino 200 alberi da frutto.
Il 16 dicembre 1592 Vincenzo Lauro lasciava questo mondo. Ma gli esecutori della sua volontà pretesero, a suo nome, la rendita abbaziale del 1593 senza tener dovuto conto dei diritti dell'abate Tritonio. In tal modo la sua memoria, che sarebbe dovuta vivere solo nel grato ricordo degli innumerevoli suoi beneficati, fu trascinata in tribunale ed il suo nome, invece che sulla bocca degli umili, risuonò anche su quella degli avvocati e dei giudici25.
 
 

NOTE

1 RUGGERO TRITONIO, Vita Vincentii Laurei card. Montisregalis. Bononiae, Her. G. Rossi, 1599, 80.
2 Alcune <<memorie>> di monaci danno come anno iniziale della commenda il 1586 e segnano il L. come 39° abate; cifr. MICHELE, Jacopo.
  <<Memorie dell'Abazia di S. Maria indirizzate al Rev. Mons. Broglia, abate designato: autore padre Jacopo Michele>> (E' un quinternetto con note
  storico-giuridiche composto verso il 1654, con dati non sempre precisi. Arch. Stor. Pinerolo (A. S. P.) mazzo I, fasc. I, N. 126).
3 P. CAFFARO. - Notizie e documenti sulla Chiesa Pinerolese. Pinerolo, 1893. Gran parte del primo volume di quest'opera riguarda l'abbazia di S.
  Maria, La figura del Lauro è trattata da pag, 239 in poi; però varie attività sono attribuite al Tritonio. Ricordiamo quì anche un'altra opera: J.
  CROSET-MOUCHET. L'Abbaye de Sancte Marie de Pignerol au bourg de S. Veron. Pignerol, 1845. Questi scrive dell'opera del Lauro a pgg. 40 e
  169, mettendo in rilievo la sua azione contro i Valdesi; ma anch'egli attribuisce al Tritonio parecchi provvedimenti dovuti al Lauro.
4 P. CAFFARO. - Op. cit., loc. cit. In questa fine d'anno ed al principio del successivo si nota un'accentuata richiesta, al Consiglio Maggiore di
  Pinerolo, di attestazioni di retta vita morale e religiosa da parte di alcuni canonici e preti; segno che s'era sparsa la fama che il nuovo abate era
  piuttosto rigido. A. S. P. Atti Cons. 1586, 9 gennaio.
5 T. CANAVESE. - Memoriale istorico della città di Mondovì. Id. Bres., 1855.
6 <<Sententia Ill.mi D. Bernardi Troti... anno Domini 1588, 13 Juni>>. Di tale sentenza la Biblioteca Comunale di Pinerolo possiede varie copie; una
   nel Mss. 72 al doc. 26, ed altra nella <<Raccolta di documenti antichi della città ed abbazia di Pinerolo>>, nel Mss. 35. Il Mss. 72 è formato da
   una raccolta di antichi documenti riguardante Pinerolo ed il Pinerolese, in copia autentica od in atto originale; molti di questi documenti interessano
   l'abbazia di S. Maria. Il Mss. 35, come dice il titolo, raccoglie pure documenti riguardanti la città e l'abbazia di Pinerolo; però si tratta di
   trascrizioni del principio dello scorso secolo. La sentenza del Trotti è trascritta a pg. 159.
7 CAFFARO. - Op. cit., pg. 242 (Chartarium abbatiae S. Mariae).
8 Sul gran bisogno in cui versava nel 1587 l'ospedale di S. Maria e S. Giacomo, vedi: A. S. P. mazzo 51, 9, 56; Cfr. CAFFARO,  op. cit. loc. cit.
9 A. S. P., mazzo 51, 9, 54: il quinternetto è composto da una decina di fogli scritti a caratteri irregolari e nell'interno porta, al principio, <<anno
  1584 24 maggio (?)>>, e, verso la fine, quest'altra indicazione cronologica: <<1587 et li 13 giugno>>. Il quinternetto si trova nel fascicolo
  riguardante l'ospedale di S. Giacomo.
10 A. S. P. Atti cons. 1587, 26 luglio. Nella deliberativa è stabilito: <<Sopra il sesto capo hanno hordinato et commesso alli Sigg.ri sindici di scriver
   et ringratiar l'Ill.mo et Rev.mo sig. Cardinale del Mondevì della ellemosina fatta alli poveri della presente città>>.
11 A. S. T.; Lett. Card., Mazzo 5.
12 Chartarium abbatiae S. Mariae, cit.
13 L'atto venne redatto il 27 marzo e non il 25, come sta scritto nel CAFFARO, che segue fonti dubbie. Si rileva la data del 25 dal documento
    giuridico in A. S. P., mazzo 1, I, 135 t. <<Atti vertiti avanti il Senato di Torino nella causa tra il Rev. Abb. Tritonio e cap. Francesco Botallo,
    contro li PP. Ministri dello Spedale degl'Infermi della città di Roma...>>. Quivi la data è segnata: <<Dat. in Roma l'anno 1589, li 27 marzo.
    Inclusa in altra bolla delli 27 di aprile del presente anno>>.
14 A. S. T., loc. cit.
15 Bolla originale in: A. S. P., mazzo 1, I, 2. Copie in: Mss. 43 pg. 80 e Mss. 35 pgg. 27, 34. Il Mss. 43, che contiene la <<Espositiva del Fatto
   e Rappresentanza per il capitolo de' monaci del Monistero e Chiesa Catt. della Badia di S.ta Maria di Pinerolo>> è copia, del sec XVIII, di un
   memoriale che in originale si conserva ancora nell'Archivio di Abbadia (sec. XVII).
16 A. S. T., Idem.
17 A, S. P., mazzo 1, I, 2; Mss. 35 e 43 della Biblioteca Comunale di Pinerolo.
18 A. S. P., Vol. 30 N. 1.
19 Mss. 43 pg. 80.
20 A. S. P., mazzo 1, I, 135, t.
21 A. S. P., Idem, (il 23 novembre 1591).
22 A. S. P., mazzo 1, I, N. 135 bis.
23 A. S. P., mazzo 1, I, 135, t.; l'eco di queste scorrerie si ritrova anche in altro scritto dell'epoca: <<...Questi barbari Calvinisti, i quali negli
    anni passati ebbero ardire di calare armati, et in gran numero, per la Valle di Perosa, e con arrivare fino alla detta Abbatia senza paura ne' della
    fortezza di Pinarolo, ne' del Castello che guarda l'abbatia, posero in iscompiglio ogni cosa, mettendo in necessità i monachi di raccogliere al meglio
    che potevano le reliquie di questo martire, [S. Tiberio] e riporle insieme con le altre in luogo sicuro>>. BALDESANO, Guglielmo. La sacra Historia
    Thebea, Torino, Bevilacqua, 1589, pg. 295.
24 Debiti fatti dal Rev. Sig. Abbate Tritonio come Procuratore et Luogotenente del Ill.mo sig. Cardinale del Mondovì di Fel. Memoria. Questa che è
    una lista abbastanza lunga trovasi in: A. S. P., Cat. 1, I, 135, t., nello stesso fascicolo riguardante: Atti vertiti avanti il Senato di Torino... Cit.
25 Prima il Tribunale di Roma e poi il Senato di Torino sentenziarono a favore del Tritonio.