LA MADONNA DI ROMANIA nel culto ricadese
di Giambattista Petracca-Scaglione
Il culto di Maria SS. sotto il titolo di Romania è antichissimo nella nostra Diocesi, rimontando ai tristi tempi dell'eresia iconoclasta dell'imperatore Leone Isaurico, e precisamente, stando alla cronaca del P. Francesco Sergio, all'anno 781. La bruna e bella Madonna, appellata così perchè proveniente dalla Tracia, detta allora Romania, dal nome di Nuova Roma dato da Costantino all'antica Bisanzio, suo capoluogo, è dipinta su legno di cedro, il legno celebre nella Bibbia per il suo profumo, la sua incorruttibilità e l'alto simbolo che l'albero da cui proviene racchiude. Essa pervenne miracolosamente, giusto la pia e ininterrotta tradizione, ai lidi della vicina Tropea assieme a due altri dipinti della Vergine SS., parimenti su legno, l'uno dei quali si venera nella chiesa rurale di Micalizia in Tropea, sotto il titolo di S. Maria della Neve; dell'altro, già venerato nella chiesa degli Ex-Gesuiti, da molto tempo se n'è perduta ogni traccia1. Sempre nuovo per l'eterno profumo di poesia e di pietà che tramanda è il racconto di quell'evento strepitoso. Un religiosissimo navarca, a cui forte parlava nel petto adusto e villoso di marinaro la religione sublime del Nazzareno, scampava alla nefanda persecuzione delle sacre Immagini il dipinto prodigioso, già celebre nelle plaghe orientali quale un dei pochi attribuiti all'ispirato pennello di S. Luca, l'evangelista pittore, stato uno dei primi e più fervorosi seguaci dell'invitto Paolo, l'Apostolo delle Genti2. Abbiamo anzi dalla tradizione che, delineato appena da S. Luca, il dipinto, fu, durante il sonno di costui, compito da mano angelica. Tradizione pia e semplice, s'intende, ma che sta però a provare tutta la soavità e bellezza del quadro3. Viaggia il buon navarca coi suoi compagni per lo sterminato mare, in compagnia del suo sacro tesoro alla volta di Roma4, quando, in vista di Tropea, il legno si arresta di botto ed ogni sforzo a smuoverlo, fosse pur di un dito, riesce vano. Perduta ogni ulteriore speranza di continuar la sua rotta, e quando più che mai vide che una forza soprannaturale era la causa di tanto, lascia la cassa dov'era il quadro prezioso assieme agli altri5 sul lido tropeano, affidandone la custodia al numeroso popolo che, con a capo il Vescovo e il clero, spinto da arcana possa, si era ivi riversato ad accogliere il sacro palladio, l'Immagine santa, che aveva col subito arrestarsi della nave mostrato di volere a sua stanza Tropea. La pesante nave, che tre lunghi giorni di sforzi d'ogni fatta non eran valsi a smuovere, allora, quasi fuscello in balia del vento, solca rapido il mare, involandosi in brevi istanti alle nostre terre, mentre una folla devota, in preda a una gioia indicibile, trasporta il suo sacro tesoro in città fra cantici ed inni di lode, e va a collocarlo nell'antica cattedrale di rito greco detta La Cattolica. La novità del fatto6 ripercossasi subito veloce nei paesi e terre circonvicine, il modo assolutamente prodigioso di quell'avvento, fanno acorrere a gara alla fortunata città gente d'ogni sesso e condizione, ad ammirare coi propri occhi la Mirifica Immagine. Se ne diffonde rapido il culto, e Nicotera e Motta Filocastro si fregiano pel primo, dopo Tropea, del patrocinio di Maria SS. di Romania7.
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Ed accoci all'infausto 1638, uno degli anni più calamitosi per la Calabria. Il tremuoto, il flagello dei flagelli, ritornava, dopo lunga tregua, a funestare le nostre provincie, correva il mese di marzo e reggeva i destini della Diocesi il Vescovo Ambrogio Cordova. Per ben tre notti di seguito un terrifico sogno aveva riscosso bruscamente quel Pio Prelato. Una mano misteriosa scuotevagli il braccio mentre una voce solenne gli avvisava pendere un terribile gastigo sulla città e sulla Calabria intiera: era la Vergine SS. di Romania che voleva salva la sua Tropea, il luogo da Lei prediletto e scelto a sua dimora. Era Lei che, a vigilare più pronta sui figli suoi, ordinava al Cordova che la sua effigie fosse posta sull'altare maggiore del Duomo. Dubbioso ed incerto dapprima il buon Prelato, alla terza apparizione della Madona e ad una sua intimazione ancor più solenne, pon fine ad ogni esitanza, raccoglie il suo gregge nella Cattedrale, ed, esortandolo con quella calda eloquenza, efficace ed irresistibile, perchè d'ispirazione divina, indice pubbliche e fervorose preci e la solenne processione del taumaturgo quadro per le vie della città. Chi mai può dire il raccoglimento di quella processione? Chi mai, penetrando nell'intimo dei cuori di quei che vi assistevano, ne potrebbe a pieno esprimere i vari affetti che vi si mescevano in quei momenti? Già di ritorno il devoto corteo ed in vista del Duomo, proprio nel punto dove oggi, nella facciata del Monte di Pietà una lapide, dettata dall'illustre P. Mauro Ricci delle Scuole Pie, ne fa ricordo, preceduta da un rombo cupo, sordo, misterioso, che agghiaccia a tutti il sangue nelle vene, un'orribile scossa di tremuoto si fa sentire con indicibile fracasso. All'urto violento le mura delle case si fendono largamente come per cadere, ma si rinchiudono subito con forza; parimenti le mura del Duomo si aprono, ma così da far vedere lo interno delle navate, e quasi fulmineamente si rinchiudono con gran terrore di tutto il popolo, implorante ad alte grida pietà e salvezza. Dicano le memorie del tempo i danni e le ruine di quel giorno memorando, 27 di marzo. Dicano esse le numerose, scene di terrore e di spavento, le vittime, i feriti, le città, le borgate, i villaggi subissati. Ma Tropea non pianse nessuna vittima, non deplorò alcun danno ! la sua bruna Madonna l'aveva voluto salva, e quel giorno rimasto luttuoso pel resto della Calabria, fu per Tropea invece giorno di festa e di letizia per lo scampato pericolo, e sacri le son del pari tutti i martedì dell'anno in ricordo di altro famoso tremuoto in tal giorno avvenuto, e in cui, come sempre, non ebbe a lamentar vittime.
Fu dopo sì strepitoso avvenimento che si diffuse e radicò vieppiù la venerazione a questo bel titolo della Madonna. La nostra ridente borgata, favorita di ogni più bel dono della natura si affrettò a mettersi sotto l'ala di un tanto patrocinio. L'arcipretale di S. Pietro Apostolo, dedicò a Maria SS. di Romania il vecchio altare di S. Francesco Saverio, sito a destra della navata, a fianco della porta laterale della chiesa; e i nostri padri vi vollero collocata una fedele riproduzione su tela, opera di provetto artista, del quadro taumaturgo di Tropea. Grande jattura è quella della mancanza dei registri parrocchiali dall'anno 1637 al 1670; in essi non sarà certo mancato il ricordo dell'installazione di questo bel culto in Ricadi. Nel 16908, con decreto del Vescovo Figueroa, si fondava in essa Chiesa una Confraternita laicale sotto l'invocazione della prodigiosa Immagine9. Il gentil nome di Romana, non mai usato dapprima, come da rigoroso riscontro dei libri parrocchiali e di molti altri documenti, divenne uno dei più comuni ed ambiti; e il color delle vesti della bruna Vergine di Romania, la divisa onorata di chi elegge Lei a sua speciale protettrice, e qual rendimento di grazie per voti esauditi. Da quando abbiamo poi da molteplici documenti, e principalmente dal volume delle antiche visite pastorali della Diocesi, l'affetto e la devozione a Maria SS. di Romania andaron sempre accrescendosi d'anno in anno. Larghe elemosine pel mantenimento del culto, innumeri cerei cotivi, orecchini, anelli ed altri oggetti d'oro, nonchè moltissimi d'argento, e parecchi legati di Messe al suo altare, sono la più bella espressione dell'amore dei Ricadesi a Maria, il cui patrocinio non venne d'altronde mai meno ai suoi figli10. Altri tremuoti disastrosi e non meno funesti del surricordato, quali quelli del 1659, del 1783, del 1894, a dire dei più luttuosi, travagliarono e desolarono la Calabria; ma Tropea, ma Ricadi e il suo territorio rimasero salvi ed immuni dai loro danni: Maria SS. di Romania vegliava alla loro custodia. Che dire in ultimo del recente e disastroso del memorando 8 Settembre 1905? Inorriditi, balzammo esterrefatti dal letto al tremito furioso della terra, e mentre città e paesi a noi vicini crollavano, travolgendo nelle loro ruine tante misere vite, Ricadi restò illeso; e noi, grati a Maria, ne cantammo, giubilando le lodi; e Messe e preci e voti d'ogni specie attestarono la nostra riconoscenza alla Vergine Divina di Romania. L'apostolo più zelante e fervente di questo culto in Ricadi, come in Tropea il R.mo Mons. Decano D. Giuseppe Maria Barone, degnissimo Vicario Generale della Diocesi, fu il R.mo Arciprete Dott. D. Pasquale Petracca, uomo che alla fede più viva e allo studio profondo delle sacre e profane discipline, univa il cuore di un poeta e la mente d'un artista delicato e gentile11. Egli consacrò i suoi quarantadue anni di Arcipretura ad un solo e nobile ideale, quello del culto alla Vergine SS. di Romania, e per questo ideale volle trasformata nella più bella chiesa della Diocesi la piccola e disadorna chiesa di S. Pietro12. In questo tempio, che or s'impone all'ammirazione e alla devozione dei fedeli per la sua vastitò, per la sua eleganza e magnificenza, domina regina dall'altare maggiore, ove la volle collocata, la Vergine di Romania, togliendola dalla piccola cappella13. Da quell'altare sorride benigna ai figli suoi, che riposano sicuri d'ogni danno sotto il suo manto materno, e guarda pietosa e dolce insieme il luogo ove dorme il pio e dotto Arciprete, che desiderò la propria tomba senza fregi e senz'ornamenti, a sinistra dell'altare, pago solo di riposare all'ombra del patrocinio di Maria e di quello di S. Pietro, il tutelare della Chiesa. In nessun luogo del vasto tempio, su nessun oggetto che ivi si trova, vedrete apposto il nome del buono e santo Arciprete, in questi tempi che la vanità si fa scala di tutto, pur di mostrarsi ed imporsi; ma il suo dolce ricordo appare dovunque: è il suo nobile e gentil cuore che palpita ancora per l'ampia navata, che vi parla dappertutto così nella voce delle campane come nelle note dell'organo, per ogni angolo e recesso del sacro edifizio; e nessuno, nessuno passa davanti a questa Chiesa senza ricordarsi di Lui, senza mandargli un mesto saluto, senza mormorare una prece alla sua memoria !
NOTE
1 Il P. Sergio, che scriveva le sue Cronica Collectanea nel 1720 e cessava di vivere nel 1727, ricorda esistente il quadro in parola nella chiesa degli Ex Gesuiti, già antica cattedrale.
2 Senza star qui a rivangare la vexata quaestio dell'essere o non stato pittore l'evangelista S. Luca, ricordiamo solo che, per l'affermativa, oltre la lunga tradizione, stanno vecchie e diverse testimonianze, a cominciare dal VI secolo, se non più in là. Se per molti quadri attribuiti a S. Luca si ha appoggio a negarne la remota antichità, nella confusione nata tra l'evangelista e un tal Luca Santo, pittore italiano del secolo XI, ciò giudichiamo non potersi applicare al nostro dipinto a niun conto, vuoi per la certa provenienza orientale come si rileva dal titolo, vuoi per l'antichità della tradizione e la parte importante avuta da Teodoro Vescovo di Tropea nel secondo concilio Niceno.
3 Haec sacrosanta Imago Dei Genitricis Mariae cum filio suo graeco more depicta a Divo Luca Evangelista depicta fuisse fertur ad istantiam cuiusdam magni Principis, quam delineatam in tabula reliquit, et nimio sopore sopitus, postea sommo correptas, eam iam pennicillis divinis et manu superni artificis elaboratam invenit. Sergio, Chr. Collec. lib. III, cap. I.
4 Romam deferenda erat cuidam magno romano principi. Sergio, Chr. Collec. loc. cit.
5 Detecta arca tres immagines in tabula depictas invenerunt, tria testimonia sive tres certificationes in ea repertae sunt originem reddentes suae structurae. Sergio, Chr. Collec. loc. cit.
6 L'essere state tre le immagini ed uguale, su per giù, la tradizione tropeana ad altre di simil genere che corrono in vari luoghi di Calabria, rendono più prossima al vero l'opinione del più volte citato P. Sergio, il quale giudica portato in Tropea il siulacro di Maria di Romania o dal Vescovo Teodoro suddetto, di ritorno dal concilio Niceno, o dai Basiliani, che allora contavano innumerevoli cenobi nelle nostre Provincie, molti dei quali nella nostra Diocesi. Notiamo questo per debito di storica esattezza, serbando sempre il dovuto rispetto alla comune tradizione.
7 La cattedrale di Nicotera conservò fino al secolo XVI a titolare Maria SS. di Romania. Restaurata allora la chiesa, fu dedicata a Maria SS. Assunta. A Motta Filocastro, invece di una riproduzione in pittura, si venera la immagine prodigiosa, effigiata in statua.
8 Ricaviamo la data dal relativo Regio Assenso, conservato tuttora dalla confraternita nella pergamena originale.
9 <<Cum decreto Ill.mi Domini Episcopi pro tempore.... ut subiaaceat visitationi et correctioni ipsius Domini Episcopi pro tempore, et reddat computa raddituum singulis annis >>. Dal volume delle antiche visite pastorali della Diocesi.
10 Dal citato vol. delle visite pastorali spigoliamo queste altre notizie. <<Colli cerei numero sette votivi alla Cappella della Romania si facci un calice per detta Cap.la>>. Visita del Vescovo Viglini del 1730. L'altare della Madonna di Romania fu trovato decentemente ornato. Vi è il peso di una messa settimanale per le anime del Purgatorio e così altro onere di ventisei messe l'anno anche per le anime del Purgatorio e finalmente un legato di una messa settimanale di Lorenzo Pontoriero. V'è la confraternita, i cui ascritti pagano <<asses quindecim>> annualmente. Visita di Mons. Pau del 1767. Le rendite della Cappella erano nel 1777 - giusto una relazione fatta alla Curia in quell'anno dall'arciprete Melidoni - di quattordici ducati e trenta grana, pari a un dì presso a sessantuna delle nostre lire. V'era poi un unico legato di settantasette messe. Antiche d'assai, forse della prima metà del secolo XVIII, sono le due corone d'argento della Madonna e del Bambino. Il rimescolamento dell'asse ecclesiastico, avvenuto colla istituzione della Cassa Sacra, dopo il tremuoto del 1783 e la susseguente occupazione militare del Napolitano, da parte dei Francesi annientarono i legati di messe di cui sopra; sicchè oggi non ne avanza più alcuno.
11 Il Petracca, già stato Arciprete di S. Zaccaria nello stesso Ricadi dal 1841 al 1845, resse la chiesa di S. Pietro dal 1846 al Novembre 1888, epoca della sua morte. Il più bello elogio della sua sollecitudine pastorale, è contenuto nelle seguenti parole dal Vescovo Franchini, parole che leggonsi nel già citato volume delle Visite Pastorali. Sibi (il Franchini) complacuit ac magnopere solertiam Archipresbyteri laude prosecutus est.
12 Molti vecchi ricordano ancora lo squallore dell'antica chiesuola, di proporzioni assai modeste, col soffitto dalle tavole sdrucite e sconnese, col pavimento smattonato e appena tre soli disadorni altarini e due ben piccole porte laterali, piene di fessure. E' una vera instauratio ab imis fundamentis l'opera sapiente del R.mo Arciprete Petracca, benemerito pure per i grandi miglioramenti apportati alle rendite della parrocchia con non lievi sacrifizi pecuniari.
13 L'altare, semplicissimo, era decorato da due colonne a spirale di pietra, dipinte. Rimosso il quadro di Maria SS. di Romania, la cappella fu dedicata alla Vergine del Carmine, una graziosa effigie della quale fu appositamente eseguita dal fratello dell'Arciprete Petracca, artista di merito non comune ed ingegno ultiforme e versatilissimo.