NARRAZIONE DELLA PRODIGIOSA VENUTA IN TROPEA DI UN ANTICHISSIMO QUADRO DELLA BEATISSIMA IMMACOLATA VERGINE DETTO DELLA ROMANIA Scritta per ordine dell'illustrissimo e reverendissimo Vescovo D. Luigi Vaccari dal Sacerdote Giuseppe M.a Barone (1876)
Nell'antica nobile e fedelissima1 città di Tropea, la cui conversione al Cattolicesimo risale ai primordii medesimi dell'Era Cristiana2, come la sua fondazione si perde nelle epoche favolose, si venera un'antichissima immagine della Madre di Dio e degli uomini su tavola incorruttibile, e quivi arrivata per via affatto prodigiosa3. Fuvvi tempo, in cui in Oriente la potenza di un Imperatore, di Leone Isaurico, proscrisse il culto delle sacre immagini4 malgrado che s. Germano, dotto e zelante Patriarca di Costantinopoli e capo della Chiesa Orientale, gli si opponesse e ne stigmatizzase la nuova dottrina e colla parola, e collo scritto, e col soffrire deposizione, oltraggi e pene di tutte sorti; malgrado che il decreto imperiale5 venisse opposto e contraddetto nell'Oriente istesso6; malgrado che l'Italia (Impero occidentale) calpestasse ed infrangesse in vece le immagini e le statue medesime dell'Imperatore, e tenesse in maggior venerazione quelle di Gesù Cristo, di Maria santissima e dei Santi; malgrado, che il Papa Gregorio II non cessasse di anatemizzare il fiero Iconoclasta disprezzando e mettendo in non cale le insidie, che costui, come persona rotta7 ad ogni vizio veniva tendendo alla sua vita, le sante immagini finirono in quel vasto Impero per essere gittate, rotte, calpestate, arse, vilipese. Dalla Romania,8 e propriamente da Napoli di Romania, provincia dell'Impero Ottomano, veleggiava pel mar Tirreno un pilota, il quale avea presso di sè l'immagine, onde è qui parola, scampata dal crudele editto. Prospero era stato il viaggio; lasciando le coste di Romania aveva felicemente corso il mare Egeo, l'Arcipelago Greco ed il mare che mugghia fra Scilla e Cariddi. Portato nelle acque che lambiscono le mura di Tropea vide divenire immobile nel mobile elemento la sua nave, comechè sereno fosse il mare, secondo il venticello; comechè s'avesse spiegate tutte le vele, e non impacciata la via da secca alcuna, o da alcun bassofondo. Cercò allora di dare un nuovo abbrivo; raddoppiò di mezzi e di sforzi; esaurì ogni sua potenza. Fu ogni cosa inutilmente sprecata. La nave divenne saldissima torre. L'inesplicabile caso sbalordì il povero pilota ed in uno impensierì i tropeani, che da più di un giorno ne miravano la novità. Il Magistrato che reggeva la cosa pubblica in Tropea pensando, che qualche sinistro avesse incolto il legno, mandava ad offerirgli il suo soccorso. Allora il pilota di rimando diceva << Che a modo suo di vedere la sua nave non era ivi trattenuta da forza naturale; ma che in vece volontà affatto divina in quel punto ne la inchiodava; che portando egli un'effigie di Maria SS. presentiva, che la Madre di Dio aveva scelto per la sua stanza la Città, che stavagli di rimpetto >>. In men che il dico la novella fece il giro della Città. Lieti, lietissimi, il Vescovo, ed i cittadini d'ogni ordine senza por tempo in mezzo corsero alla marina, e nell'estasi della consolazione si ricevettero la sacra immagine, qual pegno di speciale predilezione; quindi processionalmente fra gl'inni ed i cantici dell'allegrezza in sulle braccia la portarono al Duomo, e depositaronla nel Coro, ove il Capitolo era obbligato a salmeggiare tre volte al dì9. Il quadrante del tempo era per segnare quel momento, in cui doveasi scoccare un dardo della vendetta divina. Una stilla dell'arroventato calice della giustizia di Dio era per versarsi sulle belle contrade calabresi, i cui falli avevano colma la misura segnata dalla divina misericordia. Era anco per arrivare il momento, in cui la Madre di Dio dovea mostrare il pregio di sua protezione alla città che prescelse per sua; si presentò perciò in sogno al devoto Vescovo, che allora reggeva i religiosi destini della tropeana Chiesa; gli predisse il prossimo divino gastigo ed ordinò, che sul massimo altare della Cattedrale collocasse la sua immagine, da sì lontana parte venuta, coll'espressa dichiarazione, che sarebbe perpetuamente lo scudo e la difesa della sua Tropea. Destatosi il buon pastore giudicò per vana la visione notturna, quantunque in essa ben si sapeva che Dio a quando a quando suole parlare ai figliuoli dell'uomo. Si replicò il sogno la seguente notte; ma non mutò di giudizio il Vescovo. Quando non più placida e serena, ma fra dispiacenza e sollecitudine atteggiata il volto, Maria apparve la terza notte, afferrò pel braccio il Cordova10 e con voce sollecita e severa gli rinnovellò il comando, ne ripetè le promesse. Tutto spaventato si svegliò allora il Vescovo; riconobbe ad evidenza la gravezza dell'obbligo impostogli, e per meglio sdebitarsene indisse una pubblica e solenne processione di penitenza, girandosi per tutte le vie della Città la sacra Immagine prima che la s'acconciasse sull'altare maggiore, ove oggi è sita. In quello in cui era di ritorno la processione, e propriamente in quello in cui si era giunto dinanzi al Monte di Pietà a pochi passi del Duomo, la terra tremò di un moto spaventevole, teterrimo; d'un moto che adeguò al suolo palagi, e tegurii sepellendo a migliaia morti e morenti nelle città e nelle borgate vicine e lontane. Solo di Tropea non cadde una pietra, non si pianse una vittima11. Da questo giorno, che fa il 27 marzo del 1638, la divozione dei tropeani inverso Maria SS. della Romania12 è venuta sempre crescendo; da questo giorno le Cronache tropeane presentano una dolce gara fra Maria, che versa a piene mani le sue grazie su di Tropea, e Tropea, che si studia con tutte le forze ad onorare Maria di un culto special; fra Maria, che non lascia dal dichiarare per città tutta sua Tropea, e Tropea, che non finisce di venerare e bandire ai quattro venti per sua madre Maria; da questo giorno sì memorando possiamo noi tutti ridire i favori, onde Maria è stata ed è tuttora larga inverso Tropea? Non è la divozione per tanta divinissima Madre, non è la carità pel natio luogo, non il piacere della propria gloria, che ci potesse mai far peccare d'iperbole. No! Se inorgogliamo per tanta predilezione, non per questo mentiremmo; non per questo alteremmo d'un iota quei fatti, che son pur conti a vicini ed a lontani, ed autenticati in cento e mille guise; quei fatti, che alla giornata si rinnovellano. Quante volte la ferrea mano di Dio s'aggravò sulle nostre province? Quante volte si videro al tremar della terra aprirsi spaventevoli voragini e rimanere ingoiate città e villaggi? Quante volte la civil discordia arrecò intorno a noi lo spavento ed il lutto? Quante volte i morbi e le pesti fecero delle città nostre vicine tante tombe? Quante pubbliche calamità le Cronache calabresi non hanno registrato? Chi ricorda mai? In qual memoria troverà scritto che Tropea ebbe a soffrire cosa infra tanta congerie di mali? La sarebbe in vece opera di grossi volumi individuare tutte le grazie e pubbliche, e private concesse ai suoi tropeani da Maria SS. della Romania. Di tutto ciò che siamo venuti asserendo ci si domanderà certamente le pruove da un secolo, il quale, perchè corrotto, tenta di spargere di dubbio, se non di ridicolo le verità più salde e più loculente di nostra sacrosanta Religione; da un secolo, che non saprebbe credere sull'altrui parola. Però, buon per noi, che ad ogni sillaba del nostro asserto possiamo assegnare una pruova. Gli scrittori delle cose patrie, la tradizione, i monumenti, la storia contemporanea, che noi v'invocheremo in testimonianza, i fatti presenti visibili a tutti, che saremo per soggiungere, son tale cosa da persuadere anco colui di cui si disse << Etiam cum persuaseris non persuadebis >>. Gli scittori delle cose patrie Il P. Fiore nella sua Calabria Santa annovera la nostra fra le immagini prodigiose, come il P. Montorio nel suo Zodiaco Mariano la predica per una delle più miracolose delle provincie Napolitane13. L'abate Sergio nel suo manoscritto Collectanea Cronologica de civitate Tropaeae ab urbe condita usque ad annum 1720; ed il P. Maestro Crescente nel suo libro intitolato Liber Fastorum Tropaeae ricordano i fatti da noi accennati14. Tutt'i Sinodi diocesani ci tramandano sì fausto avvenimento, e ci piace per tutti essi riferire le sole parole che si leggono nella prima pagina del Sinodo celebrato dal Vescovo F. Francesco de Figueroa nel XVI secolo; poichè nel loro laconismo dicono più di quello, che le nostre parole han detto e saranno per dire. << Potentissimo tuo patrocinio, totius Orbis Regina, fideles omnes qui te sub speciali Romaniae titulo veneramur, hanc nostram Diocesanam Synodum humiliter consecramus. Tuam enim depictam tabulam, uti nostram convivem, Patronam colimus. Credibile quippe videtur, te Roma in Thraciam, Constantini tempore, a quo Romania dicta est, translatam, et ob corruptos ibi Religionis mores illam effugisse, sedemque tibi aptam alicubi deligere destinasse; quapropter celebriora fere Europae maria, terrasque navigando, Bosphorum, Thracium, Propontidem, Ellespontum, et inter Graeciam, ac Natoliam innumeris prope Insulis, et praeclarissimis urbibus insigne Aegeum mare reliquisti; deinde per nostram Italiam, in qua firmata Orthodoxae Fidei conspicitur sedes, Ionium, sive Adriaticum mare celeberrima Trinacriae oppida, et Farum transeundo, ubi primum ad Tropaeana littora appulisti, hanc protegendam urbem, uti concivium tuorum matrem, quia a Romanis descendemtium, tu Romana, mirabiliter curasti; iure igitur Tropaea, a te sedes electa est; non relicta Thracia, quae Martis filia gloriatur, haec sola Civitas ob Africani Martis trophaea ostendatur erecta; hanc tuere, et a quocumque malo, quod per Adae culpam posteritati trasmissum cernitur, uti filiam, quae tot titulis te Matrem ubique veneratur, ut iam olim defendisti, benigno in posterum favore prosequere, a temetipsa namque hoc anagrammatice dicis ex themate. Beata Deipara Virgo de Romania. Ab ira divina Adae Tropeam rego. >> Se dopo di aver rimandato i nostri lettori a leggere eglino medesimi quanto si trova scritto negli altri Sinodi, quasi tutti dati per le stampe, volessimo scendere a consultare gli stessi direttorii pel divino uffizio, troveremmo per essi confirmata la nostra narrazione. In uno, che per caso ci è venuto tra le mani, stampato per ordine del Vescovo Guglielmini l'an. 1748, si legge << Hodie (27 Marzo) post Vesperas, solemnis fit processio per totam Civitatem, in qua exponitur imago antiquissima Beatae Mariae Virginis, depicta a S. Luca et mirabiliter in Civitatem adventa...... et in missa solemni cantatur. Te Deum ob servatam Civitatem a terremotu anno 1638 >>. Se facesse alla bisogna, potremmo ricorrere ad altri scrittori e ad altri scritti, ma poichè esaurito questo capo, ce ne dispensiamo. La Tradizione Noi vecchi abbiamo raccolto ciò che solennemente asseriamo dalla bocca dei nostri genitori, i quali nel accontarcelo, quando ci avevano attorno a loro raccolto, commovevansi fino alle lacrime e ci asserivano che colla medesima emozione l'ebbero narrato dai padri loro, da cui avevano anco imparata la canzone, che celebra il fausto avvenimento, come ad un simbolo di fede15. E noi come a sacro deposito abbiamo già tutto trasmesso nella mente e nel cuore dei nostri nipotini, cui, se fu Maria il primo nome che insegnammo a balbutire, fu a Maria della Romania che facemmo consacrare i primi moti del tenerello cuore, e la divozione e la riconoscenza a tanta celeste predilezione, sarà l'ultima parola che essi ascolteranno dal nostro labro moribondo. Il dovere di narratore ci nega di poter ricordare i caratteri della tradizione e dimostrarli tutti avverati nella nostra, comechè di buona veglia vi avremmo messo mano all'opera, perciò ci è giuocoforza progredire sul semplice nostro assunto. I Monumenti Per primo vengono le vecchie pitture, che nelle case nostre si conservano, nelle quali v'è dipinta la nave, onde si disbarca la s. effigie e la si consegna ad un immenso popolo, che riverente genuflesso in sulla marina se la riceve; o in cui è effigiata Maria SS. che sveglia il Vescovo Cordova - Il magnifico altare di marmo eretto sul distrutto, ch'era di semplice stucco. Il quadro della Madonna della Romania sostituito a quello dell'Assunta, al cui titolo era dedicata la Cattedrale. La divozione di tutto il popolo d'imporsi da sè, da immemorabile tempo, festivo di doppio precetto il dì 27 marzo d'ogni anno. Il privilegio implorato ed ottenuto dalla sacra Congregazione dei Riti fin dal febbraio del 1723, onde questa festa fosse trasferita col doppio precetto il primo giorno dopo la domenica in albis in quell'anno che il 27 marzo ricade di venerdì o sabato santo. Questo giorno festeggiato con entusiasmo e divozione tale, da rimanere numericamente pochi coloro che non si accostano all'altare, ai piedi stessi di Maria SS., per cibarsi della carne immacolata di Gesù Cristo, ch'è pur la carne dell'istessa sua madre: Caro Christi caro est Mariae. I sette sabati, il novenario precedenti sì solennissimo giorno, che attirano attorno a quest'area santa tutta Tropea. La sua vigilia onorata colla speciale divozione di passarla dal sorgere al tramontare del giorno in Chiesa recitando preci da quanti ( e sono a centinaia ) hanno ricevuto grazie speciali dalla Vergine SS. infra l'anno. Il sontuoso giro che in questo medesimo giorno si fa per tutte le vie di questo venerabile quadro, pel quale fin dall'anno 1660 il vescovo Carlo Maranta fece incidere e dorare una splendida barella. Il Te Deum che il Capitolo intuona appena in questo giro l'immagine arriva nel punto medesimo, in cui era il 27 marzo 1638, quando si avverò quel terremoto predetto da Maria al Cordova. Gli obblighi, onde spontaneamente si gravò il Capitolo, e di recitare dinanzi a questa sacra reliquia in perpetuum una terza parte di rosario tutt'i martedì dell'anno, perchè martedì era il 27 marzo del 1638,16 prima che il popolo dopo compieta recitasse, come è costume ogni giorno, la sua; e di cantare tutti i sabati l'uffizio piccolo della B. V., al cui canto, come al canto delle Litanie Lauterane, che seguono immediatamente, assiste buona parte della popolazione. Una speciale campana, la massima delle quattro della torre della Cattedrale, fusa sotto il reggimento del Vescovo Monforte, nella quale i tropeani di tutti gli ordini nell'atto di fondersi gittarono argento e rame immenso, onde acquistò il sorprendente suono ch'ha,17 cui nell'essere benedetta e consacrata si volle imposto il nome di Romana; campana, che suonata a stormo ha la virtù di calmare la tempesta, allorchè qualche nave corre pericolo di naufragio nelle onde fortunose del sottoposto mare. Essi son tutti vecchi monumenti, che eloquentemente attestano la verità della nostra narrazione, la quale sempre più vien confermata dalle cose che saremo per soggiungere. La storia contemporanea Non ricordiamo, perchè cosa ben nota a lontani ed a vicini, la protezione, che Maria SS. della Romania accordava a Tropea quando allo scorcio del secolo passato Dio gittò uno sguardo disdegnoso su questa estrema parte delle Calabrie e la terra tremò spaventevolmente di tutt'i moti, ondolatorio, sussultario, vorticoso, di compressione, di rimbalzo; ed al primo muoversi della terra il 5 febbraio del 1783 crollarono o rimaser cadenti gli edifizii delle città vicine, furono seppelliti meglio che 30000 morti e più che il triplo numero di morenti invocava sotto le macerie come a sollievo la morte; e Tropea sola non vide crollate le sue vetusta mura, nè caduti i suoi palaggi; ella sola non pianse una vittima. Non ci è possibile in breve scritto ricordare tutti gli altri tratti di protezione accordata in tutte le calamità, che quell'epoca memoranda seguirono. Fermiamoci ai tempi a noi più vicini. Il 1837 da Napoli, afflitta e decimata dal colera asiatico, approdava al nostro lido una nave a vela, carica di fuggitivi la ferocia del prepotente morbo. Quantunque in apparenza ottima la salute di tutti essi e partiti a molti giorni dalla città appestata, pure si pensò collocarli in luogo di osservazione; poichè la scienza non è ancora giunta a conoscere i morbi nello stato d'incumbazione. Nell'esperimento ammalò di colera Antonia Romeo; ammalò e si muorì. Fu quello un momento di perplessità suprema pei tropeani. Temeva ognuno che il caso non rimanesse solo; si volsero perciò tutti a Colei, sotto la cui tutela promise di tener sempre Tropea, a Maria SS. della Romania, votandole un bel lampadario d'argento, il quale pende dinanzi la sua effigie testimone dell'ottenuta liberazione. Il desolante morbo non cessò di ripetere le sue più che moleste visite non solo a Napoli, ma a città ed a terre a noi vicinissime. Però Maria ne serbò sempre incolume la sua Tropea. La serbò il 1868 quando il colera stava proprio per essere intromesso infra le sue mura. Vincenzo Annaccarato nostro concittadino, giunto a Pizzo affetto già di colera, s'avviò pella sua patria col proposito di entrare di soppiatto in propria casa. Era giunto fino alla fiumana della Grazia, luogo dalle mura della città distante non più che mezzo chilometro, quando l'asino che il portava s'arrestò; nè valsero tutte le spinte e le frustature date dal condottiero con tutta la sua forza a fargli dare un passo innanzi. Lo si fece riposare supponendolo stanco, quindi si ritornò all'impegno; ma la si fu tutta opera sprecata in vano: l'asino era divenuto di macigno. All'Annaccarato mancavano le forze a proseguire coi proprii piedi quell'ultimo tratto di via. Fu mecessità al condottiere dell'asino di rifare la sua strada precipitosamente per non rimanere in contumacia, e l'asino si prestò a meraviglia a fargli divorare la via; fu quindi mestieri all'Annaccarato di scoprire il triste caso. Se dall'autorità municipale si corse in su il luogo, si riconobbe affetto di colera il malcapitato, e lo isolò in una casetta rurale colà stesso sita in uno a Romana18 Meligrana, sua suocera, venuta in aiuto del genero; dal popolo si ricorse alla sua ordinaria divina difesa. Esso finiva in tutte le ore del giorno dinanzi all'effigie miracolosa della sua Madonna della Romania e commosso pregava, pregava. L'Annaccarato intanto finiva di vivere, s'ammalava la Meligrana. Ognuno avrebbe paventato in vista del male che propagavasi; ma il cuore di ogni tropeano era più fidente dell'istraelita a canto dell'arca del Signore. Egli sperò che non avesse demeritata quella protezione che in ogni tempo Maria per mezzo del Cordova gli avea promessa, e non in vano si sperava. Morta la Meligrana, il male s'arrestò. Chi, se non Maria SS. della Romania liberò anche questa volta la sua Tropea da sì pestifero malore? Oh! lo sanno i tropeani che per tanta visibile accordata protezione ancora le rendono sentitissime azioni di grazie! Finiamola! Diremmo breve e meglio di qualunque prolissa narrazione, se in tutte le calamità facciamo dire a Tropea una laconica parola, se le mettiamo in bocca questo sol motto << Son protetta da Maria, nessun mi tocca >>19. I fatti presenti visibili a tutti Se evvi qualcheduno, che leggendo questa storica narrazione fosse tentato di accusarci di troppo entusiasmo, noi non lo rimanderemmo a leggere tutta questa medesima istoria ristretta in tre leggende20 ed in due inni21 approvati pella recita del divino uffizio del Clero di Tropea, a domanda del dottissimo Vescovo De Simone, dal Pontefice di Maria Immacolata, dal Pontefice, che non morrà, da Pio IX; lo pregheremmo in vece di sospendere per un momento di giudicarci. Venga a Tropea, osservi prima e poi..... pronunzii il suo verdetto. Osservi prima come la divozione dei tropeani inverso Maria SS. della Romania non è speciale, ma specialissima. Prima di recarsi al Duomo a venerare sì insigne e cara reliquia, giri tutte le nostre strade, chè troverà l'immagine della Madonna nostra dipinta sulle esterne pareti delle nostre case, dinanzi a cui la sera ardendo una lampada, si raduna la gente volgare a sciogliere la sua prece. Penetri nelle nostre stanze ed in ognuna troverà l'effigie della Madonna della Romania; la troverà sulla persona di tutti, che quall'egida noi portiamo notte e giorno. Ovunque s'imbatterà in un tropeano, egli senza tema di fallire a questo segno può ben ravvisarlo meglio di quello che puotevasi riconoscere dal tau l'ebreo. Ovunque incontrerà qualche piccola colonia tropeana, ivi vedrà eretto un altare alla Madonna della Romania22. Osservi il nostro abbigliamento e troverà le vesti delle donne del colore dell'abito, ond'è vestita l'immagine che veneriamo; il petto degli uomini coverto dell'istesso panno23. Guardi tutti noi quando processionalmente accompagniamo sì splendido simulacro; chè ci vedrà più riverenti e raccolti dappresso l'immagine della Madre, che seguendo il sacrosanto corpo del suo dilettissimo divino Figliuolo. Se ci mira nel volto commosso a quell'angusta presenza, apprenderà quanto amiamo questo inestimabile tesoro; se nei piedi24 o ignudi, o coverti di sola calza, nel portamento umile e dimesso di tutta la persona, saprà quanto il veneriamo. Interroghi del loro nome le nostre donne e ne troverà una e due in tutte le famiglie fregiate di quello di Romana in ossequio della Madonna della Romania25. Tratti alla dimestica con tutti noi. Si incontrerà in molti che bestemmiano il nome SS. di Dio e dei Santi suoi, ma non in uno che bestemmiasse il dolcissimo e divinissimo nome di Maria della Romania. S'imbatterà in taluni dinanzi ai quali Lutero, Calvino, Voltaire, Rossau, Strauss, Renan, e tutt'i corrifei dell'empietà appariranno un nonnulla. Essi gli diranno di tali cose, da fargli credere che la loro miseredenza non ha pari. Ebbene a tutti costoro, niuno escluso, pronunzii il solo nome di Madonna della Romania e vegga, se non piegheranno per riverenza il capo; vegga se sulla loro persona non hanno la sua immagine; avverta se vogliono quistioni su questa loro divozione. Avvicinisi ora all'altare sul quale, come a suo trono, è sita sì mirabile effigie. Se gli atti della santa visita del Vescovo D. Girolamo De Rusticis, il quale resse la nostra Chiesa sono ormai tre secoli, ci attestano che Maria SS. della Romania s'aveva a sè devota la città, e tre secoli dietro non era ancora apparsa al Cordova, cui prometteva eterna la sua protezione inverso Tropea; la riconoscenza dei tropeani a tanto singolare favore lungi di essere attenuata dal progresso del tempo, è venuta sempre più a rinvigorirsi; vegga ognuno la continuazione di questo asserto nei ceri ardenti, onde troverà sempre circondata la nostra effigie, espressione del nostro amore e della nostra riconoscenza per Lei, che elesse per sua sede la patria nostra; vegga su quell'ara benedetta sempre sacerdoti che celebrano il gran sacrifizio od in rendimento delle grazie ricevute, o per impetrarne nuove; vegga fra gli altri voti, di cui quel quadro è adorno, la bella e ricca collana, che il nostro buon Pastore D. Filippo De Simone regalava alla Madonna nostra, sciogliendo così il voto, che a Lei faceva, quando caduto nelle vicinanze di Acri sua patria in mano di un'orda brigantesca, non è ancora compiuto il terzo lustro, si rivolse col cuore, chè nel potea col labro, a Maria SS. della Romania, le domandò la sua liberazione e ne venne prodigiosamente liberato senza soffrire onta, disagio o danni pecuniarii, senza essere rimasto in mano a quei masnadieri che una brevissima ora; vegga dinanzi al suo altare quanta gente prega grazie, e quanta ringrazia delle grazie ricevute; vegga quando il tropeano profferisce il nome di Madonna della Romania, od il sente profferire; vegga quando ne guarda l'immagine, quando gli occhi dei figli s'incontrano in quelli della madre, gli occhi di Maria in quelli dei suoi beniamini; vegga...... chè dirà: Che Maria è tutta di Tropea, e Tropea tutta di Maria. Amico, chiunque tu sii che leggerai questa storica narrazione, se ti viene a sospettare di sua esattezza, ti preghiamo: Vieni tu stesso a Tropea, osserva coi tuoi occhi, tocca colle tue proprie mani; vieni, guarda tu stesso il quadro della Madonna nostra, fisa i suoi occhi; essi son parlanti; essi ti diranno come sono aperti e vigili su di Tropea; fisali, chè ti molceranno il cuore ad un santo affetto; fisali, chè rimarrai anco tu di lei innamorato.
NOTE 1 Si disputa fra gli storici e gli eruditi sull'etimologia del nome Tropea, quindi sulla sua origine e sull'epoca di sua fondazione. Chi la pretende fabbricata dagli Ausoni, chi dagli Enotri; chi la vuole fondata da Ercole, la cui clava mietitrice le sette teste dell'itra, che tentava combatterlo, si vede incisa sulla sommità del palazzo dell'antico sedile; e Porto Ercole è chiamato da Plinio e da Strabone il porto che Tropea si avea, i cui ruderi sono ancora oggi visibili. Sonovi di coloro che la stabiliscono fabbricata da Scipione Africano, il quale reduce da Cartagine da lui soggiogata e distrutta, quivi prese terra e trionfò, chiamando Trophaea (donde Tropea), la città del suo trionfo. I sostenitori di questa opinione si appoggiano all'autorità di Jeno Parrasio, il quale lasciò scritto di Scipione <<Venit Vaticana ( e Tropea è sita da presso il Capo Vaticano ) ibique triumphum egit, et civitatem condidit ejusdem nominis; come chi la disse fondata da Ercole invoca l'autorità del Frezza, il quale scrisse << Tropaea nobilis civitas, loci amoenitate insignis, Portus Herculis dicta >>. Queste parole sono sorrette da Dionisio Alicarnasso che asserisce << Hercules classe in Italiam advexit, ac Calabriam petens, oppida quaedam illic extruxit ut est primum omnium Herculeum, portus Herculis >>. Non mancano in fine di coloro che asseriscono aver questa città origine e nome greco dalla parola tropos che vale retroversione; poichè qui ritorce la corrente, che uscendo dal faro di Messina circuisce il golfo Nepetino, oggi detto di S. Eufemia. Chi bramasse approfondire tal controversia legga la disertazione del P. Barone della Compagnia di Gesù, che precede la vita di S, Domenica e consulti tutt'i non pochi autori da quell'eruditissimo padre citati. Checche sia di tutte queste diverse opinioni; niuno può negarle la sua antichità, la nobiltà sua, se i suoi monumenti, le sue istituzioni, i suoi ordini; se tutto ciò che le sopravanza dall'antichità; se i privilegi, le esenzioni, i titoli di fedelissima accordatile dai varii Sovrani; i suoi uomini sommi nelle scienze e nelle arti, i suoi dignitarii, Cardinali, Vescovi, Generali, Capitani, Magistrati, uomini di Stato per tale l'attestano. 2 Nei primi Concili, che la Chiesa celebrò, v'intervennero Vescovi della Diocesi di Tropea. Nel Barrio ( opera excepta fol. 149 Romae 1571 ) si legge: Thaeodorus Episcopus Tropiensis interfuit Synodo Nicenae secundae, et Laurentius Episcopus Tropiensis interfuit Synodo Romanae sub Symmacho Papa. Nel Marafioti ( Cronache ed antichità della Calabria edite in Padova nell'an. 1601 ) abbiamo: << Nel castello della città di Tropea si vede una cappella, la quale per certo numero antico, dimostra di essere stata fabbricata già milledugento anni; onde bisogna dire che Tropea sia antichissima nella fede di G. C. >> Delira chi invido di tanta gloria va collo spicillo trovando come opporsi a tanta autorità. Nell'offerta persecuzione, che Diocleziano sosteneva contro il Cristianesimo, Tropea era tanto cristiana, che la Tropeana Domenica sostenne esilio, prigionia, scherni, fiamme, ruote dentate e morte pella fede di G. C.; ed i genitori di lei Doroteo, ed Arsenia, non men forti della figlia prescelsero l'esiglio al di lè dell'Eufrate, anzichè la grazia del Cesare Romano, che con tutte le promesse, le blandizie e le minacce li voleva apostatati. 3 Senza voler indagare chi sia stato il pittore del quadro che possiede Tropea; ella però è cosa certa, che esso della dimensione di palmi 4 per 3 2/12 su di tavola incorruttibile si ha tutta la somiglianza con quello, che si venera nell'insigne tempio di Monte Vergine, il quale fu indubitabilmente mandato in Eudossia di Gerusalemme a S. Pulcheria, e poscia da Caterina II di Valois, cui pervenne da Barduino II, che lo portò nel secolo XIII da Costantinopoli, fu regalato a quel celebre Santuario. I volti delle due effigie portano entrambi i lineamenti, che Nicefaro Callisto assegna al volto della Immacolata Madre di Dio; lineamenti, che ai detti del Baronio, egli rilevò da una vera immagine dipinta, lei vivente. Il quadro poi da sè medesimo manifesta che si appartiene al genio ed allo stile che in quel tempo informava in Oriente l'arte bella della pittura. E' questo il giudizio di quanti valenti pittori l'hanno osservato. L'effetto che produce in chiunque lo guarda lo predica per ispirazione divina. Ti presenta la madre di Dio e degli uomini a mezzo busto, che circondata da angioli, piega il collo sul suo sinistro lato; abbraccia il suo dilettissimo figliuolo colla manca sulle spalluzze, e colla diritta sui piccoli ginocchi. Il Bambino, diritto della personcina, adagiando la sua guancia sulla guancia della Madre, inverso di lei cogli occhi dirizza le manicelle; colla testa avviticchiandosi al collo e colla sinistra facendole carezze. Il figlio guardando la madre par proprio che muova i labruzzi e dica << Io in te mi compiaccio >>. La madre gittando gli occhi sul Figlio li dirige su tutti, che da qualunque lato la guardano ( è questo un effetto sublime, tutto proprio di questa sacratissima immagine ) modestamente sembra che di rimando profferisca: Io ti venero, o mio Dio, ed in uno mio figliuolo; e Voi, figliuoli, chiedetemi ciò di che abbisognate; non temete: sono io la madre vostra. 4 L'imperatore Leone Isaurico si dichiarò iconoclasta l'an. 726 dell'Era volgare prendendo occasione da un fenomeno spaventoso, che spacciò per un segno della collera di Dio irritato, diceva egli, dell'onore che si rendeva alle immagini di G. C. e dei Santi. Soggiogati per terra e per mare i Saraceni, ch'erano andati ad assediare Costantinopoli, depose la maschera della simulazione e stimò sufficientemente assodata la sua autorità per poter dar mano all'esecuzione del suo infernale progetto, quantunque conosceva esser cosa di somma dilicatezza nella coscienza dei popoli cristiani i monumenti del loro culto religioso. 5 Nel gennaro del 730 Leone l'eresiarca tenne un consiglio, nel quale fece un decreto formale contro le s. immagini. 6 I popoli di Grecia e delle Isole, che ne dipendevano, indispettirono contro il principe eresiarca, si ribellarono, si elessero nell'ottobre 727 Cosmo a loro imperatore, s'armarono e si condussero fin sotto le mura di Costantinopoli per soggiogarlo. 7 Il carattere che la Storia attribuisce a Leone Isaurico è esecrabile; lui avaro, lui lussurioso, lui ambizioso, lui ec. 8 La provincia di Romania è la stessa che l'antica Grecia, così detta, perchè Bisanzio sua metropoli, oggi Costantinopoli, fu detta nuova Roma. 9 Non sono da incolparsi i nostri maggiori, se nel coro della Cattedrale, luogo pur troppo decente, riponevano il quadro prodigiosamente ricevuto; poichè appunto dall'altare maggiore, che sarebbe stato il sito più adatto, essendo occupato dall'immagine di Maria SS. stessa sotto il titolo dell'Assunzione, sembrò loro sconvenevole cosa togliere l'antico per riporvi il nuovo. Poveretti! eglino dicevano, e non male, e l'uno è l'altro son riferibili all'istesso prototipo. Anco dopo che la Madonna medesima comandò che sull'ara massima si collocasse il quadro che Ella avea fatto capitare a Tropea come caparra d'eterna protezione, anche dopo che la Chiesa Cattedrale divenne dedicata alla Madonna della Romania, il Capitolo segue a festeggiare l'Assunzione con l'intervento in coro di tutto il Corpo Capitolare dai primi ai secondi vespri. 10 Ambrogio Cordova, uomo pio e dotto, resse da Vescovo i destini della tropeana Chiesa dall'anno 1633 al 1638. 11 Di questo spaventevolissimo terremoto non è Storico o Cronista delle cose delle nostre provincie che non facesse motto, perciò ci dispensiamo delle correlative citazioni. Notiamo solo, che il P. Sergio, dopo d'aver accennati gli effetti che questo flagello produsse nelle nostre vicine e lontane contrade, dice salva ed incolume Tropea e riferisce quell'epigrammatico distico che era scritto sul dorso dell'altare maggiore di fronte al coro, il quale, come oggi pell'opera dell'operosissimo Monsignor Vaccari a fine di render più maestosa e comoda la Cattedrale è dinanzi all'altare istesso, un tempo era dietro. Il distico era questo: Dum tua dextra tegit, Virgo, hanc dum protepit urbem, / Non pavet incussu, nulla pericla timet. 12 Non è già che la Madonna della Romania prima di questa epoca mancava di culto, di venerazione e d'affetto nell'animo dei tropeani. Vagliano per tutta pruova gli atti autentici della s. visita del Vescovo D. Geronimo De Rusticis, che governò la chiesa di Tropea dal 1570 al 1593, i quali non son consacrati che a Lei << Ad Laudem onnipotentis Dei et gloriosae Virginis de Romania >>. 13 Leggasi il P. Fiore della sua Calabria illustrata al Vol. 2.°, all'Appendice III, al §. XXIII, al Titolo Dell'immagine della Madonna della Romania in Tropea, e si troverà in accorcio la stessa storia da noi narrata. In luogo però dell'an. 1636 si legga 1638; si correggerà così un anacronismo, in cui l'autore incorre, se pur non vuolsi ritenere per un errore di stampa; poichè il terremoto, il quale egli dice che << mandò a terra buona parte delle Calabrie, non fu veramente l'an. 1636, ma invece l'an. 1638. Ed in fatti il P. Fiore medesimo nella medesima opera da noi qui citata, ma in altro luogo segna questo terremoto come avvenuto all'epoca da noi riferita. Nel I.° Vol. della Calabria illustrata, nel Libro II, nell'Appendice << D'alcuni avvenimenti infelici, quali alcuna volta hanno travagliato la Calabria >> si leggono proprio queste parole << A 27 marzo 1638 accadde il terremoto così memorabile, quale rovinò amendue (allora la Calabria era divisa in solo due parti, come oggi è divisa in tre ) le Calabrie, quale pose gl'inchiostri nelle mani di molti per descriverne gl'infelici avvenimenti ai quali mi rimetto >>. Il P. F. Serafino Montorio ha nel suo Zodiaco Mariano, dato pei tipi di Paolo Severini in Napoli l'an. MDCCXV << Nel sesto segno del Zodiaco - Sole in Vergine - Maria prodigiosa nella Provincia di Calabria Ulteriore. Stella IX. Santa Maria di Romania nella Cattedrale della Città di Tropea >>. 14 Non possiamo mandare i nostri lettori alle opere da noi citate dell'abate Sergio e del P. Crescente, perchè inedite; nè possiamo tutto ciò, che ci lasciarono scritto al proposito, in questo scritto riferire. Pensiamo per amor di brevità trascrivere solo alcuni tratti di quanto il P. Crescente spontaneo nostro poeta latino verseggiava sull'argomento, onde facciamo parola, e tralasciare anco di riferire ciò che nella sua Collectanea Cronologica scrive colla lingua di Cicerone l'erudito nostro abbate, perocchè i nostri lettori non troverebbero che le stesse cose.
De Romania est quae venit imago sacrata, Huc navem quandam quam retulisse ferunt. .............................................. .............................................. N. B. Si tralasciano i versi coi quali il poeta descrive il viaggio, che dovè fare la nave da Romania a Tropea.
Ast quae prodigii species, miranda, stupenda ! Urbis ad aspectum protinus illa stetit. Ut chalybem magnes, stipulamque ut succina, navem. Pondere cum sacro laeta Tropaea trahit. Hunc via metam, iter hunc finem, tendebat ad oras Has sic thesaurus, sic sacra stella polum. Quid faciat rector, quid nautae ac cetera pubes In navi existens ? Obstupet omnis homo ! Quae caussa huius erit, quaerens, quae possit adesse ? Namque hic non syrtes, non vada caeca latent. At sic rector ait : nos haec sacra tardat imago, Hic linquamus eam, praepedit ista viam. Non aliud siquidem hoc est, exoneremus oportet Pignore tam sacro, sic cupit alma Parens. In cymba positum ad litus retulere Tropaeae Sacratum pignus, depositumque datur. Quod venerabundus totus cum Praesule clerus Suscipit, et gaudens cantica sacra canit. Ad templum maius sacrata refertur imago, A populo colitur iugiter ore pio. Interea navis quia pondere quippe soluta, Jamdiu praefixo fine resumit iter. Ecce Tropaeae urbi nunc est protectio duplex, Cum Christi sponsa iungitur alma Parens. Illa suam patriam tutatur Virgo Tropaeam, Quam sibi delegit, protegit ista locum. Hoc vigili obtutu, urbs omni felicior urbe, Moenibus arcentur cuncta pericla tuis. Musa, mihi casus vellem memorasse sopitos, In quibus haec nostra urbs absque timore stetit. Bella, fames, pestis, terrae tremor, ignis et unda, Fulmina, turbo, gelus, noxia quaeque procul. ........................................................ N. B. Nei versi che qui mancano, il nostro Poeta invoca nuovo aiuto dalla sua Musa. Vidimus atque famem, quam fert penuria rerum Serpere, et ad nostros pervolitare sinus. Illico visa fuit frumento navis onusta ! Quis neget advectam rore fuisse pio ? Defectu annonae populi pars magna propinqui Parsque remoti etiam deperiisse sat est. Vidimus atque atro pestem penetrasse veneno Messanae cives, Rhegii et inde quoque. Quis timor invasit populos de finibus illis ? Urbis quis nostrae pallor in ore sedet ? Suppliciter currunt cuiuscunque ordinis omnes Ad templum cives, fletibus ora rigant. Corde dolent scelerum fassi, veniamque precantur, Orant ut fugiat, dispereatque lues. Adsit in auxilium protectrix Virgo Maria, Ac martyr civis virgo patrona simul. Adsunt hoc siquidem, tolluntque ex urbe timorem, Morbus ibi extinctus cepit ubi furere. Vidimus et terrae motum, superavimus illum: Adsat pro clypeo Matris imago Dei. Ille fuit celebris, quo cuncta Calabria sensit, Praesertim Citra maxima damna sua. Sexcentum triginta octo post mille fluebant Anni, ad viginti septima mensis erat: Hinc Aries veris signum, quo Martius astra Pergit, et inde sequens floribus ornat agros. Virgo Dei genetrix, quae nostram protegit urbem, Praescia pastorem tres monet ipsa vices, Atque die indicta Praesul cum supplice Clero, Cum populi coetu, nobiliumque simul Stata hora cum sacra et imagine circuit urbem. Dum venit ad templum fit fragor, atque tremor. Urbs sensit, vidit, sed nullam est passa ruinam. Virginis obtutu, subsidioque suo. Haec memoranda dies remanet signata per annos, Inter solemnes semper habenda fore. Tempore sic ab eo usque adeo fit quemque per annum Obsequii pignus cum prece festa dies. Accidit et quoties terram nutare tremore, Confugiunt cives Virginis ad clypeum. Suggere, Musa, mihi quoties vidisse paratum, Prontumque auxilium, dum data caussa fuit. Suggere quod maius, mirum magis, atque stupendum Hisce oculis vidi, mens mea namque stupet. ........................................................ ........................................................ N. B. Qui trasandiamo tutt'i distici, coi quali il Crescente descrive il terribilissimo terremoto del 5 febbraio 1783.
Attamen haec nostra urbs, quis crederet, ire superba Conspicitur semper, fisa patrocinio !
15 S'intende a quella canzone popolare, che incomincia << Giglio, colomba, Sionne, onde è costume nelle nostre famiglie serrare la recita del s. Rosario. Senza trascriverla basta averla accennato. 16 Non è da dubitare, che il 27 marzo del 1638 era martedì. Che lo verifichi colla cronologia, come abbiamo fatto noi stessi, se sorge sospetto al nostro lettore. 17 Questa campana ti muove a mestizia od allegra secondo che viene suonata a rintocchi, od a stormo. 18 Due nomi di donne tropeane c'è occorso ricordare in questa narrazione, ed avvertasi, come uno è di Romana. 19 In giustifica di questo motto, che mettiamo in bocca alla patria nostra, si sappia che, se avessimo potuto essere più prolissi, avremmo avuto in pronto una lunga serie di fatti di singolare protezione accordatale da Maria SS.; ed ultimo non sarebbe stato la venuta prodigiosa di un legno carico di grano, diretto per altro lido, in quel punto in cui Tropea, mancante di ogni mezzo alimentizio, era per basire di fame. Questo memorabile fatto avveniva in quei giorni stessi, in cui la carestia toglieva al Vescovo di S. Agata dei Gori, a S. Alfonso Maria De Liguori, fin dal dito l'anello pastorale per sovvenire i suoi poverelli. 20 Queste lezioni sono state scritte dal dotto Teologo della nostra Cattedrale D. Giuseppe Maria Scrugli. Furono ammirate in Roma medesima, ov'è indigena la lingua che incivili il mondo. 21 I due inni, che alla chiarezza del Venosino poeta associano i voli di Pindaro e l'unzione di S. Paolino, sono stati dettati dal genio lirico del poliglotta D. Giuseppe Sacerdote Toraldo. 22 La nostra industria quantunque varia, il nostro territorio quantunque esteso e più che ubertoso, pure essendo ricrescente la nostra popolazione s'avverano ogni anno emigrazioni ed emigrazioni. Non è città e forse non è un punto, nelle Calabria massimamente, ove non è impiantata famiglia tropeana. Anzi in non pochi punti non una o due famiglie nostrane si son trasferite, ma colonie. A mò d'esempio, in Gioia Tauro, centro, in cui convengono gente di ogni luogo, è predominante l'elemento tropeano. In tutte queste patrie elettive dei nostri concittadini è bello vedere ch'essi festeggiano il 27 marzo, come se fossero in Tropea, Maria SS. della Romania à culto, venerazione ed amore anco al di là del nostro emisfero, perchè anco agli antipodi sonovi tropeani che portano con sè l'immagine della Madonna loro con più riverenza di quella, onde gli ebrei portavano Gerusalemme scolpita fin sui loro anelli. 23 Il colore di questo panno è quello della siviglia cotta. Il vestire, di cui qui è obbietto, che noi chiamiamo di voto, modestissimo, senza ornamenti, ed orlato solo di cordoncino giallo e di gialli bottoni è di coloro, che nelle private necessità invocarono il patrocinio della Madonna della Romania e pronto se l'ebbero. Se fu sempre industre l'amore, più che industre è il filiale. I figliuoli di Maria per dimostrarle gratitudine e riverenza trovano che torna accetto alla madre l'impegno di comparirle vestiti delle sue stesse vesti, e lo praticano chi per uno, chi per due anni e chi per tutta la vita. 24 Si allude alla pratica della devozione, che e dagli uomini e dalle donne s'ha, di seguire il quadro della Madonna quando fa il giro della Città, coi piedi od ignudi o coverti di sola calza. E' per le feste religiose massimamente che la donna tropeana prepara l'abito nuovo e galante e sfarzosamente se ne orna, ma non profana però quella della Madonna della Romania con vani ornamenti; essa la santifica anche colla modestia di tutta la persona. 25 Potrebbersi notare tante altre pratiche di divozione, onde il tropeano suole onorare la sua Madonna della Romania, ma si tralasciano per amor di brevità.