L'accorata e commovente lettera che Mons. Felice Cribellati
invia nel 1949 a Don Mottola,
in occasione del venticinquennale dell'Ordinazione Sacerdotale,
attesta più che mai l'altissimo valore umano e
ministeriale dell' operato del
"prete dei poveri".






         VESCOVADO
                DI
  NICOTERA E TROPEA
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Caro D. Mottola,

          Come passa il tempo! Come corrono gli anni! Venticinque ne sono trascorsi dal giorno in cui, posando le mie mani sul tuo capo, ti ho fatto, per il tempo e per la eternità, Sacerdote di Cristo.
          Io ero allora giovanissimo fra i giovani vescovi d'Italia e tu, nella primavera degli anni, pieno di sacro entusiasmo, sognavi una vita sacerdotale radiosa di luce e tutta fiamma.
          Forse raramente due anime s'incontrarono e si compresero così felicemente; ed insieme coram Deo et hominibus, abbiamo assunto una gravissima responsabilità.
         "Sit odor vitae tuae delectamentum Ecclesiae Christi - ti ho detto - ut praedicatione atque exemplo aedifices domum, id est, familiam Dei, quatenus nec nos de tua provectione, nec tu de tanti officii susceptione dannari, a Domino, sed remunerari potius mereamur;" e tu mi hai risposto: Amen!
         Sono passati venticinque anni da quel giorno, ed io sono rimasto tranquillo e resto contento per averti imposto le mani. Ringrazio e benedico il Signore per tutti i doni che ti ha concesso in cinque lustri e Lo prego perchè continui ad assisterli e benedirli.
        Quante sante Messe hai celebrato? Quante assoluzioni hai dato? Quante sante comunioni hai distribuito? Quante buone parole hai detto o scritto? Quante anime hai confortato? Quante lacrime hai asciugato? Quante tenebre diradate? Quante umane sofferenze fisiche o morali hai sollevato? Io non lo so; lo sa il Signore; ma ti dico che sono contento d'averti fatto sacerdote perchè sento, come padre del tuo sacerdozio, di partecipare al bene che hai fatto.
        - Quali e quante vicende nel corso di venticinque anni!
       Non sono mancate le prove, le spine; non è mancata la croce, e quale croce!
Ma sia benedetto il Signore anche di questo.
       - Mi dicevi una volta, preso da tristezza, uscendo dalla cappella del nostro caro Seminario, che volevi soffrire, perchè ritenevi più fecondo di ogni altro l'apostolato della sofferenza. Io ti risposi di no; che il tuo doveva essere un apostolato pieno d'attività perchè mi pareva che fossi indispensabile al nostro Seminario; ma il Signore è nostro padrone assoluto: è tutto per noi, ed ha disposto a suo piacimento.
       Egli sa ciò che maggiormente serve a noi ed alla sua gloria. Benediciamolo in questa celebrazione giubilare e ripetiamogli insieme che vogliamo integralmente la sua santa volontà, lieti e contenti nella distruzione completa del nostro essere.
       - Meminisse Iuvabit! Chiudendo il sacro rito dell'ordinazione sacerdotale, dopo averti dato lo spirito Santo stringendo le tue mani fra le mie, ti chiedevo:
       Promittis mihi e successoribus meis reverentiam et obedientiam? (E tu mi hai risposto recisamente: Promitto).
       Ti ho baciato allora in fronte dicendoti: Pax Domini sit semper tecum.
       - Sono passati venticinque anni, e tu hai dimostrato non solo d'avere tenuto fede a quella promessa, ma hai voluto dare alla medesima un significato più vasto e più profondo; ne hai fatto un'oblazione e come un voto: e, per di più hai cercato e vai studiando come condurre altri nella scia del tuo sentire e del tuo operare.
       Mio caro Don Mottola, ecco che il tuo Vescovo, mentre prega per te paternamente ti benedice; mentre benedice con tutte le opere di cristiana carità intorno a te fiorite, ti bacia ancora oggi in fronte come allora, come venticinque anni fa, quasi a coronamento d'una nuova consacrazione, e ti ripete: Pax Domini sit semper tecum.
E tu prega sempre per il tuo affezionatissimo
 

                                                                                             +  FELICE VESCOVO