PRESTO
LA CHIESA E
LA CALABRIA
AVRANNO
UN NUOVO BEATO:
DON FRANCESCO
MOTTOLA
DA TROPEA
 
 


di Emilio Frangella (Discipulus quidam)




Alcuni anni fa, annunziammo l'apertura del processo per la beatificazione di don Mottola, fondatore degli Oblati e delle Oblate del Sacro Cuore e delle Case della Carità, nato a Tropea da Antonio e Concettina Bragò il 3 gennaio 1901, ordinato sacerdote il 5 aprile 1924 e morto a Tropea il 29 giugno 1969. Il suo corpo è sepolto nella Cattedrale di Tropea.
Precorrendo i tempi, e intravedendo il processo di laicizzazione del nostro tempo, intuì la possibilità e la necessità di trasferire nel secolo l'essenza della vita religiosa da attuarsi nel secolo, senza chiostro, senza divisa, senza vita comune, senza limiti di condizione e di stato, <<ma facendo della propria anima una cella silenziosa>>.
Aveva scritto: <<Gli uomini han bisogno di vedere la divinità del volto dell'uomo trasfigurato dal lume interiore dello spirito nella carità operosa, han bisogno di guardare più che alle parole, al lume della lampada di cui sono faville>>.
Nel 1930 affidò questo suo messaggio ad alcuni suoi confratelli: nascevano, così, i sacerdoti <<oblati del Sacro Cuore>>, sacerdoti che <<per vivere integralmente la loro vita sacerdotale si fondono in unità con il loro Vescovo e si votano all'affermazione del Regno di Cristo, alimentando l'unità e il dono con la preghiera e la carità splendenti>>.
Analogo programma fu, poi, consegnato ad alcune collaboratrici che chiamò <<oblate del Sacro Cuore>> con l'impegno di diventare, nel Novecento, minacciato dal materialismo, <<le carmelitane della strada>>, <<orientate alla santità, da vivere nel mondo, nel dono totale, costante e gioioso di se stesse a Cristo e alle anime>>.
Vennero, quindi, nell'estate del 1935, i giovani: <<gli Oblati laici>>. Egli - scrive il prof. Giuseppe Lo Cane - vedeva nei gruppi comunitari secolari informati allo spirito del discorso della montagna, le nuove comunità monastiche destinate a ridare un'animazione cristiana al mondo e a trasformare il nostro tempo dall'interno stesso nella realtà terrena.
L'idea è una, uno il primato che egli affidava ai suoi: <<non formule ma preghiera...e preghiera tendenzialmente contemplativa da cui sgorghi il dono ai fratelli. Giacchè comunione con Dio, con i fratelli, con la natura e con la storia è la stessa cosa>>.
Da questa comunione la capacità di cogliere le esigenze dei tempi e di immettervisi: <<Tutte le strade sono nostre. Vivere nella novità continua di orizzonti nuovi. Niente di delimitato da protrarre nel tempo anacronisticamente>>.
Perciò gli amici di don Mottola entrano nei tuguri, vanno nelle campagne per il catechismo, si mettono a disposizione dei parroci, fermentano le file dell'Azione Cattolica.
Da questi contatti nasceva l'idea di una casa che accogliesse i sofferenti, i bambini spastici, nei quali gli Oblati fossero portati a vedere <<il volto dolorante di Cristo>>.
Ed ecco le <<Case di Carità>> la prima, a Tropeaa, due povere stanzette che presto, però, diventarono <<la casa bella, prospiciente il mare, dall'orizzonte largo>>, così come egli l'aveva sognata, ove affluirono le prime larve umane accolte della divinaa carità di Cristo.
Ad essa seguirono la <<Casa>> in Marina di Tropea, destinata all'infanzia bisognosa e abbandonata, e poi quella di Parghelia, di Limbadi, di Roma e di Vibo Valentia, divenuta, quest'ultima, ora, un centro per la rieducazione dei discinetici.


Don Mottola fra i fanciulli spastici della Casa di Carità di Vibo Valentia

A Castel di Sangro in Abruzzo opera anche un centro di assistenza sociale.
E' l'<<Idea>> che non muore, è il seme che, sotterrato, dà, morendo, la vita, è la <<Parva favilla che gran fiamma seconda>>.
I sacerdoti oblati sono, oggi, gruppi nutriti, diffusi in varie parti della Calabria.

La sua giornata sacedotale era un tessuto di preghiera. Portava sempre con sè la coroncina del Rosario: per mezzo di essa si sentiva più vicino alla Madonna, per la quale egli ebbe sempre un fremito tutto particolare e una nota speciale di tenerezza.
<<Uno dei tratti più spiccati della personalità di don Mottola - dice ancora il prof. LoCane - fu la sua umiltà che diventa silenzio, preghiera, verità, carità, parola che si faceva largo nell'anima più complessa per restituire lo spirito alla fiducia, alla sicurezza e alla serenità>>.
<<Io sono una povera lampada che arde>> andava ripetendo fin dai primi anni del suo sacerdozio. La luce di quella lampada aveva guizzi per tutte le ore buie, alimantata da <<olio raccolto quasi a goccia a goccia, con larga pazienza e con grande amore>>.
<<Si aveva l'impressione che quella luce riflettesse qualcosa di mistero dell'invisibile; per quanto si ricorreva a lui nei momenti più difficili, e quella luce aveva riflessi per ogni piega nascosta dell'anima>>.

A 41 anni venne colpito da una paresi che gli tolse la parola e lo immobilizzò nel corpo: divenne un crocefisso vivente per ventisette anni e accettò con rassegnazione e amore il carisma del sacrificio, piegando umilmente il capo alla volontà divina!
Sembrava un uomo finito, ma fu allora che rivelò se stesso: tacendo parlò, guidò, illuminò, sostenne, riappacificò, sconvolse.
Divenne testimone di Cristo, e ogni uomo che l'incontrò, ateo o credente, ignorante o dotto, vide, nel suo sguardo luminoso e semplice di fanciullo, la pupilla dell'uomo che aveva visto l'Infinito. <<La sua ventennale sofferenza si trasformò, così, in 'carisma' di consiglio, di fede, di speranza e di carità per tutta la comunità mistica della Chiesa>>.
Aveva affermato di voler rimanere un poeta anche nel momento della morte: aveva vissuto la gioia dell'attesa. E quando questa venne egli vi andò incontro rinnovando la sua donazione gioiosa <<usque ad sanguinem>>: <<Eccomi, eccomi, eccomi qui, tutto>> furono le sue ultime parole!
In questo quadro bisogna guardare la vita e l'azione di don Mottola: Dio, Cristo, le anime: a questi obiettivi temprò ed educò le sue energie per esplicarle in diverse mansioni in cui venne a trovarsi per disposizione dei suoi superiori ecclesiastici: insegnante, confessore dei giovani seminaristi di Tropea e, poi, rettore dello stesso seminario dal 1928 al 1942.
Penitenziere della Cattedrale di Tropea, assistente diocesano della Gioventù femminile di Azione Cattolica, fondatore della San Vincenzo de' Paoli e della Casa della Carità, degli Oblati laici e laiche del Sacro Cuore.
Tentare di cogliere il pensiero e il cuore di don Mottola è pressochè impossibile; è come tentare di penetrare l'impenetrabile, perchè la sua anima, fin dagli albori della sua giovinezza, se non della fanciullezza, si fissò, si tuffò in Dio con ardore cocente e con ansia spasimante.
E' quasi un assurdo volere sintetizzare, fissare in povere parole umane i rapporti di un santo con Dio, poichè le contemplazioni divine sfuggono all'inchiesta umana.
Don Mottola fu essenzialmente un contemplativo: chi gli fu vicino nei primi anni della sua giovinezzaa testimonia l'arsura della sua viva intelligenza nella ricerca di Dio, divenuta per lui, non pura e astratta speculazione, ma premessa per più ardenti slanci di amore e di unione.
L'ansia di Dio nel suo cuore si andò allargando in manifestazioni e in riflessi sempre più vasti man mano che il suo pensiero, nello studio ordinario della filosofia e della teologia, gli fecero vedere la grandezza e la bellezza delle perfezioni della Trinità divina.
La visione della vita di amore di Dio, che si tradusse nell'Incarnazione del Verbo, destò e suscitò nel cuore di don Mottola la passione per il Cristo e per gli uomini redenti, integrazione e prolungamento di Cristo.
Egli guardava e vedeva gli uomini nella stessa figura del Cristo ed è per questo che egli ebbe per i redenti la stessa passione di Cristo; per lui l'uomo, vestito di cenci, è la stessa figura di Cristo, ed egli perciò lo abbraccia con serafico ardore.
Questa è la sintesi suprema della vita sacerdotale di don Mottola: Dio Uno e Trino; Cristo integrale nella persona di Dio, Verbo Incarnato che si completa nei redenti e nei viventi nelle reltà di vita, cioè nella Chiesa, società costituita per la formazione integrale del Corpo mistico di Cristo.
Questa è la manifestazione principale della vita di don Mottola; con l'amore per Cristo Signore, lo spasimo e l'ansito di amore verso le coscienze e le intelligenze, propugnò e diede vita al <<Seminario di Cultura>> destinato, in corsi di aggiornamento, ad approfondire determinate questioni di grande importanza.

Il sapere e la cultura furono per don Mottola la nota caratteristica che non solo coltivò per sè, ma cercò anche di comunicare agli altri. Fu predicatore abilissimo, assai richiesto dai parroci della Calabria, rimanendo sempre fermo nella sua missione di sacerdote, egli la indirizzò alla formazione dei seminaristi: i superiori del tempo, il Vescovo Felice Cribellati e il rettore del Seminario don Francesco Saragò, lo vollero insegnante di lettere per le classi del ginnasio superiore. In questa palestra don Mottola esercitò la sua appassionata ed entusiasmante funzione di maestro e di educatore.
Profondamente preparato nelle questioni letterarie, con un metodo tutto proprio, sollevò le sorti dell'insegnamento in Seminario. Ai giovani seminaristi egli spezzava non soltanto il pane della letteratura e del sapere, ma si sforzava di infondere nel loro giovane cuore la pietà e la formazione. Don Saragò, profondo conoscitore degli uomini, volle averlo, superando le stesse norme giuridiche, oltre che come insegnante anche come confessore dei seminaristi.
A quanti lo ebbero allora come maestro e direttore spirituale non restarono nascosti due suoi tratti caratteristici e diversi: nella scuola era il professore profondo e preparato che non ammetteva ritardi e pigrizia nella preparazione e nell'impegno; nella direzione spirituale, invece, diveniva pieno di una amabilità che infondeva coraggio, energia, fiducia; il suo cuore si accostava a quello del seminarista per spiarne le tendenze, i movimenti e prepararlo alla vita.
Quando, perciò, Don Saragò lasciò la Diocesi per entrare nell'Ordine dei Minimi, mons. Cribellati non ebbe dubbi sul successore, e don Mottola divenne il rettore.
Trasformò, egli allora, il Seminario in un cenacolo di pietà e di cultura, rendendolo un centro di attrazione non solo per i sacerdoti e i parroci della diocesi, ma anche per quanti si sentirono portati a seguirlo nella sua diuturna opera di formazione. Le sue prediche e le sue meditazioni erano incantanti e trascinatrici, non tanto per le sue notevoli doti oratorie, ma soprattutto <<per il pensiero traslucido della sua ricchissima anima>>. Contemporaneamente gli venne affidata la missione di Penitenziere nel Capitolo Cattedrale di Tropea: il suo Confessionale diventò, allora, la meta e l'anelito delle coscienze desiderose di pace, di formazione e di perfezione. Di tutte le parrocchie della diocesi, ogni mattina, erano gruppi numerosi, che si davano appuntamento, prima della levata del sole, alle porte della cattedrale per poter avere un posto. Da quel confessionale uscirono formate anime datesi alla perfezione ed all'eroismo. Oggi, molte di quelle anime sono unite da un vincolo spirituale, suggellato con voto, nella Istituzione delle Oblate da lui voluta, istituzione che ha avuto anche il primo riconoscimento ecclesiastico.

Ai gravi impegni di Rettore del Seminario si aggiunsero anche la direzione del periodico <<Parva Favilla>>1 e l'apostolato nell'Azione Cattolica di cui fu, prima, Segretario della Giunta Diocesana e, poi, Assistente Diocesano della Gioventù Femminile.
Egli portò in quest'ultimo compito una profonda preparazione spirituale e tecnica, suscitando un'ondata di entusiasmo nel campo diocesano in modo tale che nessuna delle parrocchie restò assente. Nulla mai tralasciò: convegni diocesani e di plaga, ritiri e corsi di esercizi spirituali, corsi per dirigenti e soci, settimane della giovane, che posero la diocesi di Tropea al livello delle diocesi meglio organizzate.
Il Signore, che guida i suoi figli attraverso vie e strade a lui solo note, voleva, che don Mottola, nel travaglio quotidiano di questa laboriosità, trovasse la strada per la fondazione e la stabilizzazione di una nuova famiglia, che, pur conservando gli impegni di tendere alla perfezione con il triplice voto, rimanesse nella vita del mondo e si mettesse a disposizione del proprio Vescovo diocesano.
Nasceva, così, la famiglia oblata nei suoi tre rami: sacerdoti, laici e laiche. I sacerdoti rimangono sacerdoti diocesani, non formano una nuova famiglia religiosa nella Chiesa, ma sono chiamati a vivere integralmente il loro sacerdozio con dedizione totale al proprio Vescovo.
A questi sacerdoti, come agli altri due rami, don Mottola dà un solo monito: <<contemplata aliis tradere>>; gli oblati, perciò saranno <<i carmelitani, i certosini della strada, che donandosi a Dio troveranno il modo e i mezzi per darsi ai fratelli, e si introdurranno nella società per ridarle il senso di Cristo e per sollevare tutte le miserie umane>>.

Perciò nell'opera oblata il primo impegno sarà quello di tendere all'unione con Dio e dedicarsi alle opere apostoliche, caritative e sociali.
E se una nota caratteristica gli Oblati dovranno avere, sarà questa: essere uniti alla Chiesa, al Papa; al Vescovo, ai poveri e ai colpiti da ogni miseria umana.
Sbocco dell'attività Oblata le <<Case della Carità>>, che accoglieranno ogni sofferenza umana.
In ogni casa oblata si dà sollievo, aiuto e conforto al povero frale umano, ma principalmente si valorizzza e si stringe al cuore l'anima redenta dal sangue di Cristo, per la quale tutti gli Oblati si prostano in ginocchio quando un tale dono divino, quale gemma preziosa, varca le soglie di una delle loro case.
Don Francesco Mottola ha consegnato un mandato a tutti i suoi figli: accogliere e considerare il sofferente e il ricoverato come la stessa persona di Cristo. Egli, il sacerdote consacrato, ne diede continuamente l'esempio, sin da quando giovane sacerdote, da direttore delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli, entrava nei tuguri più abbondanati e più luridi di Tropea per visitare i poveri e gli ammalati e per servirli in ginocchio.
E, quindi, il Signore nella sua provvidenza permise che anch'egli fosse uno di loro e riproducesse nel suo povero corpo martoriato e dolorante i lineamenti di Cristo, allora reso muto e quasi immobile per la paresi che lo colpì a soli quarantadue anni, fu per altri ventisette un testimonee vivente del messaggio divino dell'amore.

NOTA
1 Già <<Cor Cordium>>, rivista mensile di cultura del Seminario Vescovile di Tropeaa, fondata nel 1930 e diretta dall'autore del presente articolo, Emilio Frangella (<<discipulus quidam>>) allora alunno (all'ultimo anno del ginnasio) e segretario particolare di don Mottola, il quale, dopo il 1932 continuò a pubblicarla col nome di <<Parva Favilla>>.
Ecco in proposito cosa scrive mons. Ignazio Schinella, rettore del Seminario Pontificio, Regionale San Pio X di Catanzaro, a pag. 127 del suo volume <<Il sole, l'aquila e l'allodola>>; edito nel 1987 da <<Parva Favilla>>:
<<Cor Cordium>> - mensile del Seminario di Tropea. Nasce nel 1930 in occasione della <<Consacrazione al Sacro Cuore di Gesù della camerata della Romania>> dello stesso seminario. Ne è nominato direttore il seminarista Emilio Frangella, l'attuale direttore di <<Calabria Letteraria>>. Il titolo <<Cor Cordium>> fu dettato dal rettore Mottola. E' importante perchè si può considerare l'origine storica di <<Parva Favilla>>. A novembre dell'anno 1931 la direzione è affidata ad altri per l'uscitaaa del Frangella dal seminario>>.