di Ludovico Fulci
Quella dell’ammiraglio Napoleone Scrugli (1803-1883) è una nobile figura della storia tropeana. Del suo temperamento esuberante e volitivo, riferiscono i documenti e le cronache dell’epoca. Nelle poche immagini che di lui ci restano, si vede l’uomo d’armi che tiene a farsi ritrarre in uniforme, ma senza ostentazioni. Del suo coraggio e del suo sforzo di rimanere sempre coerente ai principi di un risorgimento inteso come causa nazionale rimangono tracce evidenti. L’ammiraglio Scrugli seppe disobbedire in diverse occasioni, opponendo agli ordini che il governo borbonico impartiva a lui e ad altri ufficiali, le ragioni della sua coscienza. In un articolo commemorativo scritto sul Capitan Fracassa all’indomani della sua scomparsa si accenna al rifiuto di Napoleone Scrugli di cannoneggiare le città ribelli di Catania e di Palermo insorte nel 1848 e si riferisce anche circa il suo desiderio di non rinunciare alla guerra antiaustriaca a cui i governi dei vari stati italiani avevano in un primo momento aderito. In entrambi i casi ciò gli costò la "disponibilità", vale a dire l’esser messo da parte, il castigo di non avere il comando di alcuna unità operativa. La sua carriera militare, minuziosamente e amorevolmente riscostruita dall’ammiraglio Ruello Majolo, autore di un suo profilo biografico apparso nel 1991 per l’editore Brenner di Cosenza, non fu sotto i Borboni particolarmente rapida. Il giovane Scrugli, figlio di don Ignazio, il murattiano sindaco della città di Tropea, non condivide la condizione di nascita dei rampolli dell’alta aristocrazia che, per tradizione familiare, seguono la carriera militare nella Regia Marina Napoletana e che sono quasi predestinati a ricoprirne i massimi gradi, come gli Acton, o come erano stati i Caracciolo ed erano ora i Durante o il giovane Giovanni Carbonelli suo compagno di corso. Certamente i trascorsi liberali della sua famiglia (all’origine oltretutto di una carriera a cui il giovanissimo Napolelone Scrugli era stato chiamato da Murat per via di quel primo nome che era parso un segno di fedeltà al cognato dell’Imperatore dei Francesi) pesano in una contingenza storica segnata da un accentuato reazionarismo del governo borbonico. Al giovane ufficiale non resta quindi che mantenersi fedele oltre che ai principi del liberalismo anche a quelle tradizioni di cui si anima e si sostanzia un nuovo credo politico. All’onestà e alla correttezza nelle quali è stato educato in una famiglia che per secoli ha avuto un ruolo nell’aministrazione cittadina, egli aggiunge l’appassionata difesa di valori "moderni" quali nell’Ottocento sono il merito e la professionalità. Ciò gli creerà rispetto e considerazione, sia nei comandanti superiori in grado (alcuni dei quali condividono i suoi ideali politici) sia negli equipaggi che obbediscono ai suoi ordini. Ne vien fuori la psicologia di un ufficiale insolitamente liberale, che senza derogare ad alcun obbligo, cerca però che si rispetti piuttosto lo spirito che non la lettera della norma. E questo farà anche quando, consapevole delle rinunce che la vita militare costa alle giovani reclute del neonato regno d’Italia, solleciterà dal banco della Camera dei Deputati (dove è stato eletto per il collegio di Tropea), il ministro della difesa a interrogarsi sullo spirito della Costituzione.Riportiamo il discorso da lui fatto in quell’occasione a riprova di un fatto che ci pare estremamente importante. È insolito in un mondo come quello militare, in cui la disciplina si mantiene talvolta con strumenti niente affatto trasparenti ai sottoposti, tanta attenzione alle esigenze di chi, vestendo la divisa per un certo periodo della sua vita, deve servire il Paese. Se in realtà si guarda alla storia militare d’Italia, si scopre che durante l’epoca risorgimentale atteggiamenti del genere sono più frequenti che non si creda. Noi crediamo che siano il frutto di un’eredità che l’esercito napoleonico ha trasmesso agli eserciti degli altri paesi europei, per cui il coraggio, la lealtà e il senso dell’avventura sono valori che fanno il "soldato", il quale va pure motivato a una vita senz’altro difficile. Ci pare ora che tali novità si normalizzassero dopo il conseguimento dell’unità d’Italia, quando la carriera tende ad essere nuovamente percorsa secondo i vecchi e accertati meccanismi, che scavano divari profondi tra i diversi gradi dell’esercito. Va qui precisato che la mancanza di un’Assemblea Costituente che all’indomani della conseguita unità nazionale curasse l’omologazione delle varie province del Regno, pesò notevolissimamente sui destini dell’esercito italiano, che si uniformò al modello sabaudo, quello che meno di altri aveva conosciuto evoluzioni in senso moderno. È quanto già rilevava nel 1963 Luigi Mondini che riconosceva che l’esercito sardo "assai prima degli eserciti di ogni altro Stato italiano, aveva acquistato un carattere nazionale", ma poi notava che "nonostante la parentesi napoleonica - che indubbiamente lasciò a sua volta una positiva impronta - l’esercito che combatté le guerre d’indipendenza era l’erede, il continuatore dell’antico esercito creato da Emanuele Filiberto" (L. Mondini, L’unificazione delle forze armate, in "Atti del XL Congresso di Storia del Risorgimento Italiano. Torino 26-30 ottobre 1961", Roma, 1963, p.311-312) La battaglia di Lissa ha pure una sua origine nell’inversione di rotta che conosce il modo di organizzare la Marina. Si consideri inoltre quello che apparve a qualcuno lo spinoso problema dell’esercito garibaldino e ci si domandi infine se un Foscolo avrebbe potuto servire in un esercito come quello sabaudo. Non vogliamo accusare di illiberalità la cultura militare piemontese. Ci domandiamo quali ricadute abbiano potuto avere sui destini dell’esercito italiano situazioni contingenti quali l’esistenza nell’antico regno di Sardegna di un’aristocrazia militare, che andò a costituire oltre che la testa dell’esercito e della marina nazionali anche larga parte degli ambienti della corte e della diplomazia italiana. Ci domandiamo quanto pregiudizi locali abbiano potuto inficiare il dialogo che su questo piano si ebbe tra Nord e Sud e quanto l’esperienza della vita militare contribuisse nel tempo a diffondere certi pregiudizi contro le popolazioni del Sud. La nostra sensazione è che l’ammiraglio Scrugli si ponesse in anticipo alcuni di questi problemi, anche se, per ragioni ovvie, dubitiamo potesse porseli nei termini in cui noi oggi li conosciamo. Nel proporre una rilettura del suo discorso alla Camera dei Deputati, chiediamo ai nostri lettori una riflessione circa l’importanza che il semplice buon senso può avere quando si discutono problemi che riguardano la vita sociale.
Torino: Palazzo Carignano, sede del Parlamento dal 1848 al 1865
CAMERA DEI DEPUTATI 1° TORNATA DEL 27 LUGLIO 1863
Si discute sotto la presidenza del barone Poerio, vice-presidente della Camera il Disegno di legge per la leva dei nati nel 1843. Il presidente, data lettura del progetto di legge emendato dalla Commissione, chiede al Ministro della guerra Della Rovere se "accetta le modificazioni introdotte dalla Commissione". Della Rovere risponde negativamente. (Mancano molti deputati che avrebbero potuto intervenire in contraddittorio col ministro) Napoleone Scrugli chiede la parola per parlare nel merito della proposta di legge. Il suo intervento è preceduto da quello di pochi altri oratori. Interessante è quello di Gallo, che ricorda la particolare situazione vigente nelle province dell’ex-regno delle Due Sicilie.
SCRUGLI. V’ha un dubbio nell’animo mio, che io pregherei il signor ministro a togliere, se di tanto si compiace, perché io vorrei votare la legge con animo scevro di qualunque presentimento. (Forte!) Nell’anno scorso si è fatta una leva, e si sono chiamati di 1° categoria solo 45 mila uomini....
FERRACCIU’, relatore. Adesso ne abbisognano 55 mila.
SCRUGLI. Nella legge c’è una gran differenza tra 1° e 2° categoria. La 1° categoria è obbligata a servire undici anni, mentre la 2° lo è solamente per cinque; dimodoché nei nati del 1842 voi ne avete chiamati soli 45 mila a fare il servizio per undici anni, ed oggi nei nati del 1843 voi venite a chiamarne 55 mila, cioè 10 mila di più dell’anno scorso, vale a dire che sui nati del 1843 ci sarà una gravezza maggiore che non sui nati del 1842. Ora, se lo Statuto vuole che tutti fossero considerati ugualmente, mi pare che questa differenza che si fa fra i nati nel 1842 e i nati nel 1843 debba tenersi in considerazione. Quando vorrà avere la bontà... (Rumori) Non c’è niente da ridere, signor Conti...! (Volgendosi indietro)
PRESIDENTE. Prego l’oratore di rivolgersi alla Camera, e gli altri di non interromperlo.
SCRUGLI. Mi permetta che io dica al signor Conti che non c’è da ridere qui, ma abbia la bontà di rispondere quando avrà la parola, non bisogna interrompere in questo modo chi parla.
PRESIDENTE. La prego di continuare il suo discorso e di rivolgersi alla Camera.
SCRUGLI. Sta bene, signor presidente, sarà servito. Dunque io fo un calcolo: quelli di prima categoria, come ho detto poc’anzi, debbono servire per 11 anni di seguito lo Stato; ora, se si continuassero a chiamare questi 45 mila uomini di prima categoria in ogni anno alla fine degli undici anni l’Italia avrebbe di prima categoria 495,000 uomini sotto le armi. Questo è un calcolo, è un fatto; io suppongo anche che si metta il 2 per cento di mortalità, in 11 anni se ne avrebbero 9900 di meno. Vi ammetto anche quello che non potrebbe avvenire in seguito, poiché, se oggi abbiamo dei renitenti in certo numero, credo che ciò non debba durare lunga pezza, e nell’avvenire non ne avremo più che in piccol numero: ne ammetto dunque, anzi suppongo il 10 per cento di renitenti, ed avremo così 49,500 renitenti; quindi tolti questi 49,500, avremo alla fine degli 11 anni 435,600, ed ammesso anche qualche dubbio sul 2 per cento di morti ed altre eventualità impreviste con togliere fino a 5,600, resterebbero sempre 430,000 di prima categoria. Fo un dubbio a me stesso. L’Italia può ritenere in tempi normali un numero di 430,000 uomini sotto le armi? Credo essere un numero esagerato, quindi parmi che questa legge disuguale pei nati nei diversi anni sia non equa e non opportuna. Io ho fatto il calcolo colla base del contingente di 45mila; se noi ne metteremo 55 mila, voi vedete che il numero di 430 mila aumenterà. Io non credo che noi abbiamo bisogno di tanta forza. D’altro canto, ripeto, quando il signor ministro chiedesse un numero maggiore d’uomini, che bisognassero per l’esercito nelle circostanze presenti e future, ne ha tanti di seconda categoria, fra i quali benissimo può dimandare un contingente qualunque, ed io non sarei alieno di dargli non solo i dieci mila che egli domanda di più sulla prima categoria, ma gliene darei 50 o 100 mila ancora, quando li richiedesse. Con tutto l’animo glielo dico, perché io sono governativo, amo che il Governo attuale rimanga fermo, amo che il nostro Stato rimanga stabile, e quindi sarei prodigo anziché no dare gente armata per sostenere la nostra causa. Ma sento nell’animo mio la giustizia dover prevalere, e quindi fo questo dubbio: è giusto che ci sia una differenza fra i nati di un anno e i nati dell’altro?
LAZZARO. Domando la parola.
SCRUGLI. Ma, mi permetto dire qualcosa di più. Quando voi togliete alle popolazioni, particolarmente alla popolazione agricola, un numero considerevole d’uomini, fate danno all’agricoltura, fate danno anche alle arti, fate danno agli opifizi, e quindi io crederei che non solamente bisogna guardar l’interesse particolare degli individui, ma anche gl’interessi delle popolazioni e dello Stato. E’ certo che la popolazione forma la base principale di uno Stato. Ora quando voi assottigliate i mezzi da prolificare questa popolazione, vale a dire d’accrescerne il numero, quando voi per undici anni imponete il celibato, vedete bene che farete scemare di molto la produzione. (Si ride) Ciò non è regolare; non credo essere cosa economica. Per conseguenza oltre alla giustizia che parmi si dovesse tenere nel trattamento delle classi, crederei fosse anche questa veduta interessante. Del resto questo è un dubbio sorto nell’animo mio. Quante volte il signor ministro avesse la bontà di eliminarlo, sarei fortunatissimo di poter mettere la mia palla bianca nell’urna.
PRESIDENTE. La parola è all’onorevole deputato Lazzaro.
LAZZARO. Sarei fortunato se potessi contribuire a diradare i dubbi che sono nati nell’animo dell’onorevole Scrugli. L’onorevole Scrugli pare dicesse essere incostituzionale questo articolo di legge.
SCRUGLI. No! No!
LAZZARO. Scusi, ha detto che questo articolo si oppone allo Statuto.
SCRUGLI. E’ soltanto un dubbio che è nato nell’animo mio.
LAZZARO. Perciò appunto io diceva che sarei lieto di contribuire a diradar il suo dubbio. Farò osservare all’onorevole Scrugli che qui non si fa diversa posizione a nessuno. La legge vuole che tutti i cittadini siano chiamati indistintamente a prestar servizio, ma non parla delle classi, perché può darsi benissimo che in un momento lo Stato richieggia dieci, in un momento abbia bisogno di venti, un altro momento abbia bisogno di cento; ragione per cui nello Statuto è scritto che la legge bisogna che sia votata anno per anno dal Parlamento. Per conseguenza io trovo che nello Statuto medesimo sia la risposta la più eloquente ai dubbi espressi dall’onorevole Scrugli. L’onorevole Scrugli è poi entrato nella questione economica; ma di questa mi pare non sia il caso di trattare in quest’ articolo.
PRESIDENTE. Non sarebbe d’altronde permesso, perché qui siamo all’articolo 2, e quella questione avrebbe sua sede nella discussione generale.
LAZZARO. Per questo appunto dicevo che non sia qui opportuno trattare questa questione. Io mi riservo per parte mia di chieder poi alcuni schiarimenti all’onorevole ministro della guerra intorno alle categorie, cioè se coloro i quali nel sorteggio debbono appartenere alla seconda categoria, nel caso che gl’individui designati numericamente per la prima non si presentassero, il Governo potrebbe prendere gli uomini della seconda e farli marciare in luogo di quelli della prima? Ciò non è detto, ma si è fatto però nel senso appunto che io aveva l’onore di esporre alla Camera, mentreché a me pareva che senza una legge ciò non si può fare... Una voce. C’è la legge!
LAZZARO. Insomma se non realizzate i 55 mila uomini appartenenti alla prima categoria, si possono far marciare parte di quelli della seconda categoria?
DELLA ROVERE, ministro per la guerra. Rispondo subito all’onorevole Lazzaro, poiché la mia risposta sarà molto semplice. La legge sul reclutamento stabilisce che si faccia un sorteggio generale per tutti quelli che devono essere iscritti, quindi si prensa sui medesimi il numero che è stabilito dalla legge annuale del Parlamento di 45, di 55 mila uomini. Questi appartengono alla prima categoria; si ordina loro di andare sotto le armi; se poi taluni non vi si recano prima che sia dato il conto finale della leva, suppliscono alla mancanza i primi giovani che sono stati designati alla seconda categoria; ma, dato il conto finale, rimangono definitivamente in questa coloro che non sono stati ascritti alla prima. Insomma la legge stabilisce che si deve dare il conto completo di 45, di 55 mila uomini, come è stato stabilito dal Parlamento.
TORRE. Domando la parola.
DELLA ROVERE, ministro per la guerra. Adesso, se permettono, verrò a rispondere all’onorevole Scrugli, e ciò varrà anche a fornire la ragione per cui ho domandato 10,000 uomini di più che nell’anno scorso. Per venire a fare questa domanda io ho dovuto considerare prima lo stato dell’esercito com’è composto ora e come andrà man mano aumentando o diminuendo. Io ho osservato che l’esercito si compone di tre grandi categorie di soldati: la prima è quella formata dalle undici classi che annualmente sono votate dal Parlamento in numero preciso, cosicché, ove si prendesse per base ciò che si fece l’anno scorso e si seguitasse sempre la stessa norma, sarebbe formata questa prima categoria di undici classi consecutive di 45,000 uomini caduna al momento della leva. Questa categoria veramente è quella che costituisce la forza dell’esercito, e la parte della quale si deve tener calcolo per ottenere quel nucleo, quella forza imponente che si vuole avere dallo Stato. La seconda categoria è quella di cui ho più sopra parlato, ed è formata di tutti quelli che sopravanzano alla prima categoria e restano a disposizione del Ministero, il quale la può, secondoché le circostanze lo esigono, chiamare sotto le bandiere, ma soltanto sino al 26° anno d’età. Queste seconde categorie coll’uso prima seguito restavano chiamabili, mi si permetta la parola, dopo il ventunesimo anno e solo per cinque anni, o più esattamente, come dice la legge, sino al vigesimosesto anno; ma ora che la leva si fa a vent’anni compiuti, la legge non avendo mutato il suo termine fisso di ventisei anni, restano chiamabili per sei anni. Questa seconda categoria però non si chiama sotto le armi che nelle circostanze eccezionali. Gli individui appartenenti a questa categoria, dopo essere restati uno, due ed anche più anni sotto le armi, quando al Governo non occorrono più, sono mandati a casa, ma per questo non cessa il loro obbligo di servire pel resto del tempo, vale a dire fino al termine del loro vigesimosesto anno. Finalmente vi è la terza categoria, ed è quella composta degli uomini così detti d’ordinanza, cioè di quei soldati che di spontanea volontà fanno un servizio di otto anni di seguito. L’esercito vermanete combattente, che dà forza alla nazione, si deve calcolare su quelli di prima categoria delle undici classi, e su quelli d’ordinanza che debbono fare otto anni compiuti. Ciò si capisce facilmente.