Tropea. La Campana dell'Antico Sedile di Portercole
 

LA NOBILTA' DI TROPEA.
ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL CETO CIVILE
NEL REGNO DI NAPOLI E DEI RIFLESSI
SULLA VITA ATTUALE
 
 

di don Giovanni Maresca
Duca della Salandra
(1958)


E' bene affermare subito che in Tropea, la bella e storica cittadina calabrese della provincia di Catanzaro, esisteva un solo sedile nobile riconosciuto in seguito quale patrizio. La notizia pubblicata, alcuni anni or sono, in una genealogia di famiglia civile tropeana, della esistenza di un altro sedile nobile di 2a categoria non è strettamente conforme alla verità storica e deve essere frutto di affrettata ed errata interpretazione di documenti che, se esaminati attentamente, non lasciano dubbio di sorta.
Non ritengo che sia il caso di dilungarmi troppo su questo argomento dato che la nobiltà della città di Tropea è stata ampiamente illustrata da chiari scrittori tra i quali mi piace ricordare Erasmo Ricca (1) e Felice Toraldo (2).
Forse è opportuno il ripetere semplicemente che il 5 giugno 1703 in una plenaria riunione di nobili ed onorati del popolo (3) si deliberò la edificazione di apposto locale per Sedile dei nobili che venne a denominarsi di Portercole tralasciando il primitivo aggiunto di magnum. In tale occasione fu affermato che sin dall'anno 1567 si era fatta <<segregatione>> di famiglie in essa città fra le nobili e civili (4) e si consentiva che gli Honorati del Popolo potessero costruire a loro proprie spese un Seggio il quale si doveva chiamare Seggio Africano o vero di Scipione l'Africano. L'approvazione fu data dal Regio Collaterale Consiglio il 31 luglio 1703 <<circa erectionem e fundationem Sedilium Nobilium e de Popula separati in uno ab alio>>. Anche del Sedile popolare i nobili di Portercole ritennero di poterne disporre a loro beneplacito tanto che ancora nel 1723 continuavano tra i rappresentanti dei due ceti numerose questioni. I civili popolani in tale epoca ricorrevano al Vicerè contro gli abusi dei nobili di Portercole che volevano continuamente ingerirsi nel sedile degli <<Honorati>> per comandarvi a loro esclusivo arbitrio pretendendo anche di fare essi le nuove aggregazioni al Sedile stesso. Gli Onorati chiedevano che attraverso il Regio Collaterale Consiglio si rendesse loro la dovuta gustizia. Si noti che gli <<honorati>> erano quelle persone che una volta erano denominati gli onesti Plebei e che distinguevansi nettamente dalle altre che formavano il basso popolo ed erano denominati Plebei vili. Bartolo di Sassoferrato nell'affermare che per quanto i primi (gli honesti) siano <<magis accepti quam viles>> tuttavia non cessano di essere plebei ma riconosce loro nel trattato de insignis et armis che potevano per consuetudine ed anche per concessione portare stemmi. Gli Honorati erano insomma popolo scelto che godevano di diritti politici e rappresentavano, in certo qual modo, quell'Ordine che a Napoli prima della conquista normanna era detto dei Curiali. A Tropea sappiamo poi che erano esclusi dagli honorati: personis idiotis, Artistis et natis de illegittimo matrimonio (5): nella metà del 1700 ne facevano parte dottori fisici, notari, mercanti, giudici a contratto, suonatori di violino ecc. (6).
Benchè il trattamento di Magnifico sembra fosse dovuto soltanto agli Eletti sia dei nobili sia degli onorati del popolo, di fatto gli elletti nobili usavano l'illustre ed anche l'illustrissimo e gli onorati tutti del Popolo, anche non facenti parte del sedile Africano, si servivano, a loro vantaggio, del Magnifico. Si sarebbe dovuto dire più propriamente per gli Eletti; <<I Signori Nobili ed i Magnifici dell'Onorati del Popolo>>.
I nobili tutti di Tropea avevano poi il diritto di usare il Don che non era concesso a nessuno degli <<Onorati>>, i quali ultimi nei catasti onciari venivano annotati come <<viventi civilmente>> mentre i primi erano segnati quali <<nobili patrizi>>.
A Tropea esistevano poi come in altre città del Regno di Napoli famiglie nobili fuori piazza, venute a Tropea dopo la capitolazione del 1567, che pur essendo imparentate con quelle del sedile di Portercole e ammesse nella Confraternita nobile dei Bianchi di San Nicola non erano riuscite a farsi aggregare al detto seggio nobile perchè, dopo la capitolazione, ciò era difficilissimo. Il pretendente all'iscrizione doveva ottenere nella votazione per l'ammissione l'unanimità dei suffragi dei patrizi intervenuti. Un solo voto contrario impediva l'aggregazione.
Queste famiglie nobili fuori seggio erano soltanto sette: Braghò, Cesareo, Coccia, Galli, Mendoza, Mottola, Teotino (7) ed erano annotate nei catasti onciari quali <<nobili viventi>>. Esse non prendevano alcuna parte alla vita municipale della città perchè se avessero voluto parteciparvi avrebbero dovuto intervenire nel Seggio Africano ed operando in tal modo, secondo gli usi, le tradizioni e principalmente i pregiudizi dell'epoca avrebbero irrimediabilmente incrinata la loro vantata nobiltà generosa. Anche la Sacra Rota, romana, come riferisce nei suoi manoscritti il Priore Caravita, aveva dichiarato che fra gli atti per i quali i nobili si distinguono dai popolari <<non exercere artes, seu mercatura, sed vivere de propius redditus separatius a Plebe>>. Per tale motivo molte famiglie designate quali civili nei catasti onciari ma che pretendevano di essere originariamente di nobiltà generosa si astenevano da partecipare alla vita municipale e rifiutavano di essere ascritte ai seggi degli onorati del popolo.
In Napoli i membri di molte famiglie antiche, nobili e illustri del Regno facevano, nella seconda metà del XVI secolo, presente al Re che essi non essendo iscritti ai seggi patriziali e non volendo rinunziare alla loro nobiltà generosa dovevano constatare con dispiacere che alcuni villani loro vassalli venuti ad abitare nella Capitale e creati Eletti da parte della piazza popolare governavano, comandavano a loro nobili ed antichi loro padroni (8). Il Sovrano poi nel rivolgersi nel 1707 alla Città di Napoli per chiedere il giuramento di fedeltà distingueva nettamente i tre ceti facendo appello alla Illustre Nobiltà, all'Onorato Ordine Civile ed al fedelissimo Popolo (9).
Il ceto degli Onorati di Tropea era, come si è visto, molto largamente composto e non esclusivamente da nobili viventi come ad es. si verificava a Benevento dove partecipavano alla vita del Comune quattro ceti distinti e separati. Il secondo di essi era formato soltanto da famiglie signorili viventi <<more nobilium>> ma, sia ben chiaro, non considerate neanche esse di nobiltà generosa. In alcuni centri del Mezzogiorno d'Italia i componenti di questo secondo ceto localmente erano denominati <<Nobili del popolo>>, il che poteva trovare un certo fondamento nella affermazione di Camillo Tutini (10) che gli Eletti napoletani nel rilasciare carta di nobiltà a qualcheduno li dichiaravano dei migliori del popolo napoletano. Era assioma indiscusso che <<la nobiltà legale può unirsi con la qualità di plebe non già la generosa>>.
Pertanto, pur adoprandosi criteri di larghezza, si deve conchiudere che il ceto del seggio Africano di Tropea secondo le leggi del tempo non era nobile ma semplicemente di popolo onorato sia pure assai civile, come del resto era tutto il popolo di Tropea. Ora, riconosciuto senz'altro che nello studio del ceto civile di Tropea è facile cadere in errore perchè ad esso era consentito di esercitare il diritto di aggregarsi dei nuovi membri, diritto contestato dai nobili che volevano invece attribuirselo loro, ci sia permesso di fare alcune considerazioni di ordine generale per nulla collegate con quanto disopra detto.
Ci sembra veramente strana e contraria al comandamento di onorare i progenitori, la vanità di molti che cercano di sovvertire le proprie chiare, oneste, dignitose origini attribuendo ai propri antenati qualifiche diverse da quelle effettivamente possedute e che essi in vita non si sognarono mai di richiedere e che fosse per i loro principii mai avrebbero voluto ricevere. Questi studiosi dimenticano che il sangue azzurro non è stato e non è altro che il fior fiore del sangue popolare e che, nei secoli passati è avvenuto anche, come racconta Giovanni Villani, essere somma grazia per un nobile l'ottenere l'innalzamento al grado di plebeo. Dante per non vedersi chiuso l'adito alle cariche si piegò alla demagogia dando il suo nome al sindacato degli speziali. Quanti dei discendenti di coloro che non vollero accettare tale onore, ritendolo una menomazione, perseguitati e caduti in bassa fortuna, assolutamente dimentichi delle loro origini, sono oggi divenuti e si considerano autentici plebei non sapendo neanche, che soltanto nel pronunziare il loro cognome si rievoca antica, eroica, generosa nobiltà?
Coloro che con mezzucci, con cavilli ed altre artificiosità non chiare credono di fabbricarsi una nobiltà da sfoderare,dinnanzi agli ingenui ed agli ignoranti, in alcuni salotti della moderna Europa incivilita e imbastardita non pensano, affogati nella loro puerile vanità, che così operando creano invece il documento sicuro ed irrefragabile della propria personale insensibilità morale e cavalleresca. Essi spesso riescono anche a sorprendere la buona fede di araldisti e genealogisti che se accortosi dell'inganno, continuano a prestarsi al gioco sollecitando la inguaribile vanità di questi cronici malati, diventano non soltanto loro complici, ma ugualmente degni di biasimo e di censura.
Meritano allora anch'essi di essere additati quali superficiali studiosi affinchè non possano continuare, sotto una maschera di competenza specifica, ad ingannare gli onesti. Molti di questi pseudo storici per quella vanaglosia di sentirsi indiscutibili nelle loro azioni, insospettabili nelle loro magagne si fanno contornare da utentiche <<mazze vetuste>> (11) che inconsciamente avallano le loro debolezze.
Perchè volere cambiare in nobile lo stato di quello che era divenuto, qualunque fosse la sua antica origine, ceto civile?
Molti di tale rispettabilissimo ceto potevano far rimontare la loro origine agli antichi <<liberi>> a quei <<Burgensi>>, uomini demaniali <<fideles del Sovrano>> che si identificavano con i boni-homines, sapientes, cives, nobiles homines, nobiliores e che addirittura alcune volte venivano chiamati <<heroes>>. Di questi burgensi di pura antica origine italiana usciti dal borgo dei bassi tempi Vincenzo Gioberti nei Prolegomeni del Primato esaltò le virtù affermando che sotto il ferro dei barbari e dei loro ordinamenti sembrarono scomparire ma risorsero. Essi corsero pei vari gradi del progresso civile passando dal borgo al municipio e alla città e furono militi, avventurieri, navigatori e trafficanti, sudditi liberi in quasi tutti gli Stati d'Europa, scienziati e filosofi, creatori di lettere e di arti. Salvatore Gaetani di Castelmola in un recente articolo sul <<Il Mattino>> ha ricordato che cives e poi civilis in latino oltre l'appartenenza politica significava altresì umano, affabile benigno.
Perchè rinnegare l'albero che si è innalzato a poco a poco da un suolo fecondato dal sudore onorevole, l'edifizio costruito pietra a pietra dal lavoro, dalla perseveranza, dal risparmio che è figlio di virtuosa astinenza del piacere e padre glorioso del capitale?
Perchè cancellare dagli alberi genealogici cambiandone i connotati quei modesti, probi, onesti progenitori che tutto sacrificarono per il benessere dei propri figli e dei tardi nipoti?
Non dimentichiamo ad esempio che il ceto civile spesso protestò contro gli innobilimenti ottenuti a prezzo del solo denaro ed ebbe alcune volte, orgoglioso della propria origine, timore do confondersi con la nobiltà. Il de Tocqueville ha fatto una acuta osservazione notando che il ceto civile era in fondo una parte dell'aristocrazia rivolta contro l'altra parte e costretta a professare l'idea generale dell'uguaglianza per combattere l'idea particolare di ineguaglianza perenne che le si opponeva. Il Denoso-Cortés rileva che la richiesta uguaglianza era il pretesto dell'ambizione ma bisogna anche riconoscere che come aveva osservato, sin dai suoi tempi, Cicerone l'invidia animava quasi sempre i nobili contro gli uomini nuovi che ottenevano brillanti affermazioni. Da questa reciproca incomprensione e diffidenza, dal malinteso orgoglio del sangue degenerato in albagia da un lato, dalla eccessiva presunzione della propria personalità dell'altro, scivolata poi nella esaltazione orgiastica della <<dea Ragione>> ne sono derivati infiniti danni per la collettività. E' avvenuto inoltre che coloro che avevano le carte a posto per essere ammessi regolarmente nella nobiltà hanno trovato le porte chiuse mentre i più furbi ed i meno scrupolosi sono riusciti spesso, con il raggiro e la corruzione, ad esservi ricevuti. Sembra certo che alla formazione spirituale antiaristocratica di Francois Marie Aroue de Voltaire abbia molto influito il mancato duello con il Cavaliere de Rohan-Chabot, che dopo averne accettato la sfida, ripensatoci su, lo fece bastonare dai suoi domestici, arrestare e deportare per sei mesi alla Bastiglia. Il Cavaliere de Rohan agì in tal modo perchè il Voltaire non apparteneva alla sua classe sociale. Alla attenzione dello studioso di tali quistioni, non deve sfuggire, conferma di quanto innanzi detto, che la società borghese uscita dalla rivoluzione sostituì il censo alla prevalenza di nascita e si appropriò di tutti i ferri vecchi della debellata aristocrazia. Mentre continua ad esaltare coloro che nei loro scritti irridevano ai titoli nobiliari e denunciavano il duello come un indegno pregiudizio aristocratico, ha agognato ai primi ed ha codificato il secondo ammettendolo fra i costumi delle più elevate classi sociali sorte dalla rivoluzione.
Non saremo certamente noi che abbiamo sempre esaltato la nobiltà civile o legale che dir si voglia che negheremo ai discendenti di tali famiglie di rinvendicare il diritto al riconoscimento nobiliare. Ma conformemente a quanto abbiamo sempre sostenuto tale riconoscimento non può essere accordato a tutto il ceto civile indiscriminatamente perchè ciò sarebbe del tutto antistorico per le ragioni dinnanzi esposte ma caso per caso a singole famiglie che abbiano attraverso secoli di <<more nobilium>> contratto decorosi matrimoni, esercitato professioni liberali e coltivando sempre alte virtù, abbiano acquistato quella nobiltà <<de jure communi>> che è patrimonio sacro ed inviolabile di onore e dignità. Ricordiamo che la maggior parte delle aristocrazie sono morte proprio perchè chiusesi in se stesse pretendevano di mantenere eternamente la disuguaglianza in favore di certi individui e a detrimento di alcuni altri particolarmente benemeriti.
I Patriziati non seppero tener fede, con il trascorrere dei secoli, al principio di nobiltà implicante un continuo processo di sviluppo sulla base di una selezione di carattere qualitativo che era tradizionale in Italia perchè non soltanto era conforme al concetto romano che la nobiltà fosse radicata nella elevatezza degli uffici ricoperti ma rispondeva al principio <<nobiltà - virtù>> sostenuto sempre dalla Chiesa Cattolica.
Come bene osserva il Vossler la tendenza combattuta in Italia e la nobiltà dai giuristi, dai filosofi, dai poeti sin dagli antichi tempi è stata sempre considerata come proveniente dalle quantità dell'animo. In particolare Tristano Caracciolo patrizio napoletano e barone di Ponte Albaneto nel trattato scritto nel 1480 <<Neapolitanae nobilitatis defensio>> ebbe una concezione dinamica della classe sostenendo che la nobiltà non era una qualità permanente di alcune famiglie privilegiate basata per ereditarietà su semplici diritti di discendenza, bensì condizione costituita da due fattori essenziali ed insostituibili le virtù e le fortune, ossia le ricchezze (12). Boni de Curtili, un secolo dopo in <<de nobilitate>>, (Venezia, 1584), affermò: <<Volubilis atque incostans est haec nobilitas, omne nobilitate mobilior>>.
Ricordiamo poi che Bartolo da Sassoferrato riporta una opinione della <<glossa>> secondo la quale la nobiltà in molti casi passava soltanto sino ai pronipoti e quindi aveva bisogno ogni tanto di rinnovarsi acquistando nuove benemerenze.
La classe aristocratica che si chiude in se stessa, senza accorgersene, si allontana da ogni sorgente di vita e staccandosi del tutto dal popolo, nel quale ha le sue radici, è condannata a perire come il fiore separato dallo stelo. Se storicamente dobbiamo deplorare la chiusura quasi assoluta dei Libri d'Oro, constatando che tale fatto contribuì a provocare la reazione rivoluzionaria della classe civile, non possiamo oggi avere indulgenza per coloro che vogliono farsi passare per discendenti di antichi riconosciuti nobili generosi, mentre invece, i loro antenati non furono mai, sia pure a torto, compresi in tale ristretto ceto. Bartolo rilevava che chi assumeva con cavilli e con autorità una dignità nobiliare cadeva nel <<crimen falsi>>.
I tempi sono cambiati e perciò il Carrara scrivendo nel 1866 affermava, con grande longanimità, che se oggigiorno un <<imbecille ambizioso>> si fa passare per nobile <<degrada ed avvilisce se stesso guadagnandosi il titolo di buffone>> ma non è punibile dalla legge penale perchè non lede il diritto di nessuno (13). Ma sia però ben chiaro che chi agisce in tal modo non può assolutamente essere considerato un perfetto gentiluomo perchè viene meno alle norme del Codice della Cavalleria.

<<L'uomo dabbene è veramente nobile
E lo ingiusto se ben dal sommo Giove
Scendesse, ignobilissimo mi pare>>.

Certamente anche questo sentimento di tutela della dignità personale fu tra gli scopi della <<Unione Cavalleresca>> costituita dal Pasini Frassoni e dal Bertini che nel rispetto delle tavole di fondazione del 1853 del Collegio Araldico, aveva lo scopo di svolgere attiva propaganda per una migliore società fondata sul <<De nobilitate legum>> ed alla quale si riattaccava, sia pure con scopi più limitati, il Marchese Carlo Trionfi nel fondare il <<Sodalizio degli Ottimati>>. Giustamente E.N.R. rilevava, commemorando il Trionfi, nella Rivista Araldica del dicembre 1955 che si intendeva con tale associazione affermare gli ideali della tradizione civica nazionale in una cerchia più larga della nobiltà ufficialmente <<canonizzata>>. Una <<Unione Cavalleresca degli Ottimati>> non può che corrispondere al decalogo della antica cavalleria cristiana ricordando anche il detto che il nobile procrea il nobile ma il cavaliere non procrea il cavaliere e quindi deve essere aperta a tutti i nobili di fatto.
<<Il gentiluomo moderno deve stimarsi come il continuatore di quegli illustri cavalieri del medio evo, che, in mezzo al diritto del più forte, fecero echeggiare colà dove s'intuivano, il grido della lealtà e della generosità, armando il braccio del prode a tutela del debole e a terrore del prepotente>>. Egli deve amare tutto ciò che è grande, che è nobile e virtuoso.
Francesco Domenico Guerrazzi, ora è un secolo, deplorava indignato che la gente nuova, banditrice solenne di popolaresca uguaglianza, spasimava dietro titoli puerili: oggi, se fosse recidivo, assisterebbe alo stesso comico spettacolo; le più ortodosse dichiarazioni di fede democratica ugualitaria ed in pari tempo la ricerca affannosa con tutti i mezzi di ampollose qualifiche e di risonanti titoli nobiliari spesso <<insoliti ed inviosi>>.
Giustamente l'assemblea del Collegio Araldico del 19 gennaio di questo anno ha ad umanimità stigmatizzato le numerose vanità nobiliari ed ha richiamato il Consiglio di Presidenza al dovere di prendere posizione contro tutte le falsificazioni della verità storica, genealogica, nobiliare. Il Congresso internazionale di Bruxelles ha poi, approvando le mozioni Monti della Corte e Adam, autorevolmente confermato in campo internazionale il dovere di seguire tali direttive.
E' opportuno ricordarsi sempre dell'avvertimento di Montaigne <<Costons ces sottes imaginations qui ne peuvent faillir a quiconque a l'impudence de les alliguer>>. Cerchiamo di fare in modo che questi nostri studi siano veramente severi, scientifici, disinteressati e non permettiamo che si convertino <<en vergognoso mercantilismo y medio de lucro>> accreditando <<facilissima novela al servicio de infundadas vanidades>> (14). Non facciamo che leggendo le storie delle famiglie nobili il lettore intelligente e colto debba condividere l'opinione di Oscar Wilde in <<Woman of no Importance>>: <<Dovreste studiare il libro della nobiltà, Gerard... E la miglior cosa in fatto di letteratura amena prodotta dagli inglesi>>.

NOTE

(1) La nobiltà delle due Sicilie - Vol. III - Appendice - Discorso genealogico della famiglia Galluppi - Napoli 1865.
(2) Il Sedile e la nobiltà di Tropea. Pitigliano Tipografia Editrice della Lente di Osvaldo Paggi 1898.
(3) Congregatis infrascriptis magis Sindis et Electis aliisque de nobilibus ac honoratis de populo dictae Civitatis Tropeae ad sonum campanae magnae. Per i nobili intervennero: Magnifico Don Leonardo Mazara, Sindaco dei nobili, Magnifico D. Gregorio Marchese, Eletto, D. Tiberio Toraldo, D. Carlo Pelliccia, D. Alessandro Toraldo, D. Tommaso d'Aquino, D. Leonardo Imeneo, Don Antonio Fazzari, D. Andrea Frezza, D. Aloisio Barone, D. Carlo Rocca, D. Aloisio Taccone, D. Francesco Barone di Giuseppe, D. Francesco Barone di Doritio, D. Francesco Barone di Giovan Battista, D. Orazio Marchese, D. Domenico Imeneo, D. Francesco Taccone, D. Giuseppe Scattaretica, D. Luigi Galluppi. D. Francesco Caputo, D. Onofrio Tranfo, D. Carlo Tranfo, D. Francesco Maria Adisi, D. Giuseppe Giffone, D. Domenico Migliarese. Per gli onorati del Popolo: Magnifico Geronimo Polito Sindaco del Popolo, Magnifico Leonardo De Blasi, Eletto, Giuseppe Aloè, Notaro Antonio Scrugli, Antonio Sava, Notaro Silvestro Raponsoli, Carlo Cortese, Bartolo Prestia, Florio di Blasi, Notaro Antonio Cimino, Notaro Antonio Moricca, Notaro Antonio Bonati, Giovan Battista Scalmati, Domenico Polito, Nicola la Ruffa, Antonio Pietropaolo, Filippo Rettone, Ambrosio la Ruffa, Geronimo Mazzitello, Domenico Cimigliano, Giuseppe la Ruffa.
(4) Sembra che prima di tale data, come del resto in varie città del Regno di Napoli, non vi fosse distinzione netta tra nobili e civili (a Nola tale separazione avvenne nel 1575). Erano considerate tutte famiglie egregie. Nei capitoli dati il 28 giugno 1339 per il governo della città di Napoli è detto che per Popolari s'intendeva <<il popolo grasso non quello minuto e degli artigiani, che non sono soliti nè è loro necessario d'impacciarsi di pesi e di onori>>. I Popolari in quell'epoca venivano a Napoli denominati anche mediani.
(5) Die I. Xmbris Xma indictionis 1562. In Dei nomen amen:
Audite Controversia inter honoratos de populo super personis idiotis, et artistis, et natis de illegittimo Matrimonio, quia iuxta formam Capitulorum novi Regiminis idiotae.
Artistae, et nati de illegittimo Matrimonio excluduntur: fuit provisum, quod Aurifices, et barbitonsores non interveniant in eligendis Mag: Officialibus, de populo, salvis tamen Iuribus presentibus aurificibus, et barbitonsoribus tam super petitorio, quam possessorio, sui loco et tempore proponendis, et ita hoc suum. U. Sardes Capitaneus et con. Pellixer. Consultor.
(6) Archivio di Stato di Napoli Catasto onciario dell'Università di Tropea Vol. 6819 (A. 1747) e Vol. 6820 (A. 1759).
(7) Felice Toraldo op. cit.
(8) L'Eletto del popolo di Napoli veniva nominato sempre da famiglia molto civile, era carica importantissima avendo vasti poteri specialmente in materia annonaria. Non ostante questa notorietà i nobili generosi chiamati a ricoprire tale posto si premuravano, in generale di ottenere dal Consiglio Collaterale il <<citra praeiudicium nobilitatis>> cioè un certificato dichiarante che la nobiltà antecedentemente acquistata da essi o dai loro antenati non veniva menomamente ad essere pregiudicata. Il Rogadeo sostiene che anche ottenendo il citra praeiudicium il nobile generoso ricoprendo la carica di Eletto derogava dalla sua antica nobiltà generosa e doveva essere considerato soltanto nobile legale allo stesso modo di tutti gli altri che venivano nominati a tale posto.
(9) Alessio De Sariis. Codice delle leggi del Regno di Napoli.
Lib. II - Tit. XIII-Del giuramento di fedeltà da darsi al Re.
(10) Camillo Tutini: Dell'Origine e Fondatione dei Seggi di Napoli. La cittadinanza di Napoli dava grandi privilegi in tutto il Regno e nei catasti onciari il cittadino napoletano vivente in altri comuni veniva sempre annotato: <<privilegiato napoletano>>. Si legge in alcune carte che all'epoca aragonese nella Piazza della Sellaria di Napoli era raccolta la <<nobiltà dè merchadanti>>. Nelle prima metà del 1300 in alcuni Sedili napoletani erano frammischiati nobili e popolari senza alcuna distinzione e tutti erano chiamati <<huomini dà bene>>. A Bari le più cospicue famiglie popolane formavano il secondo ceto che era detto dei <<Primari>>.
(11) Manico di scopa rivestito di panni. Significa onesta persona che pura vanità ricopre cariche senza averne la minima competenza.
(12) Mario Santoro - Tristano Caracciolo e la coltura napoletana della rinaslenza - Armanni Napoli. MCMLVII.
(13) Dott. Gemma Piano Martinuzzi. Il Codice Nobiliare.
(14) Francesco Fernandez de Béthencourt <<La Heraldica en Espana>> - Calendario d'Oro 1899 Roma.
 
 

La  NOBILTA'  di  TROPEA

INDICE

|  'Presentazione della 48^ Tornata' di Salvatore Libertino  |
|  'Il Sedile di Portercole e i Casati di Tropea' di Antonio Vizzone  |
|  'Blasonario delle Piazze Chiuse della Calabria: Catanzaro, Cosenza e Tropea' di Luciano Moricca Caputo  |
| 'Osservazioni sulle nobiltà civiche del Regno di Napoli e sui requisiti delle Piazze Chiuse' di Antonio Toraldo  |
|  'La Nobiltà di Tropea. Alcune osservazioni sul ceto civile nel Regno di Napoli e dei riflessi sulla vita attuale' di Giovanni Maresca |
'Costruire la Casa. Memoria, investimenti, erudizione di una famiglia tropeana tra XVIII e XIX secolo' di Francesco Campennì  |
'Il sedile di Tropea e alcune considerazioni sul riconoscimento e trattamento dei Patriziati nel Napoletano' di Antonio Toraldo |
'Per lo sedile denominato Porto Ercole della Città di Tropea. Nel Supremo Tribunale Conservatore della Nobiltà di questa Capitale, e Regno' di Ferdinando di Francia  |
| 'La Famiglia Caputo' di Salvatore Ferdinando Antonio Caputo  |
| 'Notizie delle Famiglie Nobili di Tropea desunte dalla Cronaca di P. Francesco Sergio' di Antonio Toraldo  |
'Divagazioni araldiche sullo stemma di casa di Tocco' di Antonio Toraldo  |
'La Famiglia Fazzari' di Bernardo Candida Gonzaga  |
'Le Famiglie Galluppi di Tropea, di Sicilia e di Aix in Provenza' di Goffredo di Crollalanza  |
'Brevi considerazioni sulla nobile famiglia Paparatti' di Umberto Paparatti  |
'La Famiglia Transo e Tranfo' di Candida Gonzaga |
'La Confraternita dei Bianchi di San Nicola' di Felice Toraldo  |
'I Sindaci di Tropea' di Felice Toraldo  |