LA NATURA DELLA GRAZIA EFFICACE NEGLI SCRITTI DI PASQUALE GALLUPPI
Excerpta Ex Dissertatione ad Lauream
di Francesco Pugliese (1947)
PRESENTAZIONE Pasquale Galluppi si propose di restaurare i valori spirituali d'un popolo. Perciò, nel chiudere un periodo di decadenza nella vita della nostra Filosofia, e nell'intraprenderne un altro di riconquista, Egli lo volle sotto il segno dell'indipendenza intellettuale. Nel suo tentativo rettilineo e coraggioso si spinse in un solco nel quale la critica più severa, è unita al ripensamento ed alla ricostruzione metodica ed indipendente, Perciò, tutto quello che egli dice, benchè provenga dalle fonti più diverse, piglia un senso ed un valore nettamente originale. Sulla sincerità delle sue credenze religiose non vi sono dubbi. Le affermazioni di Giovanni Gentile1 che danno alle convinzioni teologiche galluppiane il valore di idee essoteriche, venute in luce a causa della tirannia dei programmi borbonici, in disaccordo con la coscienza filosofica dell'autore, non hanno alcuna consistenza2. Di tali credenze conosciamo brevi frammenti, piccoli indizi, sufficienti a farci vedere il loro valore sintetico. Chi raduna, per riordinarle, le rare linee della sua Teologia, cadute, come a caso, nei suoi scritti filosofici, non tarda a raggiungere un elemento individuante, che nella sua mente formava un nesso non privo di originalità e di interesse. Egli pone a base della sua Teologia l'idea che c'è un rapporto assai stretto tra verità rivelate e verità psicologiche, sicchè la sua Teologia è una Teologia del cuore umano3. E' bene tenere presente quest'idea, nel giudicare il valore ed il significato di quest'estratto, poichè anch'esso ne è uno sviluppo. Non potendo, per ragioni di bravità, esporre tutta la Teologia del Galluppi relativamente alla Rivelazione ed alla Grazia (i due soli argomenti intorno ai quali ci restano suoi scritti), mi limito a presentare ai cultori del pensiero galluppiano quel che il Filosofo pensava a riguardo d'un problema che da diversi secoli è il più discusso tra i teologi cattolici4. Non tralascio di osservare che ò trovato il lato teologico del Galluppi ancora del tutto inesplorato, mentre è di importanza immensa per delineare la figura umana e religiosa di Lui. Esprimo al p. Giuseppe De Giovanni S. I, della facoltà teologica di Posillipo (Napoli), il mio ringraziamento per i suoi benevoli consigli.
NOTE 1 G. Gentile, Dal Genovesi al Galluppi, p. 83 ss. 2 Per convincersene basta un pò di familiarità con le opere maggiori del Filosofo. Tra le opere minori si leggano ad esempio: Memoria Apologetica - Discorso Accademico su S. Alfonso de' Liguori - Elogio Funebre per Ignazio Barone - Elogio Funebre per il figlio - In occasione che la signora Raffaella Galluppi prende il velo - Componimenti sulla morte della signora baronessa Barbara Galluppi - Onori funebri che alla memoria di P. G. rendeva la gioventù studiosa in Napoli. 3 Fil. della Vol. II, cap. II § 33, p. 158; § 34 p. 170; § 27 p. 120; § 29 p. 134: III, cap. II § 37 p. 198. 4 Il seguente lavoro non è che un estratto della parte terza della tesi che studiava per intero il campo della Rivelazione e della Grazia nel Galluppi.
FONTI
GALLUPPI P. - Memoria Apologetica, Napoli, 1795 - Saggio filosofico sulla critica della conoscenza, Napoli, 1850 - Elementi di Filosofia, Napoli, 1853 - Lettere filosofiche, Firenze, 1932 - Lezioni di Logica e metafisica, Napoli, 1839 - Filosofia della Volontà, Napoli, 1832-40 - Discorso accademico su S. Alfonso de' Liguori in: Archivio storico per la Calabria e Lucania, anno 1930, fascicolo I - II.
BIBLIOGRAFIA MINIMA
ACRI F. - Critica di alcune critiche, Bologna, 1874 CURCI - Onori funebri che alla memoria di P. G. rendeva la gioventù studiosa in Napoli, con un'orazione del P. G., M. Curci, Napoli, 1847 DI CARLO E. - Intorno al primo scritto di P. G. in: Archivio di storia della Filosofia italiana, anno 1937, fasc. II GENTILE G. - Dal Genovesi al Galluppi, Firenze, 1937 GIACON C. - Il carattere nazionale della filosofia di P. G., in: Atti della XXVII riunione del S. I. P. S., Roma, 1939 GUZZO A. - Prefazione, introduzione e nota, premesse alle Lettere filosofiche, Firenze, 1932 Prefazione, introduzione, vita e scritti del Galluppi, premesse al Saggio filosofico compendiato, Napoli, 1933 JEMOLO A. - Il Giansenismo in Italia prima della Rivoluzione, Bari, 1928
Per saggi bibliografici di indole generale cfr:
ROCCHI M. - P. G. storico della Filosofia, Palermo, 1934 GUZZO A. - Nota bibliografica premessa alle Lettere Filosofiche, Firenze, 1932 VIGORITA - Genovesi Galluppi Spaventa, Napoli, 1938
CAPITOLO I
MOTIVI E VOLONTA'
1. Il fondamento dell'efficacia della Grazia - 2. Il motivo non causa il volere - 3. La radice del volere libero - 4. La volontà segue infallibilmente e liberamente il motivo che prevale. 5. Determinazione infallibile e libera.
I Il fondamento dell'Efficacia della Grazia
<< Abbiamo detto che qualunque dilettazione proveniente non distrugge la libertà, perchè essa non induce un desiderio invincibile verso il bene che presenta. Ora facendo consistere l'efficacia della Grazia del Redentore in questa dilettazione proveniente, maggiore della dilettazione proveniente che eccita al peccato, segue che l'intrinseca efficacia della Grazia non offende il libero arbitrio >>1. In queste parole sta, in nuce, la dottrina galluppiana della Grazia efficace che il Filosofo presenta come "dottrina insegnata dopo profonde meditazioni da S. Agostino". Il Filosofo intende riferirsi alle seguenti parole: << Noli cogitare te invitum trahi; trahitur animus et amore... si poetae dicere licuit, trahit sua quemque voluptas, non obligatio sed delectatio, quanto fortius nos dicere debemus, trahi hominem ad Christum, qui delectatur veritate... delectatur justitia, delectatur sempiterna vita, quod totum Christus es >>2 ed a quest'altre parole: << Tunc bonum concupisci incipit, quando dulcescere coeperit... in qua (dulcedinis gratia) si non praevenit Deus, non solum non perficitur bonum sed nec inchoatur ex nobis. Inspirata gratiae suavitate per Spiritum Sanctum facit (Deus) plus delectare quod praecipit, quam delectet quod impedit >>3. Il filosofo si rifà a S. Agostino, perchè è il Teologo che con accenti indimenticabili ci parla d'una dilettazione vincitrice, ed è anche il Teologo verso il quale il Galluppi à delle simpatie. Egli ripensa i sobri termini agostiniani non con lo studio critico dei volumi del S. Dottore ma di quell'altro libro che è tutto suo: l'Uomo. E' una parte della Filosofia su cui à riflettuto più a lungo negli anni della sua massima maturità, quella che ci svela il processo interno con cui l'uomo si determina liberamente. Lo studio della natura della Grazia Efficace, nel Galluppi, riceve immensa luce da tali principi filosofici.
II Il Motivo non causa il Volere
Per David Hume l'idea che noi abbiamo della causalità si riduce alla congiunzione di avvenimenti similari osservati nello universo. Il Galluppi, nel criticarlo, si rifà all'esperienza, per cui: 1. Abbiamo l'idea di connessione tra due cose. 2. E quella di causa efficiente. 3. Le quali provengono dai sentimenti.4. Tale esperienza è valevole anche in rapporto ai nostri atti eliciti e comandati. Il motivo è una condizione, ma causa dei voleri è quella che posta la condizione può operare o non operare: lo spirito. La coscienza non ci à mai attestato che all' "Io conosco", segua necessariamente l' "Io voglio"5. Altre correnti criticate dal Galluppi sono quelle che eccessivamente difendono la libertà, ed i fatalisti. Sia per gli uni come per gli altri la libertà è una bilancia: per i fatalisti i pesi che necessariamente la muovono da un lato o dall'altro sono i motivi per i difensori esagerati della libertà non esiste uno squilibrio di pesi, poichè se esistesse una dilettazione proveniente preponderante la bilancia cadrebbe mossa da forza estrinseca e non dal libero arbitrio dell'uomo. Ma la realtà, per il Galluppi, è che i motivi esistono e che sono sempre gelosi di segnare la via ad ogni atto dell'uomo. La esperienza resta distrutta dalle suddette concezioni che menano ad una conclusione identica: la libertà dell'uomo è un bene illusorio, il sentimento del bene e del male è la vanità d'un impotente. La risposta del Galluppi è che il motivo realmente esiste, che infallibilmente diletta e muove, e che non violenta con una forza necessitante ma che delicatamente persuade6. Cioè, se la coscienza che è il più attendibile criterio di certezza, ci dice che siamo liberi, nel ritenere che siamo liberi, non crediamo che la libertà consista nella coscienza di esser liberi, ma crediamo sulla veradicità d'una testimonianza che non ci può ingannare, che la volontà ha il potere di porre o no il volere7.
III La radice del volere libero
Non è da credersi che il motivo non abbia il potere di distruggere la libertà. Ha anche tale potere. E' in questo, la radice del volere libero dell'uomo. Il bene può essere oggettivo, cioè fisico, e soggettivo, cioè morale: il primo ci è dato, il secondo è un atto libero conforme alla legge etica. Noi vi tendiamo con i nostri due grandi desideri quello della felicità e quello del dovere. Abbiamo l'idea d'un bene, sintesi di bene oggettivo è di bene soggettivo, che rende l'uomo perfettamente beato: è il bene sommo, oggetto adeguato della volontà umana. Il bene sommo non è realizzabile, ma è reale la nostra brama di conquistarlo8. Quando ci troviamo di fronte al bene sommo, non possiamo sottrarci. Il volere di respingerlo è un atto impossibile perchè non ha per oggetto il bene. Ma in questa vita nessun bene può soddisfare tutti i desideri dell'uomo, poichè i beni di questa vita sono oggetto della nostra volontà ma non ne sono l'oggetto adeguato. Qui sorge la libertà. I beni particolari attraggano l'uomo, ma egli non resta totalmente soddisfatto: la sua ragione può sempre considerare come bene l'omissione o l'atto contrario. Egli è attratto, non necessitato: "Il bene particolare non può determinare invincibilmente la volontà a volerlo". L'uomo può vincerne la attrattiva.
IV La volontà segue infallibilmente e liberamente il motivo che prevale
La volontà non è assoluta nel governo dell'uomo, poichè non passa dalla potenza all'atto da sola senza un'azione preventiva dell'intelletto, cui spetta presentare i motivi. Una premessa: è falso che alla deliberazione segua un giudizio di sopravalutazione dell'oggetto prescelto: << La volontà può dirigere l'intelletto nelle sue funzioni, ma i risultamenti di questa funzione sono necessari, ed indipendenti dalla volontà >>9. Anche i desideri, le passioni, le abitudini, hanno una certa influenza sull'intelletto, ma essi non riescono a far si che le cose che noi vogliamo, divengano, in conseguenza del nostro atto volitivo, come noi le vogliamo. Tutto sommato, la nostra volontà può applicare l'intelletto a conoscere, ma non influire, se non in limiti ristretti, nella conclusione dell'atto dell'intelletto. Che, anzi, se la volontà fosse in uno stato d'indifferenza, senza motivi per agire, ogni nostra azione diverrebbe inutile, noi saremmo oziosi, i nostri stessi doveri non sarebbero, nè virtù, nè vizi.10. E' innegabile, per conseguenza, l'autonomia dell'intelletto dalla volontà, nel giudizio. Un'analisi del rapporto che si ha tra le due facoltà, ci porta a considerare distintamente aspetti coincidenti del fluire dei motivi: 1. Motivi della stessa specie e di forza disuguale. La volontà segue infallibilmente il motivo che più diletta11. Un esempio: due venditori posseggono merci di egual qualità, ma vendono con prezzi disuguali. Il compratore eserciterà infallibilmente la sua libertà nel senso di scegliere la merce che costa di meno. 2. Motivi di specie diversa. La diversità di specie tra i motivi non deroga alla legge su denunciata. Anche nel caso che i motivi siano di specie diversa antecedentemente alla determinazione della volontà, l'uno ha il predominio sull'altro nel dilettare, e la volontà segue il motivo preponderante. E' l'esperienza intima, quella della carne contro lo spirito: "Le regole che la morale prescrive al saggio... dicono che fa d'uopo richiamare l'attenzione dall'oggetto verso cui la concupiscenza carnale e sensuale quale che siasi ci spinge, e dirigerla verso i mali e le pene che della soddisfazione del piacere derivano; essa prescrivono di fare attenzione alla bellezza delle virtù"12. "Queste regole sarebbero inutili e senza fondamento se la maggiore o minore dilettazione d'un motivo relativamente al motivo opposto, non influisce nella determinazione della volontà". 3. Motivi che sembrano di egual forza. Uno scopo può essere raggiunto da mezzi differenti di eguale valore in rapporto al fine. Non c'è, nel caso, un motivo che diletti più d'un altro. Viene alla ribalta Buridano13. Ho da pagare un debito di mille lire, ho sul tavolo davanti a me mille biglietti da mille. Arriverò al momento in cui ne piglio uno per pagare? Perchè ho preso quello e non un altro? La risposta del Galluppi è semplice: il motivo che ci fa agire è il soddisfare al debito od il placare l'appetito. I mezzi sono egualmente idonei. Ma io mi determinerò ad A e non a B rappresentandomi la seguente verità: il mezzo A non è più idoneo di qualunque altro, e qualunque altro non è più idoneo del mezzo A. E' una maggiore idoneità negativa. Cosicchè l'equilibrio assoluto è relegato nel numero dei semplici possibili. 4. Motivo unico. Lo seguiamo senza incertezza. La coscienza ci imputa la responsabilità degli atti compiuti per impulso di un solo motivo14. Questo è il pensiero galluppiano circa le ralazioni tra i motivi e volontà. Resta da chiedere come si accordino nel pensiero galluppiano i due concetti di infallibilità e di non necessità dell'effetto.
V Determinazione infallibile e libera
La determinazione ci è data dal potere allettante che il motivo ha sulla nostra volontà. Ed è un fatto di esperienza che realmente il motivo ha la capacità di determinare infallibilmente e che la forza determinante è nell'allettamento del motivo. L'uomo si determina sempre per il motivo più forte, più vantaggioso, più piacevole, per il bene maggiore. Ma i motivi esercitano solo un'influenza morale sulla determinazione: sono come le esortazioni, gli avvisi. Però influiscono sulla determinazione della volontà come le esortazioni che capovolgono il nostro cuore. Reid aveva portato un esempio: due avvocati fan le loro arringhe, ed il giudice emette la sentenza favorevole ad una delle parti. Si concluderà necessariamente che l'arringa dell'avvocato vincitore sia migliore di quella dell'altro? Egualmente non si può dire che il motivo verso cui s'inclina la volontà diletti più dello altro. Il Galluppi al contrario ragiona così: non può negarsi che se il giudice è giusto la sua sentenza dipenderà dalla persuasione che un avvocato è capace di suscitare in lui15. E' prova di questa concezione psicologica anche il fatto esperimentale che << tutti hanno avuto ed hanno sempre un'infinità di determinazioni invariabili, nelle quali essi non deliberano, ma operano costantemente d'una stessa maniera la quale si può prevedere da ognuno che conosce lo stato del loro cuore". Esempio significativo è quello d'un avaro che chiamato ad una ricca eredità dirà infallibilmente che è in suo potere l'accettarla od il rifiutarla, ma che egli l'accetta16. E' ancora un dato di esperienza che il motivo non ha in se una sua forza determinante, ma che piglia il suo vigore nel misurarsi con l'uno o con l'altro uomo. Ogni singolo individuo, a secondo delle proprie disposizioni, si lascia dilettare di più o di meno da ciascuna specie di beni; quindi la dilettazione è un rapporto tra soggetto ed oggetto. Non è una conoscenza ma il moto che la segue. Il giudizio è la percezione d'un rapporto che può lasciarci indifferenti, e può generare piacere o dolore. Da cui fluiscono i desideri. Il desiderio importa tendenza ad usufruire, ad acquistare l'oggetto desiderato. Un esempio classico è la negazione evangelica di Pietro. Il Discepolo << seguì l'impressione del timore: egli ebbe paura di confessare di essere Discepolo di Gesù Cristo >>17. Non è il motivo razionale nudo ed astratto che lo porta alla conclusione che è meglio negare il Maestro anzicchè esporsi per lui, ma è la dilettazione soggettiva. Il desiderio di uscire incolume dalla vicenda supera quello di restare nella fedeltà al dovere. La determinazione non è una mozione che proviene dall'esterno, a cui la volontà soggiace passivamente. Il motivo è una condizione del volere. Condizione fatale, se si vuole, ma condizione: causa del volere non è il motivo, ma quello che posta la condizione può operare e può non operare: lo spirito18. Cosa significa, dunque, l'espressione: il motivo determina infallibilmente e liberamente? Dice il Galluppi: " altro è il determinarci, altro il determinarci necessariamente. Io pretendo che il motivo animale il più forte ci determina, ma non già che ci determina necessariamente, e per dir meglio, che lo spirito segue liberamente il motivo animale il più forte ". La determinazione, dunque, nel pensiero del Galluppi, indica solo un fatto: la dilettazione maggiore è seguita dall'atto della volontà. Per cui è tanto da escludersi l'idea di necessità, da quella di determinazione, quanto dall'idea di operare è da escludersi l'idea di operare necessariamente, e da quella di non operare, l'idea di non poter operare19. Ma il Filosofo si chiede ancora: perchè il volere segue infallibilmente la dilettazione maggiore? L'animo umano nella sua libertà tende naturalmente a ciò che più lo avvicina alla felicità. Ma quello che più lo avvicina alla felicità è la dilettazione prevalente. Dunque, benchè l'uomo possa seguire la dilettazione minore, tuttavia si sente inclinato naturalmente verso la dilettazione prevalente. Questa inclinazione è tale che " sebbene la volontà prendendo un partito, cioè volendo qualche oggetto, abbia un vero potere di non volerlo è nondimeno certo, che essa non vuole giammai se non che quell'oggetto che è più conforme all'ammasso delle passioni, e dei motivi, che sono i più forti nell'anima: essa vi si determinerà da se stessa liberamente: essa sente che potrebbe non determinarvisi; ma essa si determinerà infallibilmente. Supponendo dunque, l'infallibilità dell'effetto, fintantoche le passioni restano dominanti e superiori alle altre passioni, è chiaro che tutta la vita umana è piena di questi poteri senza effetto "20, che " rimangono sterili "21, cioè, che non si riducono giammai all'atto. Dunque, è tale la forza delle dilettazioni prevalenti sulle tendenze naturali dell'uomo, che le disposizioni dell'animo umano, tolgono all'uomo il volere attuale contrario, benchè egli ne conservi il potere in senso diviso22.
CAPITOLO II
PRESCIENZA DIVINA
1. Verità oggettiva e verità soggettiva - 2. La predeterminazione fisica - 3. La scienza media - 4. Le teorie dell'influsso dei motivi sulla volontà e la prescienza divina dei futuri liberi.
I
Verità oggettiva e verità soggettiva
<< La prima proprietà della scienza divina è che essa non è una qualità, o un qualche accidente che sopravviene alla divina sostanza ma è la stessa sostanza di Dio >>23. Si obbietta: Se l'atto con cui Dio vuole se stesso e le creature fosse la stessa cosa con la sua sostanza, ne seguirebbe che se Dio non avesse voluto il decreto libero di creare il mondo non avrebbe voluto la sua sostanza. Dio avrebbe potuto non esistere. Nella dottrina tomista con una concezione logica possiamo parlare d'un'esistenza di Dio antecedente, per priorità di natura non di tempo, la libera determinazione della volontà divina. Per Galluppi tutto si chiarisce mediante una distinzione tra verità oggettiva e verità soggettiva, cioè tra le relazioni logiche del nostro pensiero e realtà. Non che queste relazioni logiche siano qualche cosa di diverso dalla realtà, ma perchè il concetto di necessità logica non coincide con quello di necessità reale. La prescienza importa solo una conoscenza dell'effetto nella causa. L'effetto, prima che sia prodotto dalla causa realmente esistente in se non è certo. Tale certezza è tutta nell'intelletto. La realtà della causa non importa la realtà dell'effetto prima che questo sia prodotto. Questo ci spiega come l'atto creatore che è lo stesso Dio avrebbe potuto non esistere, ma ci spiega ancora come la prescienza divina non distrugga la libertà dell'uomo. Poichè l'impossibilità della non esistenza delle cose previste che segue la prescienza, è nell'intelletto, e non nelle cose reali.
II La Predeterminazione fisica
Prima di dire del sistema al quale il Galluppi aderisce, diciamo di quel che egli ne pensi delle due grandi scuole. Delle quali quella che esamina lungo è il predeterminismo, dottrina che egli conosce attraverso il Bossuet ed il Boursier24. Per le idee proprie di quest'ultimo il Galluppi non sa distinguere il predeterminismo dalla dottrina della conservazione positiva delle creature. Contro il Bossuet il Galluppi insiste sul fatto che se Dio opera i nostri voleri, noi non siamo nè attivi nè liberi. Egli argomenta così: Dio non è l'autore del peccato. Ma il peccato è un atto della nostra volontà. Quindi Dio non è l'autore di tutti gli atti della nostra volontà. Nessun agente è attivo nelle modificazioni che riceve dallo esterno. Quindi le modificazioni attive che avvengano nella nostra volontà non provengono dall'esterno. Il Bousset dice che il primo agente deve essere cagione di ogni azione. Il Galluppi lo ammette in quanto dall'azione creatrice di Dio esiste tutto il creato, e Dio è cagione mediata di ogni azione. Ma c'è da distinguere tra agente primo ed agente unico: " Se Dio non è l'unico agente, egli non è la cagione immediata di qualunque azione25. Per il Bossuet Dio vuole il nostro volere. Ma la volontà di Dio fa ciò che vuole. Quindi Dio, volendolo fa il nostro volere. E come l'essere creato non lascia di essere, per avere il suo essere da Dio, così l'agire creato non lascia di essere un agire perchè viene da Dio. Con un ragionamento simile si potrebbe affermare che Dio potrebbe creare le creature col volere che esse esistano per se stesse. Ma Dio non può volere che un'azione sia una passione. Cioè, non può produrre in noi delle modificazioni prodotte da noi. Insiste ancora contro quest'altro argomento del Bossuet: Dio non conosce se non ciò che egli è e ciò che egli fa. Infatti non si può conoscere se non perchè: 1. la cosa conosciuta impressiona il conoscente. 2. il conoscente à fatto la cosa conosciuta. 3. chi l'ha fatto la fa conoscere. Dio non può conoscere se non nel secondo modo essendo la relazione di causa ed effetto condizione per ogni comunicazione con Dio. Quindi se egli non à posto in noi il libero volere non potrà mai conoscerlo. Oltre il rendere Dio autore di tutti i nostri peccati, questo argomento, ha il vizio intrinseco di non esaminare tutte le ipotesi possibili. Dio, non solo può conoscere ciò che Egli è e ciò che Egli fa, ma può ancora conoscere gli effetti di ciò che Egli fa. E se le creature sono libere può conoscere i loro effetti liberi, nella propria causalità prima. Dio conosce le sue creature nel decreto di creare questo mondo. In quel decreto, dunque, Egli conosce tutti i futuri liberi26. Ha altre affermazioni contro il predeterminista Boursier. E' il rappresentante d'un predeterminismo alterato e decadente, per cui il moto dei corpi non si comprende se non come una successiva creazione del medesimo corpo in diversi luoghi. Ciascun corpo, sempre nuovamente creato è sempre quel di prima. Non così lo spirito con le sue determinazioni. Se egli potesse modificarsi da se, potrebbe darsi una realtà nuova, cioè, potrebbe darsi quel che non ha. Dio, in conseguenza, in ogni istante produce lo spirito e tutte le sue modificazioni. Ma questa stranezza è l'opposto della filosofia dell'Esperienza. Poichè, se la coscienza non ha che la durata d'un istante, qual diritto ha a richiedere la nostra attenzione? Un predererminismo così inteso, nega ogni apparenza d'una possibilità d'acquistar conoscenze o di formular atti d'amore. Nè ci fa persuasi come Dio possa fare si che le azioni che Egli produce in noi, siano realmente fisicamente ed immediatamente prodotte dall'animo nostro. Il predeterminismo che il Galluppi avversa è questo, corrotto ed imbastardito dal Boursier.
III
La scienza media
Il Galluppi non dà grande peso al molinismo. Si contenta di conoscerlo e di respingerlo attraverso un predeterminista che egli combatte a lungo: il Bossuet. Giudica, cioè, d'un avversario mediante la testimonianza d'un avversario comune. Le correnti intellettuali del suo tempo, erano avverse alla scienza media; la quale era rimasta priva di difensori dopo la soppressione dei Gesuiti. Contro i molinisti il Galluppi ragiona a lungo sostenendo la esistenza di motivi prevalenti anteriormente alla determinazione della volontà. Ma costoro, oltre a negare tale dottrina, sono cordialmente antipredeterministi. Il Galluppi ne trae la sua conclusione: all'infuori della predeterminazione fisica ed all'infuori dell'influsso dei motivi sulla volontà, non esistono motivi plausibili con cui renderci convinti della possibilità d'una prescienza divina degli atti liberi. Tra il Galluppi e tutte le forme moliniste vi sono queste differenze essenziali: per primo il Filosofo è convinto della idea che Dio vede tutti i possibili, anche i futuribili, nella scienza d'intelligenza e tutti i reali nella scienza di visione. Non così i molinisti. Secondariamente il Galluppi si allontana dalla scienza media per le conseguenze che, secondo lui, ne deriverebbero, che, cioè Dio dovrebbe porre l'uomo in quella data circostanza perchè consenta alla Grazia. Invece il Galluppi, ritiene, che non c'è circostanza in cui Dio non possa convertire anche il peccatore più indurito, e che l'efficacia della Grazia sia intrinseca alla Grazia stessa; cioè, che non è essa seguita liberamente perchè si adatta a questa o quella volontà, ma per sua forza intrinseca.
IV
La teoria dell'influsso dei motivi sulla volontà e la prescienza divina dei futuri liberi
Dio non si porta fin dall'eternità sulle cose come sulla loro presenzialità, giacchè, chi parla di coesistenza tra tempo ed eternità dice un assurdo. Infatti Dio è. La natura è col cambiamento. Una coesistenza, quindi, tra tempo ed eternità è impossibile. Dio invece vede tutte le cose in un atto semplicissimo che non ammette successione. Egli vede tutto in se stesso, i possibili nella propria onnipotenza, e le cose esistenti nel decreto eterno di creare l'universo. Perciò, a rigore, in Dio non si può parlare di prescienza, ma di scienza. La Filosofia dell'Esperienza, ha come certissimi, questi tre fatti: 1. I motivi influiscono sulla volontà, e sono condizioni sine qua non del nostro volere. 2. Sotto quest'influsso restiamo liberi. 3. Noi possiamo conoscere l'influsso dei motivi sulla volontà e di fatto, spesso lo conosciamo. Dio non conosce solo ciò che è e ciò che fa, ma conosce ancora gli effetti di ciò che fa. E così, conosce in se stesso, loro causa, le capacità intellettuali delle singole creature libere, il vigore dei loro principi indeliberati d'azione, le loro tendenze psichiche, le debolezze, e le capacità di resistenza delle loro volontà agli allettamenti dei singoli motivi. Nè la sua è una conoscenza casuale come la nostra, ma è una conoscenza perfetta e comprensiva. La conoscenza certa della dilettazione proveniente, genera certezza in riguardo alla determinazione della volontà. E giova ricordare che questa non è una certezza oggettiva, ma semplicemente una certezza soggettiva, cioè, una conoscenza che nella pone nella cosa conosciuta. L'effetto, nel caso specifico della conoscenza divina, è logicamente necessario, in quanto il non avverarsi porrebbe un errore in una prescienza infallibile, ma la sua natura di atto libero non resta mutata. E questo si deduce dai principi già posti, che si possono racchiudere nei loro termini minimi così: 1. I motivi non sono causa efficiente dei nostri voleri. 2. I motivi non determinano invincibilmente la volontà. 3. I motivi hanno un'influenza certa sulla determinazione della volontà27. Quindi, se Dio, con conoscenza certa e comprensiva, conosce la dilettazione prevalente, conosce l'influenza certa dei motivi sulla volontà. E così conosce l'influenza certa dei motivi sulla volontà. E così conosce l'atto con cui la volontà, sotto l'impulso delle condizioni necessarie, determina se stessa28. In questo modo il Galluppi intende l'idea che Dio nel decreto eterno di creare cause efficienti di alcuni effetti e di ordinarle in un dato modo, conosce nella propria causalità i loro effetti, anche se queste cause efficienti, sono cause libere. E di tale idea ne trova un fondamento in S. Agostino: " Non esse consequens, ut si Deo certus est omnium ordo causarum, ideo nihil sit in nostrae voluntatis arbitrio. Et ipsae quippe nostrae voluntates en causarum ordine sunt, qui certus est Deo, eiusque praescientia continetur quoniam et humanae voluntates in causarum ordine sunt, qui certus est Deo, eiusque praescentia continetur; quoniam et humanae voluntates humanorum operum causae sunt. Atque ita omnes qui rerum caussae praescivit, profecto in eis caussis etiam voluntates nostras ignorare non potuit, quas nostrarum operum caussas esse praescivit "29. Questo nelle sue linee essenziali è il pensiero del Galluppi a riguardo della prescienza divina. Queste le convinzioni del Filosofo alle quali aderiva tenacemente, ma non senza riconoscere le difficoltà e la pochezza nostra nel voler scandagliare il mistero di Dio: " Comunque la cosa sia soggiungo con S. Agostino: Ne hoc a me fratres expectetis ut explicem vobis quomodo cognoscat Deus. Hoc solum dico: non sic cognoscit ut homo, non sic cognoscit ut angeli, et qomodo cognoscit dicere non audeo, quoniam et scire non possum "30.
CAPITOLO III
LA NATURA DELLA GRAZIA EFFICACE
1. L'efficacia della Grazia è intrinseca alla Grazia stessa - 2. La Grazia attuale è immediata all'intelletto ed alla volontà - 3. La Grazia Efficace
L'efficacia della Grazia è intrinseca alla Grazia stessa
La natura della Grazia efficace è concepita dal Galluppi in stretto rapporto ai principi psicologici dell'influsso dei motivi sulla volontà. La ragione ultima che gli fa ritenere queste vedute teologiche è la sua concezione della Provvidenza e delle necessità del cuore umano, i due termini che danno unità a tutta la teologia del Galluppi.31. Egli stesso si giustificava: " Non sono queste osservazioni le illusioni del misticismo, ma sono l'espressione dei rapporti naturali, che vi sono tra le affezioni, e le condizioni dell'uomo, e la natura divina. Iddio non dee solamente soddisfare il bisogno della ragione teoretica, che vuole rimontare necessariamente alla causa prima ed assoluta, ma eziandio dee soddisfare il bisogno della ragione pratica e delle indelebili affezioni del cuore umano, che vogliono un Dio giusto, benefico, misericordioso ed onnipotente "32. I teologi dicono che la Grazia può essere efficace, cioè, può indicare una connessione infallibile ed antecedente, col consenso della volontà. Sicchè per spiegare la posizione dell'atto libero, non è possibile ammettere alcuna incertezza a riguardo della posizione dell'atto, se si considera la volontà sotto l'influsso di una tale Grazia. Il Galluppi, raramente parla di Grazia Efficace, ma più frequentemente di onnipotenza di Dio sul cuore umano. Son due espressioni che nel suo parlare si equivalgono in quanto al significato, poichè quest'onnipotenza non è che il potere divino di dare all'uomo un aiuto infallibile efficace nell'atto primo. Tuttavia la seconda espressione rispecchia meglio lo spirito della teologia del Galluppi, che è appunto una Teologia del Cuore Umano. Bisogna ricercarne l'efficacia in una proprietà intrinseca od estrinseca alla Grazia stessa? Il Galluppi, non solo non ignora le discussioni sull'efficacia intrinseca della Grazia, ma se ne fa un'arma contro il molinismo. E' l'argomento solito contro gli avversari del congruismo. I molinisti dicono: " Supposto che Dio voglia salvare un uomo: egli esamina, prima di decretare la Grazia della conversione, in quali circostanze possibili quest'uomo consentirà alla Grazia; e così si regolerà in quali circostanze dee porlo; ma i loro avversari pretendono che questa scienza regolatrice, fa ingiuria all'onnipotenza di Dio sul cuore dell'uomo, ed all'intrinseca efficacia della Grazia divina. Non vi è alcun cuore talmente indurito, che posto in qualunque circostanza, Dio non possa convertirlo a se. La Grazia poi è efficacia da se stessa, poichè per la sua forza intrinseca è seguita liberamente dalla volontà umana "33. E' più dolce l'abbandono totale dell'uomo nelle mani di Dio, perciò è più in coerenza con la Filosofia del Galluppi questa idea della Grazia efficace, che tanto contrasta col congruismo. Ma la seconda affermazione sua contro il molinismo prende molto peso nel suo pensiero, come lo ha in tutti i nemici della Scienza media: essendo l'efficacia della Grazia intrinseca alla Grazia stessa, nella conoscenza di essa si conosce il volere libero della volontà cui potrà essere destinata.
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La Grazia attuale è immediata all'intelletto ed alla volontà
Questa Grazia, per essere efficace in se stessa, prenda la propria efficacia nella sua stessa natura, la quale è bene espressa nelle parole agostiniane che la definiscono: ispiratio sanctae dilectionis, ut cognita sancto amore faciamus. Son parole che mostrano assai chiaramente che la Grazia non ha per oggetto l'intelletto solo, ma la volontà e l'intelletto insieme. Rousseau, il nemico della preghiera dice che l'unica cosa che egli chiede alla giustizia di Dio, è il raddrizzamento degli errori se sono pericolosi. Il Galluppi risponde: " Si può dunque, anzi si dee implorare dal padre de' lumi, che egli illumini il nostro intelletto facendogli conoscere il bene. Ma quale assurdità vi è a pregarlo che egli mova eziandio la nostra volontà verso il bene?34. Con tale significato nel Discorso accademico per S. Alfonso, il Galluppi a queste parole: "Gran Dio.... io confesso, egualmente la tua onnipotenza sugli spiriti, tu sei potente ad illuminarli, e ad accenderli di un santo amore per te35.
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La Grazia Efficace
Quando il Galluppi rivendica la libertà del volere effettuato sotto la spinta della Grazia Efficace, la sua spiegazione razionale utilizza due ordini di verità: 1. L'onnipotenza di Dio. 2. La verità psicologica dell'atto libero.
1. Abbiamo detto che la Grazia efficace consiste in illustrazione all'intelletto ed in affetti alla volontà. " Or tanto le conoscenze ed in generale le percezioni, che le dilettazioni interiori, sono modificazioni dell'anima; non può dunque negarsi che Dio non possa in essa produrle ". Sarebbe vera illogicità ostinarsi a negare a Dio quel potere che financo le creature possiedono: "Se cause esterne producono queste interne modificazioni nell'anima nostra, come non riconoscere questo potere nella causa prima? " L'opera della Grazia, è per il Galluppi, un'opera di convinzioni. Se l'uomo può esercitare questo potere nei propri simili, come è possibile negarlo a Dio? " Se un oratore può persuadere insieme e commuovere, perchè nol potrebbe l'essere onnipotente? "36. All'azione di Dio che governa tracciando il moto agli astri, ne risponde un'altra nell'ordine umano, per la quale lo stesso Dio traccia all'uomo la sua via, dandogli quel che ha d'involontario nel volere: il motivo e la dilettazione37. La verità psicologica dell'atto libero, ci svela tutto un contegno di motivi e di dilettazioni che usato da un'arte infinitamente sapiente può portare liberamente la volontà umana ai voleri ai quali Dio vuol portarla. Nè questa concezione galluppiana perchè si fa forte della psicologia, è una concezione meramente filosofica. Egli non intende parlare solo degli aiuti naturali che Dio dà all'uomo. E' una concezione che vuol dilucidare precisamente l'efficacia della Grazia sovrannaturale, quale è intesa dalla Teologia cattolica. Applicando la teoria dei motivi e della prescienza di Dio alla Grazia efficace ne risulta una veduta specifica del modo come Dio muove il cuore dell'uomo senza necessitarlo. Dio può disporre della volontà dell'uomo, per primo in un modo naturale: " Se questi motivi sono nell'ordine delle cause naturali Iddio, il quale dà l'esistenza a queste cause naturali, dispone così della libera volontà degli esseri intelligenti, secondo il suo beneplacido. Ma egli può ancora disporre del cuore umano in un modo soprannaturale: " Se poi non si trovano de' motivi nelle cause naturali, per ottenere l'effetto che Dio vuole, nulla vieta che Dio produca immediatamente nell'anima umana delle percezioni e delle dilettazioni, che la determinano a volere. Così Dio può volgere, a secondo i suoi imperscrutabili consigli, la volontà degli uomini verso l'oggetto che ha in veduta: ed ha così nelle sue mani il cuore degli uomini, per inclinarlo dove vuole "38. E' questa la Grazia efficace intesa e giustificata secondo le opinioni filosofiche galluppiane già esposte. L'uomo tra due dilettazioni, delle quali la minore è naturale, e la prevalente è opera soprannaturale, infallibilmente seguirà la seconda, che diletta più potentemente. La connessione della Grazia con la posizione del volere è nello stesso atto primo, è una connessione antecedente. Poichè c'è ogni certezza che la Grazia sarà seguita dall'atto salutare. Evidentemente l'efficacia di tale Grazia è intrinseca alla Grazia stessa. Ma l'atto è un atto libero. Poichè se non esiste libertà sotto l'influsso di tale Grazia efficace, non esiste alcun atto libero. Difatti in tutti i nostri atti noi seguiamo la dilettazione prevalente. Un'azione della Grazia così intesa influisce su gli atti con un influsso morale. E' un consiglio piacevole, un ammonimento che attrae, un miraggio che diletta. E' uno sprone, una promessa, un invito. Da qui l'affermazione netta del Galluppi: " Abbiamo detto che qualunque dilettazione proveniente non distrugge la libertà, perchè essa non induce un desiderio invincibile, verso il bene che presenta. Ora facendo consistere l'efficacia della Grazia del Redentore in questa dilettazione proveniente, maggiore della dilettazione proveniente che eccita al peccato, segue che l'intrinseca efficacia della Grazia non offende il libero arbitrio "39. Così la volontà vuole infallibilmente, ma volendo può non volere. Quando Dio si svelerà a noi e lo vedremo faccia a faccia, allora il motivo, unita d'ogni bene, fisserà irremediabilmente la volontà, sicchè volendo non potreno non volere.
CAPITOLO IV
VALUTAZIONI
1. Libertà e prescienza - 2. Efficacia intrinseca - 3. Doppia dilettazione - 4. La Memoria Apologetica - 5. I fatti - 6. Conclusione
Libertà e prescienza
La teoria galluppiana della prescienza divina fondata sull'influsso dei motivi sulla volontà, contiene principi razionali difformi dai principi ritenuti comunemente dai teologi Cattolici, sicchè avvicinandola e confrontandola con quelli ne appaiono diversità sostanziali. E, prima di tutto Dio è il creatore ed il conservatore della nostra volontà. Ma più particolarmente Egli la applica ad agire. Poichè la volontà nel suo primo inizio del volere deve essere applicata da un agente esterno. Quest'applicazione non può venire se non da Dio, poichè solo Dio può agire intrinsecamente sulla volontà, e riguarda solo l'atto con cui ha inizio il processo volitivo, quell'atto cioè, in cui non può arrivare il dominio della volontà. Perciò la teoria del Galluppi appare come in se stessa deficiente ed assurda. Di fatti, la volontà umana deve determinare se stessa oltre il limite sul quale è stata portata dal concorso divino. E' chiaro che questo nuovo passo implica una distinzione tra la formalità con cui è stata mossa da Dio e quella con cui essa muove se stessa. Sicchè, è impossibile ammettere una volontà che, poichè è impossibile concepire un agente libero che si determini da se verso quell'oggetto e con la stessa formalità con cui è spinto da una forza a se estranea, senza che egli possa menomamente resistere o deviare la spinta. Il Galluppi dice che i motivi determinano la volontà; quindi, nella sua teoria la libertà non esiste per nulla, ma si cade in una necessità naturale, per la quale la volontarietà non è che la conseguenza necessaria d'un motivo che si è presentato spontaneamente all'intelletto. La filosofia del Galluppi non parla di libertà, se non come d'una parola priva di significato. La libertà non sarebbe se non la buoma accoglienza che noi facciamo a ciò che siamo obbligati a fare, cioè, sarebbe una semplice volontarietà. Ma questa volontarietà è anch'essa un semplice portato necessario dello spirito, sicchè nel nostro volere, di nostro non c'è che il sentimento di essere noi a fare ciò che non possiamo nè volere, nè impedire. Il Galluppi, per sfuggire a tale conclusione ha un raggiro di parole, che è fatale contro le sue stesse credenze. Egli ricorre al concetto d'una determinazione che non sia determinazione assoluta. ma che sia la somma del concetto di libertà dell'effetto, e di quello di infallibilità dell'effetto, con l'esclusione del concetto di necessità dell'effetto40. E così, in un'espressione, racchiude due errori. Per primo dice che un motivo può produrre in un'agente libero una determinazione che sia determinazione libera, evidente contraddizione. Poi, per correggersi, dice che tale determinazione libera implica solo la infallibilità dell'effetto senza accorgersi, che se si dà la preminenza, tra i due primi concetti che non possono coesistere in quanto contradditori, al concetto di determinazione, l'effetto non è solo infallibile ma è necessario, se poi si dà la preminenza al concetto di libertà, allora la volontà resta nella sua indifferenza, ma non si vede come possa conoscere i futuri liberi degli uomini Dio che non li può conoscere nella scienza media, cioè non si vede da dove possa derivare l'infallibilità dell'effetto. Dio conoscerebbe i futuri liberi nella conoscenza che ha dell'animo umano, delle sue inclinazioni e dei suoi istinti. Ma questo ci fa cadere in un dilemma: o questa conoscenza è congetturale, o i motivi sono tali per cui dalla predeterminazione fisica si cadrebbe in una predeterminazione essenziale. La seconda parte del dilemma conferma quanto abbiamo già detto, la prima non spiega la questione che verte proprio su questo, come Dio possa conoscere con conoscenza che sia scienza, i nostri futuri liberi. In conclusione, con questa teoria dei motivi non si riesce a far coesistere la libertà dell'uomo con la prescienza di Dio, cioè, non si raggiunge l'intento per il quale è stata escogitata. E così cade il sostrato primo ed il fulcro del pensiero galluppiano.
II
Efficacia intrinseca
Il Galluppi prende posizioni per l'efficacia intrinseca della Grazia a causa d'una falsa comprensione del congruismo. Egli infatti41 ritiene che nel congruismo Dio non possa convertire il peccatore in ogni circostanza in cui questi si trovi, ma solo in alcune date circostanze, mentre per altre - casi di grave indurimento - Dio non ha che attendere tempi più propizi. Il Galluppi per ovviare ad inconvenienti falsi, ricorre ad una assurdità. Il suo ragionamento può essere espresso così: L'efficacia della Grazia non può essere nel rapporto tra questa Grazia e questa volontà. Quindi deve essere in qualche cosa che precede tale rapporto, cioè, in qualche cosa di intrinseco alla Grazia stessa. Al contrario, con tale concezione, si viene a determinare una sottrazione dell'atto al dominio della volontà, poichè la posizione dell'atto viene ad essere spostata dall'elezione volontaria, a qualche cosa che la precede e determina. Quindi, la negazione del congruismo, è un nuovo ricadere del Galluppi in posizioni da cui logicamente si può dedurre che la libertà dell'uomo è distrutta dalla Grazia. Di più, l'ammettere un'efficacia intrinseca alla Grazia stessa, porta la confusione in seno allo stesso sistema galluppiano. Poichè se il Galluppi poggia la propria concezione sul fatto che ogni volontà, a secondo delle sue tendenze, si lascia dilettare di più da un motivo e meno da un altro, è logico concludere che un motivo presentato immediatamente da Dio, può dilettare in maniera prevalente una volontà e non un'altra, cioè può avere l'efficacia per una volontà e non per un'altra. Quindi, nel sistema del Galluppi, vi può essere una Grazia che abbia l'efficacia, non per virtù propria intrinseca, ma perchè riesce ad accordarsi ad una data volontà. In conclusione, l'idea galluppiana d'un'efficacia intrinseca alla Grazia stessa, contraddice ad un suo postulato.
Doppia dilettazione
La teoria della dilettazione prevalente, à vari punti che ci manifestano una notevole parentela con la teoria della doppia dilettazione del Giansenio. Per Giansenio, prima del peccato originale, l'uomo poteva determinarsi da se stesso, perchè la sua volontà era signora di tutti i propri movimenti. Quindi, Adamo ha peccato perchè l'ha voluto. Ma dopo il peccato originale la volontà ne è rimasta indebolita e tiranneggiata dalla dilettazione delle cose terrestri, talmente che la più piccola tentazione l'abbatte, se Dio non le viene in soccorso. Può sì, l'uomo, fare un atto che in se stesso sia buono, ma non può farlo come si conviene, poichè il movente non può essere che un motivo terrestre d'interesse, d'orgoglio, di vana gloria, quando non lo è la concupiscenza. Come rimedio, non per la volontà primordiale, ma per quella malata, è necessario che sia diffusa nel cuore dell'uomo una soavità celeste, una dilettazione ineffabile. Con essa l'anima resta libera dalla tirannia del peccato, e va verso il bene per il piacere che si trova. Le due dilettazioni, la celeste e la terrestre, son le due forze opposte che muovon le nostre azioni, a secondo che nel conflitto prevalga l'una o l'altra. Quindi, la Grazia non è che una dilettazione vincitrice: senza di essa la volontà segue necessariamente la dilettazione terrestre. Anche per il Galluppi la volontà non è una forza che determina se stessa, ma la necessaria conseguenza del prevalere dell'una o dell'altra delle due opposte dilettazioni. La Grazia non è che un'azione con cui Dio opera sulla volontà disponendola a dilettarsi d'un motivo, facendoglielo trovare amabile, soave, sicchè l'eticità dell'atto dipende tutta da questa dilettazione e ne segue la natura.
La Memoria Apologetica
La nostra interpretazione del valore giansenistico della teoria dei motivi, trova una conferma nella cornice che circonda un opuscolo giovanile del Galluppi. Nel 1795 il Filosofo pubblicò una Memoria Apologetica42 in propria difesa con una lettera d'introduzione del giansenista siciliano mons. Santacolomba43 per scolparsi dall'accusa di eretico fattagli da alcuni ecclesiastici tropeani44 in seguito ad una sua relazione45 letta in una riunione dell'accademia degli Affatigati46 nella quale aveva sostenuto che le pretese virtù dei pagani debbono dirsi peccati perchè mancanti della vera carità. E' la famosa tesi equivoca che non può ammettere un senso baiano giansenista ed un senso agostiniense. Il primo a studiare la Memoria è stato lo Jemolo che la elenca tra gli scritti giansenisti47. In seguito l'ha studiato il Di Carlo confermando il parere dello Jemolo48. Ed in realtà, l'episodio della Memoria, giudicata nella sua cornice storica ci rivela l'animo giansenista dell'autore. Il primo argomento lo deduciamo appunto dalla lettera del Santacolomba che è premessa allo scritto del Galluppi e che esprime idee prettamente gianseniste. Il Galluppi pubblicando la lettera del Santacolomba, intende appoggiare e giustificare con essa il proprio scritto. Quindi è da ritenersi che anch'egli la pensi come la pensa il vescovo siciliano. Le cose notevoli di tutta l'esposizione del Galluppi sono: 1. Afferma di aver sostenuto nella propria relazione la tesi incriminata << affin di far comprendere la grandezza della Rivelazione, e quanto siamo tenuti alla Redenzione di Gesù Cristo, per confondere i partigiani della pretesa Religion Naturale >>49. 2. Insinua una equivoca distinzione: carità e vera carità, richiedendo, perchè l'atto sia onesto, non la semplice carità, ma la vera carità: 3. Afferma di non voler parlare della carità abituale, ma solo di quella attuale, anzi di qualsiasi movimento con cui l'anima si porta verso Dio, anche se questo movimento sia solo principiato e non superi l'affetto dominante per le creature e dice espressamente di seguire il pensiero degli agostiniensi50. Quindi, il fatto che egli esclude la carità abituale lo differenzia in parte dai giansenisti e lo riavvicina al Noris. Ma il suo proposito di voler così magnificare la Rivelazione e la Redenzione e confondere i difensori della religion naturale ci fa chiedere come abbia potuto raggiungere tale scopo nella relazione letta agli Affatigati sostenendo - cosa comoda ai deisti - che l'infedele può fare il bene con qualsiasi atto con cui la volontà si porta verso l'essere supremo. A cui aggiungendo la insinuata distinzione tra carità e vera carità, si può giungere al sospetto che la Memoria Apologetica, non rifletta la relazione letta agli Affatigati, ma sia il risultato del desiderio di scolparsi dall'accusa di eretico, quando si viveva in un paese ed in un secolo in cui quest'accusa era cosa indesiderabile. E di fatti questo sospetto è confermato dai seguenti indizi: 1. Ecclesiastici tropeani si fanno un dovere di riferire al Vescovo che il Galluppi aveva difeso apertamente una tesi baiana. 2. Il Vescovo, mons. Monforte, anch'egli, ponderata la cosa, si fa un dovere di riferire a Roma. 3. Il Galluppi, per scolparsi, non rende pubblica la relazione già letta, ma stende uno scritto diverso. 4. Il Galluppi, nel chiedere l'appoggio del giansenista Santacolomba fa capire che tra loro due c'era buon accordo. 5. Col pubblicare la lettera del Santacolomba, che ha spunti giansenisti, fa vedere che egli non abborrisce da quell'idee, ma che ama pubblicarle, purchè non ne abbia discapito il proprio nome. 6. Pochi anni prima, alle lezioni di Giurisprudenza, aveva preferito quelle di Teologia del giansenista Conforti51. 7, In quegli anni correva voce in Sicilia che il Galluppi ed il Santacolomba d'accordo si fossero iscritti alla massoneria, e che il Santacolomba fosse notoriamente un miscredente52. 8. In ultimo, come abbiamo detto, la Memoria non raggiunge lo scopo della relazione letta agli Affatigati, ma insinua una distinzione equivoca.
V
I fatti
Lo studio del pensiero galluppiano ci ha fatto rintracciare un nucleo di idee giansenista. Per completare lo studio di questo lato del Galluppi, vogliamo guardare, per quel che ce lo consentono i dati storici che sono in nostra conoscenza, il rapporto esistente tra il Galluppi ed il giansenismo. Il Galluppi ebbe dei contatti col giansenismo teoretico ed eretico, e ne ebbe anche con gli ambienti sospetti di giansenismo, e con quelli solidali o simpatizzanti col giansenismo non vero e proprio, ma solo pratico, politico, disciplinare. Per primo, ricordiamo il nome di mons. Carlo Santacolomba. Questo prelato siciliano, amico del Galluppi giovanetto, va notato per un'aperta avversione al nome di gesuita, ed a tutto quello - uomini od idee - che è proprio della Compagnia di Gesù. Aderì al sistema del Noris ma solo di nome, poichè di fatto rimase impegolato di giansenismo. Il Galluppi era amicissimo del Vescovo come abbiamo già detto. Dopo il Santacolomba, viene Francesco Conforti, il noto teologo dell'ultimo settecento napoletano53. Il Galluppi in un frammento autobiografico, ci dice, di aver preferito gli studi teologici a quelli giuridici, quand'era studente a Napoli, e di avere ascoltato le lezioni del Conforti54. Quante? Non lo sappiamo. Altri contatti possiamo dedurre dalle opere maggiori del Filosofo. Nella Filosofia della volontà vengono citati, l'Arnould,55, ed il Tamburini il più noto giansenista italiano del gruppo di Pavia56. In ultimo sono da ricordare alcuni atti del Galluppi riferiti da p. Curci57. Secondo il detto padre, il Filosofo morente dubitava se egli fosse lecito pregare il Signore che gli alleviasse il male, quasi fosse un pregare che non si facesse la volontà di Dio. Ed al sacerdote che gli ricordava di pregare la Madonna, rispondeva: << La prego e ben di cuore, ma la prego per il mio passaggio >>. Poi quando sentì vicono il giorno della morte, mostrava un desiderio impaziente di ricevere i Sacramenti, smettendo le ansità che lo avevano tenuto in una lontananza timorosa. Tutti questi episodi sconnessi, - e di tutta la vita religiosa del Galluppi, sappiamo poco - tendono verso il punto comune, verso l'eresia multiforme, che al suo tempo circolava nel regno di Napoli, A Tropea stessa negli anni attorno al 1760 aveva ricoperto la carica di rettore di quel seminario vescovile, il principale giansenista calabrese, il Serrao58. Non è inverosimile che tra gli ambienti tropeani, forse tra gli amici del Filosofo, il giansenismo avesse trovato aderenti59. Che meraviglia se il Galluppi vi abbia aderito, forse inconsciamente, quando la sua mente si sviluppò tra l'ambiente tropeano, il Santacolomba ed il Conforti?
NOTE 1 Lezioni IV, lezione 94, p. 228 s. 2 In Io tract. 26. 3 Lib, II, Ad. Bonif., c. 9 e 20. 4 El. di Fil. I, Ideologia, cap. IV, § 37 ss., p. 340 ss.; Fil. della Vol. III, cap. I, § 8 ss., p. 29 ss. 5 El. di Fil. I, Ideologia, cap. IV, § 39, p. 349. 6 Fil. della Vol. III, cap. I, § 13, p. 4 § s.; cfr. § 11, p.39 s.; El. di Fil. I,) Ideologia cap. IV, § 39, p. 550. 7 Lezione IV, lezione 92, p. 177. 8 El. di Fil. II, Fil. morale, cap. I, § 18, p. 262; Fil. della Vol. II, cap. IV, p. 323 ss. 9 Fil. della Vol. II, cap. IV, § 55, p. 326. 10 Fil. della Vol. III, cap. I, § 13. 11 Fil. della Vol. III, cap. I, § 17, p. 48 s. 12 Fil. della Vol. III, cap. I, § 14, p. 59. 13 Fil. della Volontà III, cap. I, § 23, p. 92 ss. 14 Lezioni IV, lezione 92, p. 166. 15 Fil. della Volontà III, cap. I, § 18, p. 62. 16 Fil. della Volontà II, cap. IV, § 55, p. 330; III, cap. I, § 22 p. 85. 17 Fil. della Vol. III, cap. I § 45, p. 86 ss. § 23, p. 92; Elementi di Fil. II, Filosofia morale, cap. II, § 20, p. 266; Lezioni IV, lezione 93, p. 195. 18 Fil. della Vol. III, cap. I § 14 p. 47. 19 Fil. della Vol. III, cap. I, § 15 p. 54. 20 Fil. della Vol. II, cap. IV, § 55, p. 329. 21 Fil. della Vol. II, cap. IV, § 55, p. 329. 22 Fil. della Vol. II, cap. IV, § 57, p. 344. 23 Petavio, De Leo, lib. IV, cap. I, n. V. 24 Fil. della Vol. II, cap. III, § 43, p. 230 ss. Boursier Laurent Francais, nato nel 1679 fu discepolo di Lalebranche e dottore della Sorbona. Difese il Giansenismo ed ebbe molte parte nella lotta per la bolla Unigenitus. L'opera sua che ci riguarda è intitolata: De l'action de Dieu sur les creatures, Pais, 1713. In questo libro, a proposito della promozione fisica, si sostiene un'esagerata ed assurda influenza di Dio nelle cause occasionali. Morì a Parigi il 17 feb. 1749. 25 Fil. della Vol. II, cap. III, p. 288. 26 Fil. della Vol. III, cap. III, § 26, p. 135. 27 Fil. della Vol. III, cap. II, § 26, p. 135 ss.; Lezioni IV, lezione 94, p. 228; Rl. di Fil. II 28, Teologia naturale, cap. III, § 26, p. 532. 28 Lezione IV, lezioni 94, p. 227. 29 S. Agostino, De Civ. Dei, lib. V, c. 9 - 10; Cfr Lezioni IV, lezione 94, p.227. 30 El. di Fil. II, teologia naturale, cap. IV, § 26, p. 533; cfr S. Aug. in Psal., 40. 31 Fil. della Vol. II, cap. II. § 27, p. 134; § 33, p. 158; Lezioni IV, lezione 94, p. 228. 32 Fil. della Vol. III, cap. II, § 37, p. 198. 33 Fil. della Vol. III, cap. II, § 39, p. 208. 34 Fil. della Vol. II, cap. II, § 27, p. 127. 35 Riv. di Fil. Neosc., 1930, fasc. I-II. 36 Fil. della Vol. III, cap. II, § 37, p. 194. 37 Discorso accademico su S. Alfonso, loc. cit. 38 Fil. della Vol. III, cap. II, § 46, p. 228. 39 Lezioni IV, lezione 94, p. 228. 40 Fil. della Vol. II, cap. IV, § 55, p. 329. 41 Fil. della Vol. III, cap. II, § 39, p. 208. 42 Napoli, Mozzola Vocola, 1794. 43 Mons. Carlo Santacolomba era cappellano maggiore di Sicilia, abate prelato di S. Lucia del Mela e vescovo di Anemuria. Aveva una certa fama di dottrina. Tra i suoi scritti ricordiamo: Memoria Apologetica relativa al poema su i doveri dell'uomo, Napoli, Palermo 1794. 44 Autobiografia del Galluppi, in Toraldo Tranfo: Saggio sulla filosofia del Galluppi, Napoli, 1902, p. 29 ss. In conseguenza, il vescovo di Tropea, mons. Monforte, aveva fatto regolare denunzia a Roma (Arnone, P. G. Giacobino, in: Studi dedicati a F. Torraca, 1912, p. 219 ss.). 45 Memoria Apologetica, p. 21. 46 Era un'istituzione culturale tropeana. Il Galluppi vi appartenne e vi lesse vari discorsi e poesie i cui autografi sono stati da me rintracciati nell'archivio della famiglia Scrugli. 47 C. A. jemolo, il Giansenismo in Italia, Bari, 1929, p. 228 ss. 48 E. Di Carlo, intorno al primo iscritto di P. G., in: Archivio di Storia della Filosofia italiana, anno 1937, p. 115 ss. 49 Memoria Ap. p. I. 50 Memoria Ad., p. 2 ss. 51 Autobiografia del G. loc. cit. 52 E. Di Carlo, Una denunzia anonima contro P. G., in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, anno 1937, p. 35 ss. 53 Francesco Conforti, nacque a Calvanico (Salerno) il 7 gennaio 1743. Fu teologo ci corte e regio censore dei libri. Soffrì il carcere - 1796 - perchè troppo liberale nella censura. Con i francesi fu ministro degli interni. Fu ucciso dalla reazione borbonica il 7 dicembre 1799. 54 Autobiografia, loc. cit. 55 II, cap. II, § 26, p. 155 ss. 56 II, cap. IV, § 55, p. 327 ss.; § 62, p. 393 ss. 57 Onori funebri che alla memoria di P. G. rendeva la gioventù studiosa in Napoli, Napoli, Tramater, 1847. 58 G. Cigno, Giovanni A. Serrao ed il giansenismo nell'Italia meridionale, Palermo, 1938. Il Serrao nacque a Filadelfia (Catanzaro) nel 1731. Insegnò storia e teologia nell'università di Napoli. La Corte lo volle Vescovo di Potenza, in contrasto con la Curia. Con i Francesi si mostrò repubblicano. Fu ucciso il 24 feb. 1799. 59 Discepolo, coetaneo ed amico del Galluppi era il can. Giuseppe Scrugli, dotto ecclesiastico (da non confondersi col nepote teol. Giuseppe Scrugli, l'autore d'un elogio funebre in morte del G.) appassionato cultore delle memorie riguardanti la sua città natale. A tale scopo raccoglieva, anche pagandoli, manoscritti di qualsiasi genere. Nel suo archivio esiste un anonimo: << Della verità renduta palese a tutto il mondo contro i difensori della Bolla Unigenitus >>.