Galluppi 
e
Kant
 
 
 

di Ludovico Fulci


Conferenza tenuta l’11 maggio 2000 per il Centro Studi Galluppiani di Tropea
 


1. Galluppi e Kant.

Galluppi e Kant. Galluppi contro Kant. Galluppi contro Galluppi. Ci sono tanti modi per intitolare un intervento volto a esaminare la posizione di Galluppi nei confronti di Kant.
Dicendo che siamo dalla parte di Galluppi contro Kant, non intendiamo negare che qualcosa di Kant appartenne profondamente a Galluppi che fece suoi alcuni motivi della cosiddetta aetas kantiana. E veramente va detto che Kant fu filosofo troppo grande perché anche coloro che non ne condividessero in tutto o in parte il programma non finissero un po’ tutti nell’orbita kantiana. Da questo punto di vista può legittimamente apparire che sia questione più di eruditi che non di storici della filosofia andare alla ricerca di certe differenze e insistere su certe sfumature utili ai distinguo che sottraggano in questo caso Galluppi dalla scomoda tutela della filosofia kantiana, all’ombra della quale la sua opera è stata in qualche modo ascritta.
Eppure gli aspetti del pensiero galluppiano che cercheremo di porre in luce ci sembrano tali da non costituire oggetto di una ricerca erudita. Si tratta di questioni che riguardano la concezione che della matematica ebbero i due filosofi, terreno sul quale le loro posizioni si differenziano troppo perché se ne possa ancora a lungo tacere. Perciò quel che, col nostro intervento ci proponiamo di dimostrare è che, pur concedendo che Galluppi possa rientrare nel novero dei filosofi che discussero certi temi centrali alla speculazione kantiana, non può negarsi che ci fossero degli elementi di originalità tali nel suo pensiero da potersi, sia pure limitatamente a temi di logica e di epistemologia, parlarsi di un antikantismo galluppiano.

Tropea: Cattedrale
Tropea: Cattedrale

2. Filosofare è divagare

Ciò che va detto è che un filosofo, nel suo essere grande, come è grande Kant, può tuttavia fondare la grandezza e la generosità di certe sue intuizioni su basi che non hanno il requisito della certezza; per cui proprio il suo peregrinare attorno a questioni complesse, il suo definire e ridefinire i temi stessi della sua ricerca possono costituire il seme di quella grandezza che i posteri gli riconoscono. Platone è forse l’esempio più tipico, per cui ancora oggi ci si divide in nutrite schiere di platonici e antiplatonici, con sottoschiere di platonici in un senso, platonici in un altro, antiplatonici in un senso, antiplatonici in un altro. Divagare è opera dei grandi ingegni della filosofia. Una divagazione è il Discorso sul metodo di Descartes; nel genere delle divagazioni rientrano gli Essais di Montaigne; i Pensieri di Pascal, lo Zibaldone di Leopardi, il Candide di Voltaire, tutte opere che di grande hanno essenzialmente la capacità di scostarsi da un percorso iniziale per affacciarsi, di tanto in tanto, a percorsi paralleli, un po’ fuori via, da cui però si giunge a prospettive così nuove, così interessanti da risultare coinvolgenti per il lettore. Nel novero delle opere che hanno un tale carattere comprendiamo anche l’intero edificio della filosofia critica kantiana.
 

3. I diversi contesti culturali di Kant e Galluppi.

Il fatto inoltre che nessuno può ignorare è che Kant e Galluppi appartengono a due mondi che, sebbene abbiano alcuni tratti comuni, sono per certi aspetti assai diversi.
Se certi problemi "morali" si definiscono e si caratterizzano all’interno del mondo italiano esattamente come avviene nel mondo prussiano, esistono poi approcci, prospettive, convinzioni, opinioni correnti, valutazioni, opportunità tra loro del tutto diverse.
Così è certo che tanto per l’italiano quanto per il tedesco il problema è come operare il bene e praticare la virtù. Ma poi abitudini differenti portano a intendere quel bene e quella virtù in modi solo apparentemente identici.
Tre sono le differenze salienti che riguardano i due mondi all’epoca in cui il giovane Galluppi intraprendeva i suoi studi di filosofia. Esse sono: il clima, la religione, la lingua.
E’ da sempre riconosciuta l’importanza che il clima ha per l’indole delle popolazioni, specie in epoche in cui la tecnologia può assai poco per governare i fenomeni atmosferici.
L’aia, la piazza, gli spazi aperti sono punto di riunione per le popolazioni italiane che al rinfrescare dell’autunno danzano all’occasione della vendemmia. Il mare, il tepore del clima, le ore di sole sollecitano a una vita contemplativa e specialmente le persone di condizione agiata si dedicavano a qualcosa come le dispute filosofiche all’ora del pasto, sotto i pergolati, in mezzo alla fragranza degli agrumi, in ricche tavolate. Il piacere, il dolore, la precarietà della vita e dell’esistenza umane erano l’argomento fondamentale. Fondamentale era, per i filosofi italiani che riflettevano su queste cose, anche la questione se l’amore e la ricchezza bastassero a dare qualcosa che desse la parvenza della felicità agli uomini. E’ su queste domande che si interroga Leopardi. A queste domande avevano tentato di dare risposta Pietro Verri e Melchiorre Gioia. Su questi temi aveva discettato anche Giandomenico Romagnosi, corrispondente del Galluppi.
I luoghi di riunione chiusi, all’interno degli spazi cittadini; i refettori delle scuole e delle università; i chiostri dei conventi sono gli spazi per una meditazione filosofica che molto spesso il tedesco conduce nel silenzio della propria coscienza, secondo un ideale di misticismo che gli proviene dalla tradizione religiosa nella quale è stato educato. Il dovere, la rettitudine, la sincerità sono così per Kant come per Fichte, Hegel e gli altri pensatori tedeschi i temi centrali della loro speculazione filosofica. Non a caso centralissimo nell’economia di una prospettiva che passa per tali questioni diverrà per il pensiero tedesco il rapporto individuo-società che ne domina la scena dalle origini del Romanticismo alla Scuola di Francoforte.
D’altronde a questi temi diventerà sensibile la stessa cultura italiana nata all’ombra di un romanticismo che ha diffuso l’idea della coscienza e della dignità della persona, idee che anche a ragione di un giansenismo giovanile appartennero fra l’altro allo stesso Galluppi che ne fu un promotore, al punto che secondo noi erroneamente se ne fece un precursore dell’idealismo.
Sugli equivoci a cui ha dato luogo una lettura in parallelo dell’opera di Galluppi e dell’opera di Kant, ci pare dica cose molto interessanti Giuseppe
Tortora nel suo Pasquale Galluppi e il materialismo del Settecento francese1, al quale rimandiamo chi volesse avere un panorama complessivo dei giudizi formulati dalle opposte schiere di coloro che riconducono il pensiero di Galluppi a quello di Kant e coloro che intendono le due filosofie come estranee l’una all’altra.

Konisgberg: Cattedrale
Konisgberg: Cattedrale


4. Verità-sincerità

Parlavamo della sincerità. Ci sembra che sia questo uno dei nodi da sciogliere per comprendere la differenza tra la filosofia di Kant e quella di
Galluppi. La sincerità è un valore parallelo alla verità e, talvolta, con la verità va a confondersi.
La nostra sensazione è che la pratica degli studi giuridici rendesse i filosofi italiani più attenti a cogliere la differenza tra queste due cose, e senz’altro in un interrogatorio per quanto becero e inquisitorio fosse, nessun giudice avrebbe preteso che l’imputato rispondesse dicendo "la verità" circa il nome delle principali capitali d’Europa o il numero degli abitanti che in esse vivono. Né questa osservazione ci pare fuori luogo a proposito di un confronto tra la posizione di Galluppi e quella di Kant.
Se infatti vogliamo assai brevemente delineare questa differenza, possiamo dire che per Kant, il fatto che "7+5=12" sia un giudizio sintetico a priori significa che "7+5=12" è vero, a prescindere dall’esperienza che della cosa, cioè del contenuto informativo del giudizio, io faccio.
Galluppi sostiene invece che l’addizione non sia altro che un’ enumerazione abbreviata e che "aggiungere 8 a 9 è lo stesso, che aggiungere successivamente a 9 tutte le unità, che costituiscono il numero 8: 8 secondo la definizione è 7 + 1. Quindi l’espressione 9 + 8 è identica con questa
9 + 1 + 7".2
La proposizione 7 + 5 = 12, che egli più correttamente chiama "espressione", è dunque formalmente riconducibile a 1+1 = 2 che stabilisce, per definizione, un uguaglianza tra due termini "1 + 1" e "2".
Se dunque svolgiamo per intero il ragionamento di Galluppi, vediamo che "7+5=12" è un’espressione semplicemente corretta, non vera. Quasi certamente a Galluppi era noto quel punto del Leviatano in cui Hobbes sostiene che

quando due termini sono tra loro in connessione o asserzione del tipo:
"un uomo è un essere vivente" o del tipo se se quello è un uomo, allora è un essere vivente;
se il secondo termine "essere vivente" designa tutto quel che l’altro termine uomo significa,
allora la connessione o l’asserzione è vera, altrimenti è falsa.
Infatti vero e falso sono attributi del discorso, non delle cose.
Così dove non c’è discorso non c’è né verità né falsità;
ci può essere l’errore, come quando ci aspettiamo che una cosa non accada o crediamo che non sia accaduta;
ma in nessuno di questi due casi possiamo rimproverare a un uomo la menzogna3.

Probabilmente tuttavia Galluppi non ritenne opportuno far cenno a un passo che lo avrebbe indotto ad accogliere uno scetticismo che in Hume è infine coerente alle premesse hobbesiane. Perciò rimprovera a Hobbes di aver detto che "ogni raziocinio è un calcolo" mentre a suo modo di vedere avrebbe dovuto dire che ogni calcolo è un raziocinio.
Ha certamente ragione Giuseppe Lo Cane ad attirare l’attenzione su questo rilievo, da cui si legittima un avvicinamento di Galluppi a Kant, dal momento che “nel rovesciamento dell’affermazione hobbesiana Galluppi sembra voler ammonire sui rischi che la separazione del calcolo dalle sue radici razionali comporta”4. Del resto è proprio qui che Galluppi si accorda suo malgrado a Kant, in quanto ricerca anche lui, pur guardandosi dall’indicarli, i principi a priori.
In ogni caso Galluppi si accorge che tra sincerità e verità c’è differenza. Per lui, come per noi, l’allievo di seconda elementare che dice al maestro che "7+4 fa 12" è un somarello, non un bugiardo.
 

5. Conclusione

Ma allora, perché siamo andati per secoli appresso a chi aveva torto, e abbiamo confinato nella soffitta dei filosofi di serie B un pensatore che, a conti fatti, aveva ragioni da vendere?
Io credo che le grandi filosofie, come le grandi religioni, i grandi imperi, le grandi opere d’arte siano tutte cose che descrivono una parabola. In realtà i logici hanno sempre detto che Leibniz, al cui insegnamento si riconduceva Galluppi, aveva visto assai meglio di Kant. Il Circolo di Vienna ribadì questa sentenza, ma probabilmente i viennesi nulla o assai poco sapevano circa un barone napolitano che, stando a fonti ufficiali italiane aveva più frainteso che compreso la filosofia di Kant. Che i giudizi matematici siano analitici è infine quanto ripete Wittgenstein, ma nessuno tra coloro che in Italia sanno tutto su Wittgenstein si è finora preso la briga di restituire a Galluppi quel che è di Galluppi. Pazienza. Anche questo rientra nella parabola che il kantismo doveva compiere e noi appresso al kantismo.
Diciamo "parabola" a ragion veduta, dal momento che lo stesso peregrinare del lettore nelle tre critiche kantiane conduce a conclusioni poco diverse da quelle a cui per via più diretta era giunto Galluppi. Il punto è troppo importante perché si eviti di discuterlo, facendo riferimento alla letteratura critica.
Tutti sappiamo che tra gli studiosi di Kant Luigi Scaravelli occupa un posto di tutto rilievo. E’ stato proprio Scaravelli ad aver richiamato l’attenzione degli studiosi su un passo kantiano della Critica della ragion pura poco citato, specie dai manuali in uso nelle nostre scuole che insistono sulla nozione di giudizio sintetico a priori, proponendo quale esempio tipico il celeberrimo "7 + 5 = 12".
Lasciamo dunque la parola a Kant:
"...le proposizioni evidenti dei rapporti numerici sono bensì certamente sintetiche, ma non generali, come quelle della geometria, e appunto perciò non sono neanch’esse assiomi; e si possono chiamare formule numeriche. 7 + 5 = 12 non è una proposizione analitica... Ma, benché sintetica, tuttavia questa proposizione è soltanto particolare. In quanto qui si guarda semplicemente alla sintesi dell’omogeneo (delle unità), la sintesi qui può avvenire in un solo modo, quantunque l’uso di questi numeri sia poi generale..."4
Scaravelli commenta sostenendo che "la intrinseca struttura dei giudizi sintetici a priori non è tale da offrirci la ragione di una asserzione così importante e di una distinzione che è addirittura fondamentale"5. In altri termini gli assiomi non sono giudizi sintetici a priori.
A questo punto, per concludere, un’osservazione. Tutti abbiamo amato e amiamo la filosofia kantiana, proprio per quella fascinosa architettura, che consiste in aperture improvvise a misteri grandiosi, per comprendere i quali Kant lascia la traccia intravista, per chiarire un punto che montalianamente potremmo definire l’anello che non tiene, accomodato il quale la ricerca riprende, fino a un’altra maglia che va riaccomodata. Per noi il kantismo è la grande avventura della filosofia quale è stata vissuta da tutti noi negli ultimi due secoli. Dimenticarlo sarebbe da ingrati, perché la chiave, anche se non apre, ha il merito d’essersi onestamente logorata nel tentativo.
 
 

Note

1 G. Tortora, Pasquale Galluppi e il materialismo del Settecento francese, Loffredo, Napoli, 1989.
2 P. Galluppi, La filosofia della matematica, Edizioni Mapograf, Vibo Valentia, 1995 p. 34.
3 T. Hobbes, Leviathan, Routledge, London, 1887, p. 24.
4 G. Lo Cane, Analisi e sintesi nel pensiero galluppiano (La filosofia della matematica), in “Atti del Convegno galluppiano di Tropea del 28-30 maggio 1987”, pp. 92-93.
5 I. Kant, Critica della ragion pura. Dottrina trascendentale degli elementi. Parte II. Logica trascendentale. Analitica trascendentale. Libro II. Cap. II. Sez. III. Assiomi dell’intuizione. Utilizziamo la traduzione italiana di Giovanni Gentile e Giuseppe Lombardo Radice per l’editrice Laterza nella ristampa del 1969, pagg. 181-182.
6 L. Scaravelli, Scritti kantiani, La Nuova Italia, Firenze, 1968, pag. 379.
 
 

APPELLO

La conferenza del prof. Ludovico Fulci
si è tenuta nel quadro di una serie di incontri realizzati a Tropea
e promossi dal Centro Studi Galluppiani,
che si adopera in tutti i modi per far conoscere agli studenti del Territorio
la figura dell'insigne pensatore tropeano Pasquale Galluppi.
Invitiamo pertanto gli studiosi che hanno preso parte ai lavori del suddetto Centro
a inviarci, ove volessero, il testo della loro comunicazione che sarà diffusa in Rete con piacere.