Pasquale Galluppi
La Filosofia della Matematica
 

di Giuseppe Locane





Della filosofia della matematica il Galluppi si occupò una prima volta nell'opuscolo SULL'ANALISI E LA SINTESI del 1807. Nel 1837 scrisse un articolo per la voce ANALISI commissionatogli da Francesco Falconetti per l'ENCICLOPEDIA MODERNA E DIZIONARIO DELLA CONVERSAZIONE. Alla filosofia della matematica il Tropeano fa frequente ricorso in tutte le sue opere. Ad essa intendeva destinare un lavoro specifico che però non giunse in porto, pur rimanendo in merito un ampio materiale manoscritto, solo di recente dato alle stampe, sotto il titolo FILOSOFIA DELLA MATEMATICA.
Il filo conduttore della galluppiana filosofia della matematica può essere espresso dalla sua affermazione che non si risolve in un calcolo, ma piuttosto è il calcolo a doversi ridurre ad un ragionamento (P. Galluppi, FILOSOFIA DELLA MATEMATICA, par.11).
Il Tropeano definisce la matematica scienza della misura della grandezza, la quale a sua volta è ciò che è suscettibile di aumento e di diminuzione. Misurare una quantità significa prendere un'altra quantità della stessa specie e vedere quante volte entra in quella che si vuol misurare.
La misura "si riguarda come unità", il misurato come numero. Il numero è l'insieme di più unità. I numeri si formano coll'aggiunzione dell'unità all'unità. La numerazione ha il proprio inizio nell'unità, ma il termine è arbitrario. Così nella nostra aritmetica decupla il termine è dieci. Se la numerazione termina nel due, si ha l'aritmetica binaria, se termina nel tre, si ha l'aritmetica ternaria e così di seguito.
In Occidente s'impose l'aritmetica decupla, introdottavi verso il 960 da Gerberto, poi divenuto papa Silvestro II, il quale, ricorda Galluppi, la portò dalla Spagna, allora sotto il dominio arabo. Nell'aritmetica decupla alla sintesi del dieci si arriva utilizzando le cifre 0 e 1. Ma la numerazione in tal caso sarebbe risultata complicata. Infatti per indicare l'uno si farebbe uso della cifra 1, ma per avere il due all'1 si farebbe seguire lo 0. Il 3 risulterebbe dalla cifra 1 ripetuta due volte, cioè da 11. Il quattro si formerebbe con la cifra 1 seguita da due 00, che darebbe 100.
Come risaputo, l'aritmetica binaria ha trovato larga applicazione negli attuali calcolatori elettronici.
Se l'aggiunzione progressiva dell'unità all'unità ci dà la numerazione, la somma nasce dalla prontezza del numerare, la sottrazione da quella del denumerare, mentre la moltiplicazione e la divisione dalla prontezza del sommare e del sottrarre.
Quando Galluppi si sofferma sulla sottrazione, si trova a dover trattare del problema delle quantità negative che potevano apparire come una smentita della validità della logica classica, per la quale il negativo in sè, nè ha esistenza, nè è pensabile. Tale problema è da pensare abbia turbato lo stesso Kant, contribuendo anch'esso a svegliarlo dal suo "sonno dommatico", cioè a fargli assumere una nuova posizione nei confronti della matafisica, di cui finirà per negare il valore di scienza.
Anzi, pare che a svegliare Kant dal "sonno dommatico", prima che lo scetticismo di Hume, siano state le antinomie della ragion pura con la difficoltà a pronunciarsi circa la finitezza o l'infinità delle grandezze (lettera a Garve, 21 sett. 1789; XII, 257-58). Ciò trova conferma nel fatto che egli nel SAGGIO PER INTRODURRE IN FILOSOFIA IL CONCETTO DELLE GRANDEZZE NEGATIVE (1763), considera le grandezze negative come realmente opposte alle positive: +a - b conterrebbe un'opposizione reale.
Galluppi osserva, invece, che in algebra non esistono quantità in sè negative: "Egli è facile il vedere, che le quantità negative sono ugualmente reali che le positive, e che il segno - di cui son precedute le prime, indica solamente dover le quantità, che sieguono, essere sottratte da altre quantità. Le quantità negative non differiscono dunque dalle positive, se non per la maniera opposta, con cui queste due specie di quantità si combinano nel calcolo con altre quantità" (P. Galluppi, SULL'ANALISI E LA SINTESI, par. XXI, in FILOSOFIA DELLA MATEMATICA, Centro Studi Galluppiani - Tropea, 1995, p.361).
L'Aritmetica è una scienza, la quale, dati alcuni numeri noti, insegna a trovare la loro relazione (di uguaglianza), con altri numeri ignoti. "Prima dell'operazione aritmetica, il risultamento della operazione era un'incognita; quindi tutte le operazioni aritmetiche si riducono a trovare l'incognita di un membro dell'equazione, in cui l'altro membro è noto". Poichè se a quantità uguali si aggiungono quantità uguali l'uguaglianza resta, si deduce che "se in un'equazione si trasporta da un membro della stessa un termine negativo nell'altro membro con segno +, l'uguaglianza resta" (F.d.M., cit., p.64).
Alla domanda su che cosa si fondi la sicurezza della validità universale delle operazioni aritmetiche, Galluppi risponde che per affermare, ad esempio, che 2+3 fa 5, non si ha bisogno di osservare tutti i casi particolari in cui questa operazione si presenta. Sarebbe un vero e proprio sofisma domandarsi se 2+3 fa sempre 5, perchè la formula con i termini che la costituiscono è per se stessa universale, le unità che la esprimono essendo di natura ideale e perciò non empirica (vedi SAGGIO FILOSOFICO SULLA CRITICA DELLA CONOSCENZA, v.1°, Milano, MDCCC.XLVI, p.189).
Galluppi procedendo nella sua riduzione del calcolo a ragionamento, e servendosi del noto per passare all'ignoto, osserva che nelle operazioni relative alle frazioni si procede in modo analogo al procedimento adottato per i numeri interi. Bisogna però tener conto che la frazione viene aumentata, se lasciando invariato il suo denominatore, se ne aumenta il numeratore, perchè in tal caso si viene ad aumentare il numero delle parti prese dal denominatore.
Spostando la propria riflessione dull'Algebra, il Galluppi osserva che questa a motivo della sostituzione dei numeri con le lettere dell'alfabeto, comporta un grado di maggiore generalizzazione, della quale occorre tener conto per non incorrere in degli errori. La soluzione delle equazioni algebriche, cioè la scoperta di un numero incognito in relazione di uguaglianza con altri numeri noti, si ottiene isolando l'incognita in uno dei membri dell'equazione. A tal fine si ricorre, oltre che alla regola che se a ciascuna quantità uguale si aggiunge o si toglie una stessa quantità, l'uguaglianza resta, anche a quella che la divisione o la moltiplicazione di due quantità uguali per lo stesso numero, ne lascia immutata l'uguaglianza.
da questa regola si deduce che l'uguaglianza resta parimenti se da un membro dell'equazione si trasposrtaa nell'altro una quantità con segno mutato.
Galluppi a questo punto critica i matematici poco profondi che "edotti da un futile empirismo riguardano questi assiomi come inutili, nell'atto che tali assiomi sono i fondamenti dell'analisi algebrica" (F.d.M.).
Nella geometria Pianaa viene messo ad ulteriore prova il metodo euristico consistente nel passaggio dal noto all'ignoto, auspicando che questo metodo venga esteso anche alla didattica. La scoperta dell'ignoto va fatta dentro il noto, come quando dentro una figura nota vengono tracciate nuove linee e si trova il loro rapporto.
Strumenti della scoperta scientifica sono non solo gli assiomi, che si risolvono in proposizioni identiche, come quello che il tutto è maggiore delle sue singole parti, il quale a sua volta presuppone l'uguaglianza tra un tutto e l'insieme delle sue parti. Le nuove scoperte si ottengono pure mediante il ricorso alla falsa supposizione, alla conversione delle proposizioni, all'analogia e aalla dottrina delle proposizioni.
Così se nella Geometria Piana lo scorrere del punto fa nascere la linea e lo scorrere della linea produce la superficie piana, l'analogia fa nascere l'idea di solido del moto di un piano. "Io seguirò - scrive il Galluppi - a prendere l'analogia per mia guida, ed ella mi condurrà, ne sono certo, di scoverta in scoverta" (F.d.M., cit., p.279).
Riflettendo sulle proporzioni in cui vengono a trovarsi due triangoli simili, si scopre che i loro lati sono omologhi. I rapporti tra due triangoli simili fanno pensare ad analogo rapporto tra i quadrati dei loro lati omologhi. Ciò infine significherà che il quadrato costruito sul lato opposto all'angolo retto in un triangolo rettangolo è uguale alla somma dei quadrati costruiti sui lati che contengono l'angolo retto. E' in questo momento che in Galluppi nasce "il sospetto", probabilmente non avvertito da nessuno prima di lui, che non solo il quadrato, ma "un rettilineo qualunque fatto sull'ipotenusa debba essere = alla somma de' rettilinei simili e similmente posti, fatti su i cateti" (F.d.M., cit.,p.232). Pertanto egli scopre che il teorema di Pitagora non è che un caso particolare della più generale uguaglianza tra la figura poligona costruita sull'ipotenusa del triangolo rettangolo e la somma delle due figure omologhe costruite sui suoi cateti.
Può essere interessante rilevare anche che il Galluppi condivise col Condillac l'idea della relatività del tempo, distinguendo un tempo privato da un tempo comune.
Il filosofo di Tropea mostrò una netta preferenza per un metodo didattico in grado di presentare le scoperte scientifiche nello stesso ordine con cui esse sono state compiute. E questo non è altro che il metodo analitico, la cui essenza riducesi a "far partire lo spirito da ciò che è noto, per elevarlo quindi gradatamente verso l'ignoto, in modo che la conoscenza dell'antecedente non sia condizione per intendere il seguente, ma vi meni naturalmente" (LEZIONI DI LOGICA E DI MATAFISICA, V.II, 1838, p.171).
"L'analisi parte dal composto per arrivare al semplice. La sintesi incomincia dalle definizioni....L'analisi incomincia dalla genesi delle idee. La sintesi...enuncia dei teoremi a cui aggiunge la dimostrazione. L'analisi enuncia i teoremi allorchè questi sono un risultamento necessario dei pensieri precedenti" (O.C.. 175).
Al termine di questa conversazione sia lecito formulare l'auspicio che quello da Galluppi detto metodo degli inventori venga adottato nelle scuole della sua città natale e in quelle dei Comuni limitrofi, nella speranza che venga poi diffuso anche altrove.