1 Novembre 2002
Lutto a Tropea, la città natale dove riposeranno le sue
ceneri
Tropea ha accolto con dolore e sgomento la notizia della morte di Raf Vallone.
La città che 86 anni fa aveva dato i
natali a Vallone era molto legata a quello che considerava uno suoi figli
più illustri. E Vallone ricambiava questo
affetto tornando ogni estate a Tropea per trascorrervi un periodo di vacanza.
Vallone era orgoglioso delle sue origini
calabresi e non tralasciava occasione per sottolinearlo. Malgrado fosse
andato via quando era ancora un bambino per
trasferirsi con la famiglia a Torino, il suo legame con la Calabria era
rimasto forte. Quando rientrava a Tropea tornava
ad abitare nella casa di famiglia, a pochi passi dalla terrazza che s'affaccia
sullo scorcio di mare Tirreno. È stato
legato da rapporti di amicizia anche con altri tropeani illustri come il
pittore Albino Lorenzo ed il fisico Toraldo Di
Francia.
L'Amministrazione comunale sarà rappresentata ai funerali di Vallone
fissati per domani a Roma. «Abbiamo già
manifestato il nostro cordoglio – ha detto il sindaco di Tropea, Domenica
Cortese – alla famiglia. Vallone era un grande
uomo tropeano». Il sindaco Cortese ha riferito che per espressa volontà
di Vallone le sue ceneri saranno portate a
Tropea.
1 Novembre 2002
La scomparsa di Raf Vallone, largamente conosciuto per il suo cinema, è
un lutto anche per il teatro. Indimenticabile
in «Uno sguardo dal ponte» di Arthur Miller, per la regia di
Peter Brook. Il passo d'addio dell'attore dalle scene
si era avuto, negli anni '90, come protagonista de «Il Presidente»,
un dramma di Rocco Familiari, per la regia di
Krysztof Zanussi. Il rapporto di Vallone con il palcoscenico è stato
piuttosto intenso dalla seconda metà degli anni
'50. Lo si deve al suo incontro a Parigi con Peter Brook che gli offrì
il ruolo principale in «Uno sguardo dal ponte»
di Arthur Miller. Nella parte dell'italo-americano Eddie Carbone fu strepitoso,
mesi e mesi di repliche che
entusiasmarono i critici di tutta Europa. Vallone divenne per questo ruolo,
che peraltro gli si adattava fisicamente
alla perfezione, divenne una autentica «stella» internazionale,
superando la notorietà che già il cinema gli aveva dato.
È il periodo in cui si parlò apertamente di suoi flirt con
Marlene Dietrich e Brigitte Bardot, quanto bastava per
parlare di lui come un novello Casanova.
L'eccezionale esito del lavoro di Miller (messo in scena in Italia quasi
contemporaneamente per la regia di Luchino
Visconti e l'interpretazione di Paolo Stoppa) indusse il regista americano
Sidney Lumet a farne una riduzione
cinematografica. Il regista americano volle per il film Vallone che ripetè
sullo schermo la brillante prova del
palcoscenico. L'esperienza parigina indusse il nostro attore ad insistere
con il teatro. Negli anni '60 formò una sua
compagnia e scrisse pure dei testi che rappresentò regolarmente.
Ma il successo di «Uno sguardo dal ponte» non si
ripetè, divenne una gemma piuttosto isolata nella sua carriera,
non facilmente ripetibile. Lo stesso Vallone ebbe a
riconoscerlo quando a Taormina, intervenendo in un convegno dedicato a
Brook, a cui era stato assegnato il «Premio
Europa» per la regia, espresse tutta la sua ammirazione e riconoscenza
per il per il regista inglese che lo aveva
sapientemente guidato. Negli ultimi tempi era tornato di rado al teatro.
Sperava molto ne «Il Presidente», andato
in scena a Roma, in cui impersonava emblematicamente un immaginario tycoon
dei nostri tempi, ma il testo non fu
all'altezza, si rivelò deludente. Vallone apparve autorevole ma
carico di una retorica molto distante dall'incisivo
realismo di «Uno sguardo dal ponte».
1 Novembre 2002
Il celebre attore calabrese, 86 anni, è morto a Roma. Star
a Hollywood, di casa nel cinema europeo.
Addio a Raf Vallone, il “divo buono”.
Fu anche valido giornalista, calciatore nel Torino e
traduttore di classici.
Giorgio Gosetti
È morto ieri mattina a Roma, all'età di 86 anni, l'attore
Raf Vallone. La morte è avvenuta nella clinica romana «villa
Pia». I funerali, si è appreso dal figlio Saverio, si svolgeranno
domani a Roma, nella Chiesa degli Artisti di Piazza del
Popolo. Giornalista di buona qualità (capo redattore della pagina
culturale dell'Unità di Torino), calciatore nel Torino
(nella squadra granata lo vedevano come «una roccia»), traduttore
di classici latini, partigiano in montagna, studente di
lettere con con Leone Ginzburg e Luigi Einaudi, divo a Hollywood, di casa
nel cinema europeo: Raf Vallone è stato tutto
questo e anche molto altro ma il suo amore, nonostante i tanti film, era
sempre rimasto il teatro e in particolare
l'amato Arthur Miller di «Uno sguardo dal ponte». Vallone era
nato a Tropea (allora in provincia di Catanzaro, oggi di
Vibo Valentia) il 17 febbraio 1916 ma era di casa anche a Parigi, grazie
al suo francese fluente, dove frequentava
Sartre e Picasso e dove Albert Camus sognava di scrivere un dramma cucito
sul suo talento. Cresciuto a Torino, dove i
genitori si erano trasferiti, nel rispetto della cultura borghese delle
idee progressiste, Vallone muove qui i primi
passi di interprete prima di trasferirsi a Roma dove sarà attore
radiofonico. Il suo pigmalione fu Giuseppe De Santis
che lo volle nella parte del militare in «Riso amaro» del '49.
Faccia da buono e occhi chiari, fisico massiccio e
muscoloso, Vallone sembrava più un'icona che un attore e forse per
questo piacque al cinema neorealista dell'ultima
onda, che lo promosse a protagonista con film come «Il cammino della
speranza» di Pietro Germi (1950), «Roma ore
11» di De Santis (1951), «Gli eroi ella domenica» di
Mario Camerini (1952), «La spiaggia» di Lattuada (1953), «La
garconniere» ancora di De Santis (1960). La grande occasione per
la notorietà arrivò nel 1953 in «Teresa Raquin»
di
Marcel Carnè al fianco di Simone Signoret. Il piglio del seduttore,
il francese impeccabile, la capacità mimetica, lo
fecero notare da registi come Dellanoy e Bardem, che lo guidarono verso
la consacrazione definitiva. È a Parigi che
interpreta «Uno sguardo dal ponte» di Miller e Sidney
Lumet lo volle per adattare nel '62 la pièce sullo schermo.
Fece scandalo il suo bacio a Jean Sorel e commosse la sua disperata ricerca
d'amore e, il suo entusiasmo, la sua
inattesa duttilità. Vallone diventò così il nuovo
astro del divismo italiano d'esportazione al fianco di latin lover come
Rossano Brazzi e Marcello Mastroianni. Lui però non rinunciò
al teatro e, non adattandosi al meccanismo dello show
business, divenne più un caratterista di prestigio che un mattatore.
Da «Il cardinale» di Otto Preminger (1963) a
«Lettera al Cremlino» di John Huston (1970), da «Cinque
per la gloria» di Roger Corman (1964) a «Il leone del
deserto» di Mustafà Akhad (1981), fino alle serie tv «Il
mulino del Po» e «Scarlatto e nero», fu l'italiano per
eccellenza, colto e ignorante, buono e ambiguo, sempre dotato di calda
umanità. Lavorò con alcune delle maggiori
attrici italiane: da Sofia Loren («Il segno di Venere» di Dino
Risi) a Gina Lollobrigida («Cuori senza frontiera» di
Luigi Zampa), da Lucia Bosè a Antonella Lualdi e Silvana Pampanini.
In teatro fu sempre attore curioso e, dopo
«Uno sguardo dal ponte», fu con Peter Brook per firmare una
prova memorabile nel «Tommaso Moro» e «Desiderio
sotto gli olmi» di Eugene O' Neil. Se si dovesse individuare un
tratto distintivo nel carattere di Vallone, sarebbe
certamente la curiosità. Non c'erano libri che non volesse leggere,
traduzioni di copione cui non amasse mettere
mano, avventura cui si sottraesse. Per l'amato teatro perse anche un occhio
in un incidente di scena, tenne sempre
viva la passione civile e l'attenzione a ciò che accadeva nella
sua amatissima Italia. «Ma quel che vedo mi avvilisce
– diceva – e mi nausea. Siamo di fronte ad un individualismo cieco e aggressivo
nella vita politica come in quella
sociale. Anche per noi attori sembra di esser tornati all'epoca in cui
ci negavano la sepoltura in terra consacrata.
Eppure non desidero fuggire lontano: amo troppo il mio paese. Nei mari
del Sud non esistono i campanili di Giotto e
Michelangelo non sanno neanche chi sia». Artista quasi rinascimentale,
poliglotta e perfezionista, maniaco del suo
lavoro, aveva anche prestato la voce ad audiolibri di poesia di Gibran
ritrovando nuova popolarità in America.
Per il cinema italiano può essere considerato il più anomalo
dei divi essendo apparso in un'epoca in cui si
privilegiava la spontaneità rispetto al professionismo. Ma forse
sta proprio in questo aver coltivato le due
personalità, quella segreta e colta e quella tutta esteriore e fisica,
il segreto della longevità del suo successo.
Il presidente del Consiglio regionale della Calabria, Luigi Fedele, ha
indirizzato ieri alla signor Elena Varzi e
ai figli Eleonora, Saverio e Arabella un messaggio di condoglianze.
3 Novembre 2002
Da «Riso amaro» al «Padrino» 50 film e una vita attivissima.
Dal 1949 al 1990, da 'Riso amarò di Giuseppe De Sanctis a 'Il padrino
parte III' di Francis Coppola, la filmografia
di Raf Vallone vanta quasi 50 titoli. Francesco Rosi, Pietro Germi, Alberto
Lattuada, Dino Risi, oltre a Giuseppe De
Sanctis, sono stati alcuni dei registi italiani che l' hanno diretto. Marcel
Carnè, Jean Dellanoy, Anthony Mann,
Sidney Lumet, Otto Preminger, Roger Corman sono alcuni degli stranieri.
Vallone ha lavorato anche con Juan Antonio
Bardem (in 'Ho giurato di uccidertì del '58) il regista spagnolo
che per una tragica coincidenza è morto ieri, alcune
ore prima di lui.
Molti attori hanno avuto vite interessanti. Pochi possono però vantare
una vita e una carriera come quelle di Raf
Vallone, che un anno fa si è raccontato in una autobiografia dal
titolo «Alfabeto della memoria», ove i ricordi sono
ordinati alfabeticamente, al di là di qualsiasi ordine logico o
cronologico. Il libro, curato da Franco Sepe con una
prefazione di Carlo Lizzani e pubblicato da Gremese, va letteralmente dalla
A alla Z, ovvero dalla voce 'ala destrà a
quella 'zona Cesarinì, due voci sportive che ricordano come i primi
successi di Vallone non furono nè in palcoscenico,
nè sullo schermo, ma come calciatore nel Torino.
Venne poi la guerra, l' adesione alla lotta partigiana con 'Comunione e
Liberazionè. Dopo ci fu il giornalismo, come
responsabile della pagina culturale dell'Unità torinese. Solo a
questo punto cominciò quella formidabile carriera di
attore di teatro e di cinema (ma anche di regista e di sceneggiatore),
che ne ha fatto un divo internazionale
dall'aspetto attraente e dalla voce seduttiva: uno che - per dirne una
- ha recitato «Uno sguardo dal ponte» di
Arthur Miller per mesi in francese a Parigi, poi in inglese a Londra e
soltanto dopo in italiano a Roma, salvo
interpretare ancora lo stesso personaggio in un film internazionale di
Sidney Lumet. Non è un caso dunque se Vallone
è l'unico attore italiano membro dell'Academy, quella che assegna
i premi Oscar. Nè che le sue frequentazioni (e
spesso i suoi amori) spazino da Maria Callas a Curzio Malaparte, da Marlene
Dietrich a Jean Paul Sartre, da Simone
Signoret a Peter Brook, in un intreccio di mondanità e cultura,
testimoniato nel libro anche dalle traduzioni delle
poesie di Catullo e da una sceneggiatura scritta per Marcello Mastroianni
(mai realizzata). Fra tante storie e tanti
personaggi spicca l'amicizia con Frank Sinatra che è tutta in questo
anedotto: mentre una sera Vallone gli parlava di
fare un film sul mafioso Lucky Luciano (molto prima di quello di Francesco
Rosi), Sinatra, dopo aver congedato la
moglie Mia Farrow, lo portò in camera da letto, aprì un cassetto,
ne estrasse uno scrigno e da questo tirò fuori un
accendisigari e un paio di occhiali. «Questi sono appartenuti al
mio caro amico Lucky Luciano - disse - non vorrei che
si parlasse troppo di lui». Vallone riferì la frase al produttore
e il film non si fece più. Ma non solo quel film su
Luciano non abbiamo visto, a giudicare da questo racconto: «La prima
notte con Brigitte Bardot la passai in un
convento adibito ad albergo alle porte di Parigi. Partimmo da casa sua
con la mia cabriolet, una lancia carrozzata
da Pininfarina e non ci accorgemmo che un fotografo stava scattando centinaia
di fotografie che finirono nella
redazione dell'Europeo. Non furono mai pubblicate, per l'intervento perentorio
di Oriana Fallaci. Per la sua
affettuosa solidarietà femminile nei riguardi di mia moglie Elena».
3 Novembre 2002
Riposerà a Tropea.
Commosso omaggio all'“eroe” del neorealismo.
ROMA – Raf Vallone, di cui ieri sono stati celebrati i funerali a Roma,
nella Chiesa degli Artisti alla presenza del
sindaco Veltroni, riposerà tra gli ulivi di Tropea, sua terra natale,
a dispetto di un suo famoso film intitolato «Non
c'è pace tra gli ulivi». La salma del popolare attore legato
alla grande stagione del neorealismo è partita per la
Calabria subito dopo la cerimonia funebre, accompagnata dalla moglie, l'ex
attrice Elena Varzi, e dai figli Eleonora
e Saverio. Sono stati i due figli a leggere dall'altare, a conclusione
della Santa Messa, un commosso ultimo saluto
al proprio genitore, un addio che ha emozionato per il suo carattere trepido
e spoglio, fatto di parole intime
ed accorate di riconoscenza. Tra la folla, che ha applaudito a lungo al
passaggio della bara si sono visti lanciare
fiori, tra gli altri, Gianni Bisiach, Ileana Ghione, Francesca Benedetti,
Lucio Manisco, Gianni Borgna. Molte le corone
di fiori.
Particolarmente toccante una con una scritta che ha salutato Vallone come
l'ultimo «eroe» di «Riso amaro» che se ne
va, dopo le scomparse di Silvana Mangano, Vittorio Gassman e del regista
Giuseppe De Santis. Non meno toccante
quella del Teatro Ateneo «La Sapienza» che ha ricordato l'interprete
di «Tito Andronico» di Shakespeare, diretto
da Peter Stein, realizzato nell'università romana. Tutte notazioni,
queste ed altre, che hanno reso ancor più
struggente il distacco dall'attore che in oltre cinquant'anni ha segnato
momenti indimenticabili della vita artistica
italiana.