1 Novembre 2002
Raf Vallone e il grande neorealismo.
E' morto ieri mattina, nella
clinica romana Villa Pia, a 86 anni, l?ttore Raf Vallone. I funerali si
svolgeranno domani a Roma, nella Chiesa degli Artisti
di piazza del Popolo. Attore
di teatro e di cinema, laureato in Lettere e Giurisprudenza, giornalista,
ma anche poeta, scrittore e drammaturgo. Latin lover (se ne innamor?tra
le altre Marlene Dietrich) e, insieme, marito di una sola moglie, Elena
Varzi. Il cinema gli diede una grande fama: esordì con Giuseppe
De Santis che lo volle accanto a Gassman e alla Mangano in "Riso amaro".
Girò anche con Lattuada, Germi, Zampa, De Sica. Per la tv recitò
in "Jane Eyre", "Il mulino del Pò". Meglio di altri interpretò
a teatro "Uno sguardo dal ponte".
1 Novembre 2002
UN VOLTO NEOREALISTA
Il cinema gli diede la
grande fama.
di FABIO FERZETTI
Il cinema gli deve molto,
ma lui al cinema non doveva granchè La fama, certo. La sicurezza
acquisita fin dagli esordi con Giuseppe De Santis, primo regista italiano
a coniugare neorealismo e divismo, che lo volle accanto alla Mangano e
a un Gassman ancora "cattivo" in Riso amaro nel '58, e subito dopo protagonista
di Non c'è pace tra gli ulivi", due film che lo imposero fra i volti
del nostro cinema rinascente.
Quanto al resto Raf Vallone,
che aveva alle spalle solo un pò di teatro universitario a Torino
(fra l'altro nella prima edizione italiana del Woyzeck con scene di Casorati),
entrò nel cinema già adulto e perfettamente formato, dalla
vita se non dal mestiere, tanto che fu a lungo un attore-personaggio più
che un interprete. Come quei volti presi dalla strada che il neorealismo
prediligeva e teorizzava. Lui stesso lo sapeva bene: "Il cinema di quegli
anni premiava la mia convinzione che l'attore dovesse farsi tramite tra
il pubblico e le problematiche sociali", raccontava ricordando che De Santis
lo volle conoscere in quanto giornalista de "L'Unità".
In fondo recitare era l'ultima
delle sue numerose vocazioni, almeno in senso cronologico. Prima che giornalista
era stato partigiano, calciatore, traduttore di classici latini. Attore
completo lo sarebbe diventato molti anni e molti titoli più tardi,
affinando le sue doti naturali in film spesso destinati a lasciare il segno
come Cuori senza frontiere di Luigi Zampa (1950), Il cammino della speranza
di Pietro Germi (1950), Il Cristo proibito di Curzio Malaparte (1951),
Anna di Alberto Lattuada, Roma ore 11 di De Santis.
Sono spesso ruoli da eroe
positivo, tutto d'un pezzo, in accordo con l'epoca e col suo fisico roccioso.
Ma Vallone, uomo di infinite curiosità sapeva imparare. Il prestigio
acquisito in Italia lo portò in Francia, dove nel '53 è il
camionista di cui si innamora Simone Signoret in Teresa Raquin di Marcel
Carnè canto del cigno del vecchio cinema "a studio"
francese, così lontano
dal neorealismo da cui proveniva. Ma è proprio a Parigi che Vallone
riceve la consacrazione definitiva recitando per due anni a teatro Uno
sguardo dal ponte sotto la regia di Peter Brook.
Maturato da quell'esperienza,
Vallone è pronto per tentare l'avventura oltreoceano, ma lo show
business Usa gli va stretto, più che un divo da esportazione diventa
un caratterista di lusso in film come Il cardinale di Preminger e Lettera
al Cremlino di John Huston.
Mentre sono da ricordare
i suoi lavori televisivi in Italia, da Jane Eyre, 1960, a Il Mulino del
Po, 1963 (conservava orgogliosamente due pagine autografe che Bacchelli
scrisse apposta per lui) a Pane altrui (1974). Anche se la tv gli offrì
soprattutto l'occasione di tornare al suo antico amore, il giornalismo,
con un?nchiesta fra le promesse del mondo dello spettacolo, Il suo nome,
per favore (1972), che sarebbe curioso rivedere oggi.
1 Novembre 2002
IL RICORDO
Rosi: quel Garibaldi eroico,
intellettuale nella vita.
Il regista, che lo diresse
in "Camicie rosse" con la Magnani, racconta l'interprete straordinario
e l'uomo rigoroso.
di LEONARDO JATTARELLI
La giovane, grande rivelazione
di un cinema italiano che cercava di ricomporre i cocci dei sentimenti
e delle aspettative di un Paese lacerato dalla guerra, era già ricercatissimo
agli inizi degli anni Cinquanta. Raf Vallone, dopo l'esordio in Riso amaro,
aveva trionfato l'anno dopo nell'ennesima grande pellicola, quel Non c'è
pace tra gli ulivi di Giuseppe De Santis con Lucia Bosè che lo vedeva
ancora icona di un "Arte Povera" arrampicata tra macerie e ansia di sopravvivenza.
Forse è per questo che nel '52, il regista Goffredo Alessandrini
scelse proprio Vallone per impersonare il condottiero Giuseppe Garibaldi
per Camicie rosse. Accanto a lui, volitiva e sofferente Anita, nientemeno
che Anna Magnani. Coppia esplosiva ma set incerto: "Alessandrini non potè
portare a termine la pellicola e neanche il giovane Luchino Visconti che
aveva promesso a Nannarella di firmare il film. Il compito, certo non facile,
toccò a me." A raccontare, tra l'emozione di ricordi lontani e la
tristezza per la scomparsa di un grande interprete, è un maestro
del
cinema, Francesco Rosi.
"Fu così che, alla
fine - continua il regista - mi trovai a girare più della metà
del film che nei titoli di coda presenta la doppia firma di Alessandrini
e Rosi. Conoscevo già Raf Vallone, rimasi colpito dalle sue interpretazioni
in Riso amaro e in Non c'è pace tra gli ulivi. Un attore intenso,
sanguigno e tenero, duro e appassionato". Il suo rapporto con la Magnani
sul set, Rosi lo ricorda bene: "Anna era una donna particolare, molto spiritosa,
autentica come autentica l'amicizia che si instaurò tra lei e Vallone.
La sera, dopo l'ultimo ciak della giornata, ci ritrovavamo tutti insieme
a cena a Fregene. Giravamo a Focene una delle ultime scene, la morte di
Anita, quando Garibaldi scioglie la legione e parte durante la notte per
Venezia. Momenti stupendi, tutti attorno ad un tavolo a scherzare, a bere
e chiacchierare. Quelle riunioni quasi di famiglia che oggi non esistono
più."
E Raf Vallone, solo a ciak
terminati, poteva finalmente liberarsi di un peso, una specie di incubo
come ricorda Rosi: "Vallone era richiestissimo. Mentre girava Camicie rosse
era impegnato anche su un altro set, e così non ebbe la possibilità
di farsi crescere la barba per impersonare Garibaldi. Le sedute al trucco
duravano ore, erano davvero snervanti; lui smaniava perchè aveva
la faccia impiastricciata di mastice e quei peli posticci che gli rendevano
difficile anche il movimento della bocca..." Se Francesco Rosi deve trovare
una definizione per il grande attore scomparso, gli piace parlare di "passionalità
quot;: ?Era un uomo di grandi qualità umane, un intellettuale, un
giornalista e un grande sportivo: rinunciò alla sua passione, il
calcio, nel quale era un professionista, per potersi dedicare interamente
la cinema. Ed era soprattutto una persona molto seria". Dal grande schermo
al teatro, un'unica straordinaria
carriera: "Anche sulla scena - conclude Rosi - Vallone era davvero una
star. Indimenticabile il suo Eddie Carbone in Uno sguardo dal ponte. Tanto
che Sidney Lumet lo volle negli anni sessanta per la sua versione cinematografica
dal dramma di Miller".
1 Novembre 2002
Dalla Bardot alla Dietrich
le donne erano pazze di
lui.
di MICAELA URBANO
Non doveva nemmeno alzare
un sopracciglio. Le donne gli correvano dietro senza bisogno di incoraggiamenti.
Caparbie lo corteggiavano, e non cedevano al primo rifiuto. Brigitte Bardot
al Teatro Antoine, quella sera del 67, ci capitò per caso, davano
Uno sguardo dal ponte, con un certo Raf Vallone...B.B. non riuscì
a staccare gli occhi da quell'attore ruvido, carnale, ingombrante, e con
quello sguardo così trasparente. Tornò all'Antoine, seguì
sei repliche una dietro l'altra, ma Vallone la evitava. Finchè una
notte zuppa di pioggia se la ritrovò per strada, davanti all'uscita
degli artisti. "Era bellissima", ricordava qualche anno fa l'attore: "Mi
riparai sotto il suo ombrello e non ci fu bisogno di dire nulla. Ci ritrovammo
in un albergo che era stato un vecchio convento. Come se ci fossimo dati
appuntamento tanto tempo prima. Come se ci amassimo da sempre...".
Impenitente Don Giovanni
mascherato da pater familiae, Vallone mangiava cinema, teatro e avventure,
ma nessuna riuscì a travolgere il suo matrimonio, grazie alla rara
pazienza della moglie Elena Varzi. "Bisogna perdonare", sussurrava lei
riuscendo addirittura a sorridere. Sorrise anche quando lui invitò
nella loro villa di Sperlonga Marlene Dietrich. "Per carità è
sempre solo stata un'amica", si difendeva Vallone. Un'amica che però
aveva letteralmente perso la testa per lui. Se lui chiedeva un bicchiere
d'acqua, lei ordinava una dozzina di bottiglie di champagne, e una volta
che lui notò la perfezione di alcune rose nella vetrina di un fioraio,
lei gliene mandò duemila. Ma non ci fu verso, Vallone non l'amò
"Era una persona affascinante e fantastica, ma non era il mio tipo". Forse
il suo tipo era tutt'altro che una virago, d'aspetto piuttosto fragile,
come la contessa Paola de Vera d'Aragona, che nel 63 pare avesse assunto
un ruolo importante nella vita dell'attore. Recentemente lui, però
tendeva a sminuire i suoi lover affair e dintorni.
Preferiva dimenticare i
flirt hollywoodiani, come quello con Jean Simmons, o le antiche fidanzate
come Eleonora Rossi Drago. Solo di una persona amava parlare, di Elena.
"La incontrai in treno. Ero in corridoio, fumavo, quando vidi un profilo
stagliato sul finestrino. Lo amai subito, non l'ho lasciato più".
1 Novembre 2002
Raf Vallone nei ricordi
dei tanti amici
di Fondi e Sperlonga.
di GAETANO CARNEVALE
Tra Raf Vallone, Fondi e
Sperlonga fu amore a prima vista. Forse s'era innamorato delle colline
e del mare degli Ausoni da quando Giuseppe De Santis gliene parlava nel
1949, durante le riprese di Riso amaro, un trionfo cinematografico mondiale
e nello stesso tempo l'atto di nascita di un grande attore come Vallone,
strappato al calcio e al giornalismo.
Lo ricordava spesso lui
stesso ad amici fondani e sperlongani di aver conosciuto "questo lembo
del Lazio meridionale, che somiglia tanto alla mia Calabria da Beppe",
come lo chiamava con una dizione nordica. E, in effetti, nel 1951, ai tempi
di Non c'è pace tra gli ulivi, prima ancora che arrivasse la Flacca,
Vallone compra il terreno sulla collina di Sperlonga, che s'affaccia sulla
spiaggia di Bazzano e sulla grotta di Tiberio, e vi costruisce la villa
nella quale ha abitato fino a qualche anno fa. Con il maestro fondano del
neorealismo ha girato quattro film. Oltre ai due citati, Roma ore 11 e
La garconniere. Ma, con Peppe De Santis, di cui ammirava "la genialità
registica" e, in fondo in fondo, anche "la sua caparbietà di non
scendere mai a compromessi con i produttori e la politica", ebbe sempre
legami strettissimi. Sono memorabili le passeggiate dei due insieme ad
altri amici per le vie di Fondi e per la spiaggia di Sperlonga, sulla quale
Vallone lasciava la compagnia se s'imbatteva in una partita di pallone,
perchè pregava i calciatori di
farlo giocare. Del mare,
delle colline e delle genti ausone rimasto innamorato fino all'ultimo,
finchè le forze e la malattia glielo hanno permesso. Fino a pochi
mesi fa quando appoggiandosi ad un bastone o al braccio della moglie Elena
Varzi o del figlio Saverio si fermava a salutare amici ed ammiratori. Il
grande attore cinematografico e teatrale verrà ricordato dalle associazioni
culturali locali nelle prossime settimane. Le amministrazioni comunali
di Fondi e Sperlonga gli devono molto e, quindi, si attende da loro un
atto di gratitudine.
1 Novembre 2002
E' morto ieri a 86 anni
il grande attore
dallo spessore internazionale
che aveva diviso
la sua carriera tra set
e palco Vallone, bello con l'anima
Si impose grazie alla prestanza
fisica e a una vasta cultura.
di RITA SALA
"In questo Paese, questa
Italia di oggi, non mi riconosco più. Sto bene con me stesso. Non
per narcisismo d'artista, ma perchè io continuo ad amare certe cose:
il buon italiano, ad esempio, i bei libri, il teatro ben fatto, la gente
onesta. E altri anacronismi del genere".
Raf Vallone, calabrese
cresciuto a Torino (era nato a Tropea nel 1916), ha concentrato negli ultimi
tempi di una non breve vita la condizione dominante della sua maturità
il disamore. A un certo punto, infatti, dopo aver lottato in molti modi
e su più piani, facendo evangelicamente fruttare i propri talenti,
si era consegnato a una sorta di "gran dispitto" dantesco. Non sopportava,
in altre parole, il decadimento intellettuale delle classi colte, del Potere
e del popolo, attribuendo a questa degenerazione le colpe di una collettività
sempre più televisiva e sempre meno patriottica, cacciatrice di
benesseri d'importazione, consumista, dimentica di ogni età dell'ero.
Lui, Vallone, non solo
per età apparteneva ad altro periodo. Attore di teatro e di cinema,
certo, ma doppiamente laureato, in Lettere e in Giurisprudenza. Giornalista
(debuttò con una inchiesta sul duro universo delle mondine delle
risaie attorno a Vercelli), ma anche poeta, scrittore, drammaturgo. Latin
lover (se ne innamorò fra le altre, Marlene Dietrich) e, insieme,
marito di una sola moglie, Elena Varzi. Con la quale, festeggiando le nozze
d'oro, ha tenuto a battesimo, due anni fa, l'autobiografia dal titolo Alfabeto
della memoria, edita da Gremese. Sperimentatore (fu Tommaso Moro con Peter
Brook) e icona domestica (Lazzaro Scacerni nel Mulino del Po televisivo
di Anton Giulio Majano). Ma si era già distinto come calciatore
la maglia granata del Torino.
Che dire? Con Vallone scompare
una di quelle individualità poliedriche e virili che, dalla seconda
metà del secolo scorso, hanno smesso di nascere. Poliglotta (ebbe
i suoi primi successi teatrali in Francia, recitando nella lingua di Moliere
e di Rostand), seppe imporsi a livello internazionale quale esemplare di
bellezza mediterranea filtrata dalla cultura.
Scuro, atletico, roccioso,
mascella poderosa che oggi sospetteremmo di silicone, piantava addosso
agli interlocutori un paio d'occhi azzurri rubati a qualche pirata barbaresco
spintosi fin sulla costa calabra. E proprio questi tratti forti, frutto
di commistioni d'amore, esotismi e migrazioni, dovettero essergli utili,
sulla scena, per entrare nei personaggi dell'adorato Miller. Più
e meglio di altri autori, infatti, lo scabro Arthur di Uno sguardo dal
ponte offrì a Vallone il modo di unirsi indissolubilmente a una
figura e a un contesto. Lui, tanto legato alla Francia (conobbe Sartre
e il Picasso parigino mentre Camus voleva scrivergli addosso un dramma);
lui divo di Hollywood e simbolo latino alla stregua di Rossano Brazzi e
Marcello Mastroianni; lui formatosi con Leone Ginzburg e Luigi Einaudi,
stravide per le atmosfere d?ltreoceano firmate Miller, per la loro densità
moderna, per i tormenti
di radice casalinga capaci
di fiaccare la pur inesauribile forza degli emigranti, degli incompresi,
degli emarginati.
Aveva imparato dal padre
la dote del coraggio: "Mio padre" racconta "mi portava in montagna e poi
spariva, lasciandomi solo, per vedere se ritrovavo la strada. Mi sorvegliava
stando nascosto, ma io non lo sapevo e ne venivo fuori senza il suo aiuto".
A questo coraggio Vallone
ha consegnato le sue scelte, in arte e nella vita. Ancora a questo coraggio
deve la propria plausibilità in vesti antitetiche: ora partigiano,
ora dongiovanni; ora marito e genitore dalle molte esigenze, compreso lo
scontro generazionale con figli lontani dalle orme paterne, ora teatrante
a tutto tondo, fine dicitore (ha inciso le poesie di Gibran), ostinato
cultore del passato, gentiluomo delle strette di mano e della parola d'onore.
Non recitava, interpretava
Vallone. Perciò così vero da diventare emblema neorealista;
così maschile da piacere alle donne e intimidire o incattivire gli
uomini. Così eclettico, enciclopedico e curioso da stupire e allontanare
i committenti superficiali. Un signore. Profumato d'incenso e di spezie
in un mondo che non gli apparteneva. Eccezion fatta, forse, per i pleniluni
alti sul mare imparentati coi versi di Catullo, Orazio e Virgilio dei quali
si serviva, alla fine di un'intervista, per gratificare chi gli stava davanti.