L'artista spilingese Reginaldo D'Agostino
I miei anni Cinquanta/Sessanta
firmati
REGINALDO
di Salvatore Libertino
Intervista (luglio 2000)
©TropeaMagazine
Avevo sempre desiderato incontrare Ciccio D’Agostino, detto “Caroci”, originario di Spilinga che si era stabilito nel New Jersey alimentando la già nutrita colonia di spilingesi che si erano spinti negli USA a cominciare dagli ultimi anni dell'Ottocento fino ai giorni nostri. Da quella comunità era appena stato eletto “uomo dell’anno” e avevo saputo che era rientrato in Italia per passare qualche settimana nella sua terra natale. Ero andato assieme a Tino De Lorenzo nella sua residenza a S. Maria. Non c’era, mi avevano detto di provare a Spilinga.
L’istinto è stato quello di andare a cercarlo a casa di suo fratello Reginaldo. Ma di “Caroci” nemmeno l’ombra. Abbiamo trovato invece un Reginaldo - come sempre - disponibile, generoso, ospitale, il quale ci ha accolto a braccia aperte. Il salone di casa era arioso e confortevole con le parete coperte di quadri, i suoi dipinti, quelle delle prime esperienze di pittore. Le batterie della telecamera erano ben piene in previsione dell’attività da dedicare a Ciccio. E così mi sono trovato invece in una nuova situazione, favorevole per una possibile intervista con Reginaldo.
A Reginaldo non c’è bisogno di far domande. E’ lui che si mette a parlare, a raccontare, a ricordare. E’ un fiume in piena. E’ difficile stargli dietro e in particolare interrompere la sua parola. In quel momento avevo deciso di accendere la telecamera. L’argomento canonico, in quella che era la pinacoteca di casa, non poteva essere che i suoi anni Cinquanta/Sessanta. Gli esordi dell’artista pittore.
Lasciamolo parlare, con l’aiuto delle immagini in movimento e l’audio del suo racconto di quegli anni epici:
“Tropea è davvero speciale. Mino Maccari ne usciva pazzo. Lo conobbi nel 1955/56/57 alla Quadriennale, dove io e Pino Candela presentammo dei quadri con la data di nascita truccata altrimenti non ci ammettevano. Allora c’era rigore, dovevi essere maggiorenne. Alla Quadriennale di Roma c’erano anche Celestino Petrone, il mio Maestro Giuseppe Marino, poi c’era il reggino Vincenzo Caridi. La giuria aveva ammesso un mio quadro e un altro di Candela. Ricordo che Maccari appena ha visto i quadri è rimasto sbalordito. Eccolo, c’è la data, 1955! Lui era della Giuria. I quadri che vedi sono storici. Lo sai come facevamo i colori? Terre, olio di lino, acquaragia, petrolio addirittura. Come la miscela con la quale dipingevamo le barche, allora non c’erano barattoli. Molte volte i nostri dipinti venivano persi o non venivano restituiti. Ero ragazzo. Andavamo a Roma col treno dalla stazione di Tropea su carro merci o bestiame che ritornava indietro dopo aver depositato il carico o gli animali. Non avevamo bisogno quindi di biglietti. Nemmeno di valigia, si portava “nu panaru i fica e na pitta i pani” (un cestino di fichi e una forma di pane). Senza badare agli orari, quando si arrivava si arrivava... Per essere trasportate, le tele si smontavano dal telaio e si arrotolavano. Delle volte si procuravano degli strappi sui bordi, guarda come sono ancora rovinate...
Quando negli anni 50/60 mi invitavano alle mostre e andavo con questi dipinti, dietro di me c’era tanta gente, grandi scrittori.
Compravo la carta, quella giallognola, con cui di solito si avvolgeva il pesce stocco o la pasta, e su di essa facevo i ritratti alla gente, quando le monete erano larghe così. Con l’alcool e la gomma lacca, soffiavo per fissare il carboncino. Mi davano 50 lire a ritratto. A piazza del Tritone, a via dell’Oca, a via della Paglia, ai piedi della Colonna di Traiano. I turisti mi davano i “sordicei” (i soldi).
Vedi, questi sono quadri che esponevo alle mostre a Roma, a Milano. Te ne faccio vedere uno. Guardalo. E’ bello morbido. Sono passati molti anni e il colore “si stranghiò” (il termine è associato di solito alla verdura saltata in padella, dentro la quale viene rosolata, insaporendosi) assumendo una timbrica di luce naturale. E’ malconcio e ha bisogno di restauro. Siamo nel 56/57/58. No, 59!
Dovresti venire per vedere i quadri a casa di mia madre. Usciamo e entriamo proprio lì, la casa è vicina alla mia. Questo è il ritratto del maestro Petrone del 1960, guarda che figura e che timbrica di colore. Questo invece è del 1960, come era Spilinga. La chiesetta: qui sotto si mettevano i “Caulari”, parenti miei, i Frezza, i Simonelli. Questo è un pezzo di cartone del 59, quello addirittura del 55, quest’altro del 1963. Questo invece è fatto su bugna “di nu stipu” (di un armadio) tra il 59 e 60.
Ora ti porto da una parte e ti faccio divertire. Una parete piena di dipinti e di foto. Una gigantografia ritrae Bartali e Coppi mentre si passano la borraccia, è autografata da Gino Bartali del '93. Che mangiate assieme a Monte Poro!
Vuoi luce? Un paesaggio di una volta. Questi disegni sono vecchi, antichi degli anni 50, di quando ero ragazzo. Un paesaggio di Spilinga, l’architetto Cefaly. Andiamo fuori, ti faccio vedere il mio antico piccolo studio.
Mi mantenevo la scuola con le borse di studio. Questo è mio padre Mastru Misciu. Questa è la spiaggia del Convento di Tropea, del 1954. Per farti vedere Tropea.
Fermo, che qua c’è Salvatore Quasimodo. La luce. Non me l’hanno tagliata? Apro la tendina della finestra per farla entrare. Questi sono dipinti di quegli anni. Questo è un pittore austriaco. Dietro al quadro si legge: Tropea 12.8.1965: ho dipinto questo quadro per provare i colori del pittore Herbert portati da Vienna, l’olio di lino crudo è italiano.
Questi qui sono quadri… (Il racconto è interrotto dall’entrata in scena di “Caroci”, suo fratello Ciccio, finalmente. Le presentazioni. Poi si riprende.) Questa è Laika quando l’hanno mandata sulla luna. La mia professoressa di storia dell’arte, del 59. Questa tela è di un mio zio che caso strano ha lo stesso stile mio, del 1915/16/18. Guarda mio padre. In questa foto è mia nonna Crisafio di Tropea. Come è moderna, risale al 1916. Quello è un autoritratto del 1957 ai tempi di quando si andava a Marina del Convento e mi accompagnavo a Raf Vallone che si era appena tolto un rene. Ecco, l’aborto clandestino. Non perché voglio fare lo spaccone, da me sono venuti tutti i pittori a copiare, tranne Cefaly il vecchio. Un autoritratto del 1957 ai tempi di quando stavamo a Marina del Convento. Questi quadri hanno partecipato alle biennali, alle quadriennali con le cornici di allora. Il Convento di Tropea intorno al 1955, se messo per bene, se pulito, se portato a Roma, farebbe uscire di senno tutti i grandi critici perché qui c’è l’ecologia del pezzo. E’ la mano di un ragazzo presuntuoso! E’ tela e non masonite. Questa stanza è tutta piena di disegni. Ci sono anche quadri. Era il mio studio, piccolo. Questo è un disegno di mio fratello Ciccio e lui non lo ricorda. Guarda: 1956, è lo studio di quel quadro della quadriennale che abbiamo visto a casa mia (colore “stranghiatu”), ho la pelle d’oca, 1956, mi firmavo Aldo D’Agostino. ".
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