Musei Vaticani. Afresco sulla Battaglia di Lepanto di Antonio Danti

Relatione
del Clarissimo meser Sebastian Venier,
Procurator, et hora Serenissimo Prencipe,
del suo capitaneato da Mar, la quale fu presentata
a 29 Decembre 1572


Parecchi brani della Relazione di Sebastian Veniero furono pubblicati nel testo originale ed accompagnati dalla traduzione inglese nell'opera di William Stirling-Maxvell, Don John of Austria, London, 1883, vol. II, pag. 384 e seg..
Il documento integrale però venne pubblicato per la prima volta dal Senatore Pompeo Molmenti in Rivista Marittima, marzo 1897, e ripubblicata nell'opera, sempre di Pompeo Molmenti, Sebastiano Veniero e la battaglia di Lepanto, Barbera, Firenze, 1899.
Di tale documento integrale vogliamo di seguito riportare il brano originale, senza interruzioni, che comprende quei passaggi e segmenti già noti, estrapolati e riportati in vari testi sul rapporto tra Sebastiano Veniero con Tropea ed in particolare con don Gaspare Toraldo durante la preparazione della battaglia di Lepanto.
Ne viene fuori, tra l'altro, che fu Marcantonio Colonna a suggerire al Generale Veniero di poter incontrare, attraverso suoi parenti e amici, il Toraldo in grado di metter a disposizione dell'armata veneziana 1.200 fanti calabresi. I parenti del Colonna sono da individuare nella famiglia Pignatelli di Monteleone, infatti la sorella Geronima Colonna era moglie di Camillo Pignatelli, Duca di Monteleone.
Altro importante passaggio della Relazione è quello in cui si fa cenno della nomina a colonnello di Gaspare Toraldo da parte del Veniero, il quale a distanza di tempo estenderà eguale nomina anche a Prospero Colonna che reclutò a favore di Venezia migliaia di uomini. Nelle fila veneziane in guerra, il colonnellato è una carica che presuppone il comando di duemila/cinquemila fanti. Acquisita la nomina, il Toraldo in battaglia sarà il terzo comandante dell'armata veneta, dopo Prospero Colonna, anch'egli nominato colonnello sul campo dal Veniero, e Pompeo Giustino da Castello. Don Gaspare nello schieramento andrà ad occupare, al comando dei suoi uomini di Calabria, un posto di riguardo alle dipenze dirette dei Provveditori veneziani.
 

Alli 23 giungessimo a Messina incontrati poco fuori del porto dall'Ecc.za del Sig.r Marc'Antonio Colonna, che primo ne salutò, parendo a noi di essere troppo lontani, Li rispondessimo con l'artellaria, et poi cum l'archibuseria, et alla città il medesimo, dalla quale havessimo bona ciera, et cortesi parole, ma in fatto ogni cosa saltò al doppio: difficoltà nelli ori, et monete. Vero è, che di trazer vittuaria per le galee non ne fecero pagar datio. Mandai il mio Armiraglio1 et sopramasser a negotiar per gomene, monete, ori, formenti, vini et cambii. Il Sig.or Andrea Arduin, che ha cura del Patrimonio, mi rispose, che li ori, et monete spendessi, come poteva; ma che partito, voleva bandizarle (bandirle). Mi promise sedici fornari per far biscotto, et che potessi mandare a Melazzo per cento botti de vini per l'armata. Mi mancò, dicendo, chel voleva tenerlo per la Corte, et, se volevo diece botte per me, che me l'haverie concesse. Onde essendomi detto, che a Tropea haverei soldati, et vini, et dalli marinari, et peotti, che seben lì non era porto, era di està; andai; de vini ne trovassimo un poco, de soldati, venne uno, che si faceva Capitanio, et mi offerse dugento fanti, ma chel voleva la puppa et il pizzuol (cabina) delle galee. Lo spazzai, et sopraggiunse la fortuna, et mi occorse la disgratia delle galee, che scrissi a V. Ser. della quale anco ne gustò il Cl.mo Barbarigo, essendo andato a Melazzo con sei galee per vini, et messer Bertucci Contarini suo nipote si ruppe2. Hebbi gran favore dal nostro consolo Spatafora, per essere nostro nobile, et ricco, se non il primo, il secondo di Messina, chel non mi volse far piezaria per danari, che cercavo a cambio, nè per quattromille scudi, che mi prestava il Tesorier del Pontefice, et meglio, in un mercato, che faceva il mio sopramasser de formenti per far biscotti, bisognava darli caparra, et non volse prometter fino dopoi mangiar. Et per non haver mai riposo, hebbi due travagli grandi, uno de soldati, che haveva, et l'altro de soldati che non haveva. Di quelli, che havevo sopra le galee grosse, volendoli rassegnare, et pagare, smontai in Priorato. Pagati vinti, o vinticinque, un Cap.nio sollevò li soldati che non tolessero quelli danari, et pretendevano havere altre paghe et spese, et amutinò la maggior parte. Dubitando che non facesse peggio, havendo meco da tre o quattromille ducati, chiamai otto, o diece di loro, et con buone parole li dissi, che, se non volevano quelli danari, farei provisione di altra sorte, et li pagherei. Il giorno dietro venne il nostro Console, et altri gentilhuomini per nome delli Giurati a dirmi, che erano andati a loro da cinquanta de miei soldati armati a dolersi che non erano pagati, et che morivano da fame. Li narrai il fatto vero, che havevano rifiutato li danari, et mandato la sera a tuor la cena di galea in terra, et lì era stata data; inteso questo, si contentò, et mi pregò che li perdonasse, et millecinquecento scudi, che mi prestò il R.do Prior Giustignan, quattromille del Commissario Pontificio, et cinquemille de Coressi, et Grassi, dandoli seimille de nostri in pegno, con quelli poi, che V. Ser. mi provide, li pagai, et restitui li suoi al Giustignan, Coressi, et Grassi, et a Corfù poi al Commissario Pontificio, et mi andai riparando, et stringendo sempre le mani. Ma di quest'altro travaglio de soldati, che non haveva, ho convenuto lasciarmi tuor li danari di mano contro mia voglia. Hebbi ordine da V. Ser. di mettere cento soldati per galea. Non havendo io prattica in quel loco, parlai col Sig.r Marc'Antonio qual mi disse che con suoi parenti et amici el me ne faria havere; ma li soldati non veniriano senza li suoi capi, nè li Capi li lascieriano venire senza di loro, et, che un Signor Gasparo Toralta lì in Calavria me ne daria milledugento, ma bisognava, chel facessi colonnello, et che non guardassi da ducati ottanta al mese a ducati cento. Io, ancorchè mi pareva non havere autorità di far colonnelli, pur lo feci, et a lui, et al S.r Prospero Colonna, che venne dopoi, et ad altri ho dato molti denari, et non ho havuto la mità delli soldati, come per li conti V. Ser. potrà far vedere, et potrei essere imputato; ma il tempo ricercava così. Ho anco dato alle galee danari in luogo di biscotto, et se non havessi fatto così, el mi saria mancato; se ben poi Don Giovanni me ne prestò; il qual mancamento saria stato causa di grandissima ruina. Li quali danari però sono stati con avantaggio di V. Ser. a quello, che le costano li biscotti, come per li conti la vederà, a laude di messer Marco Falier mio sopramasser, molto da bene et sufficiente nel suo officio, et che ha tenuto, et tiene con ogni diligenza le ragioni di V. Ser..
Alli XXIII d'Agosto gionse Don Giovanni con quarantadue galee, et fu accettato da noi con quelle maggiori ceremonie, che potessimo.
Sua Altezza ne chiamò a consulto, et ne propose che dovessimo vedere che forze che avevimo; che lui haveva ottantaquattro galee, computando tre di Savoggia, et quelle di Malta, settemille Spagnuoli, settemille Tedeschi, seimille Italiani, tutte buone genti. Il Sig.r Marc'Antonio disse che haveva poche galee, ma bene ad ordine. Io dissi, che ero venuto da Corfù con cinquant'otto galee sottili, sei grosse et tre Nave; che in Canal di Corfù due galee sottili, et due navi cariche di biscotti, monitioni, et soldati erano state prese dall'armata nimica, et una alla Ceffalonia, et ne havevo mandato in Golfo tre; ne havevo perso per fortuna da mare, et di fuoco sette; che ero con quarant'otto, non molto ben ad ordine de huomini da spada per le malattie, et presa delle Navi, et altre, che erano sequestrate dall'armata Turchesca, che era andata in Golfo; ma che il Sig.r Prospero Colonna mi doveva condur fanti due mille, ne haverei dal Duca d'Atri milledugento, et milledugento dal Sig.r Gasparo Toralta, et quattro altri Capitanei con ottocento, che fariano cinquemilecento, che già sariano ad ordine; che aspettavo sessanta galee di Candia. Mi dimandò, come sariano ad ordine di huomini da spada. Risposi, al solito di quaranta in cinquanta, perchè le nostre ciurme, tutte combattono. Disse: chi ne haverà di soprabondante, accomoderà gli altri. Delle vittuarie, date un memoriale; Ne dimandò della impresa. Rispondessimo, che aspettando Sua Altezza le altre sue galee da Napoli, et da Genova, et noi di Candia, che attendessamo queste all'ordine, et poi si parleria della impresa. Et questa risposta fu fatta consultata prima col Sig.r Marc'Antonio. Sua Altezza si contentò. Et acciò non havessi un poco di allegrezza senza molta gramezza, hebbi lettere da Napoli della perdita di Dolcigno, Antivari, et Budua, et che l'armata, parte andava verso Cattaro, et parte verso Zara; alla quale anco si voltava l'esercito. Dicessimo a Sua Altezza, che venute, che si dovessimo tirare alla volta di Taranto per non lasciare che l'armata Turchesca con tanta licentia ne facesse tanti danni havendone tolto Dolcigno, Antivari, et Budua, et lasciar ordine a Messina, et per la costa di Calavria, che le galee di Candia venissero a Taranto, et che questo non impediva ogni altra impresa che si volesse fare. Mostrò di contentarsi, et ne diede mandati, et lettere per biscotti, danari et soldati, che il Vicerè non voleva che il S.r Prospero levasse, ne che il Bonrizzo mi mandasse danari contadi, et a cambio non se ne trovava.
A 29 Agosto hebbi lettere, che 'l Proved.r Quirini era gionto a Saragosa (Siracusa?); et le altre di Sua Altezza. A 2 settembre gionsero tutti due li Proveditori,  et le sessanta galee3. Tutti si allegrassimo, et concludessimo tutti tre noi generali di andare a ritrovare il nimico. Due giorni dopo sua Altezza disse di voler fare un consulto generale per proponere, se si doveva andar a ritrovar il nimico. Il Sig.r Marc'Antonio disse, che sarà ben fatto, et io, che già questo era deliberato, nè accadeva più proponerlo. Sua Altezza disse di non voler proponer per deliberare, ma per sodisfare a tanti gentilhuomini. Io dissi tra di noi, che havuti che avessimo biscotti, et soldati, se ne veniva messa difficoltà di venir verso il Golfo, et il nimico, di venir con le nostre forze et quelle del Pontefice. Fatto il consulto, tutti in voce consentirono. Sua Altezza ne offerse duemille Todeschi, millecinquecento Spagnnuoli, millecinquecento Italiani. Io non volevo, dubitando, anzi conoscendo le insolentie; ma gli altri consigliorono, et io consentì, per non dar sospetto, di tremille, eccettuati li Todeschi, et nell'imbarcare li biscotti, et vittuarie, hebbi molte difficoltà, et molte insolentie de soldati. Li richiesi il levarsi; dissero, che volevano venire a Corfù a intendere dell'armata nimica. Quando havessimo nova, che l'era tornata in Canal di Corfù, dissero di venir a Capo S.ta Maria per intendere di essa. Sollecitando pur io, dissero che il tempo non era fermato, cose, che mi facevano disperare. Dissi; aviamo almeno le navi, et così fu fatto.
Alli XVI Settembre andassimo senza alcun ordine, anzi assai confusi a sorgere alla fossa di S. Giovanni, quattordici, o sedici miglia lontano da Messina. Io mandai a dimandare sel voleva che caminassimo in battaglia, o come. Mi rispose, chel me lo faria intendere, et mi mandò la battaglia.
 

NOTE
1 Era l'ufficiale incaricato di disporre, assegnare e sorvegliare i lavori nell'arsenale.
2 Il 6 agosto Sebastiano veniero usciva dal porto di Messina con trenta galere, per caricar vino a Tropea, e con altre sette il Barbarigo, diretto a Patti. All'indomani incominciò una fierissima burrasca, e le galere veneziane furono dal vento spinte verso la spiaggia con tale impeto, che sei investirono e andarono fracassate. il Barbarigo si salvò a Milazzo, non perdendo se non una galera. Tanto il Generale, scriveva Onorato Gaetani, capitano generale delle fanterie pontificie, allo zio cardinale di Sermoneta, come il Barbarigo sono tornati con le altre galere con molti remi e speroni rotti; si attendono a rassettare e con le ciurme che hanno ricuperate rinforzeranno le altre fuste di queste del Re, che sono qua in Arsenale (Lett. di Onorato Caetani, ecc., pubbl. da G. B. Carinci, pagg. 61, 62, Roma, 1893).
3 Le sessanta galere, comandate dal Quirini e dal Canal, giunsero a golfo lanciato da Candia, per una delle maggiori navigazioni che simili bastimenti avessero da gran tempo fatta (Guglielmotti, M. A. Colonna, pag. 183, Firenze, 1862).
 
 
 
 

 
 
LEPANTO E DINTORNI
 di  Salvatore Libertino
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