Museo Civico di Sansepolcro.
Piero della Francesca: San Giuliano (frammento)

PRATICHE SUPERSTIZIOSE
DI ASCOLTO IN TROPEA
Il Paternostro di San Giuliano e
Il Culto delle Anime Decollate
 

di Giuseppe Chiapparo
(1958)
 


Una antica credenza, comune ai volghi d'Italia, fa di S. Giuliano il protettore dei viandanti, il procacciatore di buon albergo, il patrono della corporazione dei menestrelli e dei poveri, nonchè il soccorritore degli schiavi e dei prigionieri1. E' logico che un santo come questo, il quale tiene sotto il suo usbergo diverse categorie di persone, debba avere molti devoti non solo in Italia, ma ancora all'estero, per cui è conosciuta dovunque l'orazione che le persone devote a Lui gli rivolgono con fede e con la certezza di essere esaudite nei loro desideri.
Questa orazione porta il titolo di "Paternostro di San Giuliano" e non ha nulla a che fare con l'orazione domenicale propriamente detta, la quale era la preghiera solita a recitarsi dalle antiche plebi per ottenere benefizi dal loro santo patrono. Evidentemente, per questo motivo, quando venne in uso presso i volghi meno indotti l'invocazione speciale per S. Giuliano, il nome dell'orazione domenicale fu esteso ad essa. Lo scopo dell'orazione risulta chiaro dal testo che qui riportiamo, il quale ci fu dettato dalla rispettabile signora Margherita Fulco di Reggio Calabria:

Mi fazzu lu signu di la Santa Cruci,
Chidda chi scindi d'u munti d'u Calvariu;
Idda ndi duna grazia e ndi duna luci.
Patannostru a San Giuliano.
San Giuliano mio di l'artu mundi,
Chi sarbasti li passi e li ponti,
Comu sarbasti a Nàccari e Lia,
Ora sarbami a mia ...N...N...2,
E a tutta la me' cumpagnia.
Si ricarchi d'uni m'havi a fari tortu,
Datanci 'a forza di 'nu mortu,
E a mia 'a forza d' 'u liuni
E 'a sapienza d'u re Salumuni,
Ora cunservatimi Vui, Signuri,
Mettitimi 'vostra conservazioni
O Gesù Nazarenu.
Pater, Ave e Gloria.

San Giuliano, stando dall'alto monte, segue e protegge l'andare della persona in cammino e sorveglia i luoghi difficili per i quali essa deve passare. Però in alcuni paesi si hanno redazioni ben diverse dalla nostra.
Si comincia col farsi il segno della Santa Croce, poi si recita per tre volte di seguito l'orazione aggiungendo ogni volta, alla fine di essa, un Pater, Ave e Gloria.
Se la recita, fatta rapidamente, avviene senza errori, vuol dire che la persona in favore della quale si recita, è in buona salute, al contrario significa che qualche cosa di male ha dovuto accadergli.
Quando la pratica è imperniata sull'ascolto, la recitazione dev'essere fatta una volta sola e lentamente affinchè non sfuggano i segni responsivi, i quali si deducono dal discorso che si ode fare ai passanti. Se le parole sono in senso affermativo, come: è veru; 'u sannu tutti; le cose andranno bene. Invece andranno male se si udranno parole in senso negativo, come, per esempio, non ndi vogghiu; non mi piaci; ecc.
Quanto all'apprendimento, l'insegnare la preghiera al primo venuto o a persone di sesso uguale si risolve sempre in un cattivo augurio oppure in una pratica inefficace.
Per l'efficacia, si deve apprenderla dalla recitazione altrui, ossia rubarla, come si dice in gergo, e fra persone dello stesso sesso può essere insegnata la notte del 23-24 giugno (notte di San Giovanni) oppure notte di Natale.
La chiar.ma professoressa Carmelina Naselli dell'Università di Catania, nel suo opuscolo "Diffusione e interpretazione del Paternostro di San Giuliano in Sicilia" riferisce, a conferma di quanto abbiamo detto, il seguente fatto di cronaca, tolto da "Il popolo di Sicilia", quotidiano catanese del 15 aprile 1932: "Essendo scomparso da quattro mesi un ragazzo del popolo, sedicenne, i genitori, angosciati, dopo aver tentato invano tutte le vie per avere notizie, ricorsero ad una donna che, mediante la pratica della nostra orazione, riusciva a rilevare i più chiusi misteri. Questa donna cominciò col recitare la preghiera, mentre le altre donne del vicinato si affollavano alla porta per aiutare gli infelici che attendevano il responso. L'aiuto consisteva nell'afferrare i segni esterni e casuali che sarebbero giunti al loro orecchio durante la recitazione. Ecco, il pianto di un bimbo interruppe la preghiera, poi si udirono parole d'imbarazzo di persone sulla via: l'uno e le altre segni favorevoli; il passare di un gatto, altro segno funesto, venne neutralizzato dal fatto che la bestia non miagolò; l'aprirsi di una porta, il fischiare del treno parvero buoni segni, dai quali si dedusse che il ragazzo era salvo ed in condizioni di viaggiare. San Giuliano aveva dato il patrocinio, ma anche i responsi".
Ora qui sorge spontanea in noi la domanda: come mai le plebi siano state indotte a rivolgersi a San Giuliano oltre che per essere protette nei viaggi e per avere dei segni sulla salute dei loro congiunti lontani, anche per ottenere la relazione non già di cose future, bensì presenti, ma che per loro costituiscono un mistero. La risposta, secondo l'avanti citata prof.ssa Naselli3, dobbiamo cercarla in uno dei più famosi leggendari medievali: la Leggenda aurea di Jacopo da Varagine4.
Quivi, per caso non raro nei libri agiografici, dove l'empietà è spesso ricordata accanto alla virtù per la salutare ripugnanza che deve suscitare, troviamo di seguito alla storia di quattro Giuliani giusti e pii, quelli di un Giuliano monaco, tutt'altro che pio, anzi scelleratissimo, come lo qualifica il testo latino.  Costui "mentre s'infingea di essere un grandissimo religioso frodò dell'oro; con questo e per questo fu fatto a Roma dapprima console e poscia imperatore, ed essendo ammaestrato da fanciullo nell'arte de lo 'ndovinare e piacendogli l'arte predetta molto, sì n'avea con seco molti maestri 'e si diede ad esercitarla, anzi per essa apostatò la fede, perchè perseguitò i cristiani, per ingraziarsi i diavoli, dei quali avea bisogno per l'esercizio di essa. Divenne, in una parola, Giuliano l'Apostata".
Comune tra il volgo è la credenza delle anime "abbandonate e scordate" le quali sarebbero destinate a soffrire per un tempo indeterminato le pene del Purgatorio, se le persone pietose non cercassero di suffragarle con preghiere o con messe. E poichè la voce di queste anime giunge efficace a Dio, ad esse si rivolgono nei loro bisogni e, recitando particolari Rosari, le pregano di implorare Gesù in loro favore con la seguente giaculatoria, che ripetono alla fine di ogni rosario:

Animi santi, animi santi,
Nui simu suli e Vui siti tanti,
Jàti a li pedi di lu Ridenturi
E pregatilu a nostru favuri.

Presso le plebi le Anime dei decollati godono le maggiori simpatie essendo ritenute come geni occulti del bene, pronti a soccorrere chi li preghi di consiglio e d'aiuto.
Queste anime che vagano per il mondo a custodia dei loro devoti ed appaiono dovunque, devono essere pregate di notte, quando per la strada non passa anima viva e non si sente alcun rumore. Allora la persona devota si accosta alla finestra o apre la porta di casa e recita in ginocchio le preghiere nelle quali ricorre quest'altra giaculatoria:

Animi santi, animi mbiati,
'Nta 'stu mundu fustivu stati,
'N Paradisu m'aspettati,
Pregati l'eternu Patri,
Pi' li me' necessitati.
Animi santi e corpi rutti,
Pi' mia pregati tutti,
e pi' mia tutti pregati,
Animi santi decollati.

Capita, qualche volta, che una ragazza viene abbandonata dal suo fidanzato ed allora costei, per farlo ritornare a sè, quando è notte alta, si rivolge alle Anime dei decollati e le supplica:

Animi santi, animi mbiati,
E animi tracollati:
Tri 'mpisi, tri ammazzati,
E tri annegati,
Jàti di l'Eternu Patri
Vui la grazia nci cercati
E lu 'ndiziu mi portati,
Jàti di N..., N...5,
D''i capij lu piugghiati.
Menzu mortu lu dassati
E lu 'ndiziu mi portati.

Mentre prega la devota sta molto attenta ad udire l'eco che si traduce in segni buoni e cattivi. Segni buoni sono reputati: il canto del gallo, un suono di chitarra, l'abbaiare di un cane, un suono di campanello, il picchiare all'uscio, il passare di una carrozza o di una automobile, il sentir cantare una bella canzone. Verificandosi una o più di questi segni si può stare sicuri che la grazia chiesta alle Anime dei decollati sarà concessa. Al contrario, se si udranno i segni cattivi, che sono: un pianto, il miagolio di un gatto, il raglio di un asino, il buttar acqua nella strada e perfino un peto. Oltre l'eco, vi è pure l'ascolto, il quale si basa sulle parole che pronunziano i passanti. Se le parole che in quell'istante vien dato da ascoltare sono in senso affermativo, qualunque sia il discorso che si faccia, come, per esempio, E' vero, 'U vogghiu; 'U sannu tutti, ecc.., le cose andranno bene. Invece andranno male se si udranno parole in senso negativo, come le seguenti: Non ndi vogghiu; Non mi piaci.
Le anime dei decollati si recano pure in soccorso dei loro devoti quando con viva fede vengono invocate e compiono miracoli e prodigi. Nelle tradizioni siciliane, racconta il Pitrè, che un devoto dei più caldi andava di notte a cavallo e portava denaro. "I ladri, che ne avevano avuto sentore, gli furono addosso, chi con pugnali, chi con coltelli e qualcuno con schioppi. Il malcapitato, non sapendo fare di meglio, si rivolse con vera fede (condizione indispensabile in queste circostanze) alle anime dei corpi decollati; ed allora avresti veduto gli scheletri de' giustiziati sorgere dal sepolcro, afferrare le ossa e correre in soccorso del devoto, picchiando e ripicchiando i ladri; de' quali altri, restano morti, altri malvivi, cercano di salvarsi con la fuga"6.
Come dobbiamo spiegare le pratiche e le ubbie che in quest'articolo abbiamo descritto? Possono, dunque, meritare un culto esseri così tristi, che si lordarono le mani nel sangue dei loro simili e, raggiunti dalla Giustizia, furono condannati al patibolo?
Forse lo meritano perchè nell'estremo istante di lor vita essi si saran ravveduti, pentiti, forse; qualche lacrima sarà spuntata sulle ciglia che guardarono indifferenti chissà quanti scempi e quanti strazi. Il fio che essi pagano è già troppo terribile perchè non li faccia degni di perdono e di compianto. Per l'espiazione essi si sono purificati, riabilitati, per così dire, riconciliati con Dio.
La religione, al dire del lettore agostiniano P. Fortunato Mondello, nobilita e santifica la morte dei colpevoli, rammentando loro che presso la Croce del Redentore un reo accolse primo l'invito al celeste possesso, e che morte sì dura accettata in espiazione del delitto, è una sanguinosa confessione della giustizia di Dio. Ed ecco come la religione toglie in siffatta guisa l'infamia del supplizio del giusto, purificando con la Croce il patibolo7.

NOTE
1  A. Graf, Miti, leggende e superstizioni nel Medioevo, Torino, 1893, pagg. 206-219.
2  Qui deve pronunziare il proprio nome colui che recita l'orazione per porsi sotto l'usbergo di San Giuliano.
3  C. Naselli, Diffusione e Interpretazione del Paternostro di San Giuliano in Sicilia, Roma, 1934. pp. 8.
4  J. da Varagine, Leggenda aurea, Libr. Ed. Fiorentina, 1924, I, pp. 283-287.
5  Qui si dice il nome della persona interessata.
6  Pitrè, Usi e costumi, Vol. IV, pag. 12, Palermo, 1889.
7  Mondello, S. Francesco d'Assisi, pag. 274, Palermo, 1874.