1 DIC 2004






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Tropea. Lo studioso rivela come il manoscritto sulla Commedia di Dante sia di un tropeano
Interessante scoperta di Libertino
Un codice del XIV secolo scritto dal notaro Pietro Campenni

TROPEA - La scoperta di questi giorni è di Salvatore Libertino, tropeano trapiantato a Roma, ricercatore, grande appassionato di storia calabrese e di musicologia in particolare. Libertino, dalla Capitale, segue con grande interesse la vita culturale calabrese, da anni dirige un interessante sito internet dal titolo www.tropeamagazine.it. Ed ecco cosa ci racconta Libertino: «Il 9 gennaio del 1935 la Presidenza del Consiglio emanò un comunicato stampa, ripreso il giorno dopo dalla maggior parte dei giornali non solo nazionali, col quale veniva data notizia dell'acquisto, per la somma di 200.000 lire, di un magnifico codice di fine secolo XIV contenente la Commedia di Dante con il commento di Benvenuto da Imola. Il codice, composto di 285 fogli di pregiata pergamena, era stato scritto, come risulta dagli explicit dell'autore, nel 1398 e 1399 in Isola d'Istria da un notaro e cancelliere al servizio del podestà di quella cittadina, che rispondeva al nome di Pietro Campenni di Tropea, figlio di Giovanni. La successiva trascrizione del commento risultava definitivamente completata nel 1400 a Portobuffolè, incantevole borgo medievale della Marca Trevigiana, dove Pietro si era nel frattempo trasferito per motivi di lavoro. Nel comunicato si faceva cenno di come il manoscritto fosse passato già ai primi del Quattrocento in Spagna da dove, dopo cinque secoli di permanenza, nel 1926 un collezionista lo portò in America e finalmente dopo circa un decennio avesse fatto ritorno in Italia per opera disinteressata della Libreria Olschki. In particolare, fu poi lo stesso Duce ad acquistarlo e a farne dono alla Biblioteca Marciana di Venezia, manifestando la sua simpatia alle secolari tradizioni culturali istriane, comprovate dall'esistenza e dal ritrovamento di una così antica opera originata in Istria e dedicata al sommo cantore italiano. Il codice misura 370 x 275 mm. e si compone, come si è detto, di 285 pagine non numerate in buonissimo stato di conservazione. Gli inizi delle cantiche sono ornati di grande lettere iniziali ed ogni cantico ne possiede a sua volta delle minori, ornate di ori e fregi molto eleganti. La scrittura, di tarda forma gotica, è calligrafa e perfettamente uniforme con una chiarezza delle lettere che ne agevola al massimo la lettura. Sparsa la notizia era facile immaginare l'arrivo a Venezia dei più grandi studiosi dell'opera di Dante. L'explicit nell'ultimo foglio ci offre il nome e l'origine dell'autore e le date in cui avvenne la scrittura. Leggiamo testualmente: «Iste liber est scriptus per me Petrum Campenni quondam Johannis de Tropea in terra Insule provincie Istrie anno nativitatis domini millesimo trecentesimo nonagesimo nono indictione septima die XV frebuarii (sic). Hec sunt expleta scriptor portetur ad leta Amen». E più sotto in rosso: «Suprascripte rubrice et parafrache (sic) scripte et finite fuerut per me suprascriptum Petrum. Anno nativitatis domini millesimo quadrigentesimo indictione octava XVIII marcij in terra Portus Buffoleti marchie Tarvisane».
L'intero lavoro fu compiuto quindi in tre anni. Due servirono per la trascrizione dei versi, uno per quella del commento. Un tale piano di lavoro in quanto al tempo occorso tiene conto principalmente del fatto che Pietro non esercitava la professione di copista ma attendeva al lavoro di trascrizione ogni qualvolta gli impegni di notaio glielo potevano permettere. Minime sono le notizie relative a Pietro Campenni. Sicuramente si tratta di un uomo culturalmente evoluto che in più di una circostanza da prova di essere uno studioso di Dante, di cui molto probabilmente apprese l'opera attraverso le pubbliche letture di essa durante gli studi di formazione per notai e magistrati che in quel tempo si tenevano ufficialmente nelle aule delle università di Firenze, Pisa, Bologna. In quest'ultima città, poco dopo il 1361, avrà verosimilmente conosciuto di persona Benvenuto che in quel periodo esercitava le funzioni di docente e aveva già finito di elaborare una delle prime edizioni del commento della Commedia. E ciò a distanza molto ravvicinata dalla scomparsa di Dante Alighieri avvenuta a Ravenna nel 1321. Nemmeno qualcosa si sa o si potrebbe supporre dei legami di Pietro con la Calabria e con la sua Tropea dove viveva la famiglia d'origine, una delle più antiche e nobili che vi abbiano dimorato, che Francesco Sergio nella sua 'Chronologica Collectanea chiama "antiquissima". Di tale famiglia, estinta intorno al 1676, si sa che ai primi del Cinquecento, a seguito di un matrimonio, un ramo di essa venne impiantato nella vicina Nicotera. Nessun cenno su Pietro e Giovanni nei documenti già noti che rinviano alle gesta del loro nobile casato neanche nel recente saggio di Francesco Campennì apparso nel numero unico del 1994 di Rivista Araldica5, dove ne viene ricostruito l'albero genealogico. Pietro e Giovanni quindi rivivono per la prima volta dopo sei secoli di silenzio, grazie al ritrovamento e al rientro in Italia del codice "veneziano".
Parlare della figura di Benvenuto da Imola - il vero nome è de' Rambaldi - è al contrario molto più facile. Nasce nel 1330 da padre notaio che lo introduce agli studi di grammatica e diritto all'interno della propria scuola privata. E diviene giudice e notaio senza però esercitare perchè esiliato. Nel 1361 ripara a Bologna al seguito del Governatore Gomez Albornoz, dove scrive il Romuleon, compendio di storia romana e si afferma quale maestro di autori classici come Virgilio e Lucano e anche contemporanei come Dante e Petrarca che conosce personalmente. E' di questo periodo il suo capolavoro Commentum super Dantem, rielaborato in tre edizioni fino al 1383, che richiama ancora oggi tanta attenzione e ammirazione degli studiosi del sommo poeta toscano. Molte ancora sono le opere che Benvenuto produce come il confronto tra Petrarca e Dante. L'ultima fase della vita viene trascorsa a Ferrara sotto la protezione di Niccolò d'Este, dove completa i commenti su Virgilio, Lucano e Seneca. Qui compone l'Augustalis libellus, rassegna di imperatori da Giulio Cesare a Venceslao. Nella città estense legge pubblicamente Valerio Massimo e si afferma definitivamente quale una delle figure di maggior spicco del primo Umanesimo trecentesco. Muore a Ferrara nel 1387. A questo punto possiamo davvero, per adesso, considerare concluso il racconto di una meravigliosa storia, avventurosa ed esaltante di due codici scritti nel trecento dal tropeano Pietro Campenni, uno dei più antichi studiosi di Dante. Eppure a pensarci bene al sommo cantore toscano che «ci tracciò gloriosamente - usiamo le parole di Felice Toraldo - i confini della grande patria italiana con la sua lirica immortale, la Città di Tropea si è sempre, nel tempo, sentita devota e riconoscente ammiratrice, ponendo in suo onore e a suo ricordo nella facciata orientale del vecchio edifico dell'Antico Sedile una targa di bronzo e di marmo». Per chi volesse approfondire questa affascinante tematica ecco l'indirizzo dove Salvatore Libertino illustra nei dettagli questa scoperta: www.tropeamagazine.it/codicedantesco.

Franco Vallone

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