Tropea. Lo studioso rivela come il manoscritto sulla
Commedia di Dante sia di un tropeano Interessante
scoperta di LibertinoUn codice del XIV secolo scritto dal
notaro Pietro Campenni
TROPEA - La scoperta di questi giorni è di Salvatore
Libertino, tropeano trapiantato a Roma, ricercatore, grande
appassionato di storia calabrese e di musicologia in particolare.
Libertino, dalla Capitale, segue con grande interesse la vita
culturale calabrese, da anni dirige un interessante sito internet
dal titolo www.tropeamagazine.it. Ed ecco cosa ci racconta
Libertino: «Il 9 gennaio del 1935 la Presidenza del Consiglio emanò
un comunicato stampa, ripreso il giorno dopo dalla maggior parte dei
giornali non solo nazionali, col quale veniva data notizia
dell'acquisto, per la somma di 200.000 lire, di un magnifico codice
di fine secolo XIV contenente la Commedia di Dante con il commento
di Benvenuto da Imola. Il codice, composto di 285 fogli di pregiata
pergamena, era stato scritto, come risulta dagli explicit
dell'autore, nel 1398 e 1399 in Isola d'Istria da un notaro e
cancelliere al servizio del podestà di quella cittadina, che
rispondeva al nome di Pietro Campenni di Tropea, figlio di Giovanni.
La successiva trascrizione del commento risultava definitivamente
completata nel 1400 a Portobuffolè, incantevole borgo medievale
della Marca Trevigiana, dove Pietro si era nel frattempo trasferito
per motivi di lavoro. Nel comunicato si faceva cenno di come il
manoscritto fosse passato già ai primi del Quattrocento in Spagna da
dove, dopo cinque secoli di permanenza, nel 1926 un collezionista lo
portò in America e finalmente dopo circa un decennio avesse fatto
ritorno in Italia per opera disinteressata della Libreria Olschki.
In particolare, fu poi lo stesso Duce ad acquistarlo e a farne dono
alla Biblioteca Marciana di Venezia, manifestando la sua simpatia
alle secolari tradizioni culturali istriane, comprovate
dall'esistenza e dal ritrovamento di una così antica opera originata
in Istria e dedicata al sommo cantore italiano. Il codice misura 370
x 275 mm. e si compone, come si è detto, di 285 pagine non numerate
in buonissimo stato di conservazione. Gli inizi delle cantiche sono
ornati di grande lettere iniziali ed ogni cantico ne possiede a sua
volta delle minori, ornate di ori e fregi molto eleganti. La
scrittura, di tarda forma gotica, è calligrafa e perfettamente
uniforme con una chiarezza delle lettere che ne agevola al massimo
la lettura. Sparsa la notizia era facile immaginare l'arrivo a
Venezia dei più grandi studiosi dell'opera di Dante. L'explicit
nell'ultimo foglio ci offre il nome e l'origine dell'autore e le
date in cui avvenne la scrittura. Leggiamo testualmente: «Iste liber
est scriptus per me Petrum Campenni quondam Johannis de Tropea in
terra Insule provincie Istrie anno nativitatis domini millesimo
trecentesimo nonagesimo nono indictione septima die XV frebuarii
(sic). Hec sunt expleta scriptor portetur ad leta Amen». E più sotto
in rosso: «Suprascripte rubrice et parafrache (sic) scripte et
finite fuerut per me suprascriptum Petrum. Anno nativitatis domini
millesimo quadrigentesimo indictione octava XVIII marcij in terra
Portus Buffoleti marchie Tarvisane».
L'intero lavoro fu compiuto
quindi in tre anni. Due servirono per la trascrizione dei versi, uno
per quella del commento. Un tale piano di lavoro in quanto al tempo
occorso tiene conto principalmente del fatto che Pietro non
esercitava la professione di copista ma attendeva al lavoro di
trascrizione ogni qualvolta gli impegni di notaio glielo potevano
permettere. Minime sono le notizie relative a Pietro Campenni.
Sicuramente si tratta di un uomo culturalmente evoluto che in più di
una circostanza da prova di essere uno studioso di Dante, di cui
molto probabilmente apprese l'opera attraverso le pubbliche letture
di essa durante gli studi di formazione per notai e magistrati che
in quel tempo si tenevano ufficialmente nelle aule delle università
di Firenze, Pisa, Bologna. In quest'ultima città, poco dopo il 1361,
avrà verosimilmente conosciuto di persona Benvenuto che in quel
periodo esercitava le funzioni di docente e aveva già finito di
elaborare una delle prime edizioni del commento della Commedia. E
ciò a distanza molto ravvicinata dalla scomparsa di Dante Alighieri
avvenuta a Ravenna nel 1321. Nemmeno qualcosa si sa o si potrebbe
supporre dei legami di Pietro con la Calabria e con la sua Tropea
dove viveva la famiglia d'origine, una delle più antiche e nobili
che vi abbiano dimorato, che Francesco Sergio nella sua
'Chronologica Collectanea chiama "antiquissima". Di tale famiglia,
estinta intorno al 1676, si sa che ai primi del Cinquecento, a
seguito di un matrimonio, un ramo di essa venne impiantato nella
vicina Nicotera. Nessun cenno su Pietro e Giovanni nei documenti già
noti che rinviano alle gesta del loro nobile casato neanche nel
recente saggio di Francesco Campennì apparso nel numero unico del
1994 di Rivista Araldica5, dove ne viene ricostruito l'albero
genealogico. Pietro e Giovanni quindi rivivono per la prima volta
dopo sei secoli di silenzio, grazie al ritrovamento e al rientro in
Italia del codice "veneziano".
Parlare della figura di Benvenuto
da Imola - il vero nome è de' Rambaldi - è al contrario molto più
facile. Nasce nel 1330 da padre notaio che lo introduce agli studi
di grammatica e diritto all'interno della propria scuola privata. E
diviene giudice e notaio senza però esercitare perchè esiliato. Nel
1361 ripara a Bologna al seguito del Governatore Gomez Albornoz,
dove scrive il Romuleon, compendio di storia romana e si afferma
quale maestro di autori classici come Virgilio e Lucano e anche
contemporanei come Dante e Petrarca che conosce personalmente. E' di
questo periodo il suo capolavoro Commentum super Dantem, rielaborato
in tre edizioni fino al 1383, che richiama ancora oggi tanta
attenzione e ammirazione degli studiosi del sommo poeta toscano.
Molte ancora sono le opere che Benvenuto produce come il confronto
tra Petrarca e Dante. L'ultima fase della vita viene trascorsa a
Ferrara sotto la protezione di Niccolò d'Este, dove completa i
commenti su Virgilio, Lucano e Seneca. Qui compone l'Augustalis
libellus, rassegna di imperatori da Giulio Cesare a Venceslao. Nella
città estense legge pubblicamente Valerio Massimo e si afferma
definitivamente quale una delle figure di maggior spicco del primo
Umanesimo trecentesco. Muore a Ferrara nel 1387. A questo punto
possiamo davvero, per adesso, considerare concluso il racconto di
una meravigliosa storia, avventurosa ed esaltante di due codici
scritti nel trecento dal tropeano Pietro Campenni, uno dei più
antichi studiosi di Dante. Eppure a pensarci bene al sommo cantore
toscano che «ci tracciò gloriosamente - usiamo le parole di Felice
Toraldo - i confini della grande patria italiana con la sua lirica
immortale, la Città di Tropea si è sempre, nel tempo, sentita devota
e riconoscente ammiratrice, ponendo in suo onore e a suo ricordo
nella facciata orientale del vecchio edifico dell'Antico Sedile una
targa di bronzo e di marmo». Per chi volesse approfondire questa
affascinante tematica ecco l'indirizzo dove Salvatore Libertino
illustra nei dettagli questa scoperta:
www.tropeamagazine.it/codicedantesco.
Franco Vallone
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