Stalag VI A di Hemer. Foto di gruppo di internati militari scattata durante la visita di un Organismo Internazionale per i diritti degli internati. L'immagine del Serg. M. Micuccio Cortese di Tropea è segnata dal cerchio.
Tropea e il 'Giorno della Memoria'
di Salvatore Libertino
Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita con Legge 20 luglio 2000 n. 211 dal Parlamento Italiano, che ha voluto aderire alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio "giornata per commemorare le vittime del nazismo e dell'Olocausto". Tale ricorrenza serve a ricordare anche tutti coloro che, a rischio della propria, hanno salvato altre vite. La scelta della data è dovuta al fatto che il 27 gennaio del 1945 le truppe dell'Armata Rossa - durante la loro avanzata verso Berlino - arrivarono nella cittadina polacca di Auschwitz e si trovarono di fronte al suo tristemente famoso campo di sterminio, liberandone i pochi superstiti e rivelando al mondo l'orrore del genocidio nazista.
Legge 20 luglio 2000, n. 211 Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti
Art. 1.
Art. 2.
Quest'anno in Italia il 'Giorno della Memoria' verrà celebrato per la sesta volta. Anche la Città di Tropea si appresta a prendere parte ad un evento di portata istituzionale e rendere il sacro tributo ai propri figli internati nei lager nazisti. Sono tre infatti i tropeani che hanno vissuto la deportazione in Germania e che hanno patito ogni sorta di vessazione fino a sacrificare - da parte di uno di loro - la propria vita. Stiamo parlando di Filippo Accorinti d'Aquino, Vice Commissario di Polizia a Udine, morto a Mathausen il 20 aprile 1945, Vittorio Restelli, allievo sottufficiale dell'Esercito, e Micuccio Cortese, Sergente Maggiore dell'Esercito, gli ultimi due internati nel 1943 nello Stalag VI A di Hemer e liberati dagli americani nel 1945. Secondo la ricostruzione dello storico udinese Elio Romano, tra il 22 luglio ed il 2 agosto del 1944 furono arrestati e poi ristretti nella Casa Circondariale di Via Spalato in Udine il questore Luigi Cosenza, il vice questore Ernesto Galliano, il commissario capo Luigi Ruggiero capo di Gabinetto, i commissari Filippo Accorinti, Nino D’Angelo, Giuseppe Sgroi, Mario Savino, Camillo Galli, i graduati Sparsero Toschi e Bruno Bodini, le guardie di P.S. Anselmo Pisani e Mario Comini, l’impiegato civile Giuseppe Cascio, genericamente sospettati di scarsa collaborazione, se non addirittura di attività contrarie alle direttive politiche del governo fascista e delle forze di occupazione tedesche. Secondo un’informativa della locale Questura, datata 15 marzo 1946, alcuni nominativi degli arrestati, tra cui quello del D’Angelo, figuravano in un elenco di persone favorevoli all’attività clandestina di resistenza, trovato in possesso di elementi partigiani, arrestati a Udine durante l’ardimentoso tentativo, non riuscito, di catturare nella propria abitazione un noto fascista, ufficiale dell’esercito repubblichino.
Sulla base dei dati desunti dai registri della locale Casa Circondariale, il 22 luglio la polizia tedesca procedette all’arresto dei commissari D’Angelo, fermato in casa secondo i ricordi del figlio Salvatore, Savino, Accorinti e Galli. Il 26 agosto, sempre sulla scorta dei dati desunti dai registri della locale Casa Circondariale, D’Angelo, Sgroi, Accorinti, Savino, Cascio, Toschi, Bodini, Comini, Pisani e Babolin furono scarcerati per essere deportati in Germania. Il questore Cosenza e il suo Capo di Gabinetto Ruggiero furono scarcerati l’11 novembre, il vice questore Galliano il 30 agosto. Il 27 agosto “quando ancora – secondo il racconto fatto alla madre del dott. Accorinti, in una accorata lettera, datata 30 ottobre 1963, dall’unico superstite, marescialloToschi - non si sapeva l’esistenza dei campi di sterminio in Germania, alle prime ore del mattino, assicurandoci che eravamo diretti a Bolzano per essere adibiti ad un lavoro non pesante, le SS ci hanno fatto salire su un carro ferroviario bestiame, ermeticamente chiuso e quindi, dopo 10 ore di sosta alla stazione, sotto il solleone cocente di agosto, partimmo Via Trieste per destinazione ignota”. Sempre secondo Toschi i suoi compagni di deportazione sarebbero stati convinti che i responsabili delle loro sventure erano da ricercare tra alcuni componenti della stessa Questura. Il trasferimento in Germania avvenne attraverso il territorio sloveno, transitando per la cittadina austriaca di Arnoldtein, Il viaggio durò tre giorni e, dopo una breve sosta a Monaco di Baviera, proseguì fino a Dachau, dove i deportati furono segregati nel blocco n. 19. In seguito e in epoche diverse, i predetti furono trasferiti in vari campi e i loro destini ebbero una tragica conclusione, non sempre concorde nei dati ricavati da diverse fonti storiche. Per quel che riguarda Filippo Accorinti che visse con la propria famiglia a Parghelia, comune limitrofo a quello di Tropea, come da dichiarazione di morte presunta trascritta nel Municipio di Parghelia, risulta deceduto il 20 aprile del 1945 a Mauthausen “in seguito ad esaurimento e sevizie in deportazione ed è stato sepolto e cremato nel campo stesso”. Nei confronti del dott. Accorinti il Ministero dell’Interno, in data 13.1.1944, aveva disposto il trasferimento presso la Questura di La Spezia ma l’ordine era stato revocato per la mancata concessione del nulla osta, giustificata da ragioni di servizio, da parte del commissario germanico delle operazioni del Litorale Adriatico, che aveva sede in Udine. Da una successiva lettera, dell’allora “Prefettura Repubblicana”, datata 24 gennaio 1944, si rileva che il trasferimento era stato proposto essendo il Funzionario “indiziato di commenti inopportuni nei riguardi della situazione fascista”. Durante la Giornata della Memoria la figura di Filippo Accorinti viene commemorata, con la presenza dei familiari, a Udine, a cura della locale Questura e solo da qualche anno anche a Parghelia. Per quel che concerne gli altri due tropeani, Vittorio Restelli e Micuccio Cortese, le loro figure non sono per nulla prese in considerazione nemmeno dalle istituzioni locali, nel contesto delle celebrazioni ufficiali che di solito da qualche anno si svolgono unicamente nell’ambito scolastico. Ciò costituisce una grave inadempienza di natura etica prima ancora che giuridica con l’aggravante che sono ormai arcinoti ed accertati i loro trascorsi di deportazione, internamento e origine tropeana. Desta inoltre non poca perplessità il fatto che negli anni scorsi durante i vari simposi sul tema si sono invitati personalità e studiosi a portare testimonianze di vicende e personaggi estranei al territorio di Tropea, quando invece si sa che Micuccio Cortese, l’unico dei tre ad essere in vita, potrebbe raccontare di persona quella triste esperienza, mentre gli stessi familiari dei due deportati scomparsi potrebbero contribuire attraverso testimonianze di prima mano alla loro ricostruzione storica. Un motivo - in genere - che porta a 'sottovalutare' o a non considerare affatto la vicenda dell'internamento nei lager nazisti dei militari durante il Giorno della Memoria si ricollega al fatto, constatabile, che durante le celebrazioni di solito viene data una corsia preferenziale allo sterminio e alle persecuzioni del popolo ebraico, disattendendo i dettami della Legge 20 luglio 2000, n. 211 dal cui enunciato si evince che tale Giornata è istituita anche per 'deportati militari e politici italiani nei campi nazisti'. Nel 1943 migliaia di militari (si calcola che furono più di seicentomila) furono deportati in Germania nel caos in cui il re e Badoglio lasciarono l’esercito dopo l’8 settembre. Qui furono invitati ad aderire alla Repubblica Sociale: nonostante le martellanti pressioni dei fascisti, accettarono circa il 30 per cento degli ufficiali (cioè 7.500-8.000) e il 10 per cento dei soldati (qualche decina di migliaia). Inoltre, su esplicito ordine di Hitler fu loro negato lo status di prigionieri di guerra: non potevano appellarsi alla Convenzione di Ginevra e non avevano l’assistenza della Croce Rossa, con conseguenze devastanti sulle condizioni di prigionia. Tale sorte toccò a Micuccio Cortese e Vittorio Restelli che hanno vissuto accanto ed insieme parte della propria vita, pur percorrendo strade diverse e senza mai vedersi se non in poche circostanze ad Hemer presso lo Stalag VI A. Ambedue, anche se inquadrati in enti militari diversi, furono presi a Tirana e spediti in Germania, il primo a ventisette anni, il secondo solo a ventidue. In particolare,Vittorio si era diplomato geometra qualche anno prima e quando si arruolò era un giovanissimo studente universitario. In Germania, se per Micuccio la prima tappa del lungo calvario è stata Dortmund, per Vittorio fu Essen. Poi ambedue approdarono a Hemer, un grosso centro minerario (carbone), nel territorio del Nord Reno-Westfalia. Si sono incontrati per caso nelle viscere della terra, nelle gallerie della miniera di carbone, ad un chilometro dalla luce del giorno. Una vita di stenti, alleviata dal fatto (ma questo lo diciamo con il senno di poi) che nel loro campo di internamento riservato ai militari di truppa e sottufficiali (STALAG) non vi erano forni crematori. Ma occorre anche capire che molti furono i militari che non sono tornati a casa subendo a livello psichico ma soprattutto fisico ogni sorta di degrado, giorno dopo giorno, fino all'esaurimento della loro persona. Su esplicito ordine di Hitler fu addirittura negato loro lo status di prigionieri di guerra, ricorrendo allo stratagemma della civilizzazione per cui non potevano appellarsi alla Convenzione di Ginevra e non avevano l’assistenza della Croce Rossa, con conseguenze devastanti sulle condizioni di prigionia.
Vittorio Restelli
Anche riguardo all'epilogo della vicenda, Micuccio e Vittorio hanno avuto risvolti diversi. Liberati dagli americani nel 1945, il primo è riuscito a raggiungere Tropea dopo giorni di peripezie vissute durante il non facile viaggio di ritorno, mentre Vittorio è rimasto per qualche tempo in Germania in seno ad una famiglia che lo ha aiutato molto e che gli aveva offerto un lavoro stabile. Ma con il passsare dei mesi il giovane non se l'è sentita di rimanere anche perchè la madre a Tropea versava in cattive condizioni di salute. Per cui fece ritorno in Calabria. Nato a Tropea da famiglia facoltosa il 7 maggio 1917, Vittorio Restelli esercitò la professione di geometra impiantando uno studio tecnico e successivamente impiegandosi al locale ufficio del catasto. Si sposò nel 1948 con America, Nobildonna di Casa Romano. Si trasferì poi con i familiari per ragioni di lavoro a Brindisi e ancora a Bologna, dove è mancato il 15 maggio 1993 e dove la moglie risiede tuttora con la famiglia, composta di 9 figli, di cui due vivono a Tropea. La Signora America non ama molto parlare di quel passato. Ci dice solo che Vittorio già prima di sposarsi ha voluto rimuovere tutta la vicenda e che per diversi anni ha accusato seri disturbi all'apparato respiratorio. Qualcosa di questa amara vicenda, si conosce attraverso la testimonianza di Micuccio che dopo il suo ritorno a casa ha esercitato per il resto della sua vita la professione di negoziante di generi alimentari sul corso di Tropea, davanti alle tre fontane, mettendo su una bella famiglia con due figli. Ora è un giovanissimo novantacinquenne, memoria storica del territorio di Tropea, amatore di storia patria, gentiluomo innamorato della sua Città, a disposizione dei giovani e dei meno giovani che vogliono apprendere il passato tropeano che Micuccio si è preso il lusso di aver vissuto a fondo e di aver ben memorizzato, contando sempre di possedere dentro l'anima un pezzo della sua vita passato in Germania che gli ha sempre dato qualcosa in più di un arricchimento morale ed di un inesauribile potenziale insegnamento a disposizione di tutti. Solo da un pò di anni si comincia a edificare una memoria dei lager militari rimediando in qualche modo ad un grave caso imperante di rimozione. Solo da pochi anni si comincia a parlare di risarcimento da parte del governo tedesco del lavoro coatto degli internati. Solo da qualche tempo gli stessi militari coinvolti, chiamati sprezzantemente dai tedeschi Badoglios, incominciano a parlare. L'anno scorso la studiosa tedesca Gabriele Hammermann ha pubblicato il volume Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, edito da Il Mulino, che le è valso il XXXVIII Premio Acqui Storia, sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Quella degli internati militari italiani è una pagina che si comincia a leggere soltanto ora. Speriamo che per quelli tropeani la loro patria ne prenda atto al più presto.