di Alessandro Vuono
Manilio Caputi nacque a Cosenza intorno
agli anni Trenta del XVI secolo. Appartenente a una famiglia di nobili
origini, fu autore di due raccolte madrigalistiche: una a quattro voci,
il cui unico esemplare è conservato presso la British Library di
Londra, l’altra a cinque voci, il cui unico esemplare è conservato
invece, mutilo della parte del Canto, presso la Biblioteca del Conservatorio
di Napoli. All’interesse per la musica Caputi affiancava quello per le
lettere, scrivendo e pubblicando rime in diverse raccolte del tempo.
L’interesse verso figura di Manilio Caputi
da parte dei moderni studi musicologici iniziò negli anni Sessanta
del secolo scorso, quando Pietro Manzi, compiendo ricerche sulle tipografie
napoletane del XVI secolo, si imbatté nel nome del musicista cosentino,
con il quale il tipografo Stigliola diede l’avvio a Napoli alla sua «
stamperia » a Porta Regale. Le ricerche proseguirono poi grazie al
contributo di Francesca Turano, che pubblicizzò in un convegno del
1985 sulla musica a Napoli nel XVII secolo.
Gli studi da me effettuati hanno cercato
di valorizzare l’opera di Manilio Caputi, sia nella sua veste di musicista
che di poeta, nonché di tracciarne una più dettagliata e
significativa ricostru-zione biografica. Gli stimoli ad approfondire le
mie ricerche su Manilio Caputi sono venuti soprattutto dalle iniziative
promosse dall’Istituto di Bibliografia Musicale Calabrese, presieduto dal
Prof. Annunziato Pugliese, rivolte alla valorizzazione dei musicisti calabresi.
Le difficoltà incontrate in tale ricerca sono state prevalentemente
di ordine logistico, non avendo potuto usufruire di sufficienti riferimenti
biografici e bibliografici. Ho quindi svolto le ricerche attraverso una
consultazione pressoché completa di tutte le fonti a stampa e manoscritte
risalenti ai secoli XVI e XVII, conservate presso alcune istituzioni consentine,
in maniera particolare presso la Biblioteca Civica e l’Archivio di Stato.
Ciò che mi ha aiutato nelle ricerche è stata l’appartenenza
di Manilio Caputi ad una famiglia di nobili origini e l’aver ricoperto,
a Napoli, importanti incarichi nell’amministrazione dei beni del Viceregno
spagnolo, nel periodo in cui era sovrano Filippo II.
Una ricerca di fonti in tale direzione
si è resa necessaria per il fatto che Manilio Caputi non era musicista
di professione, ma apparteneva a quella cerchia di nobili dilettanti che
si cimentavano, a tempo perso, nella composizione di musiche, quasi esclusivamente
madrigali. Loro intento non era promuovere le proprie creazioni musicali
ma soddisfare le esigenze emotive e dar sfoggio nella società
della loro abilità artistiche. Il fatto poi che Manilio Caputi abbia
pubblicato due raccolte di madrigali (come vedremo in seguito decisamente
originali nella scelta dei testi) va quindi collegato, più che ad
un loro sfruttamento commerciale (nel caso di Manilio Caputi improbabile
sia per il suo status sociale sia per la sua tarda età al momento
della pubblicazione), al coronamento di una serie di sforzi creativi che
sicuramente risalgono alla gioventù.
La testimonianza più antica riguardo
l’esistenza e l’operato di Manilio Caputi risale al 1564, anno in cui a
Napoli vide la luce il Della Mirtia, un volume di rime di Ludovico Paterno.
I « trastulli » del musicista cosentino, così come li
chiamava Mario degli Andini, non si limitavano alla sola produzione musicale
ma erano costituiti anche da una rappresentanza di rime: Caputi fu autore
del testo di alcuni madrigali che egli stesso musicò nei suoi due
libri, di un sonetto contenuto nel Della Mirtia di Paterno, di due sonetti
contenuti nella raccolta di Rime et versi in lode della Ill. et Ecc.ma
S.ra Giovanna Castriota Carafa e di altri tre sonetti inclusi nelle Rime
de’ diversi in morte di Sigismondo Augusto Re di Polonia. Altro omaggio
a Manilio Caputi risalente al XVI secolo furono i versi di Giano Pelusio,
Ad Manilium Capututm, contenuti nel secondo libro dei Lusuum Libri Quator,
pubblicati nel 1567.
Da queste prime testimonianze comincia
a delinearsi la figura di Manilio Caputi. Persona colta, di nobili origini,
impiegato nell’amministrazione dei beni del re, apprezzato non solo per
il suo impiego amministrativo ma anche come musicista e poeta: rappresenta
insomma la tipica figura del nobile dilettante che si cimenta nella musica
e nella poesia durante il tempo libero dalle occupazioni principali. Un
ulteriore elogio contenuto nelle fonti del XVI secolo lo troviamo nel Secretario
di Giulio Cesare Capaccio; importante anche questa testimonianza perché
conferma che, nel 1589, Manilio Caputi aveva già terminato almeno
uno dei suoi due libri di madrigali.
L’importanza dello status sociale di
cui Caputi disponeva nella società napoletana così come in
quella cosentina, la sua amicizia con importanti esponenti della cultura
partenopea (come Lodovico Paterno) e la sua vena poetica – che gli valse
più di tutti la memoria dei posteri – e musicale sono indizi che
sicuramente collocano il musicista in una prospettiva di più ampie
vedute nella vita culturale dell’epoca.
I frontespizi dei due libri di madrigali
rappresentano l’ultimo dei documenti risalenti al XVI secolo. Attraverso
il frontespizio del Libro primo de’ madrigali a quattro voci, Manilio Caputi
rende omaggio e chiede protezione « All’illustrissimo Signor Diomede
Carafa, General Thesoriere, et del Collateral Consiglio della Cattolica
Maestà del Rè Filippo d’Austria nel Regno di Napoli, suo
Signore ». Il frontespizio del Libro primo de’ madrigali a cinque
voci, invece, con la dedica « Ai molti illustri Signori del Reggimento
di Cosenza », tesse le lodi della sua città natale. Si tratta
di un vero e proprio elogio della città di Cosenza e dei suoi abitanti:
traccia a grandi linee le origini della sua città e mostra tutto
il suo rispetto per essa, mostrandosi fiero di essere nato nel luogo che
ha prodotto « huomini eccellenti [...] in ogni età, &
così in armi, come in lettere, ella ne può annoverar tanti,
& di così alta qualità, che non ha da invidiarne à
Città di Italia ». Che questo elogio sia stato scritto per
entrare nelle grazie di qualcuno in particolare tra i « molti illustri
Signori del Reggimento di Cosenza » sembra improbabile: nella Cronica
del canonico Pietro Frugali, contenente la Nota delli sindici, mastrogiurati
ed alcuni eletti, che sono stati dall’anno 1523 sino al presente 1603,
non figurano nell’anno 1593 personaggi che, al momento attuale delle ricerche,
risultino aver avuto con-tatti con Manilio Caputi.
Numerose, anche se brevi e poco
dettagliate, sono le fonti risalenti ai secoli successivi. Filo conduttore
di tutte queste testimonianze è sempre e comunque l’elogio di Manilio
Caputi non solo come musicista e poeta, ma come uomo di nobile origine
e grande prestigio, sia nella città di Napoli che in quella di Cosenza,
dove viene menzionato tra i frequentatori dell’Accademia Cosentina, nel
periodo del suo maggior splendore. Sono queste testimonianze che fanno
ipotizzare Manilio Caputi come tramite tra i maggiori esponenti della cultura
cosentina e quella napoletana.
Come già detto, Manilio Caputi
fu autore di un Libro primo de’ madrigali a quattro voci (d’ora in poi
I a 4) e di un Libro primo de’ madrigali a cinque voci (d’ora in poi I
a 5), dati alle stampe rispettivamente nel 1592 e 1593: non si ha altra
notizia riguardo la sua produzione musicale, che quindi si ritiene consista
solo in queste due pubblicazioni. Entrambi i volumi sono stati stampati
a Napoli, il primo « appresso Gioseppe Cacchi », il secondo
nella « Stamperia dello Stigliola à Porta Regale »,
proprio negli anni in cui era iniziata, nella capitale, la moda – tardiva
rispetto al resto delle tipografie al di fuori del Regno – di stampare
madrigali. Il genere madrigalistico a Napoli era infatti radicato da tempo,
ma solo a partire dal 1591 quei lavori videro la luce non più solamente
nelle tipografie veneziane, ma anche in quelle napoletane.
Il I a 4 è l’unico volume completo
in tutte le sue parti. In otto madrigali (cinque poesie, tre delle quali
divise in due parti) – un quarto esatto della raccolta – il testo è
scritto dallo stesso musicista e il libro apre proprio con uno di essi.
Dei restanti ventiquattro madrigali, undici sono su testo di Pietro Bembo,
sette su testo di Francesco Petrarca, mentre Alessandro Andrea e Giovanni
della Casa sono autori del testo di due madrigali ciascuno; completano
la raccolta due madrigali su testo di Annibale Caro e Torquato Tasso.
I testi di Caputi non furono messi in
musica da nessun’altro, così come nessun altro compo-sitore mise
in musica i versi di Alessandro Andrea, le sette parti successive alla
prima di Sì rubella d’amor, né sì fugace di Bembo,
le tre parti di Al primiero apparir del vostro raggio, ancora di Bembo
e le rime di Della Casa. Se a ciò aggiungiamo che le rime di Caro
sono state musicate, oltre che da Manilio Caputi, dal solo Francesco Rosselli
nel suo Primo Libro de Madrigali a cinque voci, possiamo notare l’originalità
della raccolta: escludendo i madrigali su versi petrarcheschi, i due terzi
del I a 5 sono infatti rappresentati da madrigali che non hanno concordanze.
Si rende in tal modo protagonista la vena inventiva di Manilio Caputi,
che tenta vie nuove, che non sente il bisogno di rifarsi a qualche modello
preesistente mettendosi in discussione nel panorama musicale, non essendo
oltretutto musicista di professione. Di ciò ne ha piena coscienza
Giovan Domenico Montella che rende tributo al musicista cosentino, mettendo
in musica, in appendice al suo Primo libro de madrigali a cinque voci,
il madrigale di Caputi Poi che per darlo à voi.
Di dimensioni quasi identiche è
il I a 4, che contiene trenta madrigali. Nutrita anche in que-sta raccolta
è la schiera di madrigali su testo di Caputi: otto (cinque poesie,
una delle quali divisa in quattro parti) come nel I a 5, ma in percentuale
maggiore perché inferiore è il numero di madrigali contenuti
nella raccolta. Sette madrigali sono su testo di Francesco Petrarca, sette
su testo di Jacopo Sannazzaro; completano la raccolta tre madrigali su
testo di Lodovico Paterno, due su testo di Pietro Bembo ed altri tre su
testo dei poeti Ludovico Ariosto, Cino da Pistoia e Luigi Tansillo. Sulle
concordanze si verifica la stessa situazione rilevata nel I a 5: i testi
di Petrarca, Ariosto e Sannazzaro sono ovviamente stati messi in musica
diverse volte; in maniera minore i madrigali su testo di Bembo (cinque
concordanze Voi mi ponest’in foco, una soltanto Città con più
sudor) e Tansillo (tre concordanze). Anche in questa silloge non mancano
le novità: è solo Caputi a mettere in musica La dolce vista
di Cino da Pistoia, i versi di Lodovico Paterno e, naturalmente, quelli
dello stesso compositore, ad eccezione di Poi che per darlo a voi utilizzato,
come abbiamo visto, da Giovan Domenico Montella.
Il I a 4 è comunque caratterizzato
dall’impiego di versi i cui autori gravitavano nell’ambiente napoletano:
Luigi Tansillo, Jacopo Sannazzaro e Lodovico Paterno; sommando i loro versi
a quelli di Manilio Caputi si evidenzia l’impronta tipicamente locale della
silloge. Alla testimonianza di Mario degli Andini, che dedica la seconda
parte del Della Mirtia « al più caro amico che tenga hoggidì
l’Autor di quella » ed ai sonetti che si scambiano in quella raccolta
Caputi e Paterno, si aggiungono, nel I a 4, i versi del poeta Alifano Quand’insieme
sposarsi che, nella stampa del 1592, vengono indicati come «
Rime di Lodovico Paterno, nelle nozze del Caputi ».
Ciò che accomuna le due raccolte
madrigalistiche di Caputi è il chiaro stampo petrarchesco dei testi
messi in musica: accanto ai molti versi di Petrarca e Bembo figurano versi
di altri autori che, comunque, si attenevano agli schemi classici della
poesia; di chiaro stampo petrarchesco sono anche i sonetti dello stesso
compositore.
I madrigali di Manilio Caputi furono
composti quasi sicuramente molto prima delle date di pubblicazione delle
raccolte in cui sono contenuti. Caputi non era musicista di professione
e dobbiamo considerare i due libri di madrigali come il coronamento dei
suoi « trastulli » giovanili, delle esperienze fatte negli
anni passati e che in tarda età (nel 1592-1593 aveva probabilmente
circa 70-75 anni), con l’inizio delle stampe napoletane di raccolte madrigalistiche,
voleva far conoscere ad un pubblico più numeroso; è forse
per questo motivo che dedicò la prima raccolta a Diomede Carafa,
« acciò che sotto il suo nome vivano dal vento dell’invidia
sicuri ».
Indizi concreti della composizione dei
madrigali, in età di gran lunga anteriore alla data di pubblicazione,
sono la natura petrarchesca dei versi di Caputi – che rimane tale nonostante
la pre-senza di alcune influenze manieristiche – scritti sicuramente in
età giovanile, nonché il sonetto di Lodovico Paterno nell’occasione
delle nozze del musicista, scritto quindi molto tempo prima del 1592. Del
resto anche la struttura musicale dei madrigali non rispecchia il periodo
in cui furono pubblicati. Nei madrigali di Caputi non sono riscontrabili
elementi della « seconda pratica », né tan-tomeno quello
stile « espressivo », ricco di dissonanze, che sarà
il preludio al successivo periodo barocco: in essi il testo viene suddiviso
musicalmente in maniera regolare, assegnando a ciascun verso un corrispondente
periodo musicale, il tutto segnato dalla presenza di numerose cadenze che
scandiscono il flusso musicale.
I madrigali del I a 4 appaiono sostanzialmente
caratterizzati tutti dagli stessi artifizi compositivi. Le quattro voci
procedono senza ordini gerarchici, distribuendosi durante il loro percorso
sia in forma omoritmica che in forma imitativa.
Non esistono per Caputi schemi ritmici
o sequenze predefinite: la materia sonora viene plasmata se-condo le esigenze
del testo, siano esse di ordine metrico o espressivo. Numerosi sono gli
espedienti utilizzati in tal senso dal musicista durante la stesura dei
madrigali: sezioni statiche in forma omoritmica e con valori larghi seguite
da sezioni dinamiche, in forma imitativa e caratterizzate da figure di
breve durata; utilizzo di coppie di voci (solitamente le due estreme, Canto
e Basso, procedono omoritmicamente, mentre le due voci interne procedono
in maniera indipendente); frequente utilizzo di sole tre voci, per snellire
il discorso musicale (ciò avviene soprattutto all’inizio dei madrigali
o a seguito di una cadenza). Caratteristico è inoltre l’uso di coppie
di voci a cui viene assegnato un determinato modello ritmico/melodico.
Non voglio dilungarmi oltre in argomenti
che andrebbero analizzati nello specifico. Voglio concludere affermando
la necessità della riscoperta di un personaggio a cui il tempo ha
ingiusta-mente tolto il prestigio di cui godeva già in vita, cosa
peraltro rara per la maggior parte dei musicisti dell’epoca. Una riscoperta
che va indirizzata principalmente nel reperimento di ulteriori notizie
bio-grafiche, ma anche e soprattutto nella sua rivalutazione artistica,
poetica e musicale.
Bibliografia essenziale:
PIETRO MANZI, Manilio Caputi. Madrigalista cosentino e gentiluomo napoletano, in «Accademie e Biblioteche d’Italia», anno XLI (1973), n. 6, pp. 356-366.
FRANCESCA TURANO, I madrigali di Manilio Caputi nobile dilettante cosentino, in: La musica a Napoli durante il Seicento. Atti del Convegno internazionale di studi, Napoli, 11-14 aprile 1985, a cura di Domenico Antonio D'Alessandro e Agostino Ziino, Roma, Torre d'Orfeo, 1987, pp. 29-45.
ALESSANDRO VUONO, Manilio Caputi poeta,
musicista e funzionario di Filippo II, Tesi di laurea in DAMS, Arcavacata
di Rende, Università della Calabria, Facoltà di Lettere e
Filosofia, rel. Annunziato Pugliese, anno acc. 2002-03.