Tropea - Anni Quaranta. Chiesa
dell'Immacolata. Grandioso Presepe.
USANZE TROPEANE DEL CICLO NATALIZIO
di Giuseppe Chiapparo
Tropea. Natale 2003. Presepe Vivente & Antichi Mestieri
Organizzazione Pro Loco
Il 25 novembre in Tropea ricorre la festa di Santa Caterina ed in tal giorno il popolo trae l’oroscopo del Natale, conoscendo per esperienza che “Comu Catarinea, cusì Natalea”. Il 30 dello stesso mese, nel vicino villaggio di Parghelia, si celebra la festa di Sant’Andrea Apostolo, patrono dei pescatori, e, per l’occasione, le donne pareliesi preparano speciali frittelle, dette “zippuli a ventu”.
Ciò viene ricordato dal seguente canto popolare:
Sant’Andria d’i piscaturi,
E’ lu santu prutettori,
E la genti ‘i Parghilia,
Chi la sciabaca mania1,
Beja2 festa a Iju nci fa
Pi’ la grandi fidi c’ha.
E dicimu nui a Trupia:
Quandu èni3 Sant’Andria
Fannu i zippuli a Parghilia.
In dicembre le mamme ricordano ai loro bambini che
Sant’Andria portò la nova
Ch’alli sei è di Nicola,
A li ottu è di Maria,
A li tridici di Lucia,
A li vinticincu di lu Messia.
Intanto vi è qualche povero vecchio che dice:
Mo’ veni Natali,
Non haiu4 dinari,
Mi ndi vaju5 a la Porta di Mari6,
M’appicciu la pippa
E mi mentu a fumari.
Mentre i fanciulli attendono impazienti il Natale con i suoi bei doni, van ripetendo quest’altro canto natalizio:
A’ prima chi sparò fu santa Zara,
‘A sicunda santa Bibbiana.
A li tri san Franciscu Saveri,
A li quattru santa Barbara meri,
A li sei è di Nicola,
A li ottu è di Maria,
A li tridici di Lucia,
A li vint’unu San Tumasu canta,
A li vinticincu la Nascita Santa.
Fra le date citate da questo calendario quella del quattro ci richiama alla memoria i seguenti tetrastici:
a) Santa Barbara subb’a nu munti stava,
Di trona e lampa non si spagnava,
Si spagnava di nu sulu Diu,
Santa Barbara, fa bon tempu.
b) Santa Barbara, affacciati, affacciati,
Ca passaru tri banderi:
una d’acqua e dui di ventu,
Santa Barbara, fa bon tempu.
Il sei dicembre ci ricorda che: “A Santu Nicola ogni mandra faci ‘a prova” ed in tal giorno i pecorai fanno le prime ricotte col latte delle pecore primipare (che essi chiamano prumentini). Si usa ricordare pure quest’altro proverbio: “A Santu Nicola ogni vajuni sona” perché in quei giorni, a causa delle recenti e abbondanti piogge, i torrenti, ingrossandosi, precipitano rumorosamente a valle.
Nel medesimo giorno nei dintorni i contadini, proprietari di animali vaccini, costumano, per devozione a detto Santo, preparare la cuccìa, che consiste in una mescolanza di grano e di granturco bolliti fino a completa cottura.
Nella pentola in cui viene preparata la cuccìa le contadine spesso, nell’entusiasmo della loro fede, vedono le tracce del passaggio del Santo. Di questo singolare piatto, che si crede sia benedetto, ne fanno parte ai poveri. Questa usanza è un riflesso delle feste Panepsie Ateniesi in onore di Apollo, al quale si offrivano le civaie cotte, perché egli portava a maturità i prodotti della terra.
Il giorno otto, nella Chiesa di San Francesco di Assisi si celebra la festa dell’Immacolata Concezione.
Dopo il Vangelo della Messa solenne, il sindaco, genuflesso davanti all’altare, legge la seguente supplica alla Santa Vergine e poi Le offre un cero di grosse dimensioni: “Santissima Vergine Maria, madre di Dio e degli uomini, per singolare privilegio dell’Altissimo concepita senza ombra di peccato, la città di Tropea, in questo giorno sacro al Tuo verginale candore, prostrata ai piedi del santo altare, con il cuore pieno di riconoscenza e di filiale affetto, Ti proclama una volta ancora e per sempre una singolare e potentissima Signora. La sovrana munificienza delle tue mani venerate e le particolari tenerezze che hai prodigato a questo popolo ci danno sicuro titolo per invocarTi Regina e Madre tenerissima dei tropeani. Questa città, che Tu hai preservata dai terremoti, dalle pestilenze e da tanti flagelli, unita in un sol cuore, per bocca del suo primo Magistrato, Ti scioglie un inno di vivissima gratitudine e Ti protesta la sua perenne sudditanza ed il suo indefettibile amore e, come pegno solenne, Ti offre un cero perché ardendo dinnanzi alla Tua sacra immagine, Ti sia simbolo della fiamma viva che per Te, o Vergine Immacolata, si alimenta nei nostri cuori. Fidente, o potentissima Signora, questa Tua città, assistita maternamente, proteggila contro i nemici del suo bene spirituale e temporale, rinnova i Tuoi prodigi di sovrana bontà, ravvisa in tutti la fede e la carità di Cristo e fa’ che un giorno Ti veggano incoronata di gloria e Ti benedicano eternamente in cielo. Così sia”.
Tropea - Chiesa del Purgatorio. Santa Lucia e alcuni conti riferiti alla quantità dei fichi secchi acquistati per la festa negli anni 1897, 1898, 1900, 1901, 1902.
I conti sono scritti sul muro lungo la scala che dalla sagrestia permette l'accesso al secondo piano, al Paradiso.
Al termine della sacra funzione, il maestro di cappella trae dall’organo le note care della pastorale, che rallegrano tanto i buoni popolani. Nel pomeriggio di Santa Lucia (13 dicembre) le campane della chiesa del Purgatorio a Porta Nova, ove si venera la Vergine siracusana, squillando con ritmo allegro, chiamano a raccolta i ragazzi del vicino borgo. Poi, dall’alto del campanile, il sacrestano lancia manate di fichi secchi, castagne infornate e noci a quel monelli, i quali, fra grida di gioia, si danno a raccogliere quel bene di Dio, che piove loro dall’alto. Ciò è una reminescenza delle feste delle stagioni, che i popoli dell’Asia, nel ciclo mitico, ed i Greci e i Latini celebravano in riconoscenza dei benefici avuti dagli Dei7.
Per i pescatori ed i contadini il 13 dicembre ha una singolare importanza in quanto che, a partire da detto giorno e fino al 24 dello stesso mese, essi osservano l’andamento meteorologico di ciascuna giornata per trarne gli auspici sull’andamento dei mesi del nuovo anno, secondo una regola detta dei Catamisi (dal greco Katamnuo, che vale annunziare, indicare). Secondo questa regola il 13 dicembre rappresenta il dicembre del nuovo anno; il 14 rappresenta il gennaio, e così via fino al giorno 24 che rappresenterà il mese di novembre8.
Durante la novena di Natale la musica cittadina ogni sera va suonando, di porta in porta per le case, le tradizionali pastorali. Di buon mattino sono invece gli zampognari che fanno sentire le loro nenie.
Sera del 21 la musica sospende la novena ed esce a tarda notte per fare la serenata a San Tommaso, ricordato nell’anzi citato calendario con il verso: “A li ventuno san Tumasu canta”.
Tropea - Chiesa del Purgatorio. Antico Presepe
Intanto presso le famiglie si cominciano a costruire i presepi, adoperando sughero, occhi di canna, felci secche e muschio (detto lippu). Una volta, quando erano in vita, ‘u Catanzarisi e Lianu mettevano in mostra nelle loro botteghe i pastori ed i ragazzi vi sostavano ad ammirarli. Diamo una lista sommaria dei pastori che essi esponevano: la Nascita (gruppo comprendente la Madonna, San Giuseppe, il Bambino, il bue e l’asino); ‘a grolia (gruppo di angeli, dei quali uno, nel centro, portava la scritta: Gloria in excelsis deo); ‘i zampognari, ‘u prisintaturi, l’ammaravigghiatu d’a stija, ‘u cacciaturi c’a cerva, ‘u mulinaru c’u ciucciu, ‘u zumpittaru, ‘a zammaritanua, ‘u pecuraru chi dormi, ‘a lavandara, ‘a cavallaria (gruppo comprendente ‘u trumbetteri, ‘u Rre giuvini, ‘u Rre vecchiu, ‘u Rre turcu), i Camelli (gruppo di tre cammelli, montati da moretti e guidati da altri mori con la lancia in mano).
Siamo giunti, così, alla data della Nascita santa, che è l’unica festa salutata con molto entusiasmo perché ci ricorda la venuta al mondo del Sole di giustizia che con la sua luce dissipa le tenebre dell’errore, conquista i cuori delle moltitudini e col suo sangue lava dal peccato e redime l’umanità. A ragione il nostro popolo canta in proposito:
No’ nc’è nottata filici e giocunda
Bella comu la notti di Natali!
Nasciu lu Ridinturi di lu mundu
Ammenzu a San Giuseppi e dui animali.
Ed a tali versi aggiunge questi altri:
La notti di Natali
E’ ‘na festa principali,
Ca nasciu nostru Signuri
Nta ‘na povira mangiatura
Cu lu goi9 e l’asineju,
San Giuseppi lu vecchiareju.
Quant’è beja la notti di Natali
Ca parturiu maria nzenza doluri!
Mbiata cu’ la vaci a visitari,
Fici nu figghiu ch’è dignu d’amuri!
Nelle prime ore di questa santa notte le famiglie che hanno il presepe s’inginocchiano davanti ad esso, recitano alcune preghiere e cantano la litania lauretana. Dopo ciò, al canto della ninna-nanna, un fanciullino, seguito dai familiari, ciascuno dei quali tiene in mano una candela accesa, porta in processione per le stanze della casa il Bambinello e poi lo adagia sulla paglia, fra la Madonna e San Giuseppe, mentre, in segno di giubilo, gli uomini lanciano nella via bombe e tric-trac. A ciò segue il canto di altre ninne-nanne piene di emotività e trasporto lirico, ricche di gentili espressioni, di leggiadre cadenze in onore del Bambino Gesù.
Come è risaputo, la notte di Natale si deve digiunare per cui ammonisce in proposito il detto che:
Cu’ no’ diuna la notti di Natali,
quando mori, l’atterranu fora com’e cani!
Dopo il digiuno viene il tradizionale pranzo, le cui pietanze devono essere in numero dispari (numero Deus impari gaudet). Come primo piatto si fa largo uso di verdura, seguono i vermicelli al sugo di pesce. Altri cibi di rito sono le insalate, i peperoni, e cetriolini sotto aceto e le immancabili zeppole, ossia frittelle, che erano in uso nel dì natalizio dei Romani. In Plinio (Hist. Nat., XVIII, 8, 107) viene detto: “…et hodie sacra prisca natalium mukta fritilia conficiuntur”.
A tavola, sotto il piatto del padre, i ragazzi che frequentano la scuola elementare, mettono una letterina di augurio e di buone promesse. Il genitore, nel sedersi a tavola, la prende e la legge con gran compiacimento, poi bacia contento i suoi frugoli e dona loro la strenna natalizia. Seguono i dolci, spesso fatti in casa, accompagnati da bicchierini di liquori, ed in ultimo la frutta, che è quella che offre la stagione, ossia: finocchi, arance, castagne e fichi secchi infornati, noci e nocciole. A proposito dell’uso dei dolci, al pari di quello dei doni natalizi, ricordiamo che fu condannato come empio dalla Chiesa in un dimenticato Concilio di Costantinopoli perché simile al modo dei gentili di festeggiare il natale del Sole.
Dopo il pasto l’allegria è completa e cominciano i divertimenti: si gioca a carte, a tombola e se colui che sorteggia i numeri è giocatore del lotto, annunzia ognuno di essi usando il linguaggio cabalistico dicendo, per esempio: 1, l’Italia; 5, la mano, 8, il fuoco; 11, le candele; 55, la musica; 19, S. Giuseppe, 25, Natale, e così via. Le fanciulle giocano a nocciole alla fossella, all’oca ed anche allo accipetotaro, altrimenti detto accippaturi, che consiste in un dado di legno attraversato da un’asticella che serve ad imprimergli con le dita un movimento rotatorio.
Ciascuna delle quattro facce del dado porta segnato una delle seguenti lettere: A=accipe; P=pone; N=nihil; T=totum,. Secondo la faccia che il dado presenta al suo fermarsi si vince o si perde la posta.
Al Duomo, a mezzanotte, il Vescovo mette il Bambinello al presepe, mentre ill popolo canta la ninna-nanna. Dopo ciò celebra la Messa solenne. Conviene ricordare che al momento della consacrazione i vecchi marinai profittano ad insegnare ai giovani la formula magica seguente, che vale a far scomparire nei momenti di pericolo la tromba marina (localmente detta cud’arrattu):
A nomi di lu Patri,
Pi’ virtù di lu Spiritu Santu,
T agghiati cuda d’ogni cantu.
La gente semplice crede che la notte di Natale avvengano dei prodigi, cioè che gli animali parlino e gli alberi fioriscano. Ciò costituisce una pallida eco della leggenda latina che ricorda l’età dell’oro nel Lazio, quando la terra produceva qualcosa spontaneamente, i tronchi degli alberi stillavano miele e innocui gli animali si aggiravano tra le tranquille dimore degli uomini. Però nessuno dovrà udire, o vedere, quei momentanei prodigi, perché il curioso malavventurato morrebbe all’istante.
Mattina di Natale la banda, suonando allegre marce, le note delle quali pare voglian dire, secondo il criterio dei ragazzi: Pagàti, pagàti, pagàti ca simu fatigàti, fa il giro delle vie percorse durante la novena e riscuote il meritato obolo e lo stesso fanno gli zampognari.
Nel pomeriggio il popolo va a visitare i presepi delle varie chiese e fa su essi i commenti e con ciò ha termine una gaia e gioconda festa che ci ricorda quanto avvenne circa duemila anni orsono sotto l’imperatore romano Cesare Augusto, mentre Quirino governava la Siria.
Ma il periodo delle feste natalizie non è finito. Sera del 31 dicembre nelle chiese si canta il Te Deum, in ringraziamento all’Altissimo per l’anno che finisce e per quello che si inizierà l’indomani e che tutti si augurano sia fausto e felice.
Le persone amiche, incontrandosi per via, si scambiano gli auguri di buona fine e ottimo principio d’anno e presso le famiglie si ripetono gli stessi giochi della notte di Natale.
L’alba del primo gennaio viene salutata dal suono del tamburo di un musicante che va di casa in casa a dare gli auguri rituali ed in cambio riceve delle mance.
Ed eccoci giunti all’ultima festa del ciclo natalizio: l’Epifania.
E’ questa, si può dire, la festa dei bimbi, i quali l’attendono con molta ansia. Per essi la Befana è una vecchia che la notte del 5 gennaio va in tutte le case a portare dolci e giocattoli ai bimbi buoni e cenere e carbone ai cattivi e perciò, prima di andare a letto, appendono ad esso le loro calze, nella speranza di trovarle al mattino seguente piene di tante belle cose.
All’Epifania si disfano i presepi e nelle chiese si fa la funzione per togliere il Bambino dal presepio. Con ciò si chiude il ciclo delle feste natalizie. Come si sa: “A Bifania tutti li festi porta via”.
NOTE
1 Usa la sciabica, specie di rete. I pargheliesi sono ottimi pescatori e marinai.
2 Bella.
3 E’.
4 Non haiu = non ho.
5 Vaju = vado.
6 Antica porta che sorgeva a levante di Tropea.
7 Dorsa, La tradizione greco-latina negli usi e nelle credenze popolari della Calabria citeriore, II ed. Cosenza, 1884.
8 In Sicilia e in terra d’Otranto i Catamisi vengono detti Calénnule, dal greco kaléin = chiamare, perché in detti giorni il pontefice chiamava il popolo per annunciargli le feste. La regola che tengono in quelle regioni è diversa da quella di Tropea. Infatti i primi dodici giorni (dal 13 al 24 dicembre) predicono il tempo del nuovo anno, mentre costituiscono la controprova le osservazioni di altri dodici giorni, dopo il 24 del detto mese. I contadini in Romagna chiamano calendario e nel veneto endegari i primi giorni di gennaio, in cui si hanno le stesse osservazioni. Vedi Enciclopedia Italiana, voce Calendario).
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