Ricordo di
Umberto Giancani
All'amico Umberto Giancani
di Franco Migliaccio
E’ difficile parlare di un amico che ci ha lasciati. Sono oramai passati tantissimi anni da quando Umberto se n’è andato ma il ricordo che ho di lui è sempre vivo, anzi, è più vivo che mai.
Non c’è giorno in cui io non abbia modo di ripensare ai brani di esistenza vissuti insieme e ai comuni interessi che ci legavano, fra i quali la musica e la pittura. La prima è stata segnata dalla bellissima esperienza di un gruppo musicale da noi fondato a Tropea, ancora ragazzi; la seconda è quella che, paradossalmente, ci ha fisicamente (ma temporaneamente) divisi. Io sarei partito per Milano per frequentare l’Accademia di Belle Arti di Brera, lui avrebbe raggiunto egualmente la terra di Lombardia pressato dalle urgenze della vita.
L’essere costretto a lavorare ha inibito ad Umberto la possibilità di dedicarsi completamente alla pittura, la quale è rimasta però una sua grande passione anche se coltivata frammentariamente e a livello amatoriale.
L’essere costretto a lavorare ha significato pure per Umberto lasciare la sua terra alla quale era struggentemente legato; questo suo amore è testimoniato dai suoi quadri dove essa protagonista assoluta come oggetto prevalente di rappresentazione. E così della sua terra ci ha regalato numerose immagini, le quali non si limitano a descrivere dettagliatamente il soggetto ma sono sottoposte a vaghe trasfigurazioni e ad individuali interpretazioni. Scene agricole, scorci di piccoli paesi, panoramici sguardi sull’adorata Tropea sino all’immancabile “Isola”, simbolo turistico della città.
Di tali soggetti, trattati sempre con ragionato amore se non con raffinata tecnica, Umberto tendeva a restituire l’essenza più che la mera descrizione rappresentativa, la sostanza dei significati più che la pedante resa oggettiva.
La sua pittura, un po’ terrosa e malinconica, restituiva bene l’abbacinante luce solare del Mezzogiorno nonché gli usi e costumi di un territorio sottoposto a rapidissime trasformazioni, dovute soprattutto al nascente turismo di massa, di cui l’artista cercava di perpetuarne il ricordo.
I colori di Umberto non erano mai squillanti ma inclinavano alla cupezza; erano colori che ignoravano il nitore e privilegiavano altresì non lo scarto emozionale ma l’invito alla pacatezza e alla riflessione: esprimevano insomma il suo carattere. Il mio amico era un buono, un mite; il suo carattere era votato alla gaiezza ma tradiva sempre un sottofondo di malinconia. Proprio come la sua pittura che, pur con la spensieratezza e la serenità dei soggetti trattati, s’aggrappavano ad un sottofondo amaro che, forse, era il riflesso diretto della sua preoccupata sensibilità d’uomo e d’artista.
La pittura fu compagna fedele della sua vita, una compagna amata ma alla quale non poteva prestare tutta l’attenzione necessaria. Quando, divorato dalla malattia, veniva a trovarmi in studio, se ne stava in silenzio, pago di vedermi dipingere poiché così facendo, ripeteva spesso, aveva una grande occasione di imparare.
L’arte gli fu compagna anche in questa difficile fase della sua esistenza che volgeva al termine. Il tramonto della sua vita fu rapido ma, proprio come i tramonti estivi di Tropea, denso di una luce abbagliante emanata dal coraggio e dalla volontà di lottare per vivere. Poi venne la fiera rassegnazione.
Mi piace pensare che l’arte possa aver contribuito a dargli un pò della forza e della serenità che ha così ampiamente dimostrato sino alla fine. L’arte è impregnata di valori che vanno oltre il contingente e si spingono oltre il breve ed effimero tempo della nostra vita.
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