Dipinto del Cardinale Vincenzo Lauro conservato nella Casa Madre dei Camilliani a Roma
Il Cardinale del Mondovì
[Continua da "Il tutore di Carlo Emanuele (1580 - 1585) - La nomina a Cardinale"]
di Antonio Francesco Parisi
L’anno dopo prosegue la sua opera epurativa denunziando a Carlo Emanuele il governatore di Val d’Angrogna. In analogia coi casi precedenti non mi pare che il Lauro fosse personalmente sicuro della reità dell’accusato: è tenuto vero cattivo, scrive quindi sono gli altri che lo giudicano tale; ma in quei tempi ed in quel campo non sembra che tale distinzione avesse molto valore. E’ singolare la posizione di codesto governatore che gli scrittori valdesi presentano invece come uno spietato strumento della reazione cattolica, anche se talvolta facente il doppio gioco. Per il Jalla, solo negli ultimi tempi il terribile Castrocaro avrebbe mitigato i suoi furori antivaldesi; e ciò avrebbe fatto nella vana speranza di farsi il maggior numero di amici, e controbilanciare il diminuire del favore ducale. Per questo motivo egli si sarebbe circondato di amici e parenti, tutti atti alle armi, e di 24 grossi cani allenati alla lotta contro gli uomini. Anche sulla natura delle accuse vi è indecisione. Per gli scrittori protestanti queste ebbero origine dall’invidia che nutrivano i suoi antagonisti, i conti di Luserna, gelosi del suo vasto potere. Essi avrebbero persuaso Carlo Emanuele a considerarlo un elemento politicamente poco sicuro e l’avrebbero indotto a sostituirlo. Accuse quindi di slealtà verso il sovrano piuttosto che di eresia (38).
Può darsi che col Nunzio, i Luserna opportunamente avessero variato la coloritura delle accuse e avessero posto l’accento sulle amicizie e sulla protezione che il Castrocaro soleva accordare ad alcuni valdesi. Il Castrocaro Governatore della Vale d’Angrogna – così scrive il Nostro in data 9 febbraio 1581 – il quale è tenuto vero cattivo et empio, e quello che con arte e simulazione mantiene la divisione et heresia ne la detta Valle, et ne le altre insieme (39).
Non fu facile a Carlo Emanuele mettere le mani su questo suo ufficiale, il quale, subodorando l’arresto, con abili scuse faceva di tutto per evitare di doversi presentare al Duca. Tuttavia all’albeggiare del 13 giugno 1582, il Castrocaro fu colto di sorpresa nel castello in cui s’era rifugiato, ed abbandonato da tutti i suoi armati fu fatto prigioniero, col figlio Andrea, dal suo antagonista, Conte di Luserna. Il fatto stesso che in seguito all’arresto Torre Pellice, S. Giovanni e Angrogna stavano per ribellarsi ci fa però pensare che il Castrocaro avesse già larghe aderenze fra i valdesi e ciò nonostante «les nuits d’orgie» e «tous le excès contre le propriétés et le personnes» dei quali – a quanto scrive il Jalla – erano protagonisti lui ed i suoi fedeli. Per contro v’è anche da registrare che nel marzo 1583 al posto dell’incarcerato venne nominato Governatore di Angrogna Emanuele Filippo di Luserna, «signore molto cattolico et di auttorità» – a detta del Lauro – e protettore dei PP. Gesuiti (40).
La qual cosa mi pare sia un indizio non trascurabile riguardo la fonte delle notizie relative al Castrocaro.
Sotto i Luserna le relazioni fra le missioni e la popolazione Valdese subirono un irrigidimento. Le cause furono plurime. Ma una delle più gravi fu la fuga di un catecumeno, che venne interpretata in opposta maniera dai cattolici e dai valdesi. Durante una missione dei gesuiti in quelle Valli, i Padri riuscirono a convincere il giovanissimo figlio di un Pastore a seguirli a Torino e farsi battezzare cattolico. I genitori erano affranti e furibondi; sia per la fuga in sé, sia perché il ragazzo s’era lasciato sedurre da una fede che essi rigettavano e forse anche da illusorie speranze inculcategli dai PP. Gesuiti. In ogni modo dichiararono che il fanciullo era stato rapito e con la violenza costretto a seguire i Gesuiti a Torino. Ma il Duca non dette loro ascolto ed il Lauro si dovette interessare affinché il ragazzo fosse ricevuto nel seminario di Torino ed ivi allevato ed istruito (41).
Per mantener le «Missioni» il Lauro usufruiva di un contributo Pontificio, generalmente ricavato da decime e beni ecclesiastici in Piemonte. Ciò spiega il suo atteggiamento prudente, ma fermo, riguardo le salvaguardia di codesti diritti e beni, che il Duca, e più ancora i suoi subalterni non si trattenevano dal conculcare; talvolta però attinse generosamente anche alle sue tasche e ci rimise notevoli somme (42).
Vincenzo Lauro però pensava anche a qualche altro provvedimento oltre alle Missioni; prendere l’offensiva contro i valdesi o apprestare la difesa dalle dottrine protestanti senza assicurarsi della intera rispondenza dell’apparato interno del quale in effetti sapeva molto poco, gli pareva un non senso. S’era ormai reso conto che per operare in forma sistematica per conoscere tutti i bisogni e lo stato delle singole parrocchie, era inderogabile bisogno effettuare una visita apostolica. D'altronde era da escludere che avrebbe potuto provvedervi lui stesso, occupato con le mille faccende inerenti alla sua carica (43).
Per di più bisognava superare due ostacoli: la riluttanza del Duca e quella dell’Arcivescovo, entrambi poco propensi a questo nuovo genere di censimento e ispezione. Come al solito cercò di premere su l’uno e sull’altro senza manifestarsi ed agendo tramite il card. Borromeo. Ma non pare che abbia conseguito alcun risultato apprezzabile. Il Duca, almeno in un primo tempo, e l’arcivescovo restarono sulle loro idee. Il ricorso al cardinale servì tuttavia al Nunzio per avere l’indicazione di un vescovo fornito di tutti i requisiti per riuscire accettabile al principe, il vescovo di Novara. Ma restando sempre all’erta, riuscì a cogliere il momento opportuno per far breccia nell’animo del Duca, che era rimasto oltremodo irritato coll’arcivescovo per un certo disguido avvenuto nella chiesa cattedrale. Il 31 maggio 1582 poteva avvertire Roma ch’era possibile dare inizio alla visita coll’assenso del principe e consigliava di farla cominciare dalla sua diocesi sperando di rendere nel frattempo, col proprio esempio d’umiltà, più arrendevole l’arcivescovo (44)
Nondimeno, come il visitatore Scarampi arrivò a Torino, il Lauro lo fece presentare al presule torinese onde evitare che questi potesse irritarsi dal fatto che la chiesa di Mondovì era stata anteposta a quella di Torino. Ma l’arcivescovo fu ugualmente poco grato del pensiero, ed al Lauro non rimase che consigliare Mons. Scarampi a visitare per prima la diocesi monregalese. Questa visita apostolica si concluse nei primi mesi del 1583 con un’ottima relazione dello Scarampi sullo stato della diocesi. Il Papa ne prese atto ed il Lauro si ebbe una lettera di lode dal card. Gallio (45). Forse anche questa lodevole attestazione, aggiunta ai suoi grandi meriti, ebbe il suo peso nell’altissimo riconoscimento poco più tardi conferitogli dal Papa colla nomina a Cardinale.
Un «avviso» di Roma del 14 dicembre 1583 ci ragguaglia sulla maniera come avvenne la promozione: come è noto Gregorio XIII non sopportava intromissioni di nessuno in quelli che erano suoi diritti ed ormai si disperava che per quell’anno e per tutto il 1584 egli avesse intenzione di nominare nuovi porporati; invece all’improvviso, senza neanche seguire «l’ordine consueto», alla fine di un concistoro tenuto il 13 dicembre egli cavò di tasca una lista e lesse i nomi dei 19 nuovi candidati, fra i quali figuravano Giovanni Antonio Facchinetti, Gian Battista Castagna, il Lauro, Matteo Contarelli, Simone Tavaglia, ecc. I cardinali presenti rimasero irritati e stupiti per non esserne stati avvisati prima ed avere la possibilità di esprimere la loro opinione, ma Gregorio XIII li calmò con qualche promessa e confermò la sua decisione (46).
La notizia della promozione giunse al Lauro da più parti ed anche indirettamente tramite Carlo Emanuele. Al Duca ne scrissero i suoi incaricati, il neo-cardinale Scipione Lancellotto per debito della servitù… con V. Altezza; il card. Filippo Guastavillani: Mandando N. Signore la beretta al Sig. Card.le del Mondovì non ho voluto mancare di fare, con questa mia, riverenza a V. A. e partecipare seco ancora l’infinito contento che ho sentito per la promozione al Cardinalato del detto Mons. Ill.mo, sapendo certo che per l’affettione che V. Alt. gli porta n’haverà sentito anch’ella grandissima consolazione; e il Papa stesso. Carlo Emanuele immediatamente vergò una lettera di congratulazioni e la mandò al neo-porporato con il ministro Giambattista di Savoia (47).
Intanto la visita apostolica subiva un inaspettato intoppo. Dopo una grave malattia il 25 gennaio 1584, moriva Mons. Scarampi, e Lauro ebbe il suo daffare nel sollecitare la nomina di un nuovo visitatore apostolico (48).
La S. Sede vi provvide alcuni mesi più tardi nella persona di Mons. Angelo Peruzzi, vescovo di Sarsina, che giunse a Torino verso la fine di Luglio. Ecco il Lauro come ne dà l’annuncio: Gionse qui li giorni a dietro il Vescovo di Sarsina, Visitatore Apostolico, il quale nel suo officio risponde pienamente a la commendatione che Mons. Ill.mo Card. Di Como per parte di N. Signore me ne fece cò l’articolo d’una lettera sua, del quale già ne mandai copia del Mondovì al Alt.za V. onde spero che Ella haverà cagione di restarne interamente soddisfatta circa quello che tocca la riformazione del clero et la salute de i popoli (49).
In quello stesso anno un grave lutto colpiva la Chiesa: quello del card. Carlo Borromeo, che si spense il 3 novembre 1584. Il card. Lauro ne fu particolarmente addolorato. La loro amicizia e le loro relazioni si erano particolarmente intensificate durante questa seconda Nunziatura torinese, si erano più volte incontrati e l’ultima volta appena poche settimane prima del triste evento. Il Borromeo era stato chiamato a Novara al capezzale d’un moribondo: il vescovo mons. Francesco Bossi. Vi giunse che era già morto, ed allora, dopo i funerali, decise di proseguire per la vicina Vercelli, dove aveva da comporre, per incarico del Papa una lite che divideva quel capitolo (50).
Lauro gli andò incontro, e per ossequiarlo e perché latore di un messaggio del Duca che voleva rinnovare al Borromeo la sua costante devozione e invitarlo a voler benedire le sue prossime nozze. Ecco il resoconto del Lauro al Duca: Non ho mancato hoggi nel mio arrivo in questa città far l’officio impostomi da l’Alt.za V. con Mons.re Ill.mo Car.le di S.ta Prassede, havendoli non solo dimostrato la vera osservanza, che V. A. li porta più che mai, ma ancora il desiderio di lei di venire qua a visitarlo, et in questa conclusione del matrimonio ricever compito contento con la presenza della Sig.ria Ill.ma. E’ stato il sodetto officio caro oltra modo al prefato S.or Ill.mo… [il quale] intendendo hora, che simile officio [cioè una visita del Borromeo] non saria discaro all’Alt.za V. è risoluto partire di qua giovedì alla volta di Turino… (51).
Ma evidentemente il Duca non era pronto a ricevere tre giorni dopo il Borromeo e perciò lo pregava di ritardare il viaggio fino a sabato. Ecco infatti una seconda lettera del Nunzio: Serenissimo Signore, io havrei volentieri, come scrissi a V. Alt.za con l’altra mia, accompagnato et servito Mons.re Ill.mo Card.le di S.ta Prassede nel viaggio di Turino, in caso che il sodetto Signore si fosse partito domattina, ma poiché è piaciuto a V. Alt.za, per la sua de li 25, ordinarmi che il viaggio si sopraseda insino a sabato, ho giudicato spediente avviarmi domani alla volta di costà con risoluzione, che esso Mons. Ill.mo Card.le si trattenghii quà (dove per un Breve di N. Signore deve accomodare alcune differenze importanti in questo Capitolo), sino a tanto che, quando io sarò con l’aiuto Divino presso V. Altezza il venerdì prossimo, ella degne prescrivermi il giorno, che giudicherà più comodo per la dipartenza del prefato Signor Ill.mo… (52).
Né l’uno né l’altro dei porporati pensavano che quello torinese potesse diventare il loro ultimo incontro. Ed invece la morte era in agguato. Il Botero che era a conoscenza della reciproca stima ed amicizia, qualche mese dopo indirizzava a Vincenzo Lauro, in segno di durevole ricordo, il discorso sopra i compimenti fatti dall’Ill.mo Card. Borromeo (53).
Dopo questo doloroso avvenimento vedremo ancora due volte il Duca ed il Nunzio assieme a cerimonie pubbliche, che tanto piacevano al Lauro perché le considerava edificanti per la fede. La prima volta in occasione del trasloco provvisorio delle reliquie dei Martiri Thebei, il che si fece – scrive un testimone oculare – nel giorno ventesim terzo di Decembre, con bellissimo apparato e di razzie [arazzi], d’eleganti componimenti sopra essi attaccati in lode di questi santi; sostentando la vaghissima urna delle ossa loro non pure l’arcivescovo solamente ma insieme a lui i due illustrissimi cardinale Guido Ferrero Cardinale di Vercelli, e Vincenzo Lauro Cardinale del Mondovì, reggendo l’ombrella sotto cui si portava l’arca, il Duca per un bastone, per l’altro l’ambasciatore di Venetia e per gli altri dui rimanenti due dei principali signori di quella corte, il Marchese da Este, e Monsignore di Racconigi, tutti con molta devotione e vivo esempio di Christiana religione (54).
E la seconda volta il 19 gennaio 1585 in occasione della prima «mostra pubblica» del nuovo ordine cavalleresco dei SS. Maurizio e Lazzaro (55).
Ma oramai anche questa seconda Nunziatura volgeva al termine. Col matrimonio il Duca appariva ancorato al suocero Filippo II e Lauro, che per primo si era battuto per questa soluzione, vedeva conclusa felicemente la sua funzione; da un po’ di tempo anche i cortigiani invidiosi avevan cessato di appellarlo con l’equivoca denominazione di «tutore». Il Duca si apprestava al viaggio in Spagna ed egli volgeva la mente alla sua chiesa di Mondovì, ove si reca nel marzo successivo (1585), e soprattutto a Roma, verso lo splendore mistico della Curia cattolica.
Prima di chiudere questo capitolo è doveroso ricordare un suo provvedimento di importanza grandiosa ed allora di grande risonanza, che allineò il ducato cogli stati più civili nell’uso del Calendario Gregoriano. Anche perché membro della apposita Congregazione Pontificia, egli era, naturalmente un entusiasta assertore della riforma gregoriana; ma, come si rileva dal documento parzialmente pubblicato da Grosso e Mellano, ebbe a vincere una certa resistenza prima di poter cantar vittoria. E questa finalmente giunsè a metà d’agosto 1582, come attesta un rarissimo, e quindi prezioso manifesto non noto ai due succitati scrittori, col quale il Rappresentante del Papa estendeva agli stati del Ducato di Savoia la riforma del Calendario. Tale manifesto, contenente il bando emanato dal Nunzio di data 15 agosto, venne pubblicato in Torino dal tipografo Giov. Battista Ratteri, al quale il Lauro aveva concesso l’esclusiva del Calendario (56).
NOTE
(38) Giov. (Jean) JALLA – Les Vallées Vaudoises sous le gouvernement de Castrocaro: 1565-1582. Torre Pellice, Soc. Hist. Vaud., 1915, pgg. 5 sgg.
(39) Arch. S. Vat., N. Sav., XII, 408.
(40) GROSSO-MELLANO, Op. Cit., 221.
(41) Lauro da Roma, marzo 1583: Arch. S. Vat., N. Sav., XIII, 64 ss.; GROSSO-MELLANO, 221, scrivono che la fuga fu spontanea; gli scrittori valdesi invece insistono sulla violenza. Cfr. G. JALLA – La Riforma in Piemonte durante il regno di C. Em. I. (cit. pg. 5 e ss.) ed in Les Vallées Vaudoises sous le règne del Charles Emanuel I. Torre Pellice, 1916, pg. 4 e ss.
(42) GROSSO-MELLANO, Op. cit., 209 e 220.
(43) Arch. S. Vat., N. Sav., XII, 435 (Lauro al Gallio il 6 apr. 1582); - Da quanto il L. si attendeva da questa Visita Apostolica e dal modo di condurre la sua lotta contro i Riformati, è chiaro che anche lui continua ad aver fiducia, come la maggior parte dei riformatori cattolici del suo tempo, nella virtù educativa dell’ordine fatto di cose e di atti visibili (e tanto bene messo in evidenza da G. TABACCO nel B.S.B.S. LVI, 1958, pgg. 191-198); ma è pure evidente la sua fede negli uomini e nel loro desiderio di migliorare e di apprendere. Forse gli sfugge l’intimo motivo che rendeva tanto ostinati i Valdesi ed i Protestanti, ma vi è nondimeno una certa riluttanza e sfiducia nel piegarli col semplice metodo della semplice coercizione.
(44) Arch. S. Vat., N. Sav. XII, 453.
(45) Id. Id., v. X., 214 (Gallio a Lauro il 14 marzo 1583).
(46) Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. Urb. 1051, PASTOR, Storia dei Papi, cit. vol. IX, Roma 1925, pp. 166-168.
(47) A. S. T., Lett. Cardinali, Mazzo 5: Le lettere Lancellotto e Guastavillani entrambe in data. Roma XV decembre 1583, A. S. T., vesc. Mondovì, Mazzo ultimo d’addiz.; anche il Breve di notificazione indirizzato al Duca da Gregorio XIII porta la data 15 dicembre: A. S. T., vesc. Mondovì, mazzo II. Gregorius pp. XIII. Dilecte fili nobilis vir, Salutem et apostolicam benedictionem… Deligimus nonnullos, quorum prudentiam, fidem, synceritatem perspectam habebamus, fecimusque eos Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinales ad Dei gloriam, eiusque Ecclesiae ornamentum atque utilitatem. In his magnam rationem habuimus venerabilis fratriis Vincentij Montis Regalis episcopi, nostri apud nobilitatem tuam Nuncij. Voluimus hoc significare nobilitati tuae per has litteras.. Datum Romae… XXV Decembris MD. LXXXIII.
(48) Lo Scarampi morì povero ed il Lauro, unitamente al Borromeo, agì in favore dei familiari. GROSSO-MELLANO, 219-220.
(49) A.S.T., Lett. Card., Mazzo 5: Lauro a Carlo Em. Il 10 agosto 1584. GROSSO-MELLANO precisano che il Peruzzi giunse il 21 luglio.
(50) Notiamo qui, di passaggio, come questo insignificante episodio della vita di quel Santo sia stato gonfiato da alcuni poco veritieri agiografi, che arrivarono a scrivere di Vercelli come sull’orlo di una guerra civile fra i canonici della Cattedrale ed i nobili, e parlano di massa ribollente di assassini e di vendette. Vedi: Margherita YEO. – S. Carlo Borromeo, Milano, Garzanti, 1940, p.314.
(51) Biblioteca Civica di Torino, Autografi; Lauro a C. Eman., da Vercelli il 24 sett. 1584.
(52) Id. Id., Lauro al Duca, da Vercelli a li 27 di settembre 1584. Sul ricevimento ducale vedi: G. Pietro GIUSSANO. – Vita di S. Carlo Borromeo. Brescia, 1611, pg 322. Lo stesso scrive, a torto, che il Lauro ed il Borromeo fecero insieme il viaggio fino a Torino.
(53) Di questo se ne hanno diverse e rare edizioni.
(54) Guglielmo BALDESANO di Carmagnola – La sacra Historia Thebea. Torino, ed. del Bevilacqua, 1589, pg. 324.
(55) Id. Id., pg 308.
(56) E’ conservato nella Biblioteca ex Reale di Torino, in miscellanea.
VINCENZO
LAURO di Antonio Francesco Parisi |
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