Scipione Vannutelli. Maria Stuarda si avvia al patibolo. Galleria d'Arte di Modena (1861)
Lauro Nunzio in Scozia
di Antonio Francesco Parisi
Il 27 dicembre 1555 la tredicenne regina Maria Stuard rivolgendosi al papa Paolo IV, così descriveva l’infelice situazione del suo Stato «Il nostro regno è stato turbato, molestato ed afflitto dalle guerre. A causa di esse e della reggenza durante la nostra minorità, esso è ora grandemente impoverito e bisognevole di molte cose indispensabili alla sicurezza di un tale stato ed al suo ristabilimento. Ma ben difficilmente Noi saremo in condizioni di rimediare ad una sì triste situazione, provvedere alle gravose spese per le fortificazioni ed alla ricostruzione di parecchie città del nostro regno incendiate dai nostri nemici, senza l’aiuto dei nostri buoni e leali sudditi, compresi quelli del clero, i quali possiedono e dispongono la più grande ed indenne parte delle ricchezze del regno… E vi preghiamo di voler ascoltare dal Cardinale di Sermoneta… parecchie altre memorie e richieste concernenti il regolamento e la riforma del detto nostro clero. » (1)
Quanto la regina riferiva al Pontefice non soltanto trovava conferma in una minuziosa relazione del cardinale Nicola Gaetano detto di Sermoneta, ma anche esposto con l’aggiunta di particolari gravi e penosi. Se la regina, per ciò che riguarda il clero, si era limitata ad accennare alle grandi ricchezze ed a domandare una riforma, il cardinale ci fa conoscere anche le conseguenze di quelle enormi ricchezze in mano a poche persone ed espone pure tutti gli altri motivi che rendono necessarie le riforme. Egli parla della rilassatezza dei costumi, della libera morale dei frati, dell’avarizia e degli intrighi dei prelati, dello stato di abbandono delle chiese. (2) «Le monache – aggiunge – ricevono nei monasteri individui ignobili e scellerati coi quali vivono incestuosamente, crescono figli e, coi beni dei monasteri, sposano le figlie; parecchi prelati commerciano, per proprio lucro, i beni dei monasteri e delle Chiese, gareggiano coi laici per ottenere cariche ed incarichi civili, con scandalo di tutti, e procurando l’odio particolare di quei laici che si vedono esclusi o danneggiati». (3)
Vi erano, quindi, la maggior parte dei motivi che altrove avevano prodotto la riforma protestante: e per di più Roma era molto lontana. Non è, quindi, da stupirsi se anche in Scozia giunsero ed attecchirono le idee riformistiche centro-europee proprio mentre da parte della chiesa cattolica si cominciava a mettere in atto tutti quei provvedimenti che valsero altrove a limitare grandemente, o ridurre, l’espansione protestante.
In Scozia quelle idee, invece, tanto si svilupparono o, meglio, tanto intensamente furono sostenute, che appena 7 anni più tardi, per poter raggiungere la regina, che lo aveva richiesto, un inviato pontificio dovette star nascosto per sei settimane, braccato a morte, e viaggiare travestito. (4)
Questo stesso, inviato, pur nutrendo sempre la speranza di qualche miglioramento (bone spes est hoc Regnum iuvari ac liberari posse ab heretica servitute) e nonostante le buone disposizioni della regina e della maggior parte della popolazione, deve tuttavia riconoscere che le cose della religione cattolica volgono al peggio. Osserva che il timore paralizza i fedeli a tal punto che gli stessi vescovi rinunziano a riceverlo, mentre, invece, i riformati sanno essere molto attivi: Adversarii non ita multi et potentes, sed confidentes in brachio Anglorum, qui saepe illuc suos legatos mittunt et animos Scotorum sibi devincire student (5) E già: l’Inghilterra era molto più vicina di Roma!
La corte pontificia perciò ha chiara la visione di come stanno le cose in quel lontano territorio; il Card. Borromeo in quei giorni scrive: … Siamo ultimamente avvisati che quei governatori essendo tutti infettati d’heresie, fanno ogn’opera per depravar l’animo de la Regina, come hanno già fatto quasi di tutto il regno… (6). Ma la Santa Sede, pressata dalla necessità di provvedere a più gravi minacce in regioni strategicamente più importanti, non è in condizioni di fronteggiare adeguatamente il pericolo calvinista in quell’estrema parte d’Europa ed è costretta a temporeggiare nella speranza che la situazione non diventi irreparabile, e che, Maria Stuard possa arginare da sola quel pericolo. E’ una speranza infondata, sorta dal sentimento, non dal raziocinio. Un errore piuttosto grave per una diplomazia così sperimentata quale quella pontificia.
La giovane regina, da un anno appena tornata nel paterno regno vedova di Francesco II, non è affatto all’altezza del compito. Giovane ed inesperta, non obbedita dai nobili e priva di validi consiglieri e di aiuti, viene presto a trovarsi in gravi difficoltà. Commette molti gravi errori, e tra questi uno dei peggiori è il suo secondo matrimonio. Da Roma si era cercato di far il possibile per darla in moglie ad un principe cattolico che fosse ben visto anche in Inghilterra; ed era stata molto sostenuta la candidatura dell’arciduca Carlo d’Austria. Ella, invece, sotto l’infausto influsso dei suoi cortigiani ed in particolare dell’ambizioso Lethington, si era gettata nelle braccia del cugino lord Darnley, suscitando gelosie nei cortigiani ed aggravando la sua posizione. Pure questo nobile, in verità, era stato segnalato come un possibile, per quanto improbabilissimo candidato; ma solo nel febbraio del 1565 era stato introdotto alla presenza di Maria, nella quale, da principio, non aveva destato alcun particolare interessamento. In aprile però la candidatura era considerata probabile anche dai protestanti, allarmati pel fatto che il Darnley era cattolico; in maggio almeno il fidanzamento era cosa fatta, tanto che da una «relazione» essi appaiono già sposati cattolicamente da un cappellano in camera di David (Riccio). (7)
Si trattava di una notizia sostanzialmente non vera sebbene non del tutto infondata. Infatti tre mesi dopo, il 29 luglio, Maria sposò il Darnley. Affrettato ed infausto matrimonio non favorito dalla parte cattolica ed osteggiato dalla parte protestante. Elisabetta d’Inghilterra aveva fatto di tutto per impedirlo: allettanti proposte e minacce non meno gravi; i cattolici avrebbero sperato un altro e più rappresentativo consorte, ma la regina Maria non attese neanche la dispensa del Papa.
La sua mitezza, la vanità e la mancanza di forte carattere del marito, gli intrighi dei cortigiani, sono altri motivi di debolezza per quel trono. Purtroppo la regina non sembra rendersene conto ed aggrava la sua posizione proponendo al parlamento l’approvazione di due provvedimenti: permettere ai vescovi e parroci l’esercizio dell’antica religione ed approvare la punizione dei Lords ribelli. (8)
Queste due proposte vengono facilmente travisate dai suoi avversari e presentate come un unico provvedimento filocattolico, allo scopo di sollevare tutti i non cattolici contro la regina e causare un gran fermento in tutto il regno.
E dopo questo, come se già non bastasse, riuscì agli avversari di convincere l’inetto Darnley ad unirsi a loro. Incoraggiati, ancora, dalla Regina Elisabetta, che per ragioni politiche e dinastiche odiava Maria, essi misero il regno sottosopra, ammazzarono, con la complicità di Darnley, il segretario particolare, David Riccio, ed infine imprigionarono la stessa regina. Buon per lei, che a questo punto il Darnley apre gli occhi e si accorge che sta agendo contro i suoi stessi interessi, che l’obiettivo dei ribelli non è certo la sua glorificazione e perciò aiuta Maria a riprendere la libertà ed il sopravvento.
Nel frattempo sul trono pontificio era salito Pio V, il quale, tre soli giorni dopo la sua elezione, volge gli occhi verso la Scozia ed incoraggia la regina a persistere nell’intrapresa via di restaurazione del cattolicesimo. Poi, apprendendo che durante la congiura del marzo ella aveva dovuto sopportare offese e disagi e che nell’affrontarli aveva dimostrato una grandezza d’animo ammirevole, l’esorta a perseverare nella fede cattolica e le promette la sua paterna assistenza, un sussidio in danaro e l’invio di un Nunzio: inoltre le dà assicurazione che interporrà la sua autorità presso i principi cattolici, ed in particolare i re di Spagna e di Francia, affinché anch’essi le prestino la loro doverosa collaborazione. (9) Senza por tempo in mezzo, nello stesso mese di maggio, il Papa destina alla Scozia un sussidio di 20.000 scudi e quale Nunzio per quel lontano paese, sceglie il vescovo di Mondovì, Vincenzo Lauro
Né il Pollen, né gli storici interessati, né i biografi del Lauro hanno tentato o saputo spiegare come mai un compito tanto difficile venisse affidato ad un vescovo che soltanto da pochi mesi aveva ricevuto la nomina. Essi preferiscono, piuttosto, spiegare il perché la missione non fu coronata da successo, mettendo talvolta in evidenza la di lui presunta inesperienza.
In effetti il trentenne Lauro non era uno sconosciuto: egli aveva acquistato una buona pratica diplomatica al servizio di quell’eccellentissimo maestro che era il Cardinale di Tournon, sotto il quale aveva avuto modo di combattere contro la riforma in Francia e di frequentare gli ambienti della corte francese. In particolare al suo merito si attribuiva la conversione del re di Navarra e varie felici iniziative. Egli era stato poi al servizio del Cardinale e Nunzio apostolico Ippolito d’Este, grande amico di Maria Stuard e capo del partito francofilo in Concistorio; ed era in ottimi rapporti col cardinale Carlo di Lorena, zio della regina Maria. Purtroppo nessun documento è pervenuto ad attestarcelo, ma è molto probabile che nei numerosi contatti avuti nel decennio al servizio del Tournon e del card. D’Este, il Lauro avesse conosciuto anche la giovane sposa di Francesco II. Inoltre non è da sottovalutare un’altra circostanza: che cioè il Lauro era un autorevolissimo consigliere del Duca Emanuele Filiberto la cui moglie, Margherita di Francia, era zia di Maria, e che i rapporti tra la zia e la nipote erano tanto cordiali e stretti che quest’ultima ottenne dal Duca Sabaudo l’invio di un rappresentante particolare al battesimo del figlio Giacomo.
A tutto ciò bisogna aggiungere che il Papa aveva la somma fiducia nel Lauro, tanto che gli aveva affidato la successione nel vescovato di Mondovì: ed era certamente al corrente della sua precedente attività. Della sua abilità cortigianesca, dei suoi rapporti con i Guisa. Perciò quand’anche nessuno dei predetti principi e cardinali avesse proposto quella candidatura, egli aveva sufficienti elementi per far cadere sul Lauro la propria scelta. (10)
Quali erano i compiti affidati al Nunzio? Il Pollen pubblica vari documenti dei quali appare come, dalla parte del Papa, si nutrissero delle serie speranze di un completo successo dei cattolici e, sulla scorta di quanto asserisce George Thomson, scrive che al vescovo di Mondovì erano state impartite disposizioni affinché trattasse colla regina sul modo di restaurare il cattolicesimo, sia in Scozia, quanto in Inghilterra. (11)
Ai documenti del Pollen si può contrapporre quanto scriveva, nel dispaccio del 15 giugno 1566, l’ambasciatore imperiale a Roma, Arco, il quale, preannunciando la partenza del Lauro al 17 successivo, assicurava che lo stesso veniva inviato in Scozia più per mostrare che il Papa teneva in qualche conto quella regina, che non per arrecarle un aiuto sostanziale. (12)
In realtà gli aiuti che il Papa forniva non erano affatto sufficienti, ed egli stesso ne era consapevole (13); come pure sapeva che sarebbero state indispensabili altre forme di assistenza ed a tal uopo aveva, inutilmente, fatto pressioni sui re di Francia e di Spagna.
Nondimeno poteva venir tratto un inganno da quanto asserivano alcuni ferventi partigiani di Maria, per i quali l’impresa non era molto difficile; ma è bene ricordare che era al corrente di quanto stava succedendo in Scozia dal marzo in poi, sapeva che la regina era stata in grave pericolo e che, se pur era riuscita a prevalere, il suo potere era tutt’altro che solido, i ribelli non avevano disarmato ed i pericoli non erano affatto cessati. Verso il maggio del 1566 un autorevole scozzese di parte cattolica comunicava all’ambasciatore spagnolo che «li heretici de quel regno [di Scozia] haveranno sempre segretamente aiuto et conforto dalla Inghilterra vicina», (14) e proprio in quei giorni, il 17 giugno 1566, padre Giovanni Polanco scriveva che il Papa era afflitto di non poter concedere a quella regina l’aiuto che desiderava, ed aggiungeva che ella non aveva la forza di difendere la religione cattolica. (15)
D’altra parte nessun miglioramento s’era verificato nel quadriennio intercorso dalla fallita missione di P. Nicola Floris; anzi la situazione si presentava indubbiamente peggiorata, per poter ragionevolmente sperare che il Lauro potesse riappacificare la Scozia ed incoraggiare i cattolici inglesi.
Il compito del Nostro, perciò, non poteva esorbitare da una linea di stretta difesa del cattolicesimo scozzese, di argine contro la dilagante marea evangelica, che avanzava dall’Inghilterra. Del resto il Papa, nella citata lettera alla regina (del 12 maggio 1566) non parla che di difesa del cattolicesimo ed in merito al Nunzio scrive che suo compito sarà di assistere la regina nei suoi lavori e fare per lei ed i suoi «quanto potrà». Lo stesso Lauro, ai reali di Francia, comunica di avere avuto espressa commissione che debba sforzarmi di servire la detta Maestà [di Scozia] e fare ogni opera affine che si restituisca in quel Regno la Santa Religione cattolica per la gloria di Dio et per la Salute di quella Maestà e dei suoi popoli. (16)
Ciò viene sostanzialmente confermato anche dal Tritonio, il quale però, colla solita fantasia, aggiunge che se gli eventi della Scozia volgeranno secondo le aspettative, sarà possibile nutrire qualche speranza di recuperare il regno d’Inghilterra; (17) ove si vede che la stessa restaurazione del cattolicesimo in Scozia viene considerata quale evento ipotetico.
Ufficialmente, la Santa Sede, mostrava di nutrire la massima fiducia nell’autorità della regina. Ma in realtà, come testimonia l’Arco, si era molto scettici.
Si può allora obiettare il perché dell’aiuto. Anche questo è chiaro ove si pensi che la speranza di riprendere le vecchie posizioni non era certamente cessata, e che sembrava giusto e conveniente sovvenzionare la regina Maria, la quale se non aveva autorità, aveva almeno più di molti altri principi cattolici l’ardire di confessare la fede pubblicamente. (18) Infine vi è da notare che lo stesso sussidio veniva concesso in ben 5 rate mensili, in modo da limitare l’eventuale danno finanziario (caso mai venisse meno la fiducia nella regina), e che al Lauro era stato ordinato di non essere molto prodigo. (19)
Il Nunzio iniziò il suo viaggio partendo da Roma, il 17 giugno, (20) e prese la via di Milano per far omaggio al Cardinale Carlo Borromeo; da Milano si portò a Torino e poi a Mondovì per prendere possesso della Diocesi. Giunse a Mondovì il 6 luglio e si fermò circa due settimane, interrompendo però il soggiorno, il 10, per recarsi a Torino e Rivoli, ove venne nuovamente ricevuto dal Duca Emanuele Filiberto. (21)
Il 29 luglio giunge in Lione e prosegue per Parigi, deviando attraverso Chalon per visitare il Cardinale di Lorena: a Parigi giunge il 10 agosto. Qui trova una prima sorpresa da parte della regina Maria: Quella Maestà desidera che io me intratenga qui insino che sarà battezzato il Principe suo figliuolo, non potendo assicurarsi di ricevere il Nuntio di N.S. senza mover qualche tumulto in quel regno. (22)
Dunque la regina, che tanto aveva pregato per ottenere alla sua corte un rappresentante del Papa, ora si mostrava meno ansiosa di averlo presso. Come interpretare ciò? Significava che quando aveva rivolto la preghiera non aveva badato alle conseguenze, oppure che la richiesta era da lei intesa come mezzo per ottenere, con maggiori probabilità, degli aiuti, oppure si era finalmente accorta di non aver sufficiente potere di fare rispettare un suo ospite?
Non mi soffermerò su queste ipotesi, quantunque non possa esimermi dal ricordare quanto il Lauro avesse comunicato al card. Alessandrino «sotto la lettera degli XXI di agosto M.D. LXVI da Parigi, e cioè che Maria Stuarda era stata consigliata dal cardinale di Lorena di fare “instantia” d’havere un Nuntio per dar maggior riputazione alla Regina et per incitare S. S.tà a dare più pronto et maggiore aiuto», ma noterò che anche le giustificazioni fornite dalla regina per spiegare l’invito a sospender il viaggio, erano sufficienti ad aprire gli occhi al Lauro e a far cadere – ove ne fossero state – le soverchie illusioni della Curia Romana. Tanto più che altre notizie non erano migliori: Ma se’l battesimo non si potrà fare nel modo suddetto, a gran pena potrà quella regina ricevere Nunzio, per la molta potenza et numero grande di heretici così della nobiltà come della plebe.
Per uno che era stato mandato almeno nominalmente col compito di conquistare alla religione un regno, la prospettiva di non esservi neppure ammesso doveva apparire del tutto deprimente.
Pian piano il Lauro riesce a veder più chiaramente in tutta la faccenda. Apprende che le difficoltà di Maria sono di molto cresciute e non tanto a causa dell’Inghilterra, che continua sempre ad aiutare i ribelli, ma molto più per la mala intelligenza che essa ha con il re suo marito, il quale essendo giovine ambitioso et poco constante, vorria havere il governo di quel Regno. E nota ancora il Nostro che quel dissidio, già dannoso di per sé, è gravissimo pel fatto che lo stesso re è d’accordo coi ribelli, ed ancorché vada alla Messa, conserva nondimeno stretta amicizia et prattica con gli heretici ribelli, per conservare et accresciere la riputazione et autorità sua; per cui la regina è stata indotta a perdonare ad alcuni ed a mostrare agli heretici confidenza.
E’ qui doveroso osservare che il Lauro non è molto esatto: infatti, nel tempo in cui scrive, Darnley ha da vari mesi abbandonato l’attiva collaborazione coi ribelli, accorgendosi che quel suo comportamento non gli apportava alcun vantaggio, ma che il danno cagionato al prestigio della regina si era risolto anche in pregiudizio suo.
Per tornare alle negoziazioni, l’unica cosa che il Lauro non vedeva negata o dilazionata dalla corte, era la richiesta di danaro fatta tramite il prelato domblanense Crisholm. Per di più gli si chiedeva di darlo subito, e tutto in una volta. Questa pretesa al Nostro non dovette apparire molto innocente se, saggiamente, si trincerò dietro le disposizioni di Roma, secondo le quali doveva pagare la somma in cinque termini, per ciascun mese la quinta parte. Precisò poi che la prima rata sarebbe stata da lui versata al principio di questo settembre, e circa il resto fece sapere che avrebbe scritto per avere lumi (ma in realtà per temporeggiare) al cardinale di Lorena. (23)
Come si vede il suo modo di fare in questo periodo è strettamente conforme alle direttive prudenziali impartitegli. Egli mostra di nutrire scarsa fiducia nella forza della regina e nell’attività del partito cattolico.
Secondo lui la situazione potrà risollevarsi principalmente con un impegnativo intervento della Francia e della Spagna: A queste difficoltà si potria oviare se il re Catolico venisse, come si spera, con grossa forza in Fiandra. Ma non si fa scrupolo di rivelare un altro rimedio, poco ortodosso, suggeritogli dagli scozzesi di Parigi: «O veramente, come giudicano alcuni signori d’importanza, se si eseguisse la giustitia contra sei ribelli, capi et autori del tradimento fatto ultimamente contro la regina, la morte dei quali renderia a fatto la pace et obedientia in quel regno… Ma si dubita che il cardinale di Lorena et la Regina per soverchia compassione non verranno a tale esecuzione; siccome per giudicio d’alcuni grandi si afferma, che si metteria sicuramente la pace et tranquillità in questo regno, con ruina à fatto degli heretici, se qui si facesse una simile esecuzione contra pochi solamente che si potria fare senza molta difficultà». (24)
Il primo di questi due provvedimenti era già stato preso in esame dalla diplomazia pontificia, che aveva fatto i primi approcci con Filippo II, quantunque con scarsi risultati, nonostante la reciproca buona volontà. Il secondo, tenendo presente che lo esprime un Nunzio pontificio e non un comune diplomatico, rappresenta per noi moderni qualcosa d’insolito e conturbante, e preso isolatamente ci darebbe un ritratto del Nostro, quanto mai falso ed irreale: quello di un Lauro sanguinario. Perciò su di esso è necessario soffermarsi. Innanzi tutto, come ha fatto il Pollen, bisogna notare che, nella lista dei sei castigandi, il Nunzio non aveva segnato il nome del capo dei riformisti scozzesi, l’ardente Knox, né quello di altri apostoli calvinisti di rilievo, bensì aveva elencato i capi ribelli, per cui il provvedimento risultava basato su una in discriminazione essenzialmente politica, e, data la consapevolezza, anche giuridica; in secondo luogo l’idea di quel provvedimento, di cui il Nunzio aveva scritto al cardinale Bonelli e che poi aveva patrocinato presso il cardinale Carlo di Lorena e la regina Maria, non era originale, ma era stata formulata e sostenuta in precedenza da «alcuni signori d’importanza», da «alcuni grandi» - ed il Lauro ci tiene a farlo sapere, quasi a scagionarsi da ogni accusa – i quali erano ritenuti competenti delle cose di Scozia ed erano riusciti a convincere il Nunzio della necessarietà di quel castigo; in terzo luogo bisogna tener presenti i tempi ed infine considerare le idee dei suoi grandi collaboratori. Per quanto riguarda i tempi è noto come allora il cattolicesimo era piuttosto sanguinosamente perseguitato in Scozia. Il Pastor documenta tali persecuzioni anche con esempi disgustosi di mortale violenza, perpetrata in danno di quel clero. (25) Politicamente quindi il provvedimento si poteva considerare un opporre forza alla forza, violenza alla violenza; coll’attenuante che era diretto contro persone accertate ribelli e violenti (tali almeno il Lauro era convinto che fossero). Circa l’ambiente del Nunzio anche senza indagare su quei «signori d’importanza» di cui abbiamo detto, è bene prendere in considerazione le idee dei suoi collaboratori. Il segretario Tritonio era ancora un giovanetto e quindi facilmente eccitabile, impressionabile e portato ad abbracciare piuttosto le tesi estremiste. Non credo che allora avesse influenza sul patrono; tuttavia ancora molti anni dopo, quando l’eccitazione del momento non c’era più, lo vediamo mostrarsi convinto della utilità di quel castigo «Si consilijs, quae illi a Vincentio prudentiae fidelitatisque plena dabuntur, usa fuisset tot graues aerumnas, in quas misere insidit, evitare procul dubio potuisse» (26).
Altre persone in stretto contatto col Nunzio erano i gesuiti Hay e Manara, l’arcivescovo Beaton, il vescovo Crisholm. Tutti costoro erano non solo convinti delle enormi difficoltà da affrontare, ma, specie i primi due, del tutto persuasi che il viaggio in Scozia in veste ecclesiastica si sarebbe senz’altro risolto in un andare verso il martirio. (27) il loro consiglio era quindi formulato sotto un terribile assillo ed in circostanze che spingevano a provvedimenti radicali. Per ciò è comprensibile come il Lauro si sia potuto associare a quella idea estremista altrui e continuasse a sostenerla (pur attenuandola e riducendo il maggior castigo al conte Lethington) convinto che quel provvedimento, insieme coll’aiuto del Papa, sarebbe stato bastevole a rendere attuabile la restaurazione del cattolicesimo in quella nazione. (28)
Frattanto avuto favorevole parere dal card. di Lorena, ai primi di settembre ordinò a Tommaso del Bene di pagare all’ambasciatore di Scozia, James Beaton, arcivescovo di Glasgow, 4 mila scudi. (29)
A Roma, intanto, i suoi dispacci e le notizie, che certamente si ricevevano da altre fonti, suscitano una notevole inquietudine. Si comincia a nutrire qualche dubbio sul desiderio della regina di accogliere il Nunzio, si dubita che il sussidio papale possa venire impiegato in scopi diversi da quelli per cui il Papa l’aveva concesso. E perciò il cardinale Bonelli avvisa Vincenzo Lauro che, ove l’andata in Scozia fosse ulteriormente differita, il Papa saria di parere che non si continuasse ad attendere l’invito; riguardo le giustificazioni date ai differimenti, obietta: Circa l’andata sua in Scotia, la qual par che dipenda da quella della Maiestà del Re Cattolico in Fiandra et del battesimo di quel principe, N. S. giudica che possino facilmente valersi di queste simili occasioni per differirla quanto più coloratamente potranno (30); e di conseguenza dispone l’immediata sospensione del sussidio, precisando di null’altro dare se giunta ch’ella sarà nell’isola vedrà il denaro già pagato non far frutto alcuno alle cose della religione, ne poter anco sperare che lo possa fare per l’avvenire. (31)
Se non che ai primi di novembre sopravviene per il Nunzio la speranza che forse gli sarebbe possibile veleggiare per la Scozia. Niente di sicuro, invero, ma quanto basta a riaccendere il suo entusiasmo. Lo si assicurava che la regina già aveva dato disposizione affinché potesse presenziare al battesimo. La gioia del Nunzio tuttavia fu del tutto effimera: altre voci gli giungono ad abbassargli il morale: secondo una la regina sta male, è gravemente ammalata e «se ne ha pochissima speranza di guarirla»; secondo altra non è che soffra per malattia, ma son le divergenze, ch’ella continua ad avere col re, che rendono tutto incerto ed insicura ogni sua decisione. Lauro si sente scoraggiato: nella sua mente addolorata comincia a farsi strada la delusione e nel cuore sente il vuoto dell’insuccesso. Forse gli torna al pensiero un viaggio, tanto somigliante ad una fuga, che pochi anni prima egli aveva fatto con un famoso cardinale e Nunzio: un viaggio tanto triste per il cardinale d’Este, afflitto dai mali e dall’insuccesso diplomatico, ed invece tanto lieto per lui che tornava a rivedere la sua terra. Ora le parti sono capovolte: il giovane segretario senza responsabilità è Ruggero Tritonio, mentre il rappresentante di Sua Santità è proprio lui, Vincenzo Lauro, partito con grandi speranze ed ora sull’orlo della sconfitta. E come allora il suo già fastoso patrono, egli in quei giorni anela la meno gravosa sede del suo «bel Mondovì». (32)
Ma l’alternativa della gioia e del dolore, delle speranze trepide, e delle amare delusioni non è finita. A risollevargli il morale e riaccendergli la speranza giunge conferma che le condizioni di salute di Maria Stuart sono in netto miglioramento: ella era stata davvero ammalata! Ciò spiega il ritardo del suo invito. Egli può quindi sperare ancora. (33) E dimostra subito di essersi attaccato alla speranza, forse più di quanto non gli sarebbe lecito. Infatti pochi giorni dopo non dà eccessivo peso ad una diceria tornatagli alle orecchie: che solo il bisogno di danaro aveva spinto la regina ad invitarlo al battesimo. Non si trattava quindi di un gesto spontaneo e forse neanche gradito. Lauro non crede, e neanche crede alla malignità che fossero stati gli stessi consiglieri riformisti a «consigliare» Maria Stuart a formulare l’invito «per valersi del resto di questi denari», l’altra notizia era più consolante: risultava cioè che Maria era ormai pentita ed afflitta di non aver fatto quanto poteva in servizio della religione (34). Pur non tralasciando di dare alla prima notizia, l’importanza che meritava, Lauro intravede gli enormi vantaggi offertigli dallo stato di momentanea depressione della regina e fa quanto gli è possibile per sfruttarlo: il suo programma è semplice e realistico: premere ed aiutare dall’esterno e contemporaneamente agire con decisione anche in Scozia. Nel colloquio dell’ottobre coi reali di Francia egli aveva sollevato il problema degli aiuti a Maria, ottenendo assicurazione che qualcosa si sarebbe fatta. Per la Spagna, pensa che il Papa debba rinnovare le sue istanze a Filippo II. Circa l’azione in Scozia essendo ancora lontano dall’isola ed in attesa di sapere in che qualità sarebbe stato ricevuto, si appiglia agli unici mezzi a sua disposizione: si fa precedere dal vescovo Crisholm e dal gesuita Hay per studiare le intenzioni della regina e la situazione generale; cerca di forzare la mano e persuadere il cardinale di Lorena, affinché scriva alla nipote di liberarsi dei tanti elementi infidi che le stanno dattorno. Per le sue insistenze anche il cardinale finisce coll’aderire all’idea degli emigrati scozzesi e decide di mandare alla regina «un gentiluomo confidentissimo».
Viene spontaneo a questo punto domandarsi perché mai, il Nunzio, ricevuto l’invito non si fosse immediatamente messo in viaggio. Secondo una prima impressione, non sembrerebbe di poter dare differente risposta dalla seguente: la paura aveva inchiodato il Nunzio a Parigi. Ma sarebbe una risposta semplicistica e fallace. Forse il Lauro non era un uomo coraggiosissimo (ma durante la nunziatura polacca mostrò di aver fegato) e probabilmente in quei giorni anch’egli tremò al pensiero dei pericoli da affrontare: il pensiero del martirio del resto passò pure nella mente del vescovo Crisholm e del padre Hay, e questi, essendo scozzesi avevano da temere molto meno di lui. (35): ma non fu la paura a fermarlo, tanto è vero che il Tritonio accenna alla determinazione di avviarsi ad Anversa (36).
Il Lauro si giustifica con due motivi: il sospetto (fondato) che la regina non possa riceverlo convenientemente e la necessità di ottenere prima, tramite l’ambasciatore di Spagna, il necessario salva-condotto attraverso l’Inghilterra. (37) A parte la faccenda del salvo-condotto, la prospettiva di essere ricevuto sotto altro colore che di Religione, giustamente dava da pensare al Nostro. Il Lauro – e del resto a ragione – aveva della sua carica un alto concetto. Sapeva di essere il rappresentante della più alta potestà spirituale in terra, del Vicario di Cristo, e non avrebbe mai permesso che in tale qualità gli si mancasse di riguardo; cresciuto nelle corti, è un uomo di corte, che delle stesse conosce tutti i segreti e sa quale posto gli spetti e di quali prerogative debba godere in nome del Papa. Da Roma egli non è partito come un missionario che in ogni caso può rappresentare anche sé stesso, egli è partito da Nunzio ed in tale qualità, per rispetto ed onore del Papa, vuole sempre esser trattato. E’ pronto perciò ad affrontare i pericoli ed i disagi del viaggio, e non bada alle minacce che pesano sul suo capo: Io mi risolverò poi d’andare per qualunque via potrò, non ostante qualunque pericolo, pure che dal ragguaglio del detto Padre [Edmondo Hay] abbia speranza di poter fare qualche buon servizio per la santa fede cattolica, (38) ma prima vuole giustamente sapere se la sua dignità sarà salva, vuole conoscere il «colore» sotto il quale Maria Stuart intende riceverlo.
Mentre Lauro attende sulla sponda continentale, Maria celebra col battesimo del figlio la sua grande vittoria. Ma è come il canto del cigno della sua fortuna. La malaccorta sua condotta e l’inettitudine del marito Darnley favoriscono nel regno i torbidi ed i tumulti, che culminano nell’uccisione dello stesso Darnley. I dispacci di Lauro dal 22 febbraio al 16 marzo sono drammatici e costituiscono le principali fonti della storia scozzese di quel tempo e dell’avvenimento.
Dopo esser stato anch’egli sfiorato dal sospetto che la regina sia stata complice dell’assassinio, in un secondo tempo spera che, ora almeno, elle possa approfittare delle accuse gravanti sui due principali capi: il conte di Murray e Bothwell, mettere in esecuzione il suo antico progetto e liberarsi di tutti i ribelli; ma quattro giorni dopo, questa speranza cade: Maria non ha saputo far nulla ed il regno è più che mai in disordine. (39)
Ormai ha la visione chiara, inequivocabile, che nulla gli resta da fare; che nulla può fare per il cattolicesimo scozzese. Ed è facile profeta nel prevedere che la Divina Giustizia non ha ancora posto fine al castigo di quella povera natione (40)
Si appresta quindi ad obbedire al rinnovato ordine pontificio di tornare nella sua chiesa di Mondovì. (41)
Tuttavia i preparativi e le notizie lo tengono impegnato per molti altri giorni. Si mette in viaggio da parigi il 16 marzo ed il 20 è a Rheims per ossequiare il card. Lorena, ed a Fontainebleau, il 24 marzo, per congedarsi dai reali. Poi torna a Parigi ove vien raggiunto da un nuovo e perentorio ordine, del card. Bonelli, di tornare in sede. (42)
Parte finalmente da quella città il 10 aprile, lasciando dietro di sé le speranze di una impossibile riconquista e portando seco 16.000 dei 20.000 scudi che il Papa gli aveva affidato. La missione non ha avuto un felice esito, ma il danno almeno è limitato.
Giunge il 21 a Lione dove sosta per visitare i suoi due priorati e «ovviare al male che si fa da un ministro heretico che sta alli confini di essi priorati». (43)
Perviene a Torino l’11 maggio: il giorno dopo lo ricevono i Duchi di Savoia cui dà notizia della sua missione: poi, il 13 forse, parte per Mondovì. (44)
Da qui continuerà sino al 5 agosto a mandar lettere al cardinale Bonelli spendendo qualche parola in favore della regina e facendo presente l’opportunità di mandare in Scozia quale consigliere il gesuita Hay, imperoché essendo esso informato di tutto il negotio et conoscendo gli humori del paese, potria come Scozzese, satisfare alla Regina et persuaderle anco molte cose buone et riferire poi di qua interamente l’animo della Maestà Sua. (45)
Egli in verità ha ricevuto una lettera della regina Maria che, dolente della sua partenza, e piena di rammarico di non averlo potuto avere a consigliere, gli attesta la devozione alla fede cattolica e il desiderio di essere mantenuta nella considerazione del papa. Il Lauro ancora mostra qualche barlume di speranza; non gli è giunta la lettera scrittagli da Edmondo Hay da Parigi, il 5 giugno, con la notizia delle nozze fra Maria Stuard e l’eretico Conte di Bothwell, celebrate ritu haeretico… ab ministro qui loco sacerdotis exequutus est illud officium.
Queste nozze che il suo portavoce qualifica «non matrimonij dignitate, sed indigni facinoris societate coniunctae viderentur» (46), fanno cadere dall’animo del Lauro ogni ultima speranza. Anche le relazioni tra la S. Sede e la Scozia poi vengono troncate. Rimane però nel Lauro tanta simpatia e pietà per quella regina, conosciuta fulgente di bellezza e di felicità nella brillante corte di Parigi, che ora, giovane ed inesperta, si trova alle prese con problemi superiori alle sue forze, tra sudditi che non sanno comprenderla, oppressa da disgrazie e con un oscuro avvenire.
E si deve credere che anche in Maria rimase vivo il ricordo di questo suo «bien bonne amye>> che, se non ebbe costantemente fiducia nelle sue qualità di regina, non dubitò della sua fede di cattolica. Infatti alla morte del cardinale di Sermoneta, ella, che da molti anni si trovava prigioniera di Elisabetta, chiese al Papa Sisto V che il Lauro assumesse la protezione degli interessi scozzesi a Roma. E così il cardinale calabrese, il 30 aprile 1586, venne nominato «Protettore>> di quel regno, mentre la regina stava per porgere il collo alla scure.
Perché la missione del Lauro non raggiunse il suo scopo?
Prima di cercare una risposta a questa domanda mi sembra doveroso rifarsi a quanto abbiamo scritto sulla missione affidata al Nostro, perché è chiaro che se egli fu mandato alla corte di Scozia per mostrare che il Papa prendeva vivo interesse a quanto avveniva colà ed era pronto ad aiutare la regina, questa missione il Lauro la svolse egregiamente, col minore dispendio per la S. Sede. Se invece al Nostro fu davvero affidato il compito di restaurare il cattolicesimo in quel regno – cosa che per qualche tempo il Lauro si illuse di poter fare – non resta che registrarne il completo fallimento. Ma in tale ipotesi c’è anche da domandarsi: poteva egli raggiungere quel fine? Tutta sua la colpa?
Nell’esposizione precedentemente fatta non ho mancato di mettere in luce i vari elementi utili a spiegare il perché gli fu impossibile attuare quel gran compito: la nessuna autorità della regina, la precarissima situazione in cui vivevano i cattolici, l’odio e le persecuzioni cui erano soggetti i religiosi, la vicinanza ed attività antipapale della regina Elisabetta. A questi bisogna aggiungere altri motivi, fra i quali, non secondario, l’insofferenza degli scozzesi verso gli italiani in quel delicato momento della loro storia. Il Pollen, che si sofferma più di ogni altro ad analizzarla, conclude pessimisticamente: Che cosa poteva sperare di fare il Nunzio della Santa Sede in una Corte, presso la quale era stato invitato contemporaneamente agli assassini del Riccio, che era stato ucciso perché supposto emissario del Papa? (47) Evidentemente molto poco. Lo stesso autore critica il Nostro per la sua nessuna esperienza delle cose scozzesi. Ma mi sembra una critica fuor di luogo per non pochi motivi. Innanzi tutto non ci è lecito giudicare a posteriori quanto l’esperienza avrebbe potuto avvantaggiare il Nunzio in un negozio che non gli fu possibile intraprendere. D’altra parte egli aveva consiglieri scozzesi, e proprio questi erano per le misure estremiste, che sono considerate del tutto inattuabili e meno adatte in quelle circostanze. Egli, inoltre, avrebbe avuto soprattutto il compito di influenzare benevolmente la regina e per fare ciò erano necessarie delle doti che pochissimi fra le persone di fiducia del papa avevano.
Certamente sarebbe stato opportuno che la corte pontificia tenesse in maggior conto l’insofferenza degli scozzesi verso gli stranieri. Il Pollen giustamente rimprovera questa manchevolezza, basandosi sui giudizi espressi dal provinciale gesuita Manara e da padre Edmondo Hay. Proprio nel giugno 1566 il Manara scriveva a S. Francesco Borgia: La regina di Scotia à gran bisogno di consiglio et per conseguentia di persone gravi, prudenti et timorose di Dio appresso di se, del Regno piuttosto che forestieri, et massime mandate da quello sieggio che più odiano che Satanasso. Analoghe espressioni si leggono in Hay. Data la qualità dei due, potrebbe sorgere il sospetto che questa fosse un’idea degli ambienti gesuiti, ma essa era la constatazione di una realtà che la Curia romana avrebbe dovuto tenere in maggiore considerazione, tanto più dopo il fallimento della precedente infelice missione Gonda. Realtà che fu con maggiore prontezza capita da Lauro, il quale finì col consigliare l’invio del padre Hay, del quale metteva in rilievo la qualità di scozzese.
Ma era ormai tardi. Era già tardi, forse, anche al tempo della partenza del Lauro. E lo dovette capire anche il Papa, il quale richiamato il Nunzio non si affrettò a sostituirlo.
E perciò sarebbe ingiusto rimproverare al Lauro alcuna manchevolezza o colpa: egli fece quanto era umanamente possibile in quelle circostanze e poté tornarsene colla coscienza tranquilla, sicuro di aver nulla compromesso e di aver sempre degnamente rappresentato il Santo Padre. Certamente triste fu il ritorno a Mondovì, ma di certo non vergognoso. D’altra parte non gli venne meno la stima della corte pontificia e del Papa. Non per niente in quei giorni il cardinale Benelli gli comunicava: Farò breve risposta, non mi occorrendo gran fatto a dirle altro in nome di Nostro Signore che laudar lei della diligenza sua… (48)
NOTE
(1) POLLEN, J. Hungerford. Papal negotiation with Mary queen of Scots auring her reign in Scotland (1561 – 1567), Edinburgh, Scottish History Society, 1901. Pg. 523 segg.
(2) Card. Sermoneta to pope. In: Pollen, cit., pg. 525.
(3) Idem, idem.
(4) «Memoria.. di W. Crichton». In: Pollen, cit., pg 144-146.
(5) Padre De Gouda al P. Gen. Laynez il 2 ottobre e dic. 1562. In Pollen cit., pg. 149-156.
(6) Card. Borromeo al card. di Lorena il 20 dic. 1562. In Pollen cit., pg 156.
(7) Pollen cit., pg LXXV, 2.
(8) LESLIE. In Pastor (von) Ludovico. Storia dei Papi. Vol. VIII. (Vers. Ital.), Roma, 1924, pg. 373.
(9) Pio V alla regina Maria, il 12 maggio 1566. Pollen cit., pg. 263-28
(10) Per la sua precedente attività in Francia vedi i capp. II e III. Nel periodo in cui Lauro era consigliere di Emanuele Filiberto, Pio V era vescovo di Mondovì, città soggetta ai Savoia.
(11) Op. cit. pg. CVIII, 237, 406.
(12) Brani del messaggio, in Pastor, pg. 375.
(13) Pio V alla regina Maria, il 12 maggio 1566; Op. cit..
(14) Pollen, cit. pg. 240. Gli aiuti di Elisabetta erano, del resto, cosa molto nota in tutte le corti Europee.
(15) Polle, cit., pg. 239.
(16) Lauro al card. Alessandrino, il 21 ottobre 1566. Pollen, cit., pg. 292.
(17) Tritonio, Op. cit., pg. 19.
(18) Pio V in Concistoro: 15 maggio 1566. Pollen, cit., pg. 238.
(19) Pollen, cit., pg. 239 m; e doc. 71 pg. 270.
(20) ARCO, in Pastor, cit., pg. 375.
(21) Su tali particolari forniscono ragguagli i documenti dell’Archivio Comunale di Mondovì cfr.: Grassi, op. cit., pgg. 96-125 e la lettera del Lauro scritta il 21 agosto 1566 al card. Alessandrino. Pollen, cit., pg. 266. A proposito di questa lettera è bene spiegare che il Pollen fa durare 10 giorni la sosta del Lauro nella sua Diocesi, mentre il Nunzio nella sua lettera, comunica di essere partito da Rivoli il 25 – e cioè con ritardo sul previsto – a causa della dimora che feci nel Mondovì X giorni di più di quello che haveva disegnato.
(22) Lauro al card. Aless., il 21 agosto, cit.
(23) Idem, idem.
(24) Idem, idem.
(25) Pastor, cit., pg. 374 e segg.; e Tritonio, cit., pg. 28
(26) Tritonio, cit., pg 32.
(27) Lettere dei citati, in Pollen, appendice III.
(28) Tritonio, cit., pg 22-23: Lauro al card. Bonelli, il 12 nov. 1566, in Pollen, pg.311.
(29) Lauro a Bonelli il 9 sett. In Pollen, pg. 279.
(30) Bonelli al Lauro il 30 sett. In Pollen, pg. 286.
(31) Bonelli al Lauro il 16 sett. In Pollen, pg. 284
(32) Lauro a Bonelli 4 nov. In Pollen, pg 305-307.
(33) Lauro a Bonelli il 5 nov. In Pollen, 309.
(34) Lauro a Bonelli il 12 nov. In Pollen, 310.
(35) Guglielmo Crisholm infatti partendo per la sua patria così scrive al card. Morone: Ho voluto mostrar la mia obedientia non di meno che serrà con grandissimo pericolo della mia vita (da Rouen, il 16 nov. 1566, in Pollen, pg. 316); simili anche le idee di Edmondo Hay.
(36) Tritonio, pg. 25 «Jam vero nos Antuerpiam cogitabamus».
(37) Lauro a Bonelli, il 3 dic. 1566, Pollen, pg. 320-21
(38) Lauro a Bonelli, il 3 dic. 1566, Pollen, pg. 320.
(39) Lauro a Bonelli, l’8 e 12 marzo, Pollen, pg. 359-364.
(40) Lettera del 12 marzo cit. Pollen, pg. 362-63.
(41) Bonelli al Lauro il 17 febbraio 1567. Pollen, pg. 347.
(42) Spedito il 17 marzo e ricevuto il 7 aprile 1567. Pollen, pg. 348.
(43) Lauro a Bonelli il 23 aprile. Pollen, pg. 382.
(44) Lauro a Bonelli il 13 maggio da Torino. Pollen, pg. 383-385
(45) Lauro al Bonelli il 18 giugno 1567. Pollen, pg. 386.
(46) Tritonio, pg. 27.
(47) Tritonio, pg. 27.
(47) Op. cit.: Introd. Pg. VIX – 10.
(48) Bonelli al Lauro il 30 luglio 1567. In Pollen, 400.
VINCENZO
LAURO di Antonio Francesco Parisi |
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