L'Arme del Casato della Famiglia CriscentiAGOSTINO CRISCENTI
 

di Petracca Scaglione
(1908)



L'antichissima famiglia patrizia Criscenti, che diede un Vescovo alla sede di Pozzuoli nel 1434 in persona di un Matteo, prima canonico della patria cattedrale, e due sindaci alla città, Gio: Carlo nel 1553 e Francesco nel 1590, si estingueva nella seconda metà del secolo XVII, poco dopo aver brillato un'ultima volta nei suoi due illustri membri: Gio: Carlo, Decano del Capitolo dal 1598 al 1619 (Sess. Capit. Vol. I), ed Agostino, Tesoriere dello stesso consesso, morto a non lunga distanza dal primo. L'elogio che di questi due fratelli tesse P. Sergio nelle seguenti parole, dettate circa un secolo dopo la loro morte, mostra esser ben fondati e meritati la stima e il pregio in cui furon tenuti dai contemporanei: <<Ambo hi fratres erant viri valde illustres et iuris prudentia multum eruditi et quovis alio genere virtutum quod ornare solitum est viros huius generis>>.
Agostino Criscenti, o Crescenzio, come volle cognominarsi per assimilare il suo casato a quello dell'omonima famiglia patrizia di Roma, anch'essa estinta, e di cui non è forse del tutto impropabile fosse stato una diramazione, nacque nella seconda metà del secolo XVI. Laureatosi per tempo in ambo le leggi, lo troviamo già canonico nel 1612, il venticinque novembre del qual anno venne deputato dal Capitolo con altri colleghi << persone che parino atte a questo effecto >> per impedire la vendita di Tropea e << suoi casali >> al Principe di Scilla.
Uomo di grande attività e desideroso di raccogliere notizie storiche sulla sua patria, non trascurò di visitare Napoli e Roma, fatto importante in quei tempi per un provinciale calabrese. Nel 1624 fu magna pars della deputazione eletta dal Vescovo Caracciolo a presiedere le indagini pel rinvenimento delle ossa di S. Domenica, e a lui venne affidato l'ufficio di comporre alcune preci latine per la circostanza. Elevato alla dignità di Tesoriere del Duomo, fu il ventuno gennaio 1626 nominato Vicario Capitolare per la morte del detto Mons. Fabrizio Caracciolo, e, riconfermato in tale ufficio nel marzo dello stesso anno, in quella carica cessava di vivere il venticinque dicembre, (non il ventiquattro come scrive il Capialbi) dell'anno medesimo, secondo rileviamo dal registro dei morti della parrocchia di S. Demetrio, e fu seppellito il giorno appresso, con tutti gli onori dovuti al grado e alla condizione, nella chiesa cattedrale.
Lasciò manoscritta: << Descrizione di Tropea fatta dall'Abate Agostino Crescentio nel 1624 >>, opera irremisibilmente perduta come l'altra, pur manoscritta e più antica ancora del concittadino Lorenzo Dardano, e ciò per la non mai abbastanza deplorata incuria dei monumenti e delle memorie storiche locali, non ancora del tutto sradicata in molti paesi di Calabria, dove i pochi volenterosi di salvare quel che rimane dei secoli andati, vanno incontro a mille svariati ostacoli e spesso sono posposti - per una inqualificabile grettezza d'idee - ai topi e al tabaccaio, in preda a cui vanno a finire tanti libri preziosi e tante carte importanti quando non cascano in mano ai soliti incettatori forestieri d'anticaglie.
Di questo lavoro storico esistevano due copie - manoscritte sempre, per essere sventuratamente rimaste inedite come quello del Dardano - nella ricca biblioteca del fu Conte Vito Capialbi, biblioteca resa inaccessibile a tutti con grande iattura degli studiosi di cose regionali e chi sa in che condizioni ridotta, dopo più di mezzo secolo da che rimane chiusa e impenetrabile. Se non è da aspettarsi una grande esattezza storica, non vogliamo pertanto convenire col surricordato Capialbi che lo chiama << compilazione indigesta di citazioni qua e là raccolte e mal combinate >>, trovando anzitutto questo severo giudizio in contraddizione colle parole stesse del Crescenti, riportate dal Capialbi immediatamente dopo il giudizio in questione, cioè che
<< andava - il Criscenti - raccogliendo da diversi autori le antichità di Tropea, e con dottori greci e latini, con occasione e studio particolare di alcuni manoscritti >>. Non crediamo poi del tutto spassionato il modo di giudicare i cronisti tropeani adoperato dall'erudito Conte, il quale, da implacabile Aristarco, giunge ad addebitare loro quegli errori che vanno addebitati invece ai tempi in cui scrissero; tempi nei quali la critica era ancor bambina e gli storici, specie quelli di piccole città, o per non poter consultare direttamente alcuni libri dovevano ricorrere a citazioni di seconda e terza mano, spesso travisate o bugiarde o per altre ragioni consimili non erano in grado di fare un lavoro esatto e perfetto secondo le esigenze degli anni venuti dopo.
L'unico fra gli antichi scrittori Tropeani di cose storiche che ricordi l'opera del  Criscenti è il Gesuita P. Antonio Barone, nella << Vita di S. Domenica Vergine e Martire, Cittadina, e Protettrice della Nobile e Fedelissima Città di Tropea >>. Dallo scritto del Criscenti trasse il Barone parecchie notizie per la sua agiografia, fra cui la narrazione di una scorreria di Saraceni nei villaggi di Ciaramiti e S. Domenica. Nell'elenco degli scrittori dei quali si servì per la sua opera così cita il lavoro del nostro storico: << Abbate Agostino Crescentio nel suo manoscritto d'alcune antiche memorie della Città di Tropea >>. Il Sergio e il suo pedissequo Campesi, come si guardano bene dal ricordare il Dardano e la sua opera, dalla quale pur trassero diverse cose, così tacciono di quella del Criscenti, fingendo ignorarla, mentre fanno i migliori elogi dell'autore. Grande ingiustizia questa, che menoma non poco il loro merito di averci conservato la più gran parte di quanto sappiamo dell'antiche vicende civili e religiose del nostro Mandamento.