ANTONIO BARONE

promoter turistico

della

Città di Tropea

di Salvatore Libertino

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Antonio Barone, figlio del patrizio Scipione era nato a Tropea nel 1632. Entrò a far parte della Compagnia di Gesù nel Collegio della città natale, da dove, compiuti gli studi, passò in quello di Napoli e poi di altre città ancora, occupandovi vari posti importanti sia nel campo amministrativo che in quello scientifico. Si spense all'età di ottantuno anni, nel 1713.
Giuseppe Mendoza a cui il Barone dedicò "Vita di Santa Domenica" lo chiamò "virus doctissimo ac eruditissimo".
Pubblicò vari testi di preminente natura biografica:
Vita del P. Sertorio Caputo Gesuita, in quattro libri, Napoli, 1691;
Vita di Santa Domenica V. e M. cittadina e protettrice della nobile, e fedelissima città di Tropea, descritta in due libri, de Bonis, Napoli, 1690;
Trias Fontium David, hoc est Iesu Christi, S. Ignatius Loyola S. I. fundator, B. Stanislaus Kostka Poloniae tutelaris, Sancta Dominica V. et M. Tropaeae civis, ac patrona, tribus epigrammatum libris proposita, de Bonis, Napoli, 1695;
Triunviratus Sanctimoniae S. I., ideat Divi Francisci Xaverii, Divi Francisci Borgiae, et Divi Alysii Gonzagae laudas, iribus epigrammatum libris decantatae. Ibidem eadem anno;
Vita del P. Giovan Battista de' Gatti Gesuita, de Bonis, Napoli, 1696;
Vita della divota vergine Diana Margiacco Beneventana, Benevento, 1700;
Vita del P. Francesco Pavone, de Bonis, Napoli, 1700;
Vita del P. Francesco Brancaccio, Raillard, Napoli, 1703;
Vita del P. Pier Antonio Spinelli, Napoli, 1707.
La sua opera più famosa è sicuramente la 'Vita di Santa Domenica', di cui nel 1692 se ne stampò una nuova edizione. Ed è di tale opera che abbiamo voluto trascrivere di seguito la prefazione perchè merita di essere conosciuta non solo per ammirare la vastissima cultura ed il marcato spirito patriottico di Padre Antonio ma perchè lo stralcio in argomento si identifica con il più antico documento, mai pubblicato da un tropeano, che passa in rassegna i più svariati segmenti che compongono la storia di Tropea, dalle origini della Città ai cenni, talvolta molto approfonditi (vale per il Cardinale Lauro), sugli stessi tropeani che si distinsero nei vari campi dell'arte, della filosofia, della scienza, della letteratura, della medicina, ecc.
Dopo aver esaminato le varie versioni delle origini della Città, il Barone avvia un excursus indicando al lettore i più illustri figli di Tropea. Vengono fuori i nomi dei Vianeo, dei Buongiovanni, dei Dardano, ma anche del giurista Ottavio Glorizio, del filosofo Agostino Nifo, del condottiero Gaspare Toraldo, del cardinale Vincenzo Lauro ...
Ma il crescendo del patriottismo di Padre Antonio tocca il livello più alto nelle ultime cinque pagine della prefazione, quando l'Autore descrive il sito di Tropea con impareggiabile trasporto poetico ed altrettanto orgoglio tropeano. E qui che Padre Antonio Barone si scopre un bravo poeta e un convincente "promoter" turistico della sua terra.
Tropea appare come una donna che si immerge nelle limpide acque del mare, impreziosite dai coralli, e vi si specchia mentre Capo Zambrone e Capo Vaticano protendono le loro braccia fino a sfiorarle i fianchi proteggendola.
E che dire delle delizie di Tropea che allietano le tavole dei buongustai: olio, vino, agrumi, frutta. E dell'amenità dei suoi giardini. E della fraganza dei limoni. E del dolcissimo cielo. E dell'aere ai corpi dei viventi tanto salubre. E guardando dalle case adagiate sulla rupe che sprofonda nel cristallino mare, dello spettacolo offerto dai pesci che si contendono l'esca, e trescano, e vi s'azzuffano  e poi, una volta pescati dalle finestre delle stesse abitazioni, continuano a dare spettacolo di sè sulla tavola dei tropeani.
Ed ancora quì, a Tropea, non osa darsi veder l'Inverno, che travestito: cioè, tutto in habiti da Primavera. La State ha seco sempre il fresco corteggio di venticelli gentili, che a rinfrescare i troppi suoi calori, continuo soffian di mare. Saporitissimi v'ha i suoi frutti l'Autunno, nei parti suoi fecondissimo, e singolarmente nell'uve.
Buona lettura!
 
 

A'  MIEI
SIGNORI ILLUSTRISSIMI
Della Nobile, e Fedelissima
CITTA'  DI  TROPEA

Se ad altre mani, che delle SS. VV. Ill. offerissi questa, già da molti anni desiata, ed hor finalmente venuta a luce, mia Historia, che contiene la Santa Vita, e preziosa Morte della Vergine di Cristo Domenica; non men di due brutte macule ad uno stesso tempo m'addosserei, l'una di mal Huomo, e l'altra di pessimo Cittadino. Domenica, la gran Martire (nome c'a lei, sono già tanti secoli, diè ne'Sagri Oficii, e tutt'hora segue a darle la Greca Chiesa) ella, quanta è, tutto è vostra. Nacque fra voi. Fra voi visse, e nella mortal sua spoglia riposa fra voi: tre volte Tropeana, d'Origine, di Domicilio, e di Sepoltura: che sono tre vostri Diritti sopra di lei, e di lei anche sopra di voi: quali violar non si possono, togliendo lei a voi, ò voi a lei, senza Reo divenire di tre delitti; e in un sol fatto di tre colpi mortali ferire alla Giustizia il cuore.
Alla colpa d'Ingiusto verso di Voi, aggiugnerei tutte le Città io farò dono a Tropea di questa sua Vita; del cui seno la Santa volle che sol fosser Tesoro le morte sue membra? Sia, dunque, impresso su la prima faccia dell'Opera, il nome di Tropea il di lei fregio: che può ben ella fregiar col suo nome la prima faccia d'ogni grande opera: tanto più che nulla manca a lei di que'pregi, onde van fastose le grandi Città.
E sono tai pregi, se pur m'appongo, di due maniere, altri di Natura, altri d'Industrie: quelli per lo più spettano a delizie, e questi a gloria: doni gli uni del suolo, gli altri della forte, e tal volta anche merito di virtù. Hor per cominciare in primo luogo dalle seconde.
E' Gloria delle Città un nobile Fondatore, appunto come delle Famiglie è un nobil Ceppo, Tropea hebbelo nobilissimo, qual fu, a senno di tutti gli huomini, Ercole: da cui, per ispecial amore, di Portercole hebbe anche il nome. Vedasi sopra di ciò Costantino Lascari: In eodem sinu Bibonensi Portus Herculis est, Urbs vetusta ab Hercule condita: nunc est Tropea Civitas. Sotto lo stesso nome, e per la stessa cagione, fassene menzione dal Giovio, dal Frezza, dal Curopalata, da Monsignor Perinotto, da Dionisio Alicarnasseo: e molto innanzi a'detti, da Strabone, e da Plinio. Leggasi il Giraldo, che ne scrisse la vita, se si vuol sapere, chi fosse Ercole: cioè Huomo, stimato tanto superiore alla conditione degli Huomini, che qual Nume propizio del Genere humano. Ubique summa veneratione cultus, comunisque Deus appellabatur. Quo factu est, ut per Herculis nomen inter Homines solemne Juramentum haberetur.
Che, se in tutti i luoghi; ed appo tutte le Genti, in Tropea, ed appo de'Tropeani, stati fior della sua Gente, e Cavalieri de'suoi squadroni, lasciativi, secondo haveva uso, a popolar la nuova Città, eravi il culto d'Ercole e più sfoggiato, e piu superstizioso. Gli erser subito Tempio. Ad honor di lui bandivan fra l'anno publiche fiere, e feste solenni nel luogo: cui perciò chiamavano Forun Herculis: e fino al presente nel guasto vocabolo di Formicole se ne conserva la memoria appo de'Paesani. Ma se famose eran le feste, e le fiere ivi d'Ercole, famosissimo faceano il Tempio gli Oracoli che v'havea: dove a consigliarvisi, sul traghettare, ò nò, l'armi, e l'Aquile guerriere contro dell'Africa, havean costume l'Armate Romane di prima prendervi terra, ed offerire ad Ercole Sagrificii.
Quando ei la fondasse, spressamente l'abbiamo in Dioniso Alicarnasseo: e fu, quando Ercole con un fioritissimo Esercito, sopra navilio assai numeroso, venne in Italia, per torle d'in sul collo il ferreo giogo de'Principi, che vi tirannezzavano: Giganti, non per l'enorme mole de'soli corpi, ma molto più per l'enormissima lor crudeltà. E appunto, qual seco havealosi divisato in mente, tale riuscigli in fatti. Liberò da'Tiranni la nostra Calabria, che frammezza tra due seni, Scillatico, e Lamecico, ove Tropea è situata: ed era, secondo Aristotile, l'Italia di que'primi tempi. Indi fatto lo stesso nella Sicilia, che sotto niente men gravi catene gemea, si portò a Pisa: ove render le grazie nel Tempio, che Giove v'avea famosissimo, per la felicità delle sue armi: ed honor di lui v'instituì l'Agone co'giuochi olimpici, ad ogni cinque anni da celebrarvisi.
Tutto ciò sia detto, perchè s'intenda, che Tropea, fondata da Hercole da cinque secoli prima fu che dal suo Romolo Roma: da cui edificata fu nell'olimpiade settima: la quale, secondo il computo fatto da Eusebio, non cadde, che da cinquecento anni dopo l'istituzione dell'Agone, e da questa da molto innanzi preceduta era la fondazione di Tropea. Tanto è vero, che come le famiglie, anche le Città, sovente le più nuove splendono sopra le antiche: ò sia perchè havendo l'une in che cedere all'altre, l'une insuperbite sopra l'altre non s'alzino: ò sia perchè con ciò dimostrino, quanto sia fugace ogni nostro lustro: che al durar più, splende meno.
E in fatti quel di Tropea col durar tanto, mancò del tutto. Opera fu d'Annibale, che non potendola separar da Roma, con cui erasi collegata, col minacciarla del suo ferro, ne le fe pruovar di modo le furie, che la distrusse. Ma questa sua ecclissi fu appunto qual esser suole quella del Sole: che dopo brieve ombra d'oscurità, n'esce più splendido. Scipione, destrutta c'hebbe Cartagine, nel tornarsene carico di gloria, e di preda, a'lidi dell'amica Città fatto sbarco, più di prima magnifica la riedificò; cambiandole allo stesso tempo l'antico nome di Portercole in quel di Tropea: nel quale, derivato dalla vove greca Trope,w che significa Retroverto, volle tramandare a'Posteri la memoria trionfale, dopo l'Affrica soggiogata, del suo ritorno. Fu dunque Tropea riedificata ad esser Trofeo della destrutta Cartagine: e tal Trofeo, in cui scorger potesse la Posterità il valor sommo del vincitore, e la grandezza della vittoria.
Appunto lo stesso fine d'ergere a sè Trofeo nel rifarla, nell'accrescerla, nel rabbellirla, che poscia fe, hebbe Ottavio l'Augusto: a cui perciò stimò Parrasio doversi ancora il nome, e la gloria di Fondatore. Venit Maticana (così chiama Tropea dal Capo Maticano, ò Vaticano, presso di cui, ò com'altri vollero, in cui a que'dì ella era) ibique triumphum agit, et Civitatem condidit ejusdem nominis. Qual trionfo ei fosse, e quale il nuovo nome, narrarlo più a disteso, oltre ad altri Scrittori, Costantino Lascari, rammemorato poc'anzi. E fu, c'havendo Augusto rotto nell'acque del mar vicino con tutto il suo numeroso Navilio, Sesto Pompeo, e non lievemente sol tinte del nemico sangue quell'onde; perchè d'un Cittadino Romano vinto trionfare in Roma non si potea, smontò con tutto l'Esercito vittorioso a'lidi della Città: ove rizzatisi molti Trofei, fella nobil Campidoglio del suo trionfo: de' quali, perchè la memoria fossevi eterna, comandò ch'indi innanzi Trofea, ò Trionfea nominasserla. In eodem sinu Bibonensi Portus Herculis est, son parole del Lascari, ubi Octavius, prosligato Sex. Pompejo, cum de Romanis Civibus triumphare non liceret, in memoriam tam nobilis victoria Trophea erigi jussit: et mutato inde nomine, Trophea dicebatur: con pochissimo divario e nel suono, e nel significato del cambiamento; perchè Tropaea, e Trophea, amendue greche voci dalla stessa fonte del verbo Tropew derivano, che significa Retroverto: da cui hebbe la Città il primo nome impostole da Scipione. Di che cagion era l'uso de'vincitori, di piantare in quel luogo appunto i Trofei, ove volte havea loro le spalle, rotto, e messo in fuga vergognoso il nemico.
Un Ercole, uno Scipione, un Ottavio Augusto: cioè dire, un Monarca di Roma, un Domatore di tutta l'Africa, un Nume, che tale appunto stimaronlo que'tempi accecati dal Gentilesimo, di tutto il Genere humano, d'ognun de'quali, havendol Padre, superba andrebbe ogni gran Città, tutti e tre hebbe la nostra Patria: nata dal primo, e da secondi rinata, e sempre sotto l'Oroscopo de'trionfi, sempre fra gli allori, e'n seno delle vittorie.
Presagi eran questi dell'indole martiale de'futuri suoi Cittadini, da se medesimi, secondo veggiamo, inchinatissimi all'armi: come se fosser lo stesso mascer guerrieri, e nascere Tropeani: e divenisse il ventre a ciascun di sua madre scuola di Marte, sempre riusciti nelle militari condotte a pruove di gran valore, prodi ugualmente di cuore, e di mano. Indi fu appo i nostri maggiori, oltre ad Ercole, stato lor Padre, a Marte solo fra Dei l'erger Tempio nella Città, che a lui era dedicata, e qual propio suo Nume adoravanlo. Che se poscia pur v'ammiser Nettuno, fecerlo, per haverlo, qual Dio appo d'essi del Mare, nel traghettar, come Gente marittima altrove l'armi, propizio alle loro armate navali.
Ma a che vo'io disotterrando vecchie memorie delle militari vostre faccende, seppellite dalle rovine caliginose di tanti secoli: come se de'Tropeani, calcanti sempre l'orme gloriose degli Anzinati mancassermi e più palesi, e più fresche? Non fu un de'vostri Nobili Giovan Battista, ò, come altri vuole, Andrea Mezzatesta, che a mantenere in campo sul piano della Città di Cotrone l'honore del Re Ferdinando, entrò in isteccato con Mustafà, Turco di sommo valore, e perciò a'Nostri di sommo terrore: e mozzatogli il capo, col capo in mano, portando il suo Trofeo, fe a'suoi ritorno, nuovo David de'Fedeli contro a quel Golia de'Maccomettani? Non fu de'medesimi, chi a'nostri Rè ò racquistò da'nemici, ò contro d'essi difese le tre Castella, quante in quel tempo v'eran, di Napoli: e con else la stessa Napoli, ò sustenne loro, ò riguadagnò, tramandatone perciò a'suoi Discendenti diritto l'ostentarle, come insegne di gloria fu l'armi del Casato? Di Tropeani nobili Venturieri furo le tre Galee, che a sue spese mise in mare la nostra Città: e sotto Ferdinando, che fu de'Baroni lor Generale, accompagnaro l'invitto D. Giovanni d'Austria nella battaglia data a'Turchi, e nella vittoria riportata ne'Crozzolari. Tropeane anche furo, ed a due tanti più le Galee, che a propie spese militando, serviro al Rè Federigo. E in questa, e in tutte l'altre loro condotte navali con pruove sì eccelse di valore, e di fedeltà, con tanta riputazione, e prò dell'armi reali, che, ovunque dall'altre Città del Regno convenisser Galee, la nostra squadra alla testa di tutte havea, per merito di preminenza in valore, quella del luogo.
Bisognerebbe recitar quì a disteso in pruova de'vostri gran meriti, e servigi rilevantissimi, fatti alle loro Corone, i rescritti honorevolissimi de'nostri Rè, di due Alfonzi, d'un Federigo, di due Ferdinandi, d'un Carlo Quinto, d'un Filippo Terzo, e d'altri: ne'quali amplissime lodi donno alla vostra fedeltà. sempre invitta, quantunque non sempre coronata di pacifico Ulivo, ma sovente a voi costa copioso spargimento, a lor servigio, d'oro, e di sangue, e con pari mercè la contracambiano. Fregio voller, che propio fosse della vostra Città il titolo di Nobile, e Fedelissima; Fregio anche dell'armi sue l'insigne di lor corona, che soprapposerle. Indi alla vostra fede consegnavan le castella più gelosamente guardate, alla vostra custodia le stesse loro persone, non che le Regie. E in fatti leggiamo d'un Antonello, d'un Geronimo, e d'un Giovanni vostri Nobili, al primo consegnato il castello di in Napoli di Sant'Elmo, il secondo fatto Capitan della Guardia, e'l terzo Cameriero di Ferdinando, di cui ordine ancora ogni anno almen quattro de' vostri Nobili a'Regii Governi, ed ufficii doveano esser promossi, ed a bastone di Gente d'armi, stimando quel savio Rè a'suoi servigi ambi destri i Tropeani; vo'dire, prodi ugualmente a ben condurre col ferro alla mano le battaglie in campo, ed a sustenere in tempo di pace la Giustizia nelle Città.
Io, che mentre scrivo, ho sotto gli occhi le copie de'reali rescritti, non finisco d'ammirare in essi le grazie, i privilegi, le franchigie, le immunità, gli honori, e tutto sfoggiatissimi, conceduti alla nostra Patria, tanto in moltitudine, e di condizione sì eccelsi, che pochissime ha ella, e delle Città sol sommamente benemerite della Corona, che le stiano in ciò del pari: onde sommi bisogna confessare, che fossero i vostri servigi, che tanta beneficenza, e benignità a contracambiarli meritarono da nostri Monarchi. Passò sotto silenzio: e vo'canzar la troppo noja a'Lettori anche con iscenar la gloria de'miei Cittadini.
Ma quanto è nel valor vostro, e nella vostra fede fidassersi i nostri Rè, quanto a prò della Corona si promettessero, n'havete voi ne'comuni Archivi la più autentica testimonianza, c'haver mai si possa: ed è la stessa lettera del Re Ferdinando Secondo sopra ciò scritta in comune alla nostra Città: in cui si pena a credere, Rè esser, che parli a'Vassalli, e non più tosto ad amici alcun amico, ò alcun Padre a'propii figliuoli. L'ommetterla di quì trascrivere, e non trarla fuori di sotto a'chiusi scrigni all'aperta luce col divolgarla, sarebbe fallo da non condonarmisi, sì per celar cosa di tanto pregio alla mia Città, sì anche cosa di tanto stimolo a'Cittadini, quanto è a'Posteri ad immitarle, la fedeltà verso de nostri Rè, e la fortezza de'lor Maggiori. Dice, dunque, ella così: e prima nel soprascritto,
Magnificis Viris, Comunitati, et Hominibus Civitatis nostrae Tropeae, fidelibus nostris dilectissimis. Dentro poi. Magnifici Viri, Fideles, Dilectti. Credemo, c'al ricevere della presente havrete havuto avviso, in qual maniera per la viltà, e publico tradimento di tutt'i Popoli di Terra di Lavoro semo stati necessitati di partirci da Napoli insieme colla Regina, nostra Madre colendissima, coll'Ill. Principe d'Altamura, e coll'Ill. Signora Infanta, nostra Zia; lasciando non per tanto il Castel nuovo ben munito, e provveduto di maniera, che benchè vi siano state date di molte battaglie da'Francesi, non solamente han travagliato in vano, ma ancora vi sono stati ammazzati più di cento huomini ciascuna fiata. Donde s'è conosciuto chiaramente, che li Francesi non sono egualmente gagliardi contra chi loro resiste, come con chi volentieri apre lor le porte. Habbiamo ancora provveduto il Castel dell'Ovo, il Castello, e la Città d'Ischia, e quel di Gaeta: di maniera che non dubbitiamo, che possano haver pericolo alcuno. Al presente ci troviamo in questo porto di Procida, e solamente aspettiamo prospero vento per partircene, e venire alla volta di codesta Provincia, e personalmente esser con voi in codesta Città, e far tal difensione, che si resisterà ad ogni sforzo, che volessero fare i Nemici contro di noi altri, con grandissimo honor vostro, utile, e sicurtà di tutt'i Popoli di cotesta Provincia. E ci fidiamo tanto negli animi virili, intieri, e fedelissimi vostri, che tenete con noi ad una vivere, ed una morire: e vi potrete acquistare con poco affanno un incomparabile honore, e lode: essendo già arrivata l'armata delli Sereniss. Re, e Regina di Castiglia, nostri Padre, e Madre colendiss. in Messina, per darvi presidio, e soccorso alla recuperazione del nostro Regno. Stando voi costanti, e forti nella fedeltà vostra, non solamente racquisterete laude immortale; ma noi ve ne resteremo obbligati per modo, che potremo dire, che per cagione della vostra virtù havemo ricuperato il nostro Regno: e vedrete la differenza, che si farà frà li fedeli, e ribelli, quando Iddio ne farà gratia di riposo, come speramo. Per tanto vi pregamo, e confortamo, che tra questo mentre, che noi tarderemo a venire, ci vogliate aspettare con animo forte, e non ispaventarvi di niente: che tenendo voi quella costanza, di cui noi confidiamo, non possiate patire dishonore, nè tradimento alcuno. Speriamo, che quanto prima, s'acconcerà il tempo: e tra tanto mandiamo questo brigantino; perchè vi certifichi della presta nostra venuta: la quale speriamo in Dio, che sarà presto, ma meno del desiderio nostro. Datum in nostra Fideli Classe propè Procidam 3. Marty 1495. Rex Ferdinandus.
Sì altamente sentivano de'nostri Maggiori, e ad essi di loro stessi testimoniavano i nostri Rè: grande sprone a'fianchi de'Posteri a racquistarsene lo stesso merito, havendone nelle vene lo stesso sangue. E ben di così sentirne, e di così scriverne n'havean quegli ragione: sì mirabili, e continue eran le pruove, che d'amore, di coraggio, di fede verso de'legitimi loro Principi a tutt'i tempi davan vedere. Mirabilissima non pertanto fu quella, di quando dell'universale sovvertimento di tutto il Regno, Tropea fra le Città tutte fu, qual veggiam fra le Stelle tutte del Cielo quella del Polo, sola, cadendo l'altre, mai non cadente: perciò singolarmente celebrata da un antichissimo, e bravo Scrittor di que'tempi, di cui fu il detto, che per meglio non sovvenirmi, tronco quì scrivo: Sola, fra tutte, Tropea in fidelitate permansit.
Ma se fu sola la nostra Patria a mantener fedeltà, corteggiata dall'altre virtù militari, che l'adornano, e l'accompagnano, non fu sola la fedeltà a render gloriosa la nostra Patria. Ella hebbe secondo il seno e d'Allori, ed Ulivi: vo'dire di pregi marziali, e pacifichi, accogliendo a uno stesso tempo fra le sue mura, una con Marte anche Pallade.
In pruova di che basterebbe ricordar quì Tropea, qual una delle più celebri Città della Magna Grecia: ove havean lor domicilio le muse, lor emporio le scienze, e Minerva il suo propio Regno. Di cuoi, per testimonianza di Marco Tullio, nelle più belle arti filosofiche, e morali, a migliorar gl'ingegni, e'costumi, Roma stessa fu discepola, anzi la Grecia medesima d'Oriente, maggiore in ampiezza di sito della nostra, ma in sapere di lunga mano minore. Ma non mancano e più speciali, e di più freschi tempi, le memorie, e le pruove. Spuntò fiore del natio nostro suolo l'Illustrissimo Conte Palatino D. Ottavio Glorizio: la fragranzia della cui dottrina, anche dopo da un secolo, da che putrefatto nel suo sepolcro è mera cenere, ricrea le dotte nari de'Messinesi. Fu nostro quel della Famiglia Bojani, Inventore d'un nuovo genere di Cirurgia: che a'corpi humani non recideva i guasti membri, ma recisi rendea. Già m'intendete, che io parlo de'labbri, e delle narici, che da morbo, ò da ferro ingiurioso tolti all'human viso, con un mirabile nesto di carne, e carne facea rinascere: di modo che il viso stesso ammiravane le nategli nuove labbra, e le narici non sue. In darno s'affatica il Giovio di torci il celebratissimo Agostino Nifo. Egli è Tropeano e non di sola origine, come afferma, ma anche di nascimento quantunque dal continuo suo domicilio in Sessa, e Cittadinanza, che v'hebbe, stimato ivi fosse qual Cittadino. Un Paolo, ed un Bernardino de'Lauri, un Francesco de Cresconi, un Domenico de'Tropeani, un Lorenzo, un Giulio, un Teofilo, ed un Giovanni, il primo de'Fazzari, il secondo de'Nomicisii, il terzo de'Galluppi, l'ultimo de'Giffoni, ed altri non pochi: fra quali, sopra tutti a me caro, e dolce nome è quel di Gaspare de'Toralti, tutti essi il merito di singolar dottrina, e bontà sollevò all'honor delle Mitre, e del Pastorale.
Ma vaglia il vero, che fra rinomati Mitrati un sol Vincenzo Lauro Vescovo del Mondovì, e Cardinale, risplende Velut inter ignes Luna minores, per non più tosto dire, che all'apparir di lui come del Sole, elli tutti quasi Stelle spariscono. Dio buono! E quanta letteratura in petto a un uomo? Quante scienze, quanta prudenza, e luce d'intelligenza entro a un sol capo? Testimonio il B. Pio V. Vincenzo haveva a verbo in mente l'opere tutte di S. Tommaso. La sua lingua parlava francamente molti Idiomi. Di lui valsensi i Sommi Pontefici in affari di sommo rilievo alla Chiesa, e nelle Legazioni a Monarchi supremi. Il grido di sua prudenza il fe destinare a raddirizzare le cose della Religione, tutto sconvolte dalle moderne eresie nella Inghilterra, e nella Scozia. Allora detto fu di tutta Roma, che, tanto sol che Vincenzo vi ponesse uguale alla speranza di Roma era la paura dell'eretica Lisabetta; questa con mille occhi ne guardò fin tanto i porti, che, disperato lo sbarco, fugli mestiere di tornarsene ad altre imprese. Finalmente vivuto in conto tra sapienza, e bontà d'un de'primi Huomini del suo tempo, morì, pianto da tutta la Santa Città, ma nelle lacrime di tutti egli solo dimodo lieto, che notificatogli il mal punto della sua vita colle parole del Salmo. In domum Domini ibimus, potè soggiungere, Laetantes, laetantes : grande argomento della rara sua Innocenza nel vivere, e pari sua speranza in morire. Il suo sommo merito sollevato l'avrebbe al sommo Pontificato, se coll'opporsi gagliardamente a que'che gli voleano imporre il Triregno, sottratto egli al Triregno non havesse il capo, fattosi con ciò più degno del Papato, perchè nol volle.
Ma quanto ad eminenza  di Cristiane virtù, già da tredici secoli prima che fosse al Mondo Vincenzo, Tropea ne'suoi figliuoli givane gloriosissima. Appena divulgata la Fede di Giesù Cristo, ella fu tra le prime Città, che novizia l'accolse fra le sue mura; e dato d'un calcio a Marte, ad Ercole, ed a Nettuno inalberò la Croce del Redentore, calpestando le Deità, che prima adorava, ed adorando il di lui patibolo, che pria calpestava. Quella sua novella Chiesa era Chiesa di Santi, e non sol di fedeli; perchè il raggio, quantunque tenero, della Fede tosto vi fè giorno pieno di calore, e di luce, in modo che v'infiammò i Tropeani a quell'atto il più perfetto di carità, qual'è il testificarla, come fecer, col sangue. Sostennela in campo contro gl'Infedeli con la morte de'suoi Cittadini: e fin dalla metà del settimo secolo, ed anche prima, cominciò a difenderla ne'suoi Vescovi contro agli Eretici; mandò Giovanni al Concilio di Laterano, Teodoro al Costantinopolitano, e Stefano al secondo Niceno, il primo nel quarantesimo nono del settimo secolo, il secondo nell'ottantesimo dello stesso, e'l terzo nell'ottantesimo settimo dell'ottavo. Che poi la pietà de'maggiori non mica degenerasse ne'Posteri, e la nostra Città siasi sempre mantenuta in possesso d'haver de'Santi, ne dò in pruova il suo B. Giovanni de'Padri Minimi, glorificato da Dio a tempo de'nostri Avi in vita, ed in morte co'segni consueti d'un'ammirabile Santità.
Quanto a' secoli di più addietro, io sol ne vo' ricordare i Monisteri de'Monaci, che sotto la Regola di San Basilio fiorivano, nel distretto di Tropea, d'una mirabile Santità: diruti è vero, presentemente, non che deserti; ma non sì che non se ne tenga alcuno in piedi: e di quali, e quante virtù fossero que'Santi Huomini, che visservi, anche a dì nostri gli odori, che spirano da'lor sepolcri, il dimostrano. Così de'Santi Servi di Dio per sin le putredini sono odorose, Chisti bonus odor in omni loco, eziandio nelle sepolture; per proseguire il trarci a Cristo, ed alla virtù anche defunti.
E qui si dia fine a questa piccola parte delle nostre glorie, per dare alcuna cosa al racconto delle delizie: che niente di Tropea son minori le delizie delle sue glorie. Siede la Città sul piano spazioso d'un alta rupe, ò scoglio: che sul rispianato della cima dolcemente posando, Loci amoenitate insignis, come di lei scrivendo, ci lasciò Marino Frezza, non ha dal sottoposto sasso malagevolezza di sito, rotto, e scosceso, ma leggiadria, e maestà. Le guardan le spalle, concatenati insieme amenissimi, e di molte frutta fecondi colli: che d'amendue i lati, detti l'un di Zambrone, e l'altro di Vaticano, distendendo, come due braccia, la si accolgono in mezzo: come se la Natura per singolar benivoglienza abbracciar la voglia, e stringerlasi in quel suo seno. Con pochissimo di sè s'attiene ella alla terra, sporgendosi di quasi tutto il corpo in figura ritonda nel mare. Il quale hora placido a lei serve di specchio, hora turbato di giuoco. Placide l'onde sue ne ricevono l'ombra de'Palazzi di lei, e con ciò a Tropea di terra una seconda Tropea in mare, perchè vi si vegga, presentano. Turbate le dan da schernire il vano orgoglio delle lor furie, veggendone, sciolto in ispume deporle a piedi in atto di baciarli, tutto il lor fasto. Le s'aprono di più avanti deliziosissime prospettive, dove de'bei Paesi di tutta la sua Diocesi, ch'ella, quasi d'alto, qual Sede Episcopale, rimira: dove d'un pelago sterminato: ed in esso inverso Napoli de'più celebri Promontorii del nostro Tirreno, con un tal, diciam così, orrore dell'occhio, che a tante immense acque smarriscesi, e pure dal suo stesso smarrimento ha diletto.
Ma le più fiorite sue delizie le son sì da presso, che le ha sotto gli occhi: apprestate alla Città da due suoi grandi scogli, se dirle due sue piccoli Isole non vogliamo, che le stanno d'amendue i fianchi. Queste le chiudon d'avanti un comodo spazio di mare: ed in esso, come in isteccato, da non invidiar le zuffe delle fiere all'Amfiteatro di Roma, le aprono un quasi Teatro. V'ha ella ancor le sue fiere, non di selve, ma d'acque: e queste ascose, come in grotte sotto de'loro scogli, ad ogni che di cibo, che lor si getta, n'escono fuora, e contendono, e trescano, e vi s'azzuffano: ed a moltitudine innumerabile formando battaglie, sovente avviene de'saliti in sù a pascersi, di sè pascer gli altri, spettante tutto, e con estremo piacere la Città dalle finestre de'suoi Palazzi. Di modo che a'Tropeani i lor pesci servono non sol da cibo, ma da spettacolo: pria pascono loro gli occhi, poscia il palato: non saprei dir, se con più lor diletto, poscia il palato: non saprei dir, se con più lor diletto, veggendoli morti su la menza, ò vivi nel mare.
Che direm poi di quel suo Cielo, che v'è dolcissimo? Che dell'aere a'corpi de'viventi tanto salubre? Il suolo v'è ubertosissimo: il mare, oltre a pescosissimo, ne'coralli, che vi nascono, ancor prezioso. Non osa ivi darsi veder l'Inverno, che travestito: cioè, tutto in habiti da Primavera. La State ha seco sempre il fresco corteggio di venticelli gentili, che a rinfrescare i troppi suoi calori, continuo soffian di mare. Saporitissimi v'ha i suoi frutti l'Autunno, ne'parti suoi fecondissimo, e singolarmente nell'uve. La bontà de'vini diè à Tropea appo Tolomeo, il nome di Vinquilone, che, Paese di buon vino, s'interpreta: e fin da quando ella hebbe il nome di Mamerta, Bacco, da lei Mamertino appellato, navigò famoso a stranii Paesi, nettare de'Principi in tavola, e de'Monarchi. L'amenità de'suoi Giardini, la fragranzia de'suoi limoni, i diporti de'suoi barcheggi, l'odor de'suoi scogli, le biade copiose de'campi, gli oliveti, ed i vigneti delle colline, ben dimostrano, altrove la Natura all'human vivere haver provveduto de'necessarii alimenti, in Tropea ancora delle delizie. In somma se la Calabria fù detta apo. tw- kalw-, idest, Bono, & bru.w, idest, Scaturio, Quod scilicet bonis omnibus scaturiat come bravi Scrittori, e non del Paese, affermano: onde conchiusero, che, Perpetua Coeli, et Terrae benignitate usa, Regionum omnium optima semper fuit, può con verità affermarsi, che de'fiumi di tanti beni Tropea ha le fonti: e di certo in essa, e nel suo distretto, meglio c'altrove, ò almeno non altrove meglio, che nel distretto d'essa, la nostra Provincia, che quanto a positura di sito è invers'Ostro l'ultima dell'Italia, si mostra tale, qual'è, ben degna, che di lei scrivano que'di poc'anzi appo l'Uguellio. Eadem Coeli jugi, ac beata temperie, et soli ubertate, amoenitateque, deliciarum praeterea omniu incredibili copia, reliquas omnes, non modo Italiae, sed totius Terrarum orbis Regiones longè superat. Indi il gran Roggiero, Conte della Calabria, in Tropea hebbe i diporti de'suoi giardini. Indi, devastando a ferro, e fuoco i Saracini tutto il Paese, al Tropeano solamente, in difesa delle sue più care delizie, fe lo stesso Conte una siepe di ferro col valore della sua spada. Indi sovente ivi usavano i nostri Re a diportarsi co'Tropeani, deposta la maestà, e'l contegno di Re, e sollevarvi l'animo aggravato dalla cura di tutto il Regno. Non diceva ben io, che, quando, nè l'argomento dell'opera, nè l'Autore punto nulla s'attenesse a Tropea; pur tanti suoi pregi, sien di Natura, sien di sopra Natura, sien di delizie, ò di glorie, di grande stimolo farebbono a volerne honorare il mio libro col nome di lei su la prima pagina?
Hor c'altro fare io potrei, che quanto mi sia, tutto son di Tropea parimente Domenica, ch'è tutto l'argomento della mia penna? A voi dunque, ò Signori l'offerisco, non già dono, ma debito: perciò non tanto da recarmisi a merito l'offerirvelo, quanto, se non ve l'offerissi, a demerito. Sia ciò detto a tutti in comune i miei Tropeani: non per tanto in più special tributo d'ossequio esser dè questa mia opera, di que'Cittadini, per cui ella hor vede luce. Foste voi, nobilissimi mei Signori, Antonio Fazzari, Tiberio, ed Orazio de'Toraldi, Ignazio di Franza, e Antonio, e Maurizio de'Baroni, che, ugualmente meco cortesi, e con Domenica pii, le dieste per seconda madre la vostra liberalità: senza cui la mia penna, stata la prima, non sarebbe giunta mai a parto, e perciò col solo peso del portato, e senza goder della prole. Ella dunque l'opera, tanto è più vostra che mia, quanto del vostro v'è loro, cosa all'Huomo sì cara, sì preziosa, del mio l'inchiostro. E senza più alle SS.VV.Ill.b.l.m.
        Delle SS.VV.Ill.

                                   Devotiss. et Obligatiss. Servidore
                                         Antonio Barone della Compagnia
                                              di Giesù.