Antonio Minasi. La veduta della nobile città di Tropea e dell'antico villaggio di Paralia. Incisione del 1780 su rame di Mariano Bovi su disegno di Bernardino Rulli
Una testimonianza della storia sociale calabrese del Settecento La veduta di Tropea e Parghelia di Padre Antonio Minasi
di Salvatore Libertino
Nella scorsa tornata (marzo 2006) ci eravamo interessati della più antica veduta di Tropea - disegno a penna e inchiostro bruno - realizzata nel 1664 dall'olandese Guglielmo Schellinks. Proporremo ora la stampa "La veduta della nobile città di Tropea e dell'antico villaggio di Paralia", realizzata nel 1780 dal calabrese Antonio Minasi su disegno di Bernardino Rulli e conseguente incisione su rame di Francesco La Marra. Maria Antonio Minasi nacque a Scilla il 20 maggio 1736 da Rocco e Nicolina Dieni. Della sua vita si conosce qualcosa grazie al canonico scillese Giovanni Minasi (1835 - 1911), suo discendente, autore dell'unica biografia che occupa alcune pagine del volume "Notizie storiche su Scilla", Napoli 1898, ripubblicato nel 1971 da Edizioni Parallelo 38, Reggio Calabria e nel 1990 in anastatica da Forni, Bologna. In seguito, Giovanni Minasi si preoccupò di integrare quel breve cenno biografico di alcuni importanti aggiornamenti in un saggio pubblicato a puntate sulla "Rivista Storica Calabrese", 1898 con il titolo "Il P. Antonio Minasi scillese dell’ordine dei predicatori filosofo naturista". Qualche episodio dell'infanzia si conosce perchè raccontato dallo stesso Antonio Minasi nell'operetta "Dissertazione seconda su de' timpanetti dell'udito scoverti nel Granchio Paguro e sulla bizzarra di lui vita con curiose note, e serie riflessioni ...", che vide la luce nel 1775 a Napoli attraverso la Stamperia Simoniana. All'età di tredici anni - questo è ciò che risulta dalla nota autobiografica - frequentava ancora la scuola scillese e di quella rimproverava l'uso della sferza e del cavalletto da parte degli insegnanti nei confronti degli scolari negligenti. Nel 1749 tra gli scogli a fior d'acqua dove era solito intrattenersi assieme ai compagni a pescare o a nuotare, prima di andare a scuola, aveva raccolto una coppia di granchi che mise vivi nelle proprie tasche e che poco dopo portò a scuola. E fu proprio durante una sua interrogazione che gli animaletti scivolarono sul pavimento dell'aula correndo sù e giù "a sghembo", mentre a braccia conserte il giovanetto cercava di evitare le "palmate" del maestro il quale lo fece subito alzare di cavallo e "pagar così il fio di una colpa, che commesse innocentemente non già nella di lui scuola, ma in quella della natura. Colpa che io non ho potuto più cancellare dalla mia mente". Completati gli insegnamenti scolari, Antonio passò a studiare, sostenuto dai genitori, a Reggio Calabria per perfezionarsi nella letteratura latina, greca ed ebraica. Nel contempo, si diede allo studio delle scienze sacre e profane delle quali dimostrò eccelente capacità di apprendimento, soprattutto nella storia naturale da meritare il titolo di filosofo naturalista. Terminati gli studi di Reggio, si sentì attratto dalla vita religiosa e vestì il saio domenicano. Entrò quindi nel convento di San Domenico di Soriano per applicarsi compiutamente nella teologia e in altri studi sacri. Fece poi ritorno a Reggio ma questa volta per vivere tra i chiostri del convento domenicano, dove si laureò in teologia. A ventisette anni, nel 1763, cominciò a sperimentare e investigare nel mondo della natura in quei settori dove risultava meno studiata. La prima dissertazione sui suoi studi ebbe come argomento il fenomeno della Fata Morgana, che volle corredare con una spettacolare iconografia elaborata dal pittore olandese Guglielmo Fortuyn che la raffigurò nel disegno e nelle incisioni su rame, una efficace documentazione questa che colpisce molto, ancora oggi, per il grande valore storico culturale poichè vi si può ammirare la città di Reggio prima della catastrofe del terremoto del 1783. Tale saggio, dal titolo "Dissertazione prima sopra un fenomeno volgarmente detto Fata Morgana o sia apparizione di varie, successive, bizzarre immagini, che per lungo tempo ha sedotti i popoli e dato a pensare ai dotti", fu pubblicato a Roma nel 1773 per i tipi di Benedetto Francesi. La seconda dissertazione fu quella già citata del 1775. Di data successiva, che non ci è dato conoscere, è un volume, edito a Roma, "Dissertazioni sopra diversi fatti meno ovvi della storia naturale", che comprende la già nota dissertazione dedicata al fenomeno della Fata Morgana. Ai testi sopraindicati si aggiungono le "Annotazioni alle Diliciae tarantinae" di T. N. d'Aquino, edite a Napoli nel 1771, tradotte poi dal Carducci, che rivela l'estro poetico letterario del Minasi. Occorre dire al riguardo che anche se fu un geniale poeta e un colto letterato, il Minasi passò essenzialmente quale uomo molto umile, schivo e restio a pubblicare gli esiti della grande mole di esperienze vissute nel mondo della natura e nel campo letterario e filosofico. Proseguì le ricerche e gli studi sulla storia naturale a Napoli, dove fu accolto come socio in seno alla Reale Accademia. Tuttavia, non venne mai meno ai doveri di religioso. Spesso accadeva, come racconta il suo parente e compaesano Mariano Bova, eccellente disegnatore ed incisore, che passava giorni all'ospedale degli Incurabili per assistere gli infermi e per confortarli con i Sacramenti. Nel 1764, anno della peste, stette tre mesi in quell'ospedale per esercitare il suo ministero sacerdotale. L'amore per la religione e la fama di filosofo naturalista affermato anche fuori i confini nazionali, favorirono il suo primo incarico importante e l'incontro con Clemente XIV che lo nominò nel 1772 professore di 'Bottanica pratica' all'Archiginnasio Romano detto la Sapienza, al posto dell'abbate Maratti, docente di Fitologia, che in quell'anno morì. I suoi meriti nel campo scientifico non lo fecero però stare in quel posto se non per pochi mesi in quanto il Pontefice gli diede un nuovo incarico, quello di scoprire per il Pio Museo Clementino 'nuovi corpi naturali e produzioni vulcaniche', attraverso un viaggio per l'Italia meridionale a spese della Camera Apostolica. Salpò assieme all'olandese Fortuyn, già suo collaboratore, da Fiumicino dove stazionò per qualche giorno e ciò diede modo al pittore olandese di disegnare la prima veduta della lunga serie "Veduta della spiaggia di Fiumicino", il cui incisore fu Mariano Bova (1757 - 1813), cognato del Minasi, anche lui scillese: suo fu il noto ritratto di Henry Swinburne del 1786, artista, scrittore e viaggiatore che disegnò Tropea ed il suo porto, unica veduta calabrese inclusa nell'opera "Travels in Two Sicilies 1777-1780". La feluca del Minasi costeggiò quindi il Tirreno fino alle sponde della Sicilia, facendo varie tappe per visitare il Vesuvio, le Isole Eolie, l'Etna, le coste calabresi e siciliane dove fu esaminata e raccolta una grandissima quantità di minerali, vegetali, fossili, molluschi, insetti. Durante il viaggio furono annotate tutte le esperienze in un grosso volume in folio, facendo disegnare le rarità che aveva scoperto. Il volume rilegato poi in pergamena non fu mai pubblicato e nel 1850 cadde nelle mani di un signore che ne ignorò l'importanza, distruggendolo. Ritornò a Roma a portare a compimento l'incarico di riordinare il museo ma la morte del Papa avvenuta nel 1775 interruppe il corso del progetto e la collaborazione con la Santa Sede. Il Minasi dunque abbandonò Roma e fece ritorno a Napoli, dove si occupò a difendere i compaesani scillesi davanti al tribunale contro il loro feudatario D. Fulcone Antonio Ruffo, facendo loro (almeno quattrocento unità) sottoscrivere contro di quello oltre sessantotto capi d'accusa. Dopo quel periodo, molto ostico, passato a difendere i concittadini dalle prepotenze feudatarie, avvenne il terremoto del 1783 che mise in ginocchio l'intera Calabria ed in particolare Scilla dove millecinquecento persone persero la vita in pochi attimi durante il terribile maremoto. Lo scienziato fu inviato in Calabria da Ferdinando IV di Borbone al seguito di un gruppo dei naturalisti ed archeologi più accreditati per esaminare e studiare i luoghi colpiti. Ritornò a Napoli e relazionò al Sovrano proponendo la totale abolizione del feudalismo o almeno la diminuizione dei gravami baronali. Le richieste furono in parte accolte in alcune leggi a favore dei cittadini. Infine, dopo una breve visita alla sua città natale ed un caloroso saluto ai familiari, si ritirò a Malta presso il convento del suo stesso ordine di appartenenza dove trovò la morte il 25 settembre 1806, dimenticato dal mondo dal quale si era già congedato in anticipo.
Antonio Minasi. Il prospetto della città di Tropea tra i promontori Sabrono e Vaticano, eseguito Guglielmo Fortuyn nel 1773 e inciso dallo stesso nel 1777.
Cercheremo ora di occuparci dell'incisione di Francesco La Marra, che ritrae le città di Tropea e Parghelia, senza però prima parlare della caratteristica tecnica introdotta dal Minasi nelle sue opere. Sostanzialmente, all'area della veduta è abbinata a margine della stampa una legenda, lunghissima, che prende in considerazione e evidenzia non solo i punti di maggior interesse dislocati nella veduta (chiese, monumenti, torri, monasteri, località...), secondo la tradizione dell'epoca, ma essa viene anche impiegata ad elencare e spiegare una serie di eventi visibili e rappresentati in tutta l'area del disegno, seguendo una sorta di sceneggiatura teatrale, attraverso situazioni, atteggiamenti e comportamenti di persone e cose raffigurate sulla scena. La veduta dunque si popola di personaggi ciascuno dei quali, come in un palcoscenico, fa la sua parte muovendosi e dando vita ad una sequenza di momenti che raccontano un fatto accaduto o vissuto dagli stessi disegnatori e dal Minasi, anche loro raffigurati quali protagonisti al centro della scenografia, come nell'opera in esame, o in disparte mentre essi si limitano ad osservare ciò che accade intorno, come nell'altra opera "Il prospetto della città di Tropea tra i promontori Sabrono e Vaticano", eseguita da Guglielmo Fortuyn nel 1773 e incisa dallo stesso nel 1777, dove il disegnatore e il Minasi si vedono sulla barca nello specchio d'acqua antistante la rupe di Tropea, ancora più al largo dello scoglio dell'isola benedettina, circondato dal mare. Le legende, contenute nelle stampe, costituiscono quindi le "sintesi" delle inchieste condotte e rappresentate da Antonio Minasi che non si limita quindi ad occuparsi dell'aspetto geografico del paesaggio e di quello professionale naturalistico, ma ama riportare anche le sensazioni emotive che il territorio e la gente locale era capace di trasmettergli, attraverso fatti ed episodi accaduti in tempo reale. Ed ecco la legenda originale con relativa dedica, abbinata alla stampa in argomento, che costituisce una sorta di "programma" - per così dire - per lo spettatore.
LA VEDUTA DELLA NOBILE CITTA' DI TROPEA E DELL'ANTICO VILLAGGIO DI PARALIA
Al Signor Cavaliere Tommaso Gascoigne di Parlington. Baronetto Il P. Antonio Minasi Domenicano in pegno di stima dedica e dona
Il Padre Minasi qui descrive un fatto esilarante accaduto a lui e al suo pittore ritenuti l'ombra della pazza morta da poco e di cui si svolgono in un canto i riti funebri e purificatori: 1. Tropea città regia, e vescovile, in cui abitano i soli Patrizi, Cittadini, ed Artisti meno incomodi: tutti gli altri Ferrai, Pescatori, Contadini e Marinai ne' borghi o nei 24 di lei casali, ove attendono alle manifatture, alla pesca, all'agricoltura, alla pastorizia, ed alla navigazione. Il governo è troppo aristocratico: ma il clero è ben dotto ed assai onesto. L'ingegno de' Tropeani incline più alle belle arti: e le loro donne non eccettuate le Dame amano molto il telaio; e vi intessono colla bambaggia le vaghe copertine di letto, che là vendonsi a 6 a 12 a 18 a 24 ducati l'una. Fra i commestibili, squisito il cacio di Zacca; ropoli; il miele de' casali del capo Vaticano, e le pruna secche Damascene; coll'uva passa di Catalogna. 2. Panaria, isola screpolata già dal fuoco in più parti. 3. Strongoli vulcano vivo e vispo, di giorno e di notte. 4. Scoglio di S. Leonardo dietro cui spesso si salvano i bastimenti sbattuti da' venti del SUD, Sud Ovest. 5. Convento d'onde i Domenicani si sono trasferiti e rinserrati in città privandosi d'aria e di libertà per altrui bene. 6. Esequie della povera Olimpia, detta la pazza, perchè spesso colpita dal mal di luna e di cui finalmente si morì all'improvviso la notte errando nella vigna di Marasùsa. 7. Devote donne di Paralia, che da lungi l'accompagnano piangendo, ma senza accostarvisi per timore che l'ombra d'Olimpia colà vagante non le infestasse. Vedi Hom. Odyss. c. XI. 8. Il P. Mina è raggiunto col Pittor Rulli nel suo annotato, appena fu veduto verso l'alba degli 8 di giugno 1778, che di subito fu conclamato da per tutto Piralia, per l'ombra di Olimpia. E la bianca di lui roba fatta a caso più lunga col cappuccio al baston appeso, onde Egli or su, or giù menandolo se riparava e'l pittore dal nascente Sole, diede vie più corpo all'Ombra. Quindi nel volgo crescendo il romore, fu in punto da restarvi lapidati. 9. Giovanetti scolari armati di ciottoli di fiume, i quali ansanti si avvicinavano invocando Gesù Nazareno, per cacciar giù nel Tartaro l'Ombra della Pazza. Ma che in rizzarsi a tempo il P. Minasi; e gridar il Pittore, si rimanessero attoniti: e quindi avvicinatisi, scoppiavano dal ridere, molli di sudire, e carichi di pietre. 10. Altri scolaretti che da lungi, a'compagni dicean: Forte! Sotto a voi. Ma in vedere due ombre ritte ed ululanti: fuggirono subito gridando: Anime scopritevi!... 11. Chiesa M. in cui il P. Minasi celebrò la Messa perchè quel popolo non lo credesse più un'ombra. E 'l Rulli mostrò loro il paese dipinto, del che rimasero assai contenti: Essi per le dotte opere del loro compatriota Jeròcades sono molto amici dei Letterati; e del commercio in Marseglia, nel Messico, nelle Antille, dediti a' Forestieri. Le loro donne intessono colla bambagia varie copertine di letto, che annualmente si trasportano in Marseglia, e d'indi ne' bei talami di Parigi. Pel di più vedi Scilla e Carissi Tav. VIII num. 4. 19. Capo zambrone, ove si fà olio e vino squisito. Bovi scripsit. F. LA MARRA refecit 1780
ALCUNI PARTICOLARI ESTRATTI DALLA 'VEDUTA DELLA NOBILE CITTA' DI TROPEA E DELL'ANTICO VILLAGGIO DI PARALIA'
1 23 1.Tropea e lo Scoglio di San Leonardo. 2.Convento dei Domenicani (La Grazia). 3.Padre Minasi e Bernardino Rulli si riparano dalla sassaiola degli scolaretti.
4 4. In primo piano, le esequie di Olimpia. Sulla sinistra, devote donne di Paralia le accompagnano da lontano piangendo.
5 5. Scolaretti che tirano sassi a Minasi e a Rulli scambiandoli per il fantasma di Olimpia.
Da notare che il promontorio della rupe di Tropea, circondato dal mare, costituisce una efficace fortificazione naturale per la cittadina che da quel lato appare inespugnabile. La parte che comunica con la terra ferma è protetta da un solido agglomerato di bastioni, mura e torri che l'uomo ha cercato di porre a difesa del nemico. Ed è lì che non a caso si erge il Castello, addossato alla cinta muraria, a metà strada delle uniche due porte, quella 'vaticana' e l'altra 'di mare', quest'ultima visibile nella veduta. Attiguo al porto, si vede il convento dei Domenicani, l'ordine cui appartiene Padre Minasi, che utilizza la vecchia chiesetta di Santa Maria delle Grazie e una vecchia Torre d'avvistamento, che la Cartografia antica chiama di "Santa Maria". Siamo appunto alla foce del torrente "la Grazia", sulla strada per Parghelia, da dove i frati domenicani si sono appena trasferiti, nel 1752, nel centro della città di Tropea nei locali, dell'attuale palazzo Adesi, dell'ex seminario che il vescovo Felice Paù (1751 - 1782) nel frattempo aveva fatto costruire nelle adiacenze della Chiesa Cattedrale. A Tropea nel 1780 governava la giunta del sindaco Vincenzo Galluppi, padre del filosofo, mentre la Diocesi era retta dal nobile Felice Paù di Terlizzi. Non si hanno notizie della "povera Olimpia", sicuramente esistita e trapassata durante la permanenza del Minasi a Parghelia. Esiste tuttora, sempre nel territorio di Parghelia, la località denominata "Marasùsa" in zona collinare dove sorge una serie di comprensori turistici all'avanguardia, quali il complesso Bragò e l'Hotel Marasùsa. Da tale località si può ammirare, anche oggi, esattamente lo stupendo panorama rappresentato nella veduta del Minasi.