Di Carlo Grillo
Lui - Addiu, Calavrisella... ’na prisa de chist’acqua mi farrìa !
Lei - Ti dugnu l’acqua e puru ‘a vita mia... ma accùartu, ‘nun mi rumpa la lincella... ca mazze mi ‘nnè duna mamma mia !
Lui - Si ti la rumpu, ti la pagu, bella, ‘ccù li dinari de la sacca mia !
Il tema de "la calavrisella", intesa quale fanciulla in età d’amore, ricorre non soltanto nella letteratura dialettale calabrese, ma anche nella tradizione musicale dei canti popolari di Calabria, sia in forma solo suonata che in quella canora. Infatti, alla calavrisella, molti brani, canzoni, ballate e altro sono ispirati. Questo brano che ora si presenta all’attenzione, riprende il tema della "fanciulla" e lo inserisce in un contesto musicale e letterario abbastanza definito, dove emergono, in maniera non eccessivamente nascosti elementi sia stilistici che sociologici insieme, direttamente ritrovabili nell’analisi sociale e musicale d’epoca. Il lessico di questa "calavrisella" semplice e realistico, a volte metafisico e metaforico, segue una configurazione classica della fanciulla ritrovabile in altre calavriselle: ella fa appena ritorno dalla fonte, dal ruscello, dal fiume, dalla fiumara, dove (è facilmente immaginabile) ha appena finito di lavare i panni oppure di raccogliere una brocca d’acqua. Tale ritratto è costante nei brani canori simili, come è simile l’accostamento della figura maschile (portatore inattivo della problematica esposta) che incontra e ferma la fanciulla. I personaggi, anche se diversi nei ruoli e negli atteggiamenti, si completano e si integrano nel discorso globale: lui che subisce in prima persona la problematica sociale, sembra essere elemento attivo (colui che parte, che quindi rimedia); e lei apparentemente passiva, ma forte dentro, forte nell’attesa, nella promessa fatta, nella fedeltà. Ritratto fortemente veritiero, e drammaticamente umano, delle donne di Calabria fino a qualche decennio fa. I tratti letterari sono attenti e precisi anche ad evidenziare tali lineamenti comportamentali. Il linguaggio tanto ricco ed espressivo, li accomuna entrambi distribuendosi quasi equamente sia nell’uno che nell’altra quasi a volere esso stesso sottolineare che nel loro dramma, quasi sommesso ed inappariscente, il destino li ritrova entrambi vittime ed eroi, nella stessa misura. La "calavrisella" è il canto più conosciuto tra i tanti che la nostra regione possiede. Esso, però, ha subito interventi e manipolazioni che col tempo hanno modificato la struttura originale. Comunque rimane sempre il contrasto tra i due giovani e gli elementi della scena (fontana, brocca.. ecc) sono uguali anche se in diverse versioni: quasi in tutti i testi che si riferiscono a queste situazioni, la "brocca" simbolizza la verginità della ragazza. Quando durante il percorso, al ritorno, si imbatte nel giovine il quale le chiede un po' d’acqua, quella richiesta....’na prisa de chist’acqua mi farrìa... sta per una vera e propria dichiarazione d’amore. La ragazza accetta il corteggiamento ed offre tutta se stessa al giovane, ma gli raccomanda di essere prudente perché se perde la verginità... accùartu ‘nun mi rumpa la lincella...... dovrà affrontare le ire della madre, quindi lo scandalo
Il giovane la rassicura dicendo che se dovesse succedere ciò che lei teme sarà pronto a rimediare sposandola
... si ti la rumpu ti la pagu, bella, ‘ccù li dinari de la sacca mia...
Comunque le diverse versioni, testimoniano la particolare assimilazione ed il conseguente adattamento del canto reso così funzionale alla specificità della cultura tradizionale delle popolazioni calabresi le quali lo hanno fatto proprio.