IL CANTASTORIE: CON CHITARRA, VOCE E CARTELLONE AL SERVIZIO DEL POPOLO
di Carlo Grillo
“La mia vita la vorrei scrivere cantando, ma ho la chitarra scordata e la voce catarrosa…….”. Così si esprimeva Ignazio Buttitta, il più grande cantastorie del Sud, morto all’età di 97 anni. I suoi racconti, carichi di passione, preservano echi antichi e modulazioni tipicamente popolari innalzandolo a personaggio immortale.
Ma nell’era di internet e di villaggio globale ha ancora un senso parlare del cantastorie?
In tempi di tecnologia avanzata, è ancora quella figura piena di fascino che racconta storie e leggende del passato, che parla di prodigi e di antiche gesta cavalleresche, di contrasti e mutamenti sociali, di mafia, di emigrazione e di clamorosi fatti di cronaca? Egli, dove è presente, si esprime ancora con mezzi miseri, ingenui (chitarra, voce e cartellone) ma non privi di forza espressiva. Vagando da un posto all’altro narra alla gente le sue storie ma anche quelle degli altri. Oggigiorno il cantastorie non trova più un’adeguata collocazione nella società avendo perso la sua antica funzione comunicativa, anche se ancora sopravvive in forma sporadica, in occasione di fiere e feste popolari. Tuttavia, alcuni studiosi che si occupano della sua riscoperta sono essi stessi interpreti e quindi divulgatori di quelle rudimentali composizioni che hanno segnato piccoli e grandi eventi.
Fa uno strano effetto vederne uno in carne ed ossa che si esibisce con la voce non amplificata e l’accompagnamento della sola chitarra. Tutto acustico, insomma, nell’Aula Circolare dell’Università della Calabria in occasione del XX° anniversario dell’istituzione del Centro Interdipartimentale di Documentazione Demoantropologica. Diretto dal prof. Ottavio Cavalcanti, il centro denominato “R. Lombardi Satriani” è solito organizzare incontri con studiosi delle tradizioni popolari. Dopo la preziosa testimonianza offertaci da Otello Profazio che, qualche tempo fa, ha tenuto un concerto-seminario sui canti popolari carnevaleschi, è stata la volta di Mauro Geraci sul tema “Quando la vita è la storia, la prospettiva autobiografica nella produzione poetico-musicale dei cantastorie del Sud”.
Mauro Geraci
Sulla scena pochi elementi: due riflettori, un leggio, una chitarra e un cartellone con nove immagini e la scritta “Sangu e Sapienza”. Proveniente dalla Sicilia dove questa tradizione è ancora molto sentita (ricordiamo che i cantastorie hanno svolto e svolgono un ruolo di primo piano nel teatrino dei “pupi”), Geraci si è rivelato attento interprete di numerosi fatti di cronaca che hanno riempito le pagine dei quotidiani. Alcuni sono di una certa considerazione, altri meno importanti, altri addirittura comici come questa storia stranissima ma vera: “…..Due amanti, mentre facevano l’amore in una Panda vengono tamponati da un’altra macchina proprio nel momento culminante. La ragazza rimasta incinta (da premettere che i due non volevano figli nella maniera più assoluta) chiedono risarcimento all’Assicurazione”. Scopo di queste canzonette è chiaramente quello di riderci sopra ma Geraci riferisce anche fatti di una certa gravità, come il caso Marta Russo, la studentessa uccisa in circostanze ancora non del tutto definite. Ecco che allora la scritta “Sangu e Sapienza” assume il carattere di vera denuncia, di (forse ingiusta) condanna. Si avverte la metodica giornalistica dello “sbatti il mostro in prima pagina” che non è andata giù al prof. Ottavio Cavalcanti. Tuttavia il direttore del Centro è rimasto soddisfatto di tutte le altre interpretazioni e lo ha dimostrato invitanto l’ospite a concedere un bis, un canto di Ignazio Buttitta più volte menzionato nel corso del seminario, un pioniere, “la massima espressione” come lo stesso Geraci afferma. Comunque, al di là di quel margine di soggettività presente nelle canzoni dei cantastorie (condivisibile o non) resta inconfutabile l’accezione poetica e l’impeto drammatico delle loro esecuzioni che li accostano degnamente all’animo popolare.