L'incipit "In mezzo del cammin di nostra vita" della Commedia di Dante nel Codice marciano
Sono tropeani due codici del Trecento sulla Commedia di Dante
di Salvatore Libertino
L'esplicit dell'ultimo foglio del codice marciano "Iste liber est scriptus per me Petrus Campenni quondam Johannis de Tropea..."
Da vari brani del testo, laddove il Campenni appunta note personali e sulle vicende del manoscritto, si evincono con facilità le varie fasi storiche del codice sì da poter delinearne l'evoluzione compositiva. L'explicit nell'ultimo foglio ci offre il nome e l'origine dell'autore e le date in cui avvenne la scrittura. Leggiamo testualmente: <<Iste liber est scriptus per me Petrum Campenni quondam Johannis de Tropea in terra Insule provincie Istrie anno nativitatis domini millesimo trecentesimo nonagesimo nono indictione septima die XV frebuarii (sic). Hec sunt expleta scriptor portetur ad leta. Amen>>. E più sotto in rosso: <<Suprascripte rubrice et parafrache (sic) scripte et finite fuerut per me suprascriptum Petrum. Anno nativitatis domini millesimo quadrigentesimo indictione octava XVIII marcij in terra Portus Buffoleti marchie Tarvisane>>. La trascrizione del testo fu dunque terminata nel 1399 in Isola d'Istria. Le note apposte alla fine della prima e seconda cantica indicano che l'autore terminò di trascriverle nello stesso luogo rispettivamente il 6 luglio ed il 20 settembre 1398. Infatti sono legibili alla fine della prima: <<1398 ind. 6, 6° Julij Insule>> e alla fine della seconda <<1398, ind. 6, 20 Septebr. Insule pntie Ystrie>>. Pietro, terminata la copiatura del poema, si trasferì a Portobuffolè, dove nel corso dell'anno 1400 completò la trascrizione del commento di Benvenuto da Imola e la relativa rifinitura calligrafica ed ornamentale (rubriche dei canti, colorazione dei parafiti, disegni delle iniziali filogranate del commento), impiegando un anno, un tempo cioè molto lungo per un lavoro così limitato e per nulla impegnativo, tanto che l'accademista Luigi Ferrari del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, nell'adunanza del 7 aprile 1935, intravide che una così grande estensione di tempo impiegato poteva dipendere da circostanze avverse della sua vita all'epoca del trasferimento a Portobuffolè3. L'intero lavoro fu compiuto quindi in tre anni. Due servirono per la trascrizione dei versi, uno per quella del commento. Un tale piano di lavoro in quanto al tempo occorso tiene conto principalmente del fatto che Pietro non esercitava la professione di copista ma attendeva al lavoro di trascrizione ogni qualvolta gli impegni di notaio gielo potevano permettere. Minime sono le notizie relative a Pietro Campenni. Sicuramente si tratta di un uomo culturalmente evoluto che in più di una circostanza da prova di essere uno studioso di Dante, di cui molto probabilmente apprese l'opera attraverso le pubbliche letture di essa durante gli studi di formazione per notai e magistrati che in quel tempo si tenevano ufficialmente nelle aule delle università di Firenze, Pisa, Bologna. In quest'ultima città, poco dopo il 1361, avrà verosimilmente conosciuto di persona Benvenuto che in quel periodo esercitava le funzioni di docente e aveva già finito di elaborare una delle prime edizioni del commento della Commedia. E ciò a distanza molto ravvicinata dalla scomparsa di Dante Alighieri avvenuta a Ravenna nel 1321. Nemmeno qualcosa si sa o si potrebbe supporre dei legami di Pietro con la Calabria e con la sua Tropea dove viveva la famiglia d'origine, una delle più antiche e nobili che vi abbiano dimorato, che Francesco Sergio nella sua 'Chronologica Collectanea'4 chiama "antiquissima". Di tale famiglia, estinta intorno al 1676, si sa che ai primi del Cinquecento, a seguito di un matrimonio, un ramo di essa venne impiantato nella vicina Nicotera. Nessun cenno su Pietro e Giovanni nei documenti già noti che rinviano alle gesta del loro nobile casato neanche nel recente saggio di Francesco Campennì apparso nel numero unico del 1994 di Rivista Araldica5, dove ne viene ricostruito l'albero genealogico. Pietro e Giovanni quindi rivivono per la prima volta dopo sei secoli di silenzio, grazie al ritrovamento e al rientro in Italia del codice 'veneziano'. Parlare della figura di Benvenuto da Imola - il vero nome è de' Rambaldi - è al contrario molto più facile. Nasce nel 1330 da padre notaio che lo introduce agli studi di grammatica e diritto all'interno della propria scuola privata. E diviene giudice e notaio senza però esercitare perchè esiliato. Nel 1361 ripara a Bologna al seguito del Governatore Gomez Albornoz, dove scrive il Romuleon, compendio di storia romana e si afferma quale maestro di autori classici come Virgilio e Lucano e anche contemporanei come Dante e Petrarca che conosce personalmente. E' di questo periodo il suo capolavoro Commentum super Dantem, rielaborato in tre edizioni fino al 1383, che richiama ancora oggi tanta attenzione e ammirazione degli studiosi del sommo poeta toscano. Molte ancora sono le opere che Benvenuto produce come il confronto tra Petrarca e Dante. L'ultima fase della vita viene trascorsa a Ferrara sotto la protezione di Niccolò d'Este, dove completa i commenti su Virgilio, Lucano e Seneca. Qui compone l'Augustalis libellus, rassegna di imperatori da Giulio Cesare a Venceslao. Nella città estense legge pubblicamente Valerio Massimo e si afferma definitivamente quale una delle figure di maggior spicco del primo Umanesimo trecentesco. Muore a Ferrara nel 1387. E la storia del codice ritrovato potrebbe finire più o meno qui ed invece essa continua con un colpo di scena sorprendente. Ai tempi del ritrovamento del nostro manoscritto, agli studiosi di Dante era ben noto un altro codice istriano con il commento di Benvenuto, custodito nella Bibliothèque Nationale de Paris con l'identificativo it. 77 (già fonds ancien 7002.4). Esso era stato indicato e descritto da autorevoli studiosi come Paulin Paris6, Mazzantini7, Lucien Auvray8 e Antonio Ive9 che in un articolo apparso su un giornale locale di Capodistria si occupò del codice 'parigino' fornendoci, da buon istriano, un accurato e minuzioso esame non solo del testo ma anche della consistenza cartacea del manoscritto. Ive era nato a Rovigno nel 1851 e fu uno dei più apprezzati etnologici del tempo. Famose sono le sue ricerche linguistiche sulla parlata originaria della sua regione, l'istrioto o istro romanzo. Molte sono le pubblicazioni su tale materia. Soggiornò anche in Francia da dove inviò l'articolo sul codice istriano 'parigino' a La Provincia dell'Istria, che lo pubblicò il 16 agosto 1879. Il codice 'parigino' è un grosso volume in pergamena, un pò meno massiccio del 'veneziano'. Misura 400 x 285 mm. e conta 192 fogli. La legatura è in pergamena sovrapposta a del cartone; sul dosso della coperta ci sta il titolo, in scrittura recente: Dante Aldighieri Opere col Commento. Nel primo foglio all'interno, anch'esso in pergamena, ci sono delle note che ci fanno conoscere gli antichi possessori del codice: Marcelli Muti et amicorum -- Nunc Joannis Bissaighe canonici Sanctorum Celsi et Iuliani de Urbe. 168010.
La pagina che contiene la fine del Purgatorio nel codice parigino con l'esplicit dell'autore in alto a sinistra.
Il particolare dell'immagine precedente mette in evidenza il deterioramento della pergamena (in basso a destra) che impedisce la lettura del casato dell'autore.
Da un explicit, che si legge alla fine del commento del Purgatorio, risulta che questa cantica fu scritta ad Isola d'Istria il 10 marzo del 1395 da un Pietro dal casato illegibile per abrasione della pergamena. Tale Pietro veniva identificato dal cultore di storia patria istriana Luigi Morteani col notaio Petrus de Pilis de Pergamo (Bergamo), cancelliere del podestà Scipione Contarini nell'anno 1396. Studiando gli statuti di Isola, egli aveva rinvenuti alcuni atti aggiunti di quegli anni, ove figuravano le autentiche del de Pilis e di un altro cancelliere denominato Petrus Campeni de Turpia (il Morteani leggeva <<de Turpini o forse Trapani?>>). Ed aveva optato per il bergamasco11. Tutta colpa dell'abrasione del casato nel codice 'parigino'. Ma quando fu scoperto l'altro codice istriano, quello 'veneziano', non vi fu dubbio alcuno che quel Pietro fosse il Campenni di Tropea, notaio e cancelliere del podestà di Isola d'Istria. Ormai era certo che la mano che trascrisse, durante i momenti liberi dal lavoro, il codice 'veneziano' aveva già vergato su pergamena qualche anno prima l'altro 'parigino'. Per la verità a questa soluzione era approdato nel 1926 Berthold Wiese, noto dantista e storico della letteratura italiana, quando ebbe la possibilità di visionare il manoscritto, che di lì a breve sarà acquistato dal Duce, presso la libreria antiquaria del berlinese Paul Gottschalk, che allora ne aveva a sua volta fatto acquisto in Spagna12. Però il mal tolto al tropeano non fu riparato definitivamente e in pompa magna se non al ritrovamento e al rientro in Italia del codice marciano. E' stato inevitabile a questo punto il confronto da parte dei critici tra i due manoscritti con le loro affinità e differenze. Un solo tipo di scrittura appare in quello 'parigino'. Infatti i caratteri usati nei versi appaiono uguali a quelli adoperati nel commento. La pagina di solito viene occupata da due colonne: l'una a destra riservata al commento e l'altra ripartita tra testo e commento. Diversamente nel marciano, i versi delle cantiche prendono molto spazio al centro e per tutta la lunghezza della pagina e ai lati si sviluppano le due colonne di commento. E mentre nel commento la scrittura appare identica al 'parigino', quella dei versi invece si presenta di tipo assai diverso: elegante e ricercata e di corpo di gran lunga più grande. A tale proposito, Luigi Ferrari13 avanza l'ipotesi che il testo dantesco, nel codice più recente, non sia stato trascritto da Pietro ma affidato ad un copista accuratamente scelto fra i migliori, perchè riuscisse ottimo questo nuovo prodotto di quella che potremo chiamare 'l'officina' di Pietro Campenni. A sostegno di tale ipotesi esistono sufficienti indizi. Infatti, quando il testo è difettoso e alcuni versi saltano (in tutto sono 25), l'imperfezione è sempre segnalata a margine con la scrittura dei versi mancanti, rivelando la mano di Pietro che adopera un segno, un monogramma composto di due lettere, la P. e la S., le sue iniziali appunto. Ciò ci dice che il testo dantesco è stato riveduto da Pietro che vuole lasciare un segno del suo intervento correttivo, rivelando che non è stato lui il trascrittore. Ed è qui che Pietro ci appare non più come semplice copista ma come studioso dell'opera dantesca con il disegno ben preciso di diffonderla nel migliore dei modi. A questo punto possiamo davvero considerare concluso il racconto di una meravigliosa storia, avventurosa ed esaltante di due codici scritti nel trecento dal tropeano Pietro Campenni, uno dei più antichi studiosi di Dante. Eppure a pensarci bene al sommo cantore toscano che "ci tracciò gloriosamente - usiamo le parole dello storico e critico d'arte tropeano Felice Toraldo - i confini della grande patria italiana con la sua lirica immortale", la Città di Tropea si è sempre, nel tempo, sentita devota e riconoscente ammiratrice, ponendo in suo onore e a suo ricordo nella facciata orientale del vecchio edifico dell'Antico Sedile una targa di bronzo e di marmo. Un tributo imperituro voluto dalla cittadinanza tropeana che ci commuove profondamente proprio nel momento in cui ci riempie di gioia la notizia del ritrovamento di un manoscritto, questa volta ottocentesco, quello della Divina Commedia tradotta in latino ad opera di Padre Giuseppe Toraldo, a favore del quale l'esimio latinista Antonio Bacci aveva tessuto nel 1950 ogni benevolo elogio chiedendosi dove fossero finiti i manoscritti. Speriamo che tale opera venga al più presto fatta diffondere, come è avvenuto nel 1899 con la pubblicazione della traduzione, sempre di Padre Toraldo, della 'Gerusalemme Liberata' di Torquato Tasso, quale concreto patrimonio della cultura calabrese nel mondo, seguendo gli ammonimenti di quel Pietro Campenni che in nome di essa aveva in epoca remotissima realizzato il sogno di far circolare l'opera di Dante, facendola pervenire a noi indenne dopo sei secoli di intenso, imperterrito e silenzioso cammino attraverso i più grandi sconvolgimenti e capovolgimenti della storia e ancora capace di trasmettere le stesse intense emozioni che per primo lui stesso avvertì alla fine del trecento nel momento in cui fu affidata all'umanità.
NOTE 1 Leo S. Olschki, Il ritorno in Italia di un codice istriano trecentesco della D. C. in Bibliofilia, 1935, pp.51-5. 2 Nella schedatura del manoscritto, a cura della Biblioteca Marciana, viene indicato che "il codice fu acquistato in America alla fine degli anni '20 di questo secolo da Leo S. Olschki e arrivò alla Biblioteca Marciana con la scritta: 'Dono di S. E. B. Mussolini'. 3 Luigi Ferrari, Il nuovo codice dantesco marciano, Officine grafiche di Carlo Ferrari, Venezia, 1935. 4 Francesco Sergio, Collectanea chronologica sive chronicarum de civitate tropaeae eiusque territorio, libri tres ab urbe condita usque ad annum MDCCXX. Testo manoscritto del 1720. Secondo libro, Capitolo IV delle famiglie estinte. Del manoscritto fu pubblicata nel 1988 la stampa anastatica a cura di Pasquale Russo, per le Edizioni Athena di Luigi Santucci, Napoli. 5 Francesco Campennì, Lineamenti per una storia della Famiglia Campennì Patrizia di Tropea, in Rivista del Collegio Araldico (Rivista araldica), Numero unico 1994, Collegio Araldico, Roma, 1995. 6 P. Paris, Les manuscrits francais de la Bibliothèque du Roi, Paris, Techener, 1840, III, 321-24. 7 G. Mazzantini, Inventario dei manoscritti italiani delle Biblioteche di Francia, Roma, 1887, II, 40-43. 8 Lucien Auvray, Les manuscrits de Dante des Bibliothèques de France, Paris, Thorin, 1892, pp. 93-97. 9 Antonio Ive, D'un codice dantesco scritto in Istria, in La Provincia dell'Istria, Capodistria, Anno XIII, n.16, 16 agosto, 1879. Nell'articolo sono riportati i primi 105 versi della Commedia così come si leggono nelle pagine del manoscritto. 10 Antonio Ive, Ibidem. 11 Luigi Morteani, Isola ed i suoi statuti, in Atti e Memorie della Società istriana di archeologia e storia patria, 1888, IV, p. 189. L'autore descrive in vari fascicoli della rivista istriana, nata nel 1884 ed estinta nel 1940, ciò che è stato possibile ricostruire della storia della cittadina di Isola, attingendo a quello che veniva riferito da antichi atti aggiunti agli statuti comunali. Riporto, poichè lo reputo significativo, l'intero segmento che il prof. Morteani dedica al nostro Pietro: "... non devesi dimenticare che in Isola visse uno de' più antichi commentatori di Dante. Questa importantissima notizia per la storia dei codici danteschi, ce la diede il prof. Ive, il quale, in un codice che trovasi nella biblioteca nazionale di Parigi, rilevò in coda al commento del Purgatorio la seguente nota: 1394, die X martii. Jndictione tercia. In terra Insule provincie Ystriae hac sacra Cantica scripta est per me petrum. Chi è questo Pietro? Percossi diligentemente tutte le note nello statuto originale colla speranza di trovare qualche sicura indicazione; e difatti, ne invenni due di tal nome e tutti e due cancellieri pretorei nel tempo contemporaneo a quello indicato dal prof. Ive. Questi due sono: Petrus de Pilis de Bergamo - recte petrus de pilis o pillis de pergamo - cancelliere del podestà Scipione Contarini nel 2 settembre 1396; e Petrus Campenni de Turpini ? o forse Trapani - recte petrus campeni de Turpini ? o Trapani, - il quale trovavasi come notaro e cancelliere del podestà Giacomo Berlegno nel 1398. Siccome i cancellieri erano persone di elevata coltura, suppongo che il primo sia stato il copista della suddetta cantica, cioè Pietro de Pillis di Bergamo, essendo stato questi, già alcuni anni prima, cancelliere del podestà Nicolò Badoer nel 1372, e ritornato più tardi a coprire la stessa carica certamente dal 1394-96. Io non pretendo d'aver risolta la questione, ed ogni modo queste mie indicazioni potranno servire e scoprire forse la verità ed indurre altri a fare nuove investigazioni su questo antico cultore di Dante.". Altro interessante passaggio è a pagina 198-99 della stessa Rivista in cui viene fatta conoscere la lista cronologica dei nomi dei podestà della cittadina istriana, alle volte affiancati dal nome dei rispettivi cancellieri. Ecco lo stralcio del periodo in esame:
1372. NICOLO' BADOER - Cancelliere: Pietro de Pillis di Bergamo 1373. LODOVICO GIUSTINIANI 1378. MAFFEO AYMO: Cancelliere: Dethemarus di Urugo 1383. NOCOLO' MALIPIERO 1395. SCIPIONE CONTARINI - Cancelliere: Pietro de Pillis di Bergamo 1398. PIETRO BELEGNO - Cancelliere: Pietro Campeni di Trapani ? 1399. VITTORE LAUREDANO 1400. ALESSANDRO BONO 1402 SCALVI MAGNO ........................................................................"