IL CONCORDATO DEL 1556 TRA I CITTADINI E IL VESCOVO DI TROPEA
di Antonio Tripodi
I rapporti tra i cittadini di Tropea ed il loro Vescovo emergono in tutta chiarezza nelle sei pagine allegate all'istrumento rogato1 nel Palazzo Episcopale il 20 giugno 1556 dal notaio Francesco Scrugli di quella Città. Sono i <<Capitoli et gratie>> richiesti ed accettati dai due Sindaci, magnifici Tiberio Fazali e Giuseppe Vulcano, a nome della cittadinanza da essi pro tempore rappresentata. In sedici articoli, dei quali potrebbero sembrare il primo un doveroso ossequio e l'ultimo una pura formalità, sono elencati i problemi di una comunità religiosa che anche sotto l'aspetto civile aveva molte ragioni di travagli e di insicurezza. Venendo a reggere la Chiesa Tropeana, il Vescovo Gianmatteo Lucchi2 non sapeva di trovare una Diocesi disorganizzata per l'incuria3 di quanti in un quarto di secolo su quella Cattedra l'avevano preceduto. Nella stesura del documento furono applicate con scrupolo le regole sia sintattiche quanto ortografiche di quell'epoca. I nomi propri di persona e quelli delle stesse Città di Tropea ed Amantea, salvo rare eccezioni si scrivevano con lettera minuscola. Per quanto riguarda la lettera <<erre>>, in principio di parola era sempre maiuscola. L'accento finale non faceva parte della fonetica, e la preposizione dativa era usata sotto l'unica forma <<ad>> anche di fronte a consonante. Si chiese <<in primis>> che il Vescovo si comportasse con benignità e amorevolezza verso i fedeli affidati alle sue cure pastorali. Si rileva dal secondo articolo lo scontento causato dal modo di conferire i benefici ecclesiastici. La richiesta che fossero concessi <<alli cittatini oriundi de detta cita et massime ad quelli servono il detto vescovato>> dimostra che non erano rari i beneficiati che nessun legame avevano con la Diocesi Tropeana. Nella risposta il Vescovo rassicurò i cittadini per quanto si attineva ai benefici curati ed ai canonocati, ma riservò a se <<tal che ne possa disponer>> i benefici sine cura. La terza <<supplica>> era fuor di dubbio quella che maggiormente assillava e teneva in agitazione i tropeani. Più che una istanza era una imperiosa esortazione a non voler accondiscendere alla separazione del Vicariato d'Amantea. Ed il Vescovo avrebbe dovuto sostenere le spese per un eventuale procedimento intentato dagli amanteani. Questi accettò con la clausola che <<accadendo alcuna lite>> di certa importanza la Città si sarebbe procurata di contribuire con proprio donativo. La tensione tra le due parti costituenti la Diocesi di Tropea, separate geograficamente dalle Diocesi di Mileto e di Nicastro, era iniziata quattro secoli e mezzo prima. L'anno 1094, il 10 dicembre, per volontà del Duca Ruggero fu soppressa la Sede Vescovile di Amantea, che fu aggregata4 col titolo di <<Diocesi inferiore>> a quella di Tropea. Quest'ultima proprio quell'anno era passata al rito latino. L'annessione fu confermata5 con Bolle dei Pp Alessandro III del 15 marzo 1178 e Innocenzo III del 16 novembre 1200. Nel corso di tanti anni si era discusso più volte se il Vescovo di Tropea si dovesse chiamare anche d'Amantea. La prima memoria si riscontra nel Libro degli atti concistoriali6 di Pp Benedetto XI (1303-1304). Nella Bolla di Pp Alessandro VI del 19 maggio 1499, con la quale Mons. Sigismondo Pappacoda dalla Sede Vescovile di Venosa7 veniva trasferito <<ad Ecclesias Tropiensem, et Mantheanen invicem unitas>>, è aggiunto un richiamo alla concessione fatta <<superioribus annis>> dal Re di Napoli di denominarsi soltanto di Tropea il Vescovo di entrambe le Chiese. Lo stesso giorno era indirizzata una Bolla8 ai Vescovi di Trivento e di Larino, ai quali veniva conferito il mandato di ricevere il giuramento di fedeltà da Sigismondo Pappacoda <<Electo Tropien>>. Si può comprendere il puntiglio dei tropeani nel ribadire che <<la Amantea>> dovesse rimanere sempre <<subdita>> del Vescovato di Tropea, richiamandosi a quanto <<declarato>> nelle Bolle9 dei Pp Alessandro VI del 29 aprile 1500 e Clemente VII del 16 maggio 1534. Sull'autorità di queste ultime due Bolle, l'imperatore Carlo V il 22 marzo 1536 da Castelnuovo in Napoli concedeva10 alla Città di Tropea il <<Placet>> sulla richiesta di ordinare agli Amanteani di smetterla con le spese per ottenere la ricostituzione del soppresso loro Vescovo e di rimanere alle dipendenze della Chiesa Tropeana come erano ormai da mezzo millennio. Seguiva una petizione mortificante per la Chiesa d'Amantea nell'umiliazione del Vicario Foraneo. Fu richiesto ed accettato che quest'ultimo dovesse <<prestar obedientia et reverentia>> al Vicario Generale della Diocesi, e che nel giorno della consacrazione della Cattedrale11 doveva essere presente in Tropea come tutti gli altri Vicari Foranei. Si aggiungeva all'obbligo spirituale il disagio del viaggio marittimo da Amantea a Tropea e ritorno, che a quel tempo non era una piacevole crociera. Reclamarono i cittadini il diritto di poter scegliere il predicatore quaresimale <<con intervento>> del Vescovo. Per l'elemosina quest'ultimo contribuiva con 12,00 scudi, ed il resto era integrato dalla civica amministrazione. La richiesta di assegnare nella Cattedrale uno spazio per l'erezione della Cappella del Santissimo Sacramento e di una sepoltura, con l'impegno di non pretendere alcuna quota sulle rendite od entrate della detta Cappella, fu esaudita dal Vescovo con la concessione12 della Sala del Capitolo Metropolitano. Il defunto magnifico Giovanni Romano nel suo testamento aveva disposto che se il figlio magnifico Carlo fosse morto senza legittimi eredi il suo patrimonio sarebbe stato speso per la costruzione di un Convento. Essendosi verificato il caso, il <<peso>> ricadeva sul Vescovo e sul Guardiano del Convento di San Sergio. Per quest'ultimo, il Ministro Provinciale13 aveva girato l'incombenza ai Reggitori della Città. Il Vescovo si dichiarò d'accordo per la costruzione del Convento, e dispose che il denaro proveniente dalle entrate della detta eredità si mettesse in cassa di deposito. Siccome durante la distribuzione delle candeline nel giorno della Candelora si verificavano confusioni, fu proposto di mandare le stesse in ogni famiglia con riguardo alla <<qualità>> dei destinatari. Rassicurò il Vescovo che <<trovera expedienti>> per eliminare nella Chiesa il trambusto. I paragrafi dal decimo al dodicesimo mettevano a nudo il contrasto tra la povertà e l'abbandono della Cattedrale e lo sfarzo di una società civile della quale facevano parte famiglie nobili e facoltose. Si iniziò col ricordo del passato splendore. I diversi vestimenti di broccato e gli <<altri drappi>> dei quali il Vescovato era stato dotato ed ornato dai suoi predecessori erano <<quasi consumati et destrutti>>, e ciò non poteva essere avvenuto nell'arco di pochi anni. La richiesta di rinnovamento delle sacre vesti e suppellettili fu accolta dal Vescovo, con la promessa che avrebbe fatto anche di più se Dio l'avesse lasciato abbastanza in vita. La richiesta di rinnovamento che <<lo Altare Maggiore de detto vescovato convieni adornarsi de una suntuosa figura et immagine>> e ne chiesero l'acquisto. Rispose il Vescovo che aveva già provveduto alla commissione ed al versamento di 200,00 scudi ad un artista napoletabo, e che <<detta immagine14 è commensata ad fare et tutta via se fa>>. La dodicesima <<supplica>> riguardava l'erezione di un campanile <<che sia adornato de bella et bona fabrica come convieni alla qualità de detto viscovato>>. E fu aggiunto ch'era necessaria la sostituzione del vecchio coro ormai imn pessime condizioni. Prudentemente il Vescovo s'impegnò a finanziare metà spesa per il campanile, e per il nuovo coro prese tempo evidenziando che non potevano esser fatte più opere contemporaneamente. Si evince che l'amministrazione diocesana non nuotava nella floridezza economica. Terminate le urgenze temporali, la cittadinanza elencò tre problemi dei quali uno pastorale e due amministrativi. Per comodità di tutti gli abitanti, e soprattutto dei vecchi e di alcuni infermi, sarebbe stata utile la celebrazione di una Messa letta dopo quella cantata. L'istanza fu accolta favorevolmente. Sembrerebbero un doppione i <<punti>> quattordicesimo e seguente. Il primo di questi conteneva la preghiera che il Vescovo <<se degni concedere>> che nè lui nè i suoi collaboratori potessero procedere <<ex offico>> contro i vassalli ed i chierici e laici diocesani. In modo analogo si dovevano comportare contro quelli ai quali sarebbe stata rimessa la querela dalla parte che l'aveva esposta. Il laconoco <<nihil>> finale non lasciava dubbio alcuno sulle intenzioni del prelato. Nel successivo <<articolo>> fu accettato lo <<indulto generale de tutti et qualsivoglia delitti passati stante la concordia et remissioni dela parti>> sia al Capitolo ed al Clero che ai diaconi ed ai vassalli, con l'eccezione di D. Luca di Fiumefreddo e D. Ferrante Falascijna di Nocera. Risulta chiaro che il Vescovo, anche lui legislatore del XVI secolo, non volle rinunciare al procedimento d'ufficio nei riguardi di quanti15 appartenevano alla sua giurisdizione. Si chiusero i <<capitoli et gratie>> con la richiesta al Vescovo di volerli sottoscrivere apponendo il suo sigillo, e di accondiscendere alla stesura di un pubblico istrumento <<ad futuram Rei memoriam per cautela de detta cita et suoi citadini>>. Sotto la firma del Vescovo per accettazione delle elencate concessioni16 si vede ancora in rilievo sulla rossa ceralacca lo stemma impresso il 20 giugno 1556.
NOTE
1 Sezione di Archivio di Stato di Vibo Valentia. Scheda del notaio Scrugli Francesco, istrumento del 20/6/1556. 2 F. RUSSO, Regesto Vaticano per la Calabria, Roma 1978, n.20405. VAN GULIK G. <<(+) e EUBEL C. (+), Hierarchia catholica medii et re centioris aevi, Padova 1960, (ristampa), vol. III, pp. 108 e 320. Il sacerdote bolognese Giovanmatteo Lucchi, eletto Vescovo di Ancona il 23/5/1550, fu traslato a Tropea il 6/2/1556 per rinuncia dello zio materno Cardinale Giovanni Poggi. Morì il 22/7/1558. F. UGHELLIO, Italia sacra, Vol. XIII, Venezia 1721, p.470. Lo noma Joannes Mattheus Luchius, deceduto il 22/6/1558. V. CAPIALBI, Memorie della Santa Chiesa tropeana, Napoli 1852, p. 50. La morte del Vescovo Gianmatteo Luchio è avvenuta a Roma il 22/6/1558. D. MARTIRE, Calabria sacra e profana, manoscritto in Archivio di Stato di Cosenza, vol. II-II, p. 547. La morte è riportata il 22/6/1558. 3 CAPIALBI, Memorie..., p.49. 4 ivi, p. LXXVI. La Diocesi d'Amantea fu forse eretta dai bizantini tra il IX e ik X secolo. Non si hanno notizie di Vescovi intervenuti a Sinodi o a Concili. L'autore pone in risalto la superficialità con la quale <<gli scittori nostrali more pecoris, copiandosi l'un l'altro>> finora hanno confuso il Duca Ruggero il Borsa con lo zio paterno Conte Ruggero il Bosso. Ma lo stesso Capialbi alla p. 50 (v. nota n. 2) afferma di seguire l'Ughelli a proposito della morte del Vescovo Luchio. 5 A. SPOSARO, Storie e leggende di Tropea e dintorni, Tropea 1985, pag. 55. RUSSO, Regesto..., n. 503. E' riportata la Bolla di Pp. Innocenzo III del 16/11/1200. 6 UGHELLI, Italia..., pp. 450 e 451. 7 RUSSO, Regesto..., n. 14161; ivi. n. 14162. Nella Bolla dello stesso giorno 10/5/1499, il Vescovo Pappacoda è detto traslato <<ad ecclesiam Tropien>>. 8 ivi, n. 14163. CAPIALBI, Memorie..., p. 42. Il documento di venerdì 10/5/1499 è riportato sotto la data di lunedì 8/2/1499. Ma è evidente il riferimento all'atto concistoriale della nomina del Pappacoda. Atti del Capitolo e del Municipio di Tropea per la conservazione della Diocesi nello stato quo ante, Tropea 1909. Risulta come ancora agli inizi di questo secolo XX fosse necessaria la compilazione di un memoriale da spedire alla Santa Sede per il mantenimento della situazione determinatasi otto secoli prima. La relazione fu redatta dal Can. Teol. Giuseppe Maria Scrugli, come attestato dall'autografo del Vescovo Filippo Desimone in calce all'ultima pagina. 9 RUSSO, Regesto..., n. 14260. Sulla richiesta della cittadinenza d'Amantea per la reintegra del Vescovato, in danno della Chiesa Tropeana, con Bolla del 29/4/1500 il Pontefice Alessandro VI stabilì che Amantea sarebbe dovuta rimanere <<sub dominio et potestate>> di Tropea. ivi, n. 17301. Il 15/5/1534 il Pp Clemente VII confermò la precedente Bolla del Pp Alessandro VI per l'unione in perpetuo a quella di Tropea, respingendo di nuovo le richieste inotrate dai Sindaci e dai cittadini amanteani per la reintegrazione della loro Chiesa Cattedrale. ivi, n. 17302. Lo stesso giorno con altra Bolla fu dato mandato al Vescovo di Caserta ed all'Arcidiacono e al Tesoriere della Chiesa di Mileto di far fedelmente e fermamente osservare quanto stanilito riguardo all'unione della Chiesa d'Amantea a quella di Tropea, comminando contro i renitenti le censyre ecckesiastiche e ricorrendo se fosse stato necessario anche all'aiuto del braccio secolare. 10 CAPIALBI, Memorie..., p. 72. Nella richiesta, i tropeani facevano presente al Sovrano che i <<Manteoti>> avevano già speso oltre 5.000 ducati per il <<negozio>> della reintegra del loro Vescovato. 11 La consacrazione della Cattedrale ricorre il giorno 20 settembre. 12 SPOSARO, Storie..., p. 77. 13 G. FIORE, Della Calabria illustrata, tomo II, Napoli 1743, ristampa anastatica Bologna 1980, p. 418. Il convento di San Sergio di Drapia era di origine basiliana. Passò ai Minori Osservanti nel 1421 con licenza di Nicola, Vescovo di Tropea. L'ottennero nel 1587 i Minori Riformati. Archivio di Stato di Catanzaro, Liste di carico, vol. XLIX. Il Convento e la Chiesa furono ridotti ad un ammasso di pietre e calcinacci dal terremoto del febbraio 1783. Ivi, Segreteria Ecclesiastica, cartella n. 75 (Piano Fuscaldo). L'anno 1797 il Convento fu soppresso ed i beni assegnati all'erigendo Conservatorio per le <<donzelle civili>> in Tropea. 14 Rappresentava certamente l'Assunta, alla quale era dedicata la Cattedrale. Si tramanda che il quadro fu rimosso dall'Altare Maggiore dopo il luttuoso terremoto del 27/3/1638, e di esso mancano tracce e memoria. 15 Non è stato possibile sapere di quale reato si fossero macchiati i due sacerdoti, perchè non è consultabile l'Archivio della Diocesi di Tropea. 16 CAPIALBI, Memorie..., p. 49. Le concessioni del Vescovo alla cittadinanza furono <<si ampie e magnanime>>.
DOCUMENTO
Allegato all'istrumento del 20 giugno 1556, per il notaio Francesco Scrugli di Tropea
Note * V. CAPIALBI, Memorie della Santa Chiesa tropeana..., Appendice XVI, pag. 73-83. Il testo fu pubblicato per intero, ma si riscontrano delle <<mende>> in varie espressioni. L'autore forse aveva a disposizione una copia già manipolata del documento. Nel protocollo notarile è allegato l'originale con la firma autografa e col sigillo del Vescovo. ** Sta per Cristo, ed è scritto così nel testo.