Ricadi. Quello che resta dell'antico attraversamento del 'ponte di San Giacomo'.
IL CONVENTO DEI SS. FILIPPO E GIACOMO NEL TERRITORIO DI CAPO VATICANO
di Giambattista Petracca-Scaglione (1904)
Colà dove la via maestra che da Ricadi mena a Tropea, dopo aver fatto una svoltata alquanto al di sotto di Orsigliadi, corre diritta per un bel tratto trovasi un ponte detto di S. Giacomo, dal nome di un piccolo convento di Carmelitani, che già sorse a pochi metri di esso, a sinistra di chi scende. Questa via, costruita da poco più di un ventennio, attraversa, proprio nel punto dove sorge il detto ponte, quell'antica, che partendosi di fianco all'attuale canonica del villaggio di Orsigliadi1, correva alquanto incassata fra i terreni limitrofi, per finire dove sorge adesso la pubblica fontana dell'altro villaggio di S. Nicolò. Era su questa antica via che dava l'entrata della chiesa del convento, costruito in tempi in cui più floride si trovavano le condizioni dei nostri paesi, specialmente di Ricadi, il quale aveva popolazione più numerosa e ricca, e commerciava coi principali porti d'Italia. Troviamo infatti nella cronaca del Sergio monaco tropeano, vissuto tra il secolo XVII e il XVIII2, un largo accenno di quell'antica prosperità, e crediamo opportuno citare sul proposito le sue stesse parole. <<Fuit etiam - dice - hic pagus multum dives et quae bona modo extant tam praedia quam culturae erant de naturalibus ipsius. Ob maximum commercium cum insula Siciliae et aliis Regni et extra regnum partibus, negotia erant magnifica, unde divitiae erant affluentes>>; e più sotto <<splendor divitiarum elucebat in territorio>>. Ma i tempi purtroppo mutarono, e i nostri villaggi, per diverse e molteplici cause, non ultima fra le quali l'abbattimento dei numerosi oliveti che possedevano3 e che portò di conseguenza anche la distruzione del commercio che si aveva col di fuori, si eran ridotti ad un stato di vero pauperismo, e solo in questi ultimi anni hanno cominciato a risollevarsi dallo stato in cui si trovavano4. In quei tempi di floridezza, la pietà e la devozione, che sono fra le più caratteristiche dei nostri paesi, diedero opera alla costruzione di chiese e conventi, specialmente in cuore della Vergine SS. del Carmelo, verso la quale i Calabresi hanno avuto sempre un culto particolare, tanto da essere, nei tempi andati, molto diffuso tra noi l'ordine dei Carmelitani5. Anche in Ricadi eravi una piccola chiesa dedicata alla Vergine del Carmelo, chiesuola ridotta, nel secondo quarto del secolo passato, a private abitazioni, che non serbano più della primitiva destinazione del locale se non la forma della porta, che dà sulla Via degli Artigiani, con dinanzi una larga predella di fabbrica6. Se ai giorni nostri nessun convento di Carmelitani evvi più in Calabria, non è però diminuito punto o affievolito il culto e l'amore a quel titolo della Madonna, chè, per dir solo di alcuni dei nostri luoghi, sono ad esso dedicati uno splendido santuario nelle vette del monte Poro7 e due chiese, una nel sobborgo Carmine in Tropea, e l'altra nel villaggio di Drapia, da poco fatta costruire dalla pietà del compianto D. Michele Mazzitelli; nonchè una delle cappelle della chiesa arcipetrale di S. Pietro Apostolo in Ricadi8. Diffusissima è poi la devozione dell'astenersi dalle carni e quella del digiuno nei giorni di mercoledì in onore della Vergine del Carmelo. Il distrutto convento, di cui ci occupiamo9, fu eretto nel 1540, secondo scrive il Sergio nella sua cronaca; ma la bolla di erezione, che nella pergamena originale si conserva dagli eredi del Conte Vito Capialbi di Monteleone di Calabria10 è dell'anno 1564. La non coincidenza delle due date non infirma per nulla l'autorità del cronista tropeano, riferendosi a quanto pare, la data del Sergio alla fondazione della chiesa rilevando noi dalla bolla in parola la preesistenza della chiesa al cenobio. Trovavasi essa costruita nei beni feudali del Barone di Montalto, della famiglia napoletana dei Del Duce, ed aveva il sole nome di S. Giacomo, a cui, eretto il convento, fu aggiunto l'altro di S. Filippo, rimanendo non pertanto conosciuta comunemente col primiero nome. I Carmelitani desideravano da lungo tempo la concessione di questa chiesa per istallarvi un convento, e l'ebbero finalmente nel detto anno 1564, reggendo la vacante sede vescovile di Tropea qual Vicario Capitolare, l'abbate D. Prospero Busale di Napoli. La concessione fu fatta in persona del primo provinciale di Calabria11, P. Maestro Angelo di Milano, e il convento eretto <<eleemosynis ac contributionibus universitatis Promontorii Vaticani>>12; e sebbene piccolo, era nondimeno elegantissimo ed aveva dal lato sinistro un discreto orto. I Carmelitani che vi s'istallarono appartenevano all'ordine dei calzati, ed erano in numero di sei: tre padri e tre conversi. Poco o niente sappiamo delle vicende di questo convento, che aveva il vanto di essere anteriore all'altro dei Carmelitani scalzi, sorto in Tropea nel 156913. Dei monaci che vi dimorarono sappiamo soltanto il nome di un P. Agostino Spina14, che vi era priore nel 1575; ed in quanto alla chiesa si ha solo il ricordo, conservato nei libri parrocchiali di San Pietro in Ricadi, di una Covella Messina e di una Giulia Russo seppellite in essa, l'una nel 1610 e l'altra l'anno appresso. Per antico dritto poi, di cui godeva la sullodata famiglia del Duce, avevano luogo nei pressi della chiesa due fiere, l'una delle quali ricorreva il 1° maggio, solennità dei SS. Filippo e Giacomo App., e l'altra il 25 luglio: la prima veniva chiamata dal volgo la fera sicca e la seconda la fera grassa. Il convento ebbe la durata di circa un secolo, perchè andò soppresso nel 1652, allorchè il Pontefice Innocenzo X. tenuto conto della poca osservanza, che, per lo scarso numero di religiosi, aveva la disciplina nei piccoli conventi li abolì colla bolla <<Instaurandae>> assegnandone le rendite a novelli seminari da erigersi15. Le rendite di questo dei SS. Filippo e Giacomo furono assegnate dal Vescovo, col permesso della Sede Apostolica, quale congrua alla Parrocchia di Ciaramiti16, gravandone il parroco della celebrazione di cinque messe settimanali. Il Sergio dice essere stata di grande giovamento alla quiete universale del nostro territorio la soppressione di questo convento, perchè poco a poco era divenuto come un asilo di fuggiaschi e gente di malaffare. Al di sopra della porta stavano appese molte specie di armi postevi come trofei, e i malfattori non cessarono di frequentare il luogo finchè non rimase totalmente diruto il dormitorio dei frati. A conforto e sostegno delle parole del Sergio, ci affrettiamo a dire come in quel tempo erano tutt'altro che rari i furti e i delitti di sangue nei nostri paesi, come pure esservi ricordo nei libri parrocchiali di Brivadi, villaggio poco distante dal convento, di un omicidio in persona del magnifico17 Giuseppe del Duce, morto di una schioppettata nell'età di 38 anni il 1728, nel detto villaggio; ed in quello di Orsigliadi di un altro, nel 1739, in persona di un tal Sergio Pulella di 30 anni, morto proprio nella chiesa di S. Giacomo <<causa refugii mortis violentae>>, ambedue ivi seppelliti18. Andò così il fabbricato, dopo la soppressione dei monaci, man mano in ruina, e lo stesso sarebbe avvenuto della chiesa se non fosse stata pronta a rimediarvi la pietà di un pio eremita. Costui la restaurò ed ornò decentemente, riattando anche parte del vecchio dormitorio dei frati per sua dimora, vivendo, oltre che delle limosine dei fedeli, della rendita di una piccola vigna, occupante il luogo del vecchio orto del convento. Il nome di questo eremita ci è ignoto, conosciamo quasi tutti quelli dei suoi successori, avendoli ricavati da un'attenta lettura dei libri parrocchiali di Brivadi ed Orsigliadi. Ne diamo qui l'elenco, avvertendo che le date, eccetto quelle del primo, sono dell'anno della loro morte. 1697-1713. Antonio Catanio, ricordato diverse volte, nel periodo corso fra queste due date, qual padrino di battesimo o di cresima. 1744. Maurizio Giuliano di Scipione, di 25 anni. 1748. Scipione Giuliano, padre del precedente, di anni 80. 1751. Lorenzo Niglia, di 50 anni. 1760. Carlo Paluci, di anni 60 morto improvvisamente. 1761. Antonio de Vita, sepolto da Giov. Domenico Laria parroco di S. Nicolò. 1764. Marcello de Vita. Se togliamo il Catanio, di cui ignoriamo l'anno e il luogo della morte, tutti questi eremiti morirono e furono sepolti in S. Giacomo. Dal 1764 fino all'abbandono della chiesa, ci mancano notizie sugli altri eremiti, che certamente vi furono, e ciò è da addebitarsi all'incuria dei vecchi parroci di Orsigliadi, che lasciarono andar perdute molte pagine del libro dei morti della loro chiesa, dalla quale dipendeva quella di S. Giacomo. Comunque vada la cosa, è certo che la chiesa del vecchio convento andò decadendo di anno in anno, e già sullo scorcio del secolo XVIII, avevan cessato di aver luogo le fiere di cui sopra, state gaie ed animatissime nei bei giorni del cenobio, come ci lascia credere la prosperità antica dei nostri villaggi e come ci vien riferito dalla costante tradizione. Ridotta perciò in deplorevoli condizioni e minacciando forse di ruinare, verso gl'inizi dello scorso secolo, il Vescovo diede facoltà al parroco di Ciaramiti, a cui, come vedemmo, erano stati devoluti i redditi del soppresso monastero, di portar via gli arredi di essa chiesa per dotare la sua. Il che risaputo dagli abitanti di Brivadi e Orsigliadi, vi fu una riffa raffa il giorno in cui vennero quei di Ciaramiti a rilevar gli arredi, e la chiesa di quest'ultimo villaggio dovette allora contentarsi di quel che potè avere. I Brivadesi riuscirono da parte loro ad impadronirsi, fra l'altro, di una statua di S. Antonio da Padova, di un crocefisso in cartapesta e di una pianeta bianca con galloni a fiori e frange rosse. Questa statua di S. Antonio e la pianeta accennata sono le sole reliquie che avanzino della distrutta chiesa. Il S. Antonio venne in seguito rinnovato, ed in quanto all'effigie di S. Giacomo, la tradizione dice essere stata in un quadro, del quale non abbiamo potuto avere notizia di sorta19. Ora del vecchio convento non esistono che le fondamenta e qualche piccolo avanzo di muro; ma si distingue per altro facilmente l'area della dimora dei frati da quella della chiesa per un leggiero dislivello, che evvi tra loro. Si riconosce pure il luogo di una sepoltura, posta dirimpetto alla porta esterna della chiesa, per affondare che fa il terreno in quel punto sotto la vanga e per esservisi rinvenute ossa a diverse riprese e corone appartenute già ai monaci e agli eremiti, che vi furono sepolti. Varie volte siamo stati a visitare quei ruderi, spinti dalla storica curiosità d'indagare bene il sito e da un profondo sentimento di melanconica poesia per le vecchie cose morte. E là, trovandoci ora allo spuntar del sole ed ora in sul tramonto, abbiamo pensato e fantasticato a lungo. La visione dei vecchi monaci, avvolti nei loro candidi mantelli, si affacciava al nostro pensiero, e ci sembrava di vederli o affacciati alle finestre delle loro cellette, in atto di meditazione, o, intenti alla recita del divino ufficio, salmeggiare nel piccolo coro della chiesuola; o passeggianti nell'orticello verde di belle piante, o seduti al rezzo di un albero annoso. Una grande pace, un soavissimo desiderio di quiete c'invadevano l'animo in quei momenti, e rivedevamo nella nostra mente lo splendido quadro del sole indorante la vetta del modesto campanile e quello degli ultimi suoi raggi, che andavano a morire là, dietro la breve siepe dell'orto e dei campi attigui, nelle acque del cerulo Tirreno. - Una vispa vecchietta, che trovammo ammalata nella vicina pagliaia, l'ultima volta che vi andammo, mossa dalla curiosità di vederci in quel luogo tante volte, venne spesso a raccontarci antiche storie dei monaci e dirci delle vecchie corone a grani di osso, che aveva rinvenute nella sepoltura surricordata. Ci condusse una volta alla sua pagiaia e mostrocci un blocco di pietra sull'aia, incavato rozzamente da un lato, dicendoci essere stato la pila dell'acqua santa della distrutta chiesetta. Noi eravamo tutti orecchi a sentire le sue storie, e, mentr'ella incoraggiata dalla nostra attenzione, con piacevole garrulità di vecchia contadina, narrava dei monaci e dello splendore delle antiche fiere del Convento, noi ripensavamo ai bei giorni felici dei nostri villaggi, quando fiorivano di una fede semplice e schietta e di una grande e invidiabile prosperità.
NOTE
1 Il punto preciso dove cominciava è conosciuto col nome di strata 'o pacciu, arretu 'o pacciu; e i monelli del paese, quando si baruffano tra loro e vogliono far prova delle proprie forze, colà si danno convegno. Si dice poi <<Galippi>> il punto dove metteva capo, presso l'attuale fontana di S. Nicolò. 2 Il P. Francesco Sergio nacque a Tropea il sei febbraio 1642 e vestì l'abito dei Domenicani nel convento che questi avevano nella sua città. Dotto ed amantissimo della sua patria, fu incaricato dal nobile D. Nicola Tocco e successivamente dal nobile D. Orazio Toraldo, sindaci di Tropea, a recarsi a Madrid per informare il Decano del Supremo Concilio d'Italia del danno che avrebbe subito Tropea se i casali da essa dipendenti venissero infeudati al Marchese Serra. Morì nella sua città natale il ventuno agosto 1727, e, diligente ed amoroso raccoglitore qual'era delle patrie memorie, lasciò un grosso manoscritto dal titolo <<Collectanea chronologiaca sive Chronicorum de civitate Tropea eiusque territorio libri tres ab U. C. ad annum 1720 usque>>. In esso, con stile facile e piano, espone, in latino, quanto potè raccogliere della storia di Tropea e dei suoi villaggi, sia come vicende religiose che civili. L'opera non è stata mai pubblicata, e si conserva con gelosa cura dalla famiglia dei signori Pontorieri. 3 Nel solo Ricadi erano in attività venti macchine da olio (comunemente trappeti), ed ora ve ne sono appena due. 4 L'emigrazione in America del Sud, attivatasi nel 1887; i lavori ferroviari, espletati nel 1893; ed ora l'emigrazione negli Stati Uniti ànno di molto rialzato le condizioni economiche degli abitanti. Mentre prima poche erano le famiglie che avevano casa propria e rarissime quelle che possedevano dei terreni, oggi tutte ànno case loro e molti terreni propri. 5 Quaranta monasteri contava in Calabria l'ordine Carmelitano, dei quali ventidue soppressi da Innocenzo X nel 1652. Fiore, Calabria Santa, pag. 365. - Nella diocesi di Mileto v'eran nove conventi dei Carmelitani. Mons. Taccone-Gallucci <<Monografie di storia calabra-ecclesiastica>>. Reggio Calabria 1900. 6 Era questa chiesetta di proprietà della nobile famiglia Tranfo, che, come molte altre nobili famiglie di Tropea, veniva a villeggiare in Ricadi buona parte dell'anno. Faceva parte di un isolato di fabbricati di detta famiglia, tra i quali eravi un trappeto e il palazzo con un grazioso giardino. La facciata del palazzo dava sulla piazza principale del paese e portava designato un orologio da sole o meridiana, che più non esiste, e all'angolo destro mostrava, fabbricato nel muro, lo stemma gentilizio della famiglia. In seguito, tanto il palazzo col giardino che la chiesetta e il resto dei fabbricati passarono ad altri; e i nuovi padroni adibirono il sacro luogo prima a magazzino e poi lo ridussero ad abitazioni, con grave scandolo dei paesani. Il trappeto passò ad un ramo della famiglia dei vecchi padroni, e propriamente a quello dei Tranfo-Galluppi, il quale pensò bene di cambiarlo in una comoda palazzina, dove dimora abitualmente tutta la famiglia. E' lustro e decoro di questo ramo del nobile casato dei Tranfo il Canonico D. Domenico, già Vicario Generale della diocesi di Cariati ed oggi Vicario Foraneo di Ricadi e parroco di S. Demetrio in Tropea. 7 Sul Santuario del monte Poro, scrisse un bellissimo cenno storico-descrittivo il nostro distinto amico, Cav. Dottor Diego Corso, nel <<Vibonese>> di Monteleone di Calabria, anno I, n.° 5°. 8 Questa cappella fu istituita per devozione della famiglia dei signori Petracca, essendo arciprete D. Pasquale Petracca, dotto ed integerrimo sacerdote. Per essa fu dipinta una graziosa effigie della Vergine del Carmelo da D. Agostino Petracca, fratello del detto arciprete. Fu costui artista geniale e di merito, che lasciò varie belle tele, le quali si conservano nella galleria di famiglia, oltre a molte altre che si trovano in diversi luoghi, come la S. Cecilia nella cappella a lei dedicata, nella Cattedrale di Mileto ed una copia fedele e magistralmente condotta della <<Transfigurazione>> del Sanzio, nella chiesa parrocchiale di Caria. Nacque a Ricadi il 1829 e morì a Roma, curato alla Basilica di S. Lorenzo in Damaso, nel 1887. 9 Nella bolla d'erezione il nostro promontorio è detto Batticano, e così pure si à nei Regesti Angioini ed in molti altri libri e documenti antichi. Dal secolo XVII in poi, salvo qualche rara eccezione, vien sempre ricordato col nome di Vaticano, suo proprio e vero nome. Non essendo qui il luogo di discutere questo punto interessantissimo della storia di Ricadi, rimandiamo l'erudito e benevole lettore al cap. 2.° delle <<Notizie storiche sul comune di Ricadi>> che, come già il 1.°, vedrà la luce nella <<Rivista storica calabrese>>. 10 Cogliamo qui l'occasione di ricordare come il sullodato Conte Vito Capiabi, uno dei più dotti ed infaticabili cultori della storia delle Calabrie, meriterebbe fama più grande e di esser ricordato meglio dai suoi concittadini non solo, ma da tutti i calabresi. Egli spese l'intiera vita e buona parte del suo patrimonio ad illustrare e raccogliere le memorie patrie; ed oggi la più ricca collezione di pergamene, libri, medaglie, che riguardano la Calabria tutta, è appunto quella lasciata da lui. Intanto, vergogna grande della sua città natale, nessuna via o piazza di Monteleone si fregia di un nome così illustre. 11 Lo chiamiamo Angelo di Milano per attenerci alla bolla di fondazione del convento, ma nella <<Calabria Santa>> del Fiore vien detto Angiolo Emiliano. Fu uomo celebre per santità di vita e cominciò a regger la nuova provincia di Calabria verso il 1540. Fiore, Op. cit. pag. 365 e 366. 12 Sergio, op. cit. lib. III, cap. 24. 13 Con bolla di Pp. Pio V. 14 Rileviamo questo nome dal seguente atto di nascita, estratto dai libri parrocchiali di S. Pietro Ap. in Ricadi, sotto la data del 3 agosto 1575: << Se battizzò un figlio di m° (maestro) Luca Scrugli ed Arfida gentili: si pose il nome di Ioseffo et intervenne p. eopa-r fre- augustino spina prior de monasterio di s.° Iacobo>>. L'abbiamo voluto riferire tal quale si trova nell'originale, per saggio dell'ortografia del tempo. 15 Coi redditi di altri piccoli conventi, allora soppressi in Calabria, furono eretti i seminari di Crotone, Catanzaro, Tropea, Gerace, Bisignano, Nicotera, Bova, Oppido e Nicastro. V. Mons. Taccone-Gallucci <<Regesti dei Romani Pontefici per le chiese di Calabria>> Roma, 1902, pag. 391. Di quest'ultima opera, importantissima per la storia ecclesiastica della Calabria, pubblicheremo fra breve una minuta recensione. 16 Nella platea dei beni delle parrocchie della diocesi di Tropea, redatta dal R.° Commissario Giov. Battista Pedrinelli nel 1787, trovasi per la chiesa di Ciaramiti l'onere suddetto per l'ammontare di venticinque ducati (L. 106,25). L'onere persiste, ma il numero delle messe è stato ridotto per corrispondere all'elemosina di una lira per cadauna. 17 Avevano nei nostri paesi questo titolo i gentiluomini borghesi per distinguersi dai nobili. Infatti, i Del Duce di Tropea non furono mai compresi nel ruolo delle famiglie nobili. 18 Vi furono pure seppelliti altri due della famiglia Del Duce: Stefano e Giuseppe, come risulta dagli stessi registri della chiesa di Brivadi. 19 Diamo qui per ultimo il testo della bolla d'erezione del monastero. <<Capitulum Cathedralis Ecclesiae Tropien, sede vacante per obitum illustriss. et reverendiss. Domini Pompei Piccolominei de Aragona Episcopi Tropien. Abbas Prosper Busalis de Neapoli, Perpetuus Commendatarius Ecclesiarum, seu Monasteriorum Sancti Eunofri (sic) de lo Chasos Sancti Laurentii de Arenis, et Sancti Costantini de Panayia, Ordinis Sancti Basilii. Decanus Crotonensis, Canonicus Tropien, et praedicti Rev. Capituli Tropien Vicarius Generalis = Univeris, et singulis praesentes inspecturis, visuris, lecturis pariter, et audituris pateat evidenter et sit notum qualiter nobis fuit expositum et supplicatum ex parte Rev. religionis ordinis Carmelitani provinciarum Calabriae, quod diu est, quod religio ipsa desideravit, et iu praesentiarum desiderat construi et erigi facere Conventum et Monasterium eiusdem religionis et ordinis in quadam ecclesia rurali et sine cura, sub invocatione Sancti Iacobi Apostoli, erecta et constructa in pertinentiis Capiti Batticani Tropien diocesis et destrictu, quae quidem ecclesia nulla habet reditus, et proinde earet Rectori et Cappellano. Nos enim volentes praedictae religionis devotum affectum, cunctis nostris effectibus, coadiuvare, ex iustis rationibus et causis mentem nostram Moventibus et maxime attendentes hoc aptius ad divini cultus reverentiam et honorem, atque servitium, praedictae religionis augmentum, et praefatae ecclesiae devotionem emergere; harum serie, auctoritate qua fungimur; et omni meliori modo, via, iure, forma, ratione et causa quibus possumus et valemus religioni praedictae dictam ecclesiam Sancti Iacobi eum iuribus et pertinentiis omnibus concedimus, damus et assignamus, illamque de eadem per praesentes investimus ad effectum tamen plautandi et esigendi Gongregationem, Conventum et Monasterium Ordinis ipsius religionis ad servitium et honorem divinae Maiestatis, et ipsius religionis augmentum, et populi christiani utilitatem animarum, et B Iacobi Apostoli devotionem et venerationem. Quo circa Reverendiss. in Christo Patrem Magistrum Angelum de Miliano, eiusdem religionis Provincialem, nomine ipsius religionis, per traditionem praesentium de ecclesia ipsa iuribus et praeminentiis omnibus investimus, eique potestatem damus et facultatem ut per se, vel aliquem, seu alios nomine religionis praedictae possessum corporalem, realem et actualem dictae ecclesiae sumi, et pertinentiarum praedictorum capiat et aprehendat, ac capere et aprehendere possit, pro effectu et causa praedictis; salvis tamen iuribus mensae episcopali competentibus et competituris quovio iure, et non aliter, nec alio modo. Mandamus insuper omnibus et singulis quibusvis personis huius civitatis Tropeae, et aliis poenis et censuris ecclesiasticis, quatemus dictam religionem in erectionem dicti Monasterii in ecclesia praedicta non impediant, neque impedire sinant et permittant, contradictores quoscumque auctoritate ordinaria per ecclesiasticos consuras compescendo, contrarium non obstantibus quibuscumque. In quorum omnium fidem et testimonium has praesentes literas scribi et fieri fecimus subscriptus nostra propria manu et nostro solito sigillo munitas et roboratas. Facta fuerunt haec in Episcopali Palatio civitatis Tropeae sub anno nativitatis Domini nostri Iesu Christi MDLXIV, indictione VII, die vero vigesima mensis iulii, Pontificatus SS, in Christo Patris, et Domini nostri, Domini Pii Divina Providentia Papae IV, anno V, P. Busalis Vicarius Tropie. Nat Ioseph Farina Actuarius>>.